Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2021-05-26, n. 202104067

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2021-05-26, n. 202104067
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202104067
Data del deposito : 26 maggio 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 26/05/2021

N. 04067/2021REG.PROV.COLL.

N. 00448/2018 REG.RIC.

N. 00476/2018 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 448 del 2018, proposto da
FUORIMURO SERVIZI PORTUALI E FERROVIARI S.R.L., INRAIL SPA, HUPAC SPA, RAIL TRACTION COMPANY SPA, CFI COMPAGNIA FERROVIARIA ITALIANA SPA, FERROTRAMVIARIA SPA, OCEANOGATE ITALIA, CAPTRAIN ITALIA, DINAZZANO PO SPA, GTS RAIL SPA, INTERPORTO SERVIZI CARGO SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall’avvocato M G, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, corso Vittorio Emanuele II, n. 187;

contro

AUTORITÀ DI REGOLAZIONE DEI TRASPORTI, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

nei confronti

RETE FERROVIARIA ITALIANA SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Giuseppe Lo Pinto, Fabio Cintioli, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Fabio Cintioli in Roma, via Vittoria Colonna, n. 32;



sul ricorso numero di registro generale 476 del 2018, proposto da
DB BAHN ITALIA S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato M G, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio M G in Roma, corso Vittorio Emanuele II, n. 187;

contro

AUTORITÀ DI REGOLAZIONE DEI TRASPORTI, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

nei confronti

RETE FERROVIARIA ITALIANA SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Giuseppe Lo Pinto, Fabio Cintioli, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Fabio Cintioli in Roma, via Vittoria Colonna, n. 32;

per la riforma

quanto al ricorso n. 448 del 2018, della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte (sezione Seconda) n. 1098 del 2017;

quanto al ricorso n. 476 del 2018, della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte (sezione Seconda) n. 1098 del 2017;


Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Autorità di Regolazione dei Trasporti e della Rete Ferroviaria Italiana s.p.a.;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 30 marzo 2021 il Cons. D S;

L’udienza si svolge ai sensi degli articoli 25 del decreto-legge 137 del 28 ottobre 2020 e 4 comma 1, del decreto-legge 28 del 30 aprile 2020, attraverso videoconferenza con l’utilizzo di piattaforma “Microsoft Teams” come previsto della circolare n. 6305 del 13 marzo 2020 del Segretario Generale della Giustizia Amministrativa;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1.‒ Con il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado e successivi motivi aggiunti, le imprese appellanti (di seguito: “le Società”) ‒ esercenti in Italia, in base a licenza e relativo certificato di sicurezza, l’attività di trasporto ferroviario, anche internazionale, di merci ‒ hanno chiesto l’annullamento dei seguenti atti:

i) della Delibera dell’Autorità di Regolazione dei Trasporti (di seguito: l’“Autorità”) n. 80/2016, avente ad oggetto il “Sistema tariffario 2017-2021 per i Servizi diversi dal Pacchetto Minimo di Accesso erogati da Rete Ferroviaria Italiana s.p.a. - Conformità al modello regolatorio approvato con la delibera n. 96/2015 e successive integrazioni”, del 15 luglio 2016;

ii) delle seguenti ulteriori Delibere dell’Autorità: n. 96/2015 del 13 novembre 2015, recante i “Criteri per la determinazione dei canoni di accesso ed utilizzo dell’infrastruttura ferroviaria”;
n. 28/2016 dell’8 marzo 2016, avente ad oggetto “Attuazione della delibera n. 96/2015- Differimento di termini ed altre misure”;
n. 31/2016 del 23 marzo 2016 avente ad oggetto “Attuazione della delibera n. 96/2015 Precisazioni”;
n. 62/2016 del 30 maggio 2016, avente ad oggetto “Differimento dei termini di attuazione delle misure 41 e 58 di cui all’Allegato 1 alla delibera n. 96/2015”;
n. 72/2016 del 27 giugno 2016, avente ad oggetto “Attuazione della delibera n. 96/2015- modalità applicative e differimento dei termini”;
del Prospetto Informativo della Rete 2017, edizione luglio 2016, approvato con Disposizione 13/D del 22 luglio 2016, a firma dell’amministratore delegato di Rete Ferroviaria Italiana s.p.a., con le regole e le procedure per la richiesta e per l’allocazione di capacità dell’infrastruttura in riferimento all’orario ferroviario in vigore dall’11 dicembre 2016 al 9 dicembre 2017;

iii) del Prospetto Informativo della Rete PIR 2017 Edizione dicembre 2016, di RFI e della Disposizione dell'Amministratore delegato di Rete Ferroviaria Italiana s.p.a. n. 22 del 7.12.2016, che emana il detto PIR, in vigore a partire dall'orario di servizio del 10 dicembre 2016;

iv) del Prospetto Informativo della Rete PIR 2018 Edizione dicembre 2016, di RFI e della disposizione dell'Amministratore delegato di Rete Ferroviaria Italiana s.p.a. n. 23 del 7.12.2016 che emana il detto PIR, in vigore a partire dall'orario di servizio del 10 dicembre 2017;

v) della Delibera n. 140/2016, del 30 novembre 2016 e relativo Allegato A, avente ad oggetto “Indicazioni e prescrizioni relative al Prospetto Informativo della Rete 2018, presentato dal gestore della rete ferroviaria nazionale, R.F.I. s.p.a., ed al Prospetto Informativo della Rete 2017 vigente”.

Le Società hanno sollevato in primo grado le seguenti censure:

a) difetto di competenza per la determinazione del modello regolatorio “in deroga”: il recupero dei costi netti totali efficientati presuppone l’applicazione di coefficienti di maggiorazione che, ai sensi dell’art. 18 del d.lgs. n. 112 del 2015, solo i Ministeri delle Infrastrutture e dei Trasporti e dell’Economia e delle Finanze di concerto sarebbero competenti a determinare;

b) l’applicazione degli extra-costi non sarebbe economicamente sostenibile ed avrebbe sulle stesse un impatto anticoncorrenziale;

c) l’Autorità avrebbe condotto una istruttoria carente e contraddittoria, in quanto: da una parte, ha recepito la tesi di Rete Ferroviaria Italiana s.p.a. secondo la quale la maggior parte dei costi del gestore sono costi fissi, dall’altra, non ha tenuto conto della contraddizione che tale assunto ingenera una evoluzione tariffaria che, nel luglio 2016, avrebbe portato ad una moltiplicazione delle tariffe contestualmente ad un incremento di quelle preesistenti;

d) violazione dell’art. 17, commi 2, 5 e 6, del d.lgs. n. 112 del 2015: le richiamate disposizioni prevedrebbero che la tariffa, di norma rapportata ai costi diretti, possa essere maggiorata in presenza di specifiche ipotesi (scarsità di capacità;
effetti ambientali nocivi e rumorosità dei mezzi), che non ricorrerebbero nel caso di specie;

e) violazione dell’art. 31, commi 7 e 8, della direttiva 2012/34/UE e dell’art. 17, commi 10 e 11, del d.lgs. n. 112 del 2015: l’Autorità avrebbe approvato tariffe che non contemplerebbero il cosiddetto “price cap”, senza garantire alcuna forma di efficientamento;

f) mancanza di un sistema di tariffazione basato su costi certi e pertinenti.

2.‒ Il Tribunale Amministrativo Regionale, ha respinto tutti i menzionati motivi, eccetto l’ultimo relativo alla contabilità regolatoria, disponendo che l’Autorità provveda «ad una rivalutazione dei piani tariffari dando atto della rispondenza degli stessi ai criteri del costo come evincibile dalla contabilità regolatoria e della coerenza e correttezza di quest’ultima alla luce delle criticità evidenziate dalle parti ricorrenti».

3.‒ Avverso la predetta sentenza le Società hanno proposto appello, riproponendo i motivi di ricorso proposti in primo grado, sia pure adattati all’impianto motivazionale della sentenza gravata.

4.‒ Si è costituita in giudizio l’Autorità, insistendo per il rigetto dell’appello.

5.‒ Con ordinanza 18 luglio 2019, n. 5079, la Sezione, previa riunione dei due appelli in quanto relativi alla medesima sentenza, ha disposto una verificazione, incaricando il Direttore del Dipartimento di Ingegneria dell’Ambiente, del Territorio e delle Infrastrutture del Politecnico di Torino, con facoltà di delega a docente esperto del settore scientifico disciplinare dei trasporti, di rispondere ai seguenti quesiti:

« Dica il verificatore: - se, in ragione del contesto di mercato in cui operano le imprese appellanti (considerando, ad esempio, la quota del trasporto ferroviario di merci rispetto ai volumi totali trattati sul territorio nazionale, la concorrenza del trasporto stradale non soggetto a pedaggio, i limiti infrastrutturali di modulo, di sagoma e di peso assiale, il grado di elasticità della domanda), le tariffe per i Servizi diversi dal Pacchetto Minimo di Accesso, come disciplinato dagli atti di regolazione impugnati, siano economicamente «sostenibili» da parte degli operatori professionali del settore (art. 18, comma 4, lettera a), del decreto legislativo n. 112 de 2015);
- se sia fondata in punto di fatto l’affermazione secondo cui, per il periodo tariffario 2016-2021, i costi di RFI sono “interamente fissi” e mancano aumenti previsti e prevedibili dei medesimi a carico di RFI;
- se le nuove tariffe e gli aumenti di quelle preesistenti siano correlati a costi effettivi e pertinenti, nonché informati al principio di efficientamento
».

5.1.‒ Con successiva ordinanza 30 settembre 2019, n. 6514, il Collegio ‒ letta la comunicazione del 24 luglio 2019, con la quale il Rettore del Politecnico di Torino ha segnalato che, all’interno del Dipartimento di Ingegneria dell’Ambiente, del Territorio e delle Infrastrutture , « alcuni docenti hanno in passato effettuato attività di consulenza nei confronti di alcune delle società ricorrenti», aggiungendo altresì che il «Politecnico di Torino ha sottoscritto numerosi accordi con l’Autorità di Regolazione dei Trasporti - parte resistente dei ricorsi di cui trattasi - e in particolare, ha concesso in comodato d’uso fino al 2023 gli spazi presso cui l’Autorità opera » ‒ ha ritenuto necessario, per ragioni di opportunità, nominare quale nuovo verificatore il Direttore del Dipartimento di Ingegneria Civile e Ambientale del Politecnico di Milano (sempre con facoltà di delega a docente esperto del settore scientifico disciplinare dei trasporti).

5.2.‒ Con successive ordinanze 11 maggio 2020, n. 2948, e 13 novembre 2020, n. 7002, il Collegio ha accolto le richieste di proroga dei termini per il deposito della relazione conclusiva, formulata dal verificatore in ragione dello stato di emergenza pandemico dichiarato con la delibera del Consiglio dei Ministri del 31 gennaio 2020.

6.‒ All’udienza pubblica del giorno 30 marzo 2021, la causa è stata discussa ed è stata trattenuta per la decisione.

DIRITTO

1.‒ È utile premettere una sintetica ricognizione del quadro normativo di riferimento, per quanto strettamente necessario alla risoluzione del presente giudizio.

1.1.‒ In Italia, il settore ferroviario è stato per quasi un secolo sotto il controllo dell’Azienda autonoma Ferrovie dello Stato, costituita nel 1905 in seguito alla nazionalizzazione del settore.

Con la Direttiva del Consiglio delle Comunità Europee del 29 luglio 1991 relativa allo sviluppo delle ferrovie comunitarie (91/440/CEE) è stato avviato in Europa il processo di liberalizzazione del trasporto ferroviario, che si è andato definendo nel corso degli anni successivi (2011-2013) attraverso l’emanazione di direttive, regolamenti e comunicazioni raccolte nei cosiddetti quattro “pacchetti ferroviari”, attraverso i quali, si è inteso sviluppare il pieno potenziale del trasporto ferroviario, passeggeri e merci, introducendo la competitività tra le imprese, promuovendo l’affidabilità dei servizi offerti, riducendo le inefficienze delle gestioni governative, con l’obiettivo ultimo di spostare quote di domanda verso la ferrovia che rappresenta una modalità di trasporto più sostenibile, sicura e meno inquinante del trasporto stradale e del trasporto aereo.

Tale evoluzione, come noto, si colloca nel quadro dell’ampio processo di privatizzazione, aziendalizzazione (l’implementazione cioè di criteri gestori economico-aziendali) e liberalizzazione (mediante l’introduzione della forma di concorrenza più adatta allo specifico settore) che ha interessato la quasi totalità delle aziende pubbliche italiane, a partire dagli anni novanta del secolo scorso.

1.2.‒ Nel trasporto ferroviario, la leva della concorrenza (al fine di determinare un incremento nei servizi in termini di qualità ed anche una riduzione dei costi) trova un limite nel fatto che i sistemi ferroviari sono caratterizzati da economie di densità di traffico, con la conseguenza che, a parità di ogni altra condizione, un particolare livello di produzione su una certa linea può essere più economicamente realizzato da un singolo operatore ferroviario che non nel caso di operatori ferroviari multipli.

In presenza di una domanda di mercato troppo esigua per supportare un cospicuo numero di operatori, la forma di mercato più ricorrente risulta essere la concorrenza oligopolistica.

Ecco le ragioni per cui il processo di riforma è stato per lo più attuato mediante l’implementazione di modelli intermedi, come il c.d. “third party access”, dove un operatore integrato verticalmente con il gestore dell’infrastruttura viene costretto ad accettare sulla linea anche altri operatori.

Ai fini regolatori, va pure considerata la c.d. concorrenza intermodale: le imprese di trasporto ferroviario sono cioè in competizione anche con altre modalità di trasporto, come quello aereo, privato automobilistico o tramite pullman o autobus.

1.3.‒ Il punto nodale della funzione di regolazione delle network industries (quali, per l’appunto, i trasporti in generale, e quelli ferroviari in particolare) concerne la rete. In presenza di infrastrutture non replicabili (dove cioè le condizioni di monopolio naturale rendono non economicamente conveniente la realizzazione di forme concorrenziali dirette nella produzione o nella gestione), la teoria economica della regolazione impone due tipi di correttivi:

i) quelli necessari a garantire l’uso efficiente della rete, attraverso dispositivi in grado di simulare pressioni concorrenziali, incentivando l’innovazione ed il contenimento dei costi;

ii) quelli finalizzati a garantire «l’uso comune della rete», in funzione della libera competizione degli operatori, attraverso l’adozione di meccanismi di «neutralità».

Quest’ultimo profilo, oggetto precipuo del presente contenzioso, è assai delicato: le modalità tecniche ed economiche della messa a disposizione dell’infrastruttura dal proprietario (e dal gestore) ai diversi operatori chiamati a erogare il servizio di trasporto ferroviario, e le relative modalità tecniche, è suscettibile di applicazioni differenziate, in grado di condizionare fortemente l’effettivo svolgersi della concorrenza.

1.4.‒ La liberalizzazione del mercato ferroviario italiano, a partire dal 2000, con l’apertura del mercato a nuovi operatori merci e passeggeri, è stata accompagnata dalla separazione, con conseguente scissione tra il gestore dell’infrastruttura (Rete ferroviaria italiana s.p.a.) e l’impresa ferroviaria (Trenitalia s.p.a.), le quali sono rimaste tuttavia sotto la proprietà e il controllo della società di partecipazione Ferrovie dello Stato Holding.

Alla separazione verticale si ricollegano vantaggi in termini di: trasparenza delle informazioni a disposizione del decisore politico;
specializzazione degli operatori;
sfruttamento di economie di scala;
neutralità dell’accesso;
maggiore concorrenza, con conseguente riduzione dei costi, maggiore innovazione e qualità.

1.5.‒ Rete ferroviaria italiana s.p.a. (di seguito: “RFI”) è il gestore dell’infrastruttura ferroviaria nazionale, in virtù dell’atto di concessione di cui al decreto-ministeriale 31 ottobre 2000 n. 138T ed è tenuta all’attuazione dei piani di potenziamento e di sviluppo dell’infrastruttura ferroviaria, approvati dal CIPE e descritti nel Contratto di Programma stipulato con il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. In quanto gestore dell’infrastruttura, RFI è soggetta al rispetto degli obblighi di legge sanciti con il d.lgs. n. 112/2015, che disciplina l’attuazione della direttiva n. 2012/34/UE e che, unitamente al già richiamato atto di concessione, individua il gestore dell’infrastruttura come il «soggetto incaricato, in particolare, della realizzazione, della gestione e della manutenzione dell'infrastruttura ferroviaria, compresa la gestione del traffico, il controllo-comando e il segnalamento».

Il gestore ha l’obbligo di garantire l’accesso e l’utilizzo equo e non discriminatorio dell’infrastruttura ferroviaria nazionale a favore delle singole imprese ferroviarie (“IF”), a fronte della corresponsione di un “canone” la cui determinazione – ai sensi dell’art. 17, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 112 del 2015 – spetta al gestore stesso.

L’art. 37 del decreto-legge n. 201 del 2011 ha previsto, al comma 2, lettera i), che .l’Autorità fosse competente a svolgere tutte le funzioni di organismo di regolazione di cui all’articolo 37 del decreto legislativo 8 luglio 2003, n. 188 (ad oggi ripreso nell’art. 37 del d.lgs. n. 112/2015), e, in particolare, «a definire i criteri per la determinazione dei pedaggi da parte del gestore dell’infrastruttura e i criteri di assegnazione delle tracce e della capacità e a vigilare sulla loro corretta applicazione da parte del gestore dell’infrastruttura».

1.6.‒ Nella regolazione dell’infrastruttura, la determinazione dei criteri di accesso e utilizzo dell’infrastruttura ferroviaria è assume un rilievo centrale: da una parte, infatti, il pedaggio deve consentire al gestore dell’infrastruttura di coprire (in tutto o in parte) dei costi per la gestione, la manutenzione e lo sviluppo della rete;
d’altra parte, esso deve garantire un accesso equo e indiscriminato a tutte gli le imprese che volessero intraprendere un’iniziativa commerciale di offerta di servizi ferroviari (passeggeri e merci).

La normativa di riferimento che regola le modalità di individuazione del canone e stabilisce l’equilibrio di principi e regole tra i vari attori del settore del trasporto ferroviario fa riferimento principalmente alla Direttiva 2012/34/UE (“Recast”) ‒ direttiva che ha “rifuso e “riunito” in un unico atto la direttiva 91/440/CEE del Consiglio, del 29 luglio 1991, relativa allo sviluppo delle ferrovie comunitarie, la direttiva 95/18/CE del Consiglio, del 19 giugno 1995, relativa alle licenze delle imprese ferroviarie e la direttiva 2001/14/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2001, relativa alla ripartizione della capacità di infrastruttura ferroviaria e all’imposizione dei diritti per l’utilizzo dell’infrastruttura ferroviaria, introducendo, altresì, ulteriori modifiche alla disciplina europea dei trasporti ferroviari ‒, recepita in Italia con il d.lgs. n. 112 del 2015. Il Regolamento 2015/909, attuativo della direttiva, definisce invece le modalità di calcolo dei costi direttamente legati alla prestazione del servizio ferroviario. L’obiettivo del ‘recast’, è la creazione di un mercato unico ferroviario dell’Unione europea, che agevoli il trasporto ferroviario tra gli Stati membri dell’Unione europea, promuovendo lo sviluppo della competizione e la libera circolazione di persone e merci.

1.7.‒ Su queste basi, l’Autorità, con la delibera n. 96 del 13·novembre 2015, ha definito i principi e i criteri dei canoni di accesso all’infrastruttura ferroviaria (con la Delibera n. 70 del 31 ottobre 2014, l’Autorità era già intervenuta relativamente al pedaggio AV/AC).

Precedentemente, l’articolazione del pedaggio ed i livelli delle sue componenti erano stati stabiliti dal decreto del Ministero dei Trasporti n. 43T del 21 marzo 2000, successivamente modificato dal decreto ministeriale 18 agosto 2006.

Per quanto riguarda gli specifici contenuti del provvedimento, tale delibera definisce principi e criteri in materia di condizioni economiche di offerta, ivi compresi gli obblighi di contabilità regolatoria, per quanto riguarda:

i) il canone di accesso per l’utilizzo dell’infrastruttura ferroviaria nazionale, relativi ai servizi del c.d. “Pacchetto Minimo di Accesso” (di seguito: “PMdA”), come definito dall’art. 13, comma 1, del d.lgs. n. 112 del 2015;

ii) i canoni ed i corrispettivi dei Servizi afferenti all’infrastruttura ferroviaria nazionale, non ricompresi nel canone del PMdA, qualora soggetti a regolamentazione, ai sensi di quanto previsto dallo stesso d.lgs. n. 112 del 2015.

Il presente giudizio riguarda i servizi non compresi nel canone del PMdA, e segnatamente riguarda canoni e corrispettivi riguardanti l’accesso a: i) impianti e servizi a diritto di accesso garantito (di cui all’art.13, comma 2, del d.lgs. n. 112 del 2015);
ii) servizi complementari (di cui all’art 13, comma 9, del d.lgs. n. 112 del 2015);
iii) servizi ausiliari (di cui all’art 13, comma 11, del d.lgs. n. 112 del 2015).

Gli impianti e servizi con diritto di accesso garantito per i treni merci (in quanto considerati elemento costitutivo e fondamentale per l’accesso e l’utilizzo dell’infrastruttura ferroviaria) sono: scali merci;
scali di smistamento e aree di composizione dei treni, ivi comprese le aree di manovra;
aree, impianti ed edifici destinati alla sosta, al ricovero e deposito di materiale rotabile e di merci;
centri di manutenzione, ad eccezione dei centri di manutenzione pesante e centri specializzati;
altre infrastrutture tecniche, comprese quelle di pulizia e di lavaggio;
impianti e attrezzature di soccorso;
aree o impianti per l’approvvigionamento di combustibile.

I servizi complementari per i treni merci sono invece: la fornitura della corrente di trazione;
i servizi di manovra;
il controllo della circolazione di treni che effettuano trasporti di merci pericolose;
assistenza alla circolazione di treni speciali.

I servizi ausiliari riguardano poi: l’accesso alla rete di telecomunicazioni;
la fornitura di informazioni complementari;
l’ispezione tecnica del materiale rotabile;
servizi di manutenzione pesante per tipi di materiale rotabile che esigono centri specializzati.

1.8.‒ La regolazione economica dei servizi che non rientrano nel PMdA si articola nel seguente modo.

Per gli impianti e servizi con diritto di accesso garantito, in assenza di un mercato concorrenziale, si prevede che tali servizi siano forniti al costo di fornitura maggiorato di un ragionevole profitto (art 17, comma 10, del d.lgs. n. 112 del 2015).

I servizi complementari e ausiliari (i quali possono essere forniti da un operatore di impianto che può anche non corrispondere al gestore dell’infrastruttura), ove offerti in regime di concorrenza, sono forniti a prezzo di mercato (art 17, comma 11, del d.lgs. n. 112 del 2015).

L’Autorità, ai predetti fini, ha introdotto una classificazione in due tipologie (A e B) di impianti e servizi (come risulta dalle misure 38 e 39 della delibera 96/2015), funzionale all’applicazione di regole economiche differenti in base al livello di concorrenza offerto:

i) per gli impianti ed i servizi di cui alla tipologia A, l’Autorità definisce criteri di costing (definizione dei costi di fornitura, periodo temporale di riferimento, valori di riferimento per il calcolo dei costi di capitale, immobilizzazioni ammissibili, et similia), criteri di pricing (correlazione ai costi di fornitura, riduzioni attuabili solo in determinate condizioni), e specifici obblighi di contabilità regolatoria, prevedendo una dinamica dei corrispettivi che localizzi un efficientamento annuo delle gestioni;

ii) per gli impianti e servizi rientranti nella tipologia B, l’Autorità definisce criteri di regolazione economica semplificati, sotto il profilo procedurale e dei costi di implementazione, sostanzialmente basati sul principio della trasparenza, della predicibilità e della non discriminazione, e definendo un insieme minimo di informazioni, di natura anche contabile, che l’operatore di impianto dovrà periodicamente comunicare ai propri utenti e all’Autorità.

Va poi ricordato che il Prospetto Informativo della Rete (PIR) è il documento, predisposto dal gestore dell’infrastruttura secondo quanto previsto dall’art. 14, comma 2, del d.lgs. n. 112/2015, che «[…] descrive le caratteristiche dell’infrastruttura disponibile per le imprese ferroviarie e contiene informazioni sulle condizioni di accesso all’infrastruttura ferroviaria in questione. Il PIR, inoltre, contiene le informazioni sulle condizioni di accesso agli impianti di servizio connessi alla rete del gestore dell’infrastruttura e di fornitura dei relativi servizi […]».

1.9.‒ Su queste basi è possibile procedere allo scrutinio dei motivi di ricorso.

2.‒ Con il primo motivo, le Società eccepiscono il difetto di competenza dell’Autorità:

In sintesi, si afferma che: il sistema tariffario approvato dall’Autorità garantirebbe al Gestore non solo la copertura dei costi diretti del servizio ma anche di una quota parte dei costi totali, con applicazione di coefficienti di maggiorazione;
tuttavia, l’applicazione di questi ultimi, ai sensi dell’art. 18 del d.lgs. n. 112 del 2015, avrebbe imposto l’intervento del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze e non della sola ART, chiamata, a posteriori, a verificare in sede di attuazione la mera sostenibilità ed efficienza dell’applicazione dei coefficienti di maggiorazione così determinati.

2.1.‒ Il motivo non può essere accolto alla luce di quanto già affermato da questa Sezione in altri giudizi analoghi, dove pure era stata eccepita l’incompetenza dell’Autorità ad applicare un “coefficiente di maggiorazione” finalizzato ad assicurare la remunerazione di tutti i costi totali efficienti connessi all’attività del Gestore dell’infrastruttura.

Il legislatore ha costruito un sistema in cui il pedaggio per l’accesso all’infrastruttura ferroviaria viene determinato dal Gestore, mentre l’Autorità definisce i criteri in applicazione dei quali il Gestore giunge alla quantificazione delle tariffe. Il potere di determinazione del canone, anche nella sua componente aggiuntiva rispetto alla copertura dei costi diretti, deve ritenersi previsto dall’art. 17, comma 1, d.lgs. n. 112 del 2015 già citato, secondo cui: «l’Autorità di regolazione dei trasporti, di cui all’articolo 37 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, definisce, fatta salva l’indipendenza del gestore dell'infrastruttura e tenendo conto dell’esigenza di assicurare l’equilibrio economico dello stesso, i criteri per la determinazione del canone per l’utilizzo dell’infrastruttura ferroviaria da parte del gestore dell’infrastruttura e dei corrispettivi dei servizi di cui all’articolo 13».

La prospettazione di parte appellante trascura i principi ai quali si deve ispirare il particolare settore che viene in discorso, caratterizzato, da un lato, dalla presenza di una risorsa non replicabile (la rete ferroviaria) ‒ che dà origine alla situazione di monopolio naturale ‒ sottoponendola ad uno speciale regime giuridico, che la rende disponibile alle imprese per l’esercizio della loro attività economica;
dall’altro, dalla peculiare relazione finanziaria tra lo Stato, che è proprietario della rete, e la principale impresa ferroviaria utilizzatrice della rete stessa.

In tale contesto, anche al fine di preservare l’indipendenza imprenditoriale del Gestore – principio ribadito dalla Corte di giustizia dell’Unione Europea, con sentenza 3 ottobre 2013, nella causa C 369/11 (secondo cui: «La Repubblica italiana, non garantendo l’indipendenza del Gestore dell’infrastruttura per la determinazione dei diritti di accesso all’infrastruttura e la ripartizione della capacità di infrastruttura ferroviaria, è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti ai sensi degli articoli 4, paragrafo 1, e 30, paragrafo 3, della direttiva 2001/14/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2001, relativa alla ripartizione della capacità di 39 infrastruttura ferroviaria e all’imposizione dei diritti per l’utilizzo dell’infrastruttura ferroviaria, come modificata dalla direttiva 2007/58/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 ottobre 2007») – assume un particolare significato la presenza di un’Autorità indipendente dal Governo e dagli operatori economici del settore, alla quale è affidato il compito di regolare ex ante i criteri di determinazione del canone di accesso all’infrastruttura (così le sentenze del Consiglio di Stato n. 4215 del 2020 e n. 4216 del 2020).

2.2.‒ Va peraltro rimarcato il fatto che l’Autorità ha contestato l’assunto, costituente presupposto della doglianza in esame, secondo cui le delibere n. 96/2015 e n. 80/2016 avrebbero esteso ai servizi extra PMdA il modello regolatorio elaborato per i servizi afferenti il PMdA (nella parte relativa ai coefficienti di maggiorazione), di cui alla Misura 22 della delibera n. 96/2015. Si afferma, invece, che i servizi extra PMdA sono assoggettati alla Misura 47 (il quale richiama la Misura 6 solo in ordine al principio di correlazione dei corrispettivi ai costi).

3.‒ Vanno ora scrutinati i rilievi di natura sostanziale che le Società muovono alle delibere impugnate.

3.1.‒ È utile premettere che, anche nei giudizi di legittimità riguardanti decisioni connotate da discrezionalità, il giudice deve procedere al raffronto tra la realtà e la rappresentazione che di essa ne abbia fatto l’amministrazione, e non muoversi esclusivamente all’“interno” della rappresentazione della realtà descritta nel provvedimento impugnato.

Il nuovo codice di rito ha infatti inteso superare radicalmente l’antica impronta del “contenzioso amministrativo”, la cui istruzione verteva su prove esclusivamente precostituite ‒ ovvero su documenti che non si formavano innanzi al giudice nel processo in contraddittorio tra le parti, ma prima del processo nel momento stesso in cui il potere veniva tradotto in atto ‒, dotando il giudice di tutti i mezzi di prova necessari a realizzare un sistema rimediale “aperto” e conformato al bisogno differenziato di tutela dell’interesse evocato in giudizio. La «piena» giurisdizione del giudice amministrativo comporta che questi ha il potere di riformare in qualsiasi punto, in fatto come in diritto, la decisione resa dall’autorità amministrativa.

Anche nel sindacato sull’attività di regolazione, è ammessa una piena conoscenza del fatto e del percorso intellettivo e volitivo seguito del regolatore.

L’unico limite in cui si sostanzia l’intangibilità della valutazione amministrativa complessa è quella per cui, quando ad un certo problema tecnico ed opinabile (in particolare, la fase di c.d. “contestualizzazione” dei parametri giuridici indeterminati ed il loro raffronto con i fatti accertati) l’Autorità ha dato una determinata risposta, il giudice (sia pure all’esito di un controllo “intrinseco”, che si avvale cioè delle medesime conoscenze tecniche appartenenti alla scienza specialistica applicata dall’Amministrazione) non è chiamato, sempre e comunque, a sostituire la sua decisione a quella dell’Autorità, dovendosi piuttosto limitare a verificare se siffatta risposta rientri o meno nella ristretta gamma di risposte plausibili, ragionevoli e proporzionate (sul piano tecnico), che possono essere date a quel problema alla luce della tecnica, delle scienze rilevanti e di tutti gli elementi di fatto. Sul versante dell’infrastruttura ferroviaria, ad esempio, si pensi alla opinabilità tecnica ed economica di alcuni concetti come quello del “costo del servizio”, quale può essere valutato quale costo storico o corrente, pieno, incrementale o marginale, diretto o indiretto, fisso o variabile a breve o lungo termine.

Nel caso della regolazione economica, il controllo giurisdizionale “non sostitutivo” trova giustificazione in ragione di una specifica scelta di diritto sostanziale: quella per cui il legislatore, non essendo in grado di governare tutte le possibili reciproche interazioni tra i soggetti interessati e di graduare il valore reciproco dei vari interessi in conflitto, si limita a predisporre soltanto i congegni per il loro confronto dialettico, senza prefigurare un esito giuridicamente predeterminato. In tali casi, l’attività integrativa del precetto corrisponde ad una tecnica di governo attraverso la quale viene rimesso ai pubblici poteri di delineare in itinere l’interesse pubblico concreto che l’atto mira a soddisfare.

4.‒ Le Società appellanti eccepiscono che l’applicazione degli extra-costi non sarebbe economicamente sostenibile (come invece prescritto dall’art. 18, commi 2 e 3, del d.lgs. n. 112 del 2015) ed avrebbe addirittura un impatto anticoncorrenziale.

4.1.‒ Le risultanze della verificazione ‒ le cui valutazioni, sviluppate con argomenti sintetici ma scientificamente rigorosi ‒ depongono nel senso dell’infondatezza della censura.

Dal PIR 2021 di RFI, è possibile ricavare gli importi unitari dei canoni per i servizi che non rientrano nel PMdA.

Utilizzando tali costi unitari sono state effettuate delle simulazioni per stimare gli intervalli di variabilità del canone che le Imprese pagano per l’accesso all’infrastruttura e ai relativi servizi.

Il verificatore, a titolo di esempio, ha considerato consideri un servizio ferroviario merci su una relazione origine/destinazione (OD) di distanza tra i 400 e i 600 Km con una massa di circa 1000 tonnellate (corrispondente ad un treno con 14 carri e a singola trazione elettrica): sulla base della nuova tariffa (PIR2021) si stima un costo complessivo del treno compreso in un intervallo tra 4000 e 5500 euro, di cui quanto al PMdA tra 1000 e 1500 euro e quanto agli altri servizi tra i 3000 e 4000 euro. Si stima che la tariffa media per i servizi che non rientrano nel PMdA risulta variabile in un intervallo tra 6 e 8 Euro/treno-Km, di cui circa l’80% per l’energia di energia elettrica di trazione.

Ebbene, considerando, per le imprese ferroviarie, un ricavo medio di 19 Euro/treno-Km ed un costo operativo medio di 13 Euro/treno-Km, il costo per l’accesso agli impianti e ai servizi al di fuori del PMdA incide rispettivamente per il 35% sui ricavi e per il 50% sui costi operativi, percentuali che appaiono congrue ai fini della verifica di sostenibilità della tariffa e dell’impatto sui livelli di produttiva delle IF.

5.‒ Con altro ordine di censure (terzo, quanto, quinto e sesto, da scrutinarsi congiuntamente), le Società affermano che le nuove tariffe e gli aumenti di quelle preesistenti non sarebbero giustificati. L’Autorità, in primo luogo, avrebbe condotto una istruttoria carente e contraddittoria laddove, da una parte ha recepito la tesi di RFI secondo la quale la maggior parte dei costi del gestore sono costi fissi;
dall’altra non ha tenuto conto della contraddizione che tale assunto ingenera con una evoluzione tariffaria che, nel luglio 2016, ha portato ad una moltiplicazione delle tariffe contestualmente ad un incremento di quelle preesistenti. Siffatta dinamica tariffaria, in quanto allocazione di costi su nuove linee di costo (es. sosta, accesso a scali di smistamento) avrebbe dovuto comportare, relativamente alle prestazioni già in precedenza tariffate, una riduzione di imputazione dei costi rispetto a quelli storici, appunto perché una parte dei costi sarebbe stata “trasferita” su nuove linee di costo.

L’Autorità avrebbe poi omesso di effettuare ogni supplemento di indagine necessario per verificare la concreta attendibilità delle schede previsionali dei costi regolatori presentate da RFI per il 2017-2021.

Un ulteriore difetto di istruttoria andrebbe ravvisato in relazione alle tariffe di equilibrio autodeterminate da RFI nel PIR 2016, edizione aprile 2016, nonché sulla riallocazione dei costi dai “vecchi” ai “nuovi prodotti”.

I motivi sono infondati.

5.1.‒ La giurisprudenza della Sezione ( cfr . Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 6119 del 2019) ha avuto modo di mettere in luce che all’esito di un articolato itinerario normativo ‒ dipanatosi nelle seguenti disposizioni: l’art. 12 della legge 23 dicembre 1992, n. 498;
gli artt. 1 e 2, commi 17 e 18, della legge 14 novembre 1995, n. 481;
l’art. 117 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267;
l’art. 165 del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 ‒ appare oramai sedimentata nell’ordinamento amministrativo una chiara direttrice regolativa: le tariffe dei servizi di interesse economico generale devono assicurare l’equilibrio economico-finanziario dell’investimento e della connessa gestione, quale che sia la metodologia concretamente applicata.

La strumentalità del sistema tariffario rispetto al conseguimento degli obiettivi di carattere economico-industriale impone l’integrale copertura dei costi di produzione del servizio, ivi compresi quelli di indiretta imputazione e quelli generali: quali ammortamenti, costi finanziari della raccolta e del servizio al debito, costi generali di governance, nonché i costi figurativi di remunerazione del capitale investito.

La determinazione delle modalità di copertura dei costi di produzione dei pubblici servizi costituisce uno degli aspetti di maggiore impatto sul piano della garanzia degli equilibri gestionali dell’impresa erogatrice. Se, infatti, non viene remunerata adeguatamente la funzione svolta dall’unità economica il servizio non è in grado di offrire alcuna garanzia di continuità e di sviluppo nel tempo.

Tali principi di fondo ricevono un diretto riscontro nella direttiva 2012/34/UE e precisamente:

a) ai sensi del considerando n. 14 “Il gestore dell’infrastruttura dovrebbe conseguire un equilibrio del conto profitti e perdite in un periodo ragionevole che, una volta fissato, può essere superato in circostanze eccezionali…”;

b) ai sensi del considerando n. 70 “Il livello generale di recupero dei costi attraverso l’imposizione dei canoni di utilizzo dell’infrastruttura incide sul livello dei contributi statali. Gli Stati membri possono prevedere diversi livelli di recupero generale dei costi. È opportuno tuttavia che ogni sistema di imposizione dei canoni di utilizzo dell’infrastruttura consenta un livello di traffico che sia in grado di pagare almeno il costo supplementare che impone come conseguenza del suo utilizzo della rete ferroviaria”.

c) l’art. 8, nel dettare la disciplina del finanziamento del gestore dell’infrastruttura, prevede, al par. 3, che “il gestore dell’infrastruttura adotta un piano commerciale comprendente i programmi di investimento e di finanziamento. Il piano ha lo scopo di garantire l’uso, la fornitura e lo sviluppo ottimali ed efficienti dell’infrastruttura assicurando al tempo stesso l’equilibrio finanziario e prevedendo i mezzi per conseguire tali obiettivi”.

c) il medesimo articolo 8, al par. 4, prevede che “Gli Stati membri assicurano che il conto profitti e perdite del gestore dell’infrastruttura, in condizioni normali di attività e nell’arco di un periodo ragionevole non superiore a cinque anni, presenti almeno un equilibrio tra, da un lato, il gettito dei canoni per l’utilizzo dell’infrastruttura, le eccedenze provenienti da altre attività commerciali, le entrate non rimborsabili da fonti private e i contributi statali, compresi, se del caso, i pagamenti anticipati concessi dallo Stato, e, dall’altro, i costi di infrastruttura”;

d) dalla stessa norma si ricava anche la possibilità che le imprese ferroviarie possano essere chiamate a contribuire integralmente alla copertura dei costi sostenuti dal gestore dell’infrastruttura, precisando che “fatto salvo l’eventuale obiettivo a lungo termine della copertura da parte dell’utilizzatore dei costi di infrastruttura per tutti i modi di trasporto sulla base di una concorrenza intermodale equa e non discriminatoria, quando il trasporto ferroviario è competitivo rispetto ad altri modi di trasporto, nell’ambito dei principi di imposizione dei canoni di cui agli articoli 31 e 32, uno Stato membro può imporre al gestore dell’infrastruttura di conseguire un equilibrio della contabilità senza contributi statali”.

La finalità di garantire l’equilibrio economico-finanziario del gestore è ribadita dal legislatore nazionale all’art. 37 del decreto-legge n. 201 del 2011, che ha istituito l’Autorità dei Trasporti, e ripresa anche all’interno del d.lgs. n. 112 del 2015, che ha trasposto nell’ordinamento italiano le specifiche disposizioni della direttiva n. 2012/34/UE, e di cui ha fatto corretta applicazione l’Autorità, come di seguito meglio precisato.

In particolare, l’art. 16 del d.lgs. n. 112/2015 prevede che «I conti del gestore dell’infrastruttura ferroviaria devono presentare, in condizioni normali di attività e nell'arco di un periodo ragionevole non superiore a cinque anni, almeno un equilibrio tra, da un lato, il gettito dei canoni per l’utilizzo dell’infrastruttura, i contributi statali definiti nei contratti di programma di cui all’articolo 15, le eccedenze provenienti da altre attività commerciali e le eventuali entrate non rimborsabili da fonti private e pubbliche, e, dall'altro, i costi di infrastruttura almeno nelle sue componenti di costi operativi, ammortamenti e remunerazione del capitale investito».

5.2.‒ Il verificatore, analizzando i costi operativi dei Bilanci di RFI nel periodo 2015-2019 (riportati in Tabella 4 della relazione), ne ha confermato la rigidità al variare dei volumi di produzione.

Secondo il verificatore appare verosimile assumere che il costo del personale, i costi per i servizi, i costi per il godimento di beni di terzi e gli altri costi operativi, siano quasi interamente fissi (cosa che spiegherebbe anche l’invarianza di tali costi negli anni), e assumere che i costi per le materie prime siano in parte fissi, per quanto dovuto alla manutenzione ordinaria della rete, e in parte variabili per quanto dovuto alle nuove realizzazioni e acquisizioni.

Procedendo in tal modo, i costi operativi di RFI risulterebbero fissi per una percentuale compresa tra 85% e 95%. Inoltre, si può affermare che, per il periodo tariffario 2016-2021, non si riscontrano significativi aumenti (previsti e prevedibili) dei medesimi a carico di RFI.

5.3.‒ Su queste basi, va in primo luogo, rimarcato che, l’ipotesi di completa rigidità dei costi risulta vantaggiosa per le imprese ferroviarie, in quanto in un periodo di domanda crescente, come quello previsto per il quinquennio 2017-2021, la rigidità dei costi totali si traduce in una riduzione progressiva dei costi unitari, e quindi delle tariffe.

Inoltre, nelle premesse alla delibera n. 80, l’Autorità, dopo avere preso atto che il Gestore ha qualificato i costi operativi come interamente fissi «in ragione della peculiare natura dei servizi offerti», ha ritenuto tale qualificazione «giustificabile in fase di prima attuazione», precisando altresì che, in caso di revisione del sistema tariffario, la modellazione dei costi avrebbe dovuto essere riformulata distinguendo la componente variabile da quella fissa, nel rispetto dei criteri stabiliti con le misure 42 e 10 della delibera n. 96/2015.

Tale precisazione ha formato oggetto della prescrizione di cui al punto 1a) del dispositivo della delibera. La stessa Autorità quindi ha rilevato che il sistema proposto dal gestore non fosse corrispondente al modello stabilito a regime, ma ha ritenuto che fosse comunque compatibile con esso, tenuto conto della gradualità dell’attuazione (gradualità espressamente prevista dall’art. 31 della direttiva “Recast” e dall’art. 17 comma 4 del d.lgs. n. 112/2015, secondo cui «il gestore dell’infrastruttura può decidere di adeguarsi gradualmente a tale modalità durante un periodo non superiore a 4 anni dall’entrata in vigore di detto atto di esecuzione»).

L’obiettivo della prescrizione è quello di evitare che la modellazione per soli costi fissi si prolunghi oltre la fase della prima attuazione che può proseguire al massimo entro il periodo oggetto della delibera n. 80 (cfr. la sentenza del Consiglio di Stato n. 354 del 2021, in contenzioso analogo).

5.4.‒ I rilievi incentrati sul fatto che sarebbero state previste tariffe per voci che precedentemente ne erano esenti e contestualmente aumentate quelle per voci già storicamente tariffate, non colgono nel segno.

La rilevata lievitazione dei costi, nel passaggio dal vecchio al nuovo quadro regolatorio, si giustifica alla luce di quanto emerso nel corso dell’istruttoria propedeutica all’adozione della delibera n. 80/2016 (cfr., in particolare, la nota prot. n. 4105 del 7 giugno 2016, con cui l’Autorità ha chiesto al Gestore spiegazioni sulla crescita dei prezzi verificatasi).

L’innalzamento iniziale dei prezzi per i servizi extra PMdA, è dovuto al fatto che prima del suo intervento regolatorio i canoni richiesti dal Gestore come corrispettivi per la fornitura dei servizi extra PMdA non erano stati orientati ai costi, come precisato dal RFI. La precedente tariffazione era disciplinata dall’articolo 20 comma 9 del decreto legislativo n. 188 del 2003 che rinviava ad un successivo decreto ministeriale la definizione delle linee guida relative alla produzione e all’acquisto di tali servizi, decreto mai emanato.

A seguito del recepimento della direttiva comunitaria 2012/34/UE, c.d. “Recast”, il d.lgs. n. 112/2015 ha introdotto il principio per cui i canoni pagati dalle imprese ferroviarie a fronte dei servizi extra PMdA devono essere orientati ai costi dei servizi stessi ed assicurare l’equilibrio economico dei conti del Gestore, l’Autorità ha provveduto, in coerenza, a stabilire i criteri applicativi. Ciò ha prodotto un inevitabile incremento del canone per i servizi in esame che è, quindi, una diretta conseguenza del mutato quadro normativo di riferimento di cui l’Autorità ha dovuto necessariamente tener conto nella sua azione.

Si deve quindi confermare quanto questa Sezione ha statuito in relazione alle tariffe del pacchetto minimo di accesso, affermando che «la prospettazione teorica dell’appellante risulta fuorviante nella parte in cui pretende di utilizzare al fine della valutazione dello specifico componente in esame le tariffe precedenti, ovvero calcolate secondo criteri non più attuali e che, dunque, non possono portare ad un ragionevole confronto. Le nuove tariffe per il periodo 2016-2021, tenendo conto dell’intervento regolatorio effettuato dall’Autorità, sono innanzitutto orientate a compensare i costi (pertinenti ed efficienti) sopportati dal gestore» (sentenza n. 4216 del 2020).

La dinamica dei canoni è stata poi influenzata dalle nuove immobilizzazioni autofinanziate dal gestore dell’infrastruttura (in termini di nuovi ammortamenti e remunerazione del capitale), come documentate nella relazione prodotta nell’aprile del 2016, oltre che per effetto per effetto dell’inflazione (va sottolineato che, per espressa previsione della Misura 16 della delibera n. 96/2015, il valore netto contabile delle immobilizzazioni è rappresentato dai valori di costo su base storica, al netto di eventuali contributi pubblici in conto impianti, quali sono per l’appunto quelli previsti dal citato Contratto di Programma).

5.5.‒ La valutazione delle censure di parte appellante non deve inoltre trascurare che il canone per l’utilizzo dell’infrastruttura ferroviaria ‒ in quanto, per legge, strettamente correlato ai costi di infrastruttura ‒ è per sua stessa natura soggetto a variazioni nel corso del tempo, non potendosi pretendere la cristallizzazione del relativo costo, trattandosi invece di una variabile insita della specifica attività imprenditoriale in questione, rispetto alla quale, per le ragioni già esposte, l’Autorità si è mostrata sensibile e della quale l’impresa ferroviaria deve inevitabilmente tenere conto nella proprie scelte aziendali (Consiglio di Stato, sentenza n. 4216 del 2020).

In altri termini, da un lato, non può sussistere un diritto dell’impresa alla “immodificabilità” del sistema tariffario (al riguardo, seppur in un ambito diverso, Consiglio di Stato n. 1768 del 2016, che richiama CGUE, 10 settembre 2009, C-201/08 ove viene affermato che “gli operatori economici non possono fare legittimamente affidamento sulla conservazione di una situazione esistente che può essere modificata nell’ambito del potere discrezionale delle autorità nazionali”);
dall’altro, deve ritenersi sussistente una legittima pretesa dell’impresa a che il passaggio tra i due regimi tariffari tenga conto degli effetti che ciò potenzialmente esplica sull’equilibrio finanziario della stessa, attraverso misure quali la previsione di un regime transitorio, tempistiche dilazionate nel tempo, ed eventuali oneri spalmati su più anni, come è avvenuto nel caso di specie.

Al riguardo, anche la giurisprudenza costituzionale, con particolare riferimento ad interventi peggiorativi valevoli solo per il futuro, ma incidenti su rapporti di durata già in essere, valuta la ragionevolezza del regime giuridico sopravvenuto, sulla base, oltre che della proporzionalità, della prevedibilità della modifica peggiorativa imposta (ex multis, Corte Costituzionale, 24 gennaio 2017, n.16;
Corte Costituzionale, 22 dicembre 2015, n. 274, che chiarisce come “in materia di rapporti di durata […] non si può discorrere di un affidamento legittimo nella loro immutabilità)”, valorizzando la previsione di norme “transitorie”, che consentano di rendere meno traumatico il passaggio dalla precedente normativa a quella nuova, permettendo ai soggetti interessati di adeguarsi allo jus superveniens senza subirne un pregiudizio eccessivo.

5.6.‒ L’Autorità ha poi documentato di avere effettuato riscontri (sulla base dei dati contabili e di bilancio di RFI) sulla congruità delle tariffe rispetto ai costi di fornitura, con particolare riferimento ai processi logici di costruzione dei prezzi, all’effettiva pertinenza dei costi attribuiti dal gestore rispetto agli altri servizi diversi dal PMDA, nonché alla corrispondenza dei medesimi costi ai dati contabili e di bilancio del gestore.

Si deve anche rilevare che nel PIR 2017 era prevista la facoltà di svolgere un’attività di verifica relativamente “all’effettivo utilizzo dei servizi da parte delle imprese ferroviarie, rispetto a quanto dichiarato in fase di richiesta degli stessi”. Inoltre, con la delibera n. 140 del 2016 l’Autorità ha disposto che, entro la scadenza del 30 gennaio 2017, il gestore dovesse presentare un progetto per la rilevazione degli scostamenti da rendere esecutivo entro il 31 marzo 2017. Anche in questo caso è ragionevole e non contrasta con le norme l’attuazione graduale del criterio dell’effettivo utilizzo degli impianti e dei servizi.

6.‒ Il settimo motivo di appello reitera la censura relativa al fatto che le tabelle elaborate dalle appellanti nell’ambito dell’atto introduttivo evidenzierebbero il mancato efficientamento delle tariffe.

6.1.‒ In termini generali, la determinazione delle modalità di copertura dei costi di produzione dei pubblici servizi costituisce uno degli aspetti di maggiore impatto sul piano della garanzia degli equilibri gestionali dell’impresa erogatrice. Se, infatti, non viene remunerata adeguatamente la funzione svolta dall’unità economica il servizio non è in grado di offrire alcuna garanzia di continuità e di sviluppo nel tempo.

L’evoluzione normativa dei servizi di interesse economico generale, di cui il servizio ferroviario costituisce un’ipotesi normativamente qualificata, è il portato del radicale ripensamento ‒ teorico, prima ancora che giuridico ‒ delle modalità di regolamentazione delle imprese operanti in mercati caratterizzati da limiti alla concorrenza. Si tratta del passaggio da un modello regolatorio che garantiva all’impresa regolata la copertura dei costi effettivamente sostenuti (il cui fallimento è stato comprovato dall’evidenza empirica degli elevati livelli di inefficienza produttiva delle attività remunerate tramite meccanismi di regolamentazione c.d. “cost of service”), ad una forma di regolamentazione, di tipo “incentivante”, dove i ricavi ottenibili dall’impresa regolata non sono direttamente collegati ai costi sostenuti da quest’ultima.

La regolamentazione incentivante ha assunto due principali forme: la prima è quella che fissa il livello dei prezzi (o dei ricavi) consentiti all’impresa regolata in relazione a quelli determinatisi nel periodo precedente, con la previsione di un correttivo in funzione del possibili guadagni di efficienza che si prevede l’impresa regolata possa ottenere (c.d. price cap);
la seconda lega invece il livello dei prezzi (o dei ricavi) dell’impresa regolata ad una qualche misura standard dei costi.

Lo scopo così perseguito è quello di incentivare l’efficientamento dei gestori, commisurando ai costi efficienti i costi da considerare nel computo dei ricavi ammessi.

Il principio di efficientamento è di sicura rilevanza nel settore delle infrastrutture ferroviarie, posto che anche il considerando n. 71 della direttiva specifica: «l’infrastruttura ferroviaria è un monopolio naturale ed è quindi necessario fornire incentivi ai gestori dell’infrastruttura per ridurre i costi e gestire in modo efficiente la loro infrastruttura».

6.2.‒ Il Collegio, alla luce della istruttoria svolta, ritiene che gli atti impugnati non si discostano dalla richiamata direttrice normativa che permea l’intera regolazione dei servizi economici di interesse generale, il cui fulcro consiste, come abbiamo visto, nello sfruttare, in vista della realizzazione di obiettivi di interesse pubblico, la spontanea propensione degli operatori economici all’efficienza allocativa e produttiva.

In primo luogo, il verificatore ha rilevato che, con l’entrata in vigore del nuovo sistema tariffario, non sono stati riscontrati aumenti in termini reali rispetto alla tariffa precedente: gli aumenti nominali (stimati da 2,24 a 2,32 euro/treno-km) sono da ricondursi all’andamento dell’inflazione programmata (che è risultata leggermente superiore all’inflazione reale).

Lo stesso verificatore ha appurato poi che, la struttura della tariffa prevede dei coefficienti di maggiorazione (componente B) per i servizi diurni rispetto quelli notturni con l’obiettivo di efficientare l’utilizzo della rete, spostando quote di domanda dalle ore diurne, in cui i binari sono utilizzati anche dal servizio passeggeri.

La struttura della tariffa risponde quindi a logiche di ottimizzazione e di efficientamento dell’utilizzo dell’infrastruttura.

Deve pure ribadirsi quanto detto prima, ovvero che l’ipotesi di completa rigidità dei costi adottata da RFI si traduce in una riduzione progressiva dei costi unitari, e quindi contribuisce ‘di fatto’ all’efficientamento delle tariffe.

Le variazioni in aumento derivanti dall’inflazione e dai nuovi investimenti, di per sé, non sono invece il segno di una minore efficienza gestionale.

7.‒ Va pure respinto l’ulteriore motivo di appello, con cui le Società contestano la statuizione della sentenza appellata che ha dichiarato l’inammissibilità di nuove censure avanzate dalle attuali appellanti in sede di deposito di memorie.

Il giudice di prime cure ha rilevato che le Società appellanti avevano prodotto in giudizio una relazione tecnica (depositato in data 22 febbraio 2017, peraltro nel solo giudizio n. 1003 del 2016) che sviluppava maggiori e più analitici profili rispetto a quelli dedotti con il ricorso introduttivo e motivi aggiunti (dove ci si limitava a sostenere che il sistema tariffario non contemplasse forme di efficientamento del servizio).

Su queste basi, il Giudice di primo grado ha correttamente tenuto conto delle sole originarie e tempestive censure contenute negli atti ritualmente notificati alle controparti.

8.‒ In definitiva, gli appelli riuniti devono essere respinti.

8.1.‒ La liquidazione delle spese di lite del secondo grado di giudizio segue la regola generale della soccombenza.

8.2.‒ Anche le spese di verificazione ‒ nella misura che sarà liquidata con separato decreto collegiale quando sarà depositata nota spese da parte del verificatore ‒ vanno definitivamente poste in capo alle Società appellanti, in solido tra loro.

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