Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2015-05-12, n. 201502346

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2015-05-12, n. 201502346
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201502346
Data del deposito : 12 maggio 2015
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 02700/2014 REG.RIC.

N. 02346/2015REG.PROV.COLL.

N. 02700/2014 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2700 del 2014, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
Tradeco s.r.l., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dagli avvocati A L e I L, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma, via Ombrone, 12, pal. B;

contro

Comune di Conversano, in persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dall'avvocato M F I, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato M S in Roma, viale Parioli, 180;

nei confronti di

L Elogia s.r.l., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dagli avvocati Angelo Clarizia e Gennaro Rocco Notarnicola, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma, Via Principessa Clotilde, 2;

per la riforma

delle sentenze in forma semplificata 26 marzo 2014, n. 1468 e 2 aprile 2014, n. 1570 del Consiglio di Stato, sez. V.


Visti il ricorso in revocazione, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Conversano e di L Elogia s.r.l.;

viste le memorie difensive;

visti tutti gli atti della causa;

relatore nell'udienza pubblica del giorno 3 marzo 2015 il Cons. Vincenzo Lopilato e uditi per le parti gli avvocati A L, M F I, Angelo Clarizia e Gennaro Rocco Notarnicola.


FATTO e DIRITTO

1.– Il Consiglio di Stato, sez. V, con sentenza in forma semplificata 26 marzo 2014, n. 1468, all’esito della camera di consiglio del 25 febbraio 2014, ha ritenuto infondato l’appello proposto dalla società Tradeco s.r.l. avverso la sentenza 13 febbraio 2014, n. 225 del Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, che aveva rigettato il ricorso avverso gli atti della procedura di gara, indetta dal Comune di Conversano, conclusasi con l’aggiudicazione in favore della società L Elogia s.r.l. dell’appalto di servizi di spazzatura, raccolta e trasporto di rifiuti urbani ed assimilati, servizi complementari, raccolta differenziata.

La questione esaminata atteneva, tra l’altro, alla regolarità contributiva dell’aggiudicataria.

Il Consiglio di Stato, con la citata sentenza, preso atto del deposito del documento unico di regolarità contributiva da parte della società Lombardi e del fatto che esso costituisce atto di certificazione assistito da pubblica fede fino a querela di falso, ha ritenuto prive di fondamento le doglianze dell’appellante.

2.– La stessa Sezione, con sentenza in forma semplificata 2 aprile 2014, n. 1570, ha dichiarato inammissibili i motivi integrativi di appello proposti dalla società Tradeco, con atto depositato il 7 marzo 2014, rilevando che gli stessi si pongono in contrasto con «il divieto di frazionamento dei motivi di impugnazione».

3.– La società Tradeco ha proposto ricorso per revocazione avverso la sentenza n. 1468 del 2014 e successivi motivi aggiunti con cui ha chiesto anche la revocazione della successiva sentenza n. 1570 del 2014.

3.1.– Si sono costituiti in giudizio l’amministrazione comunale e la società aggiudicataria, chiedendo che il ricorso venga dichiarato inammissibile e comunque infondato nel merito.

4.– La causa è stata decisa all’esito della camera di consiglio del 3 marzo 2015.

5.– Il ricorso è inammissibile.

6.– Prima di esaminare i singoli motivi di ricorso è opportuno riportare gli orientamenti della giurisprudenza del Consiglio di Stato relativi ai presupposti che devono ricorrere ai fini dell’ammissibilità del ricorso in esame.

6.1.– L’art. 106 cod. proc. amm. stabilisce che «le sentenze dei Tribunali amministrativi regionali e del Consiglio di Stato sono impugnabili per revocazione nei casi e nei modi previsti dagli articoli 395 e 396 del codice di procedura civile».

La giurisprudenza amministrativa è costante nel ritenere che l’istituto della revocazione è un rimedio eccezionale che non può convertirsi in un terzo grado di giudizio (tra le altre, Cons. Stato, sez. VI, 18 marzo 2014, n. 1334).

In particolare, avendo riguardo a quanto rileva in questa sede, l’art. 395, comma 1, numero 4, cod. proc. civ. prescrive che la revocazione è ammissibile «se la sentenza è l’effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa», specificando che «vi è questo errore quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure quando è supposta l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, e tanto nell’uno quanto nell’altro caso se il fatto non costituì un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare».

La giurisprudenza amministrativa ritiene costantemente che per aversi errore di fatto revocatorio e conseguente «abbaglio dei sensi» del giudice devono sussistere, contestualmente, tre requisiti: a) attinenza dell’errore ad un punto non controverso e sul quale la decisione non abbia espressamente motivato;
b) «pura e semplice errata od omessa percezione del contenuto meramente materiale» di atti ritualmente prodotti nel giudizio, «la quale abbia indotto l’organo giudicante a decidere sulla base di un falso presupposto di fatto, facendo cioè ritenere esistente un fatto documentalmente escluso o inesistente un fatto documentalmente provato»;
c) valenza decisiva dell’errore sulla decisione essendo necessario che vi sia «un rapporto di causalità tra l’erronea supposizione e la pronuncia stessa» (tra le altre, Consiglio di Stato, sez. IV, 24 gennaio 2011, n. 503).

Devono, invece, ritenersi vizi logici e dunque errori di diritto quelli consistenti nell’erronea interpretazione e valutazione dei fatti» e, in più in generale, delle risultanze processuali (Cons. Stato, sez. V, 21 ottobre 2010, n. 7599;
id., sez. VI, 5 settembre 2011, n. 4987).

In definitiva, «mentre l’errore di fatto revocatorio è configurabile nell’attività preliminare del giudice di lettura e percezione degli atti acquisiti al processo, quanto alla loro esistenza ed al significato letterale» esso non ricorre, tra l’altro, «nell’ipotesi di erroneo, inesatto o incompleto apprezzamento delle risultanze processuali», che può dare luogo «se mai ad un errore di giudizio, non censurabile mediante la revocazione» (Cons. Stato, Ad. plen., 10 gennaio 2013, n. 1).

7.– Con il primo e quarto motivo del ricorso principale si assume che la sentenza n. 1468 del 2014 sarebbe parziale perché non terrebbe conto che con istanza del 2 marzo 2014 la società aveva chiesto l’acquisizione del fascicolo di primo grado e non poteva essere adottata in forma semplificata mancandone i presupposti. A tale ultimo proposito si deduce che detta decisione avrebbe impedito la trattazione dell’appello per motivi aggiunti.

Con i motivi aggiunti nel presente ricorso per revocazione si assume l’esistenza di un errore di fatto revocatorio anche nella sentenza n. 1570 del 2014 che ha dichiarato inammissibili i motivi aggiunti proposti nel giudizio di appello con atto del 7 marzo 2014. In particolare, si deduce che, in relazione a quest’ultima sentenza, non sussistevano i presupposti per una decisione in forma semplificata non essendo decorsi i dieci giorni dalla notificazione e non essendo stata accertata l’integrità del contraddittorio. Non risulterebbe, infatti, agli atti del giudizio la cartolina di ritorno attestante l’avvenuta ricezione della notificazione da parte del Comune di Conversano.

Le questioni poste con il primo motivo del ricorso di revocazione principale sono state “superate” dal successivo deposito della sentenza n. 1570 del 2014 che ha esaminato i motivi posti con il ricorso di appello per motivi aggiunti dichiarandoli inammissibili. Per quanto attiene poi alla mancanza del fascicolo di primo grado, è la stessa ricorrente ad affermare che i documenti in esso contenuti sono stati depositi nel giudizio di appello e comunque non vengono indicati quali sarebbero i documenti contenuti nel suddetto fascicolo non presi in esame.

Le questioni poste con i motivi aggiunti al ricorso per revocazione sono inammissibili.

Nella sentenza, infatti, si dà espressamente atto che il Collegio aveva avvisato le parti della possibilità di definire la causa con sentenza in forma semplificata e che il difensore dell’appellante aveva espressamente rinunciato a tutti i termini, escludendo di dovere far valere ulteriori difese.

Il motivo articolato dal ricorrente, come risulta dalla sua stessa formulazione e a prescindere dalla circostanza che con esso si lamenta una lesione non della propria sfera giuridica, prospetta un eventuale errore di diritto e non un errore di fatto.

8.– Con il secondo motivo del ricorso principale per revocazione si assume che la sentenza n. 1468 del 2014 sarebbe inficiata da un errore di fatto, in quanto il documento unico di regolarità contributiva – Durc, depositato dall’aggiudicataria, «non riusciva a comprovare né la veridicità della dichiarazione dell’impresa (…), né la regolarità contributiva in quanto la stessa risultava morosa e non lo aveva dichiarato, né la regolarità contributiva per tutte le posizioni assicurative;
infatti, la posizione Inps di Lecce non viene assolutamente esaminata per tutto il periodo ma solo con riferimento alla data del 3 maggio 2013». Si aggiunge che:

- nell’atto di appello si era affermato che risultava omesso «il riferimento alla posizione Inps della ditta Lombardi aperta sulla Provincia di Lecce con matricola n. 4108498563»;

- era impossibile considerare unitaria la situazione esposta nei documenti Durc depositati «perché questi fanno riferimento, per l’Inail, ad una sola posizione indicata con il codice di azienda (…) ma per l’Inps non vi è alcun codice della ditta ma solo la posizione Inps n. 906159505»;

- la sentenza «non coglie la differenza tra il codice unico per le posizioni assicurative Inail che sono cinque e la mancanza di un codice unico per le posizioni assicurative Inps che sono, invece, differenti».

Il motivo è inammissibile.

Le questioni poste con il suddetto motivo hanno rappresentato un punto controverso della causa su cui la Sezione si è espressamente pronunciata.

Si afferma, infatti, nella sentenza impugnata quanto segue: in relazione « poi alla censura concernente la presunta incompletezza dei documenti di regolarità contributiva sopra indicati, in quanto asseritamene non comprensivi di tutte le posizioni assicurative intestate all’aggiudicataria, anche a voler prescindere dalla sua inammissibilità per genericità, essendo stata prospettata in modo del tutto dubitativo e senza alcun idoneo supporto probatorio, neppure a livello indiziario, non può non rilevarsi, per un verso, che la stessa natura “unica” del d.u.r.c. contraddice, in mancanza di un’apposita puntuale prova contraria, la tesi dell’appellante e, per altro verso, che l’amministrazione appaltante ha correttamente dedotto (e ciò risulta anche dalla documentazione versata in atti) che la richiesta di comprova della regolarità fiscale è stata avanzata con riferimento al codice identificativo dell’azienda (unico) ». Nella sentenza si è aggiunto: « deve ancora ribadirsi che sarebbe spettato alla società appellante, nel rispetto del fondamentale principio dell’onere della prova, dimostrare (comunque davanti al giudice ordinario), eventualmente anche per indizi, gravi, precisi e concordanti, che alla (eventuale) mancanza dell’accentramento delle posizioni assicurative presso la sede di Bari si sia accompagnato anche il mancato dialogo tra le sedi degli istituti (I.N.A.I.L. – I.N.P.S.) e che ciò avrebbe dato luogo ad un documento unico parziale ed infedele ».

Né varrebbe rilevare, come fa la ricorrente, che non risponderebbe al vero, da un lato, che la stessa avrebbe prospettato in modo dubitativo e senza idoneo supporto probatorio le mancanze del Durc in quanto i relativi atti erano stati depositati in giudizio, dall’altro, che «l’appellante avrebbe dovuto dare prova della mancanza di un accentramento delle posizioni assicurative».

Questi rilievi integrano, al più, gli estremi dell’errore di diritto e non dell’errore di fatto. Più precisamente, si imputa al Collegio di non avere correttamente interpretato le risultanze processuali. Ma questo aspetto, come già sottolineato, non può costituire un ammissibile motivo di revocazione.

9.– Con il terzo motivo del ricorso principale per revocazione si deduce l’errore revocatorio consistente nel non avere la sentenza rilevato in capo all’aggiudicataria «la irregolarità contributiva, intermittente, sopravvenuta periodicamente nei diversi periodi e nelle diverse date». In particolare, la società non avrebbe pagato le diverse rate alle date di scadenza e sarebbe anche decaduta dal beneficio della rateizzazione.

Il motivo è inammissibile.

Anche in questo caso la ricorrente deduce un aspetto che è stato oggetto di esame nella sentenza impugnata. In essa, infatti, si afferma chiaramente che il Durc, per la sua valenza certificativa, attesta la regolarità contributiva e che la eventuale falsità materiale o ideologica del contenuto del documento deve essere fatta valere innanzi le sedi giudiziarie competenti.

10.– Per le ragioni sin qui esposte il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

11.– La ricorrente è condannata al pagamento delle spese del presente giudizio che si determinano in euro 5.000,00, oltre accessori, di cui 2.500,00 devono essere corrisposte al Comune di Conversano e 2.500,00 alla L Elogia s.r.l.

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