Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2018-06-27, n. 201803944

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2018-06-27, n. 201803944
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201803944
Data del deposito : 27 giugno 2018
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 27/06/2018

N. 03944/2018REG.PROV.COLL.

N. 01446/2018 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 1446 del 2018, proposto da
Consiglio Superiore della Magistratura – C.S.M., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi, 12, è elettivamente domiciliato;

contro

S M R, rappresentata e difesa dagli avvocati G G, M M e L M, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, via Federico Confalonieri, 5;

nei confronti

B D C, rappresentato e difeso nel giudizio di primo grado dagli avvocati Vittorio Angiolini, Luca Formilan, Alessandro Basilico e Sergio Vacirca, elettivamente domiciliato presso lo studio di quest’ultimo in Roma, Via Flaminia, 195;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima) n. 12677/2017, resa tra le parti, concernente conferimento dell’ufficio semi-direttivo di Presidente di Sezione del Tribunale di Milano, settore civile.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di S M R e di B D C;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 10 maggio 2018 il Cons. Valerio Perotti ed uditi per le parti gli avvocati L M e Luca Formilan, nonché l’avvocato dello Stato Giancarlo Caselli;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Con ricorso al Tribunale amministrativo del Lazio, la dott.ssa S M R impugnava la deliberazione del Consiglio Superiore della Magistratura, in data 21 giugno 2017, con la quale era stato conferito l’incarico semi-direttivo di Presidente di Sezione del Tribunale di Milano al dott. B D C, chiedendone l’annullamento, unitamente alla proposta di conferimento dell’incarico, in data 18 maggio 2016, della V Commissione del medesimo Coniglio.

Nella specie, la ricorrente – dopo aver richiamato il parere favorevole da lei riportato in occasione dell’ultima valutazione di professionalità – censurava la prevalenza accordata al dott. B sulla base di due principali motivi di legittimità:

1) Violazione dell’art. 11 del DPR 5 aprile 2006 n. 160 in combinato disposto agli artt. 2, 3, 4, 25 e 26 del Testo Unico sulla Dirigenza Giudiziaria (Circolare del 28 luglio 2015). Violazione dei principi di valutazione dei candidati in un concorso pubblico. Eccesso di potere per violazione dei criteri costituenti autolimite .

Il provvedimento gravato avrebbe presentato una motivazione carente, non essendosi proceduto ad una oggettiva “valutazione” dei singoli candidati (come invece richiesto dall’art. 25, comma 2, del Testo unico sulla dirigenza giudiziaria ), né ad una compiuta comparazione degli stessi, con conseguente compromissione delle finalità di trasparenza e comprensibilità delle decisioni consiliari dichiaratamente perseguite dalla nuova disciplina adottata nel 2015.

2) Violazione dell’art. 25 della Circolare Testo Unico sulla Dirigenza Giudiziaria del 28 luglio 2015. Eccesso di potere per travisamento dei fatti e omessa (o assertoria) motivazione. Violazione degli artt. 6, 7, 8, 11, 16, 25 della citata circolare. Eccesso di potere per disparità di trattamento, per violazione degli autolimiti ed evidente irragionevolezza .

Il giudizio comparativo tra il candidato prescelto e la ricorrente avrebbe presentato una motivazione solo apparente, risultando omesse sia la valutazione comparativa relativa al merito, sia quella delle pregresse esperienze direttive e semi-direttive, sia valutazione integrata destinata a confluire nel definitivo “giudizio complessivo”.

Costituitisi in giudizio, il Consiglio Superiore della Magistratura ed il controinteressato eccepivano l’inammissibilità del ricorso relativamente ai profili di merito, concludendo per l’infondatezza delle ulteriori censure, delle quali chiedevano la reiezione.

Con sentenza 27 dicembre 2017, n. 12677, il Tribunale amministrativo del Lazio accoglieva il ricorso, riscontrando una compromissione dell’impianto motivazionale della determinazione del C.S.M., atteso che “ la valutazione in punto di attitudini non può in alcun modo definirsi “analitica”, avendo la stessa omesso di considerare, con riferimento agli indicatori generali e specifici concernenti la ricorrente, l’esercizio, da parte di questa, di funzioni direttive e semidirettive di fatto (le prime, per un significativo periodo, nella magistratura di sorveglianza e, le seconde, per un breve periodo, nella stessa Corte d’appello), l’attività di presidenza di collegi (sistematicamente svolta nella medesima Corte presso il Collegio di appartenenza) e l’attività di referente per la formazione (indicatori espressamente menzionati dagli artt. 7, 11 e 16 della circolare), così che di tali attività non si è nemmeno potuto, come pure richiesto dall’art. 7 della medesima circolare, valutare l’oggettiva rilevanza con riferimento ai risultati conseguiti.

La motivazione dell’atto appare carente anche con riferimento al parametro del merito, che risulta esaminato e diffusamente argomentato solo con riferimento al controinteressato ”.

Evidenziava in particolare, il primo giudice, che “ La sintesi, infatti, deve essere tale da consentire comunque di apprezzare l’avvenuta valutazione delle più importanti risultanze istruttorie, specie nei casi in cui i curricula dei contendenti in comparazione appaiano, come nel caso in esame, entrambi di alto profilo, così che, pur nella brevità delle argomentazioni, sia consentito all’interprete cogliere le reali ragioni dell’operato giudizio di prevalenza ”.

Avverso tale decisione interponeva appello il Consiglio Superiore della Magistratura, lamentandone l’erroneità sotto diversi profili, ricondotti in un unico motivo di gravame così rubricato: “ Violazione e falsa applicazione degli artt. 11 e 12 del d.lgs. 160/2006, degli artt. 2, 7, 15, 16, 25, 26 e 27 della circolare n. P-14858-2015 del 28 luglio 215 - Testo Unico sulla Dirigenza Giudiziaria. Motivazione illogica e contraddittoria. Violazione dei limiti del sindacato del G.A .”.

La dott.ssa S si costituiva in giudizio, chiedendo il rigetto dell’appello poiché infondato.

Proponeva altresì appello incidentale il dott. B D C, articolato nei seguenti motivi di gravame:

1) Errore nel giudicare e nel procedere. Violazione o falsa applicazione di norma di legge: art. 26 della Circolare n. P-14858-2015. Mancato rispetto dei limiti del sindacato giurisdizionale sugli atti amministrativi. Eccesso di potere giurisdizionale. Carenza di motivazione. Violazione dei principi generali di sinesi degli atti di valutazione concorsuali .

2) Errore nel giudicare, con riferimento ai rilievi svolti dalla sentenza nei confronti della valutazione svolta dal Consiglio. Omessa applicazione degli artt. 11 e 12 del d.lgs. 160/2006. Violazione o falsa applicazione di norma di legge: artt. 7, 13, 16 e 27 della Circolare n. P-14858-2015 (“Test Unico sulla Dirigenza Giudiziaria”, nonché art.

3.1 della relazione Preliminare alla Circolare
.

All’udienza del 10 maggio 2018, dopo la rituale discussione, la causa veniva trattenuta in decisione.

Con unico ed articolato motivo di appello, il C.S.M. contesta la fondatezza della sentenza di primo grado alla luce, innanzitutto, dei principi generali desumibili dai alcuni precedenti di questo Consiglio di Stato (in particolare, Cons. Stato, V, 16 ottobre 2017, n. 4786;
IV, 17 marzo 2017, n. 1190), a mente dei quali l’organo di governo autonomo della Magistratura non è tenuto ad un raffronto analitico e puntuale dei candidati con riferimento a ciascuno dei parametri prestabiliti, dovendo piuttosto procedere ad un giudizio unitario, frutto della valutazione integrata dei requisiti suindicati;
quindi, nel merito della controversia, deduce innanzitutto l’erroneità della decisione impugnata, nella parte in cui rileva che la comparazione della ricorrente con il candidato prescelto non sarebbe stata preceduta da una adeguata considerazione del profilo professionale della prima, sia in relazione alle attitudini che al merito .

Invero, dopo aver riportato in extenso le motivazioni della deliberazione impugnata, particolarmente analitiche per quanto riguarda la posizione del dott. B, l’appellante deduce che “ è quindi evidente che, nel giudizio comparativo svolto, tra le varie esperienze professionali vantate dalla dott.ssa S è stata fatta menzione delle funzioni di giudice di appello, per dar conto che la stessa possiede l’indicatore specifico della esperienza di secondo grado;
l’attività di Presidente f.f. del Tribunale di Sorveglianza per circa otto mesi e di Presidente f.f. della sezione della Corte di Appello per poco più di un mese (nell’estate del 2016), per il carattere breve e transeunte, costituiscono una forma di collaborazione nella gestione degli uffici che concorre a descrivere il quadro attitudinale della candidata senza, per ciò solo, poter giustificare un giudizio di prevalenza in favore di questa rispetto alle ben più rilevanti competenze del prescelto in relazione all’ufficio da ricoprire
”.

Ne consegue, ad avviso dell’appellante, che la mancata esplicitazione nel dettaglio di tutti gli elementi curriculari riferibili alla dott.ssa S “ non può ritenersi indicativa di una mancata valutazione degli stessi nell’ambito del giudizio comparativo, investendo la doglianza una scelta di carattere esclusivamente espositivo che ha condotto l’organo di governo autonomo della magistratura, nella esplicazione delle ragioni che hanno indotto ad una scelta di carattere attitudinale, ad adottare uno stile di maggiore concisione nella presentazione dei candidati, limitando l’illustrazione delle esperienze e dei titoli maturati e concentrando, piuttosto, lo sforzo argomentativo nel successivo, fondamentale, snodo della comparazione ”.

La prevalenza del dott. B veniva invero fondata sulla maggior esperienza nel settore civile, “ avendo trattato nel corso della sua carriera quasi tutte le materie civili ”.

Rilevava inoltre il C.S.M. che il dott. B aveva altresì evidenziato “ spiccate capacità di gestione di ruoli molto impegnativi, ottima organizzazione nello smaltimento degli affari […], padronanza nell’uso degli strumenti informatici e soprattutto pieno e immediato adattamento all’utilizzo degli strumenti processuali ”;
infine, poteva vantare esperienze di collaborazione con il Capo dell’ufficio per l’implementazione de materiale necessario alla migliore riuscita del processo telematico.

Il Collegio, a un complessivo esame delle risultanze di causa, ritiene che l’appello non sia fondato.

Va in primo luogo evidenziato come la sentenza impugnata non muova rilievi alle modalità con cui il Plenum ha concretamente valutato gli indicatori – prefissati in base alla legge – relativi alle attitudini ed al merito dei candidati partecipanti alla procedura di selezione, né vada a sindacare (nel merito) le valutazioni così raggiunte dall’organo di governo autonomo. Solo dà atto che alcuni di quegli indicatori, in realtà, non risultavano essere stati considerati nel giudizio valutativo, il che viziava di illegittimità per violazione di legge lo stesso giudizio e, con esso, il provvedimento finale.

Va preliminarmente ricordato che, in base al consolidato orientamento giurisprudenziale dal quale il Collego non ritiene di discostarsi, il C.S.M. – nel conferimento degli incarichi direttivi e semi-direttivi – gode di un apprezzamento che è sindacabile, in sede di legittimità, solo se inficiato per irragionevolezza, omissione o travisamento dei fatti, arbitrarietà o difetto di motivazione ( ex multis , Cons. Stato, V, 11 dicembre 2017, n. 5828;
V, 16 ottobre 2017, n. 4786;
IV, 6 dicembre 2016, n. 5122;
IV, 11 settembre 2009, n. 5479;
IV, 31 luglio 2009, n. 4839;
IV, 14 luglio 2008, n. 3513;
V, 18 dicembre 2017, n. 5933).

Resta, invece, preclusa al sindacato giurisdizionale la valutazione dell’opportunità e convenienza dell’atto dell’organo di governo autonomo, o una decisione che esprima una volontà del giudicante che si sostituisca a quella dell’amministrazione, procedendo ad un sindacato di merito. La legge assegna al C.S.M. un margine di apprezzamento particolarmente ampio ed il sindacato del giudice amministrativo deve restare parametrico della valutazione degli elementi di fatto compiuta dalla pubblica amministrazione, senza evidenziare una diretta “non condivisibilità” della valutazione stessa (in termini, Cass. SS.UU., 5 ottobre 2015, n. 19787).

In ogni caso, il detto sindacato, ferma la sfera riservata del merito delle valutazioni e delle scelte espresse dal C.S.M., deve nondimeno assicurare la puntuale ed effettiva verifica del corretto e completo apprezzamento dei presupposti giuridico-fattuali costituenti il quadro conoscitivo considerato ai fini della valutazione, la coerenza tra gli elementi valutati e le conclusioni cui è pervenuta la deliberazione, la logicità della valutazione, l'effettività della comparazione tra i candidati, la sufficienza della motivazione (Cons. Stato, IV, 11 febbraio 2016, n. 607;
V, 18 giugno 2018, n. 3716).

Con specifico riguardo all’adempimento del profilo concernente il dovere di motivazione (la cui lamentata violazione integra una violazione di legge, ex art. 3 l. n. 241 del 1990) circa le attitudini e, in esse, la prevalenza di un indicatore, va considerato che la motivazione deve dar conto delle ragioni, ove sussistenti, che concretano nei fatti l’accertamento di miglior capacità professionale tra i concorrenti e che perciò razionalmente conducono, nel caso in questione, a preferire uno di essi rispetto agli altri.

Ciò premesso, è condivisibile il rilevato e ingiustificato contrasto con l’art. 26 del Testo unico della dirigenza giudiziaria , stante la mancata puntuale valutazione analitica, in punto “ attitudini ”, della carriera dell’appellata, “ avendo la stessa omesso di considerare, con riferimento agli indicatori generali e specifici concernenti la ricorrente, l’esercizio, da parte di questa, di funzioni direttive di fatto (per un significativo periodo, nella magistratura di sorveglianza) e l’attività di presidenza di collegi (sistematicamente svolta nella medesima Corte presso il Collegio di appartenenza), indicatori espressamente menzionati dall’art. 15 della circolare, così che di tale attività non si è nemmeno potuto, come pure richiesto dall’art. 7 della medesima circolare, valutare l’oggettiva rilevanza con riferimento ai risultati conseguiti ”.

Quella previsione – dalla portata innovativa rispetto alla precedente – dispone, al comma 1, che “ In ordine alle attitudini, si procede alla valutazione analitica dei profili dei candidati mediante specifica disamina degli indicatori previsti nella parte II, Capo I, attuativi ed esplicativi delle disposizioni di cui all’art. 12, commi 10, 11 e 12 D.Lgs. 160/2006 ”.

La logica, prima ancora che la lettera di legge, impone che solo dopo una puntuale analisi possa razionalmente procedersi alla formulazione di un giudizio attitudinale complessivo e unitario, “ frutto di una valutazione integrata e non meramente cumulativa degli indicatori ” (comma 2);
al riguardo, il successivo comma terzo precisa che “ nell’ambito di tale valutazione, speciale rilievo è attribuito agli indicatori individuati negli articoli da 15 a 23 in relazione a ciascuna delle tipologie di ufficio ”, considerando, quali ulteriori elementi costitutivi del giudizio attitudinale, gli indicatori di cui agli artt. da 7 a 13 (comma 4).

All’esito di tale preliminare valutazione trova infine applicazione il principio espresso all’art. 27 (“ Criteri di valutazione per uffici semidirettivi, giudicanti e requirenti, di primo e secondo grado ”), secondo cui “ hanno speciale rilievo, in posizione pariordinata tra loro, gli indicatori di cui agli articoli 15 e 16 e, tra questi, per i soli uffici giudicanti, la maggior durata di esercizio delle funzioni nel settore specifico in cui si colloca il posto da conferire ”.

Va al riguardo ricordato che il Testo Unico sulla dirigenza giudiziaria del 2015 ha inteso, come si legge nelle premesse della relazione introduttiva, “ garantire le esigenze di trasparenza, comprensibilità e certezza delle decisioni consiliari ” attraverso la “ ridefinizione degli indicatori di idoneità direttiva, stabilendo distinti e specifici indicatori, diversificati secondo le tipologie di incarico e, soprattutto porre nuove e chiare regole del giudizio di comparazione tra aspiranti ”.

Come si evince ancora dalla relazione introduttiva, “ l'intento è far sì che la meritocrazia non rimanga un'affermazione di principio, ma rappresenti realmente il valore fondante di ogni scelta selettiva che deve sempre orientarsi alla scelta del migliore dirigente da preporre al posto da coprire, nel rispetto del superiore interesse pubblico ”.

Questi enunciati appaiono coerenti con i principi generali di trasparenza e di chiarezza delle decisioni.

Tali assunti non riguardano il contenuto delle valutazioni del C.S.M., che appartiene al merito insindacabile in giustizia ( ex plurimis , Cons. Stato, IV, 13 maggio 2013, n. 2595), salvi manifesti aspetti di irragionevolezza, sproporzione o arbitrarietà. Ma precisano il dovere procedimentale di valutazione del merito tecnico che bene è stato sottolineato dall’appellata sentenza: dovere che si riflette nella necessità di particolari chiarezza e comprensibilità della espressione della decisione.

Già il precedente di cui a Cons. Stato, V, 28 ottobre 2016, n. 4552 ha rilevato che, anche se i provvedimenti del C.S.M. non necessitano di una motivazione particolarmente diffusa, il loro percorso formativo deve esternare l’essenziale apprezzamento tecnico e perciò deve essere, e partitamente, quanto più possibile manifesto, lineare e comprensibile, senza interruzioni.

Perciò le ragioni tecniche a fondamento della scelta finale debbono emergere in modo chiaro e preciso, esplicito e coerente;
e lo sviluppo procedimentale si deve manifestare non solo come una sequenza formale di atti, ma anche come un autentico, coerente e logico percorso elaborativo della determinazione: in tal modo potranno essere – in coerenza con le ragioni fondanti il principio costituzionale di governo autonomo della magistratura – sufficientemente conoscibili e valutabili da chiunque, in special modo dai magistrati interessati, i motivi tecnici che hanno razionalmente condotto l’organo deliberante, nel procedere all'apprezzamento complessivo dei candidati, alla preferenza per uno di loro.

Nel caso di specie, invece, non è dato individuare, nelle motivazioni, una precisa comparazione delle posizioni dei vari candidati sotto il profilo delle “ attitudini ” ma, al più, una sommaria menzione degli indici ad esse relativi, alla luce delle pregresse esperienze professionali, né una valutazione del “merito”, né ancora una effettiva “valutazione integrata” dei parametri indicati nella Circolare P-14858 del 28 luglio 2015.

Correttamente, dunque, il primo giudice si è limitato a riscontrare uno stato di fatto, ossia la mancata, analitica valutazione, nel provvedimento impugnato, con riferimento agli indicatori generali e specifici concernenti la ricorrente, l’esercizio, da parte di questa, di funzioni direttive di fatto (per un significativo periodo, nella magistratura di sorveglianza) e l’attività di presidenza di collegi (sistematicamente svolta nella medesima Corte presso il Collegio di appartenenza).

In virtù di tali oggettive carenze, la valutazione in punto di “ attitudini ” non poteva dirsi, per tabulas , analitica, come invece imposto dalla normativa vigente.

L’omissione appare ancor più significativa ove si consideri che non solo si tratta di indicatori specifici espressamente individuati dall’art. 15 del Testo unico sulla dirigenza giudiziaria tra quelli da prendere in considerazione ai fini della valutazione di cui trattasi, ma pure – come evidenziato dal primo giudice – che la loro mancata menzione avrebbe di fatto precluso di valutarne l’oggettiva rilevanza anche con riferimento ai risultati conseguiti, come invece previsto dall’art. 7 del medesimo Testo unico .

Né la questione potrebbe ridursi ad una mera scelta di stile, come rappresentato dall’appellante, atteso che a far difetto è proprio l’evidenza di una presupposta valutazione analitica e puntuale degli indici di valutazione.

Come anticipato, del tutto assente è poi la motivazione concernente il parametro del “ merito ”, che viene “ esaminato e diffusamente argomentato solo con riferimento al controinteressato, non risultando preso in esame, neppure per affermarne sinteticamente la recessività rispetto a quanto risultante a favore del controinteressato, il contenuto del parere attitudinale specifico del Consiglio Giudiziario prodotto dalla ricorrente ”, nonostante lo stesso svolga un ruolo decisivo ai fini del giudizio in questione, ai sensi dell’art. 25, comma 2 del Testo unico : “ In riferimento al merito il giudizio va svolto sulla base del positivo superamento della più recente valutazione di professionalità quadriennale ”.

Al riguardo, va ribadito il consolidato principio secondo cui, ai fini dell’attribuzione degli incarichi di cui trattasi, la figura professionale del magistrato va ricostruita nella sua complessità, tenendo conto degli indicatori generali e del merito, parametri questi da considerarsi imprescindibili ( ex multis , Cons. Stato, V, 16 ottobre 2017, n. 4786). Né tale omissione potrebbe “sanarsi” sulla base dell’assunto – in sé del tutto generico ed indimostrato – per cui “ l’assenza di rilievi afferenti al merito dei contendenti è, invero, sintomo della sostanziale equivalenza di tale parametro ”.

Infine, come accertato nella sentenza appellata, non vi è menzione, nel provvedimento impugnato, delle esperienze direttive e semi-direttive della ricorrente, anche ai fini della comparazione con gli altri candidati.

Tale evidente elusione del vigente dettato normativo integra un ulteriore ed autonomo vizio della motivazione, trattandosi di “indicatori specifici” ai sensi degli artt. 15 e 27 del Testo unico , dunque di elementi dai quali la valutazione dell’organo di autogoverno non poteva prescindere (Cons. Stato, V, n. 4786 del 2017, cit.).

Alla luce di quanto precede, l’appello del Consiglio Superiore della Magistratura andrà dunque respinto.

Le considerazioni in precedenza esposte valgono anche a confutare gli argomenti dedotti nell’appello incidentale del dott. B D C.

Invero, il primo giudice non ha mai revocato in dubbio che l’assegnazione delle funzioni dovesse essere effettuata all’esito di un giudizio complessivo ed unitario, che tenga conto tanto del merito quanto delle attitudini all’ufficio direttivo, senza che vada attribuita rilevanza a uno specifico parametro.

Semplicemente, ha evidenziato un dato di fatto oggettivo, che cioè un tale giudizio, proprio per poter essere “complessivo” ed “unitario”, deve necessariamente essere condotto alla luce di tutti i parametri legislativamente prefissati, del che deve potersi avere concreto ed effettivo riscontro dalla semplice lettura degli atti della procedura, senza la necessità di compiere ulteriori e più approfonditi riscontri istruttori.

Ciò però non trova pieno riscontro, nel caso in esame, per le ragioni già evidenziate in relazione al motivo di appello principale, sia sotto il profilo della valutazione attitudinale che – ancor più – di quella del merito.

Analogamente non può condividersi la censura secondo cui, così facendo, il primo giudice avrebbe esorbitato dalle sue attribuzioni, pervenendo “ ad una valutazione diretta ed illegittima del merito della valutazione dei profili dei due magistrati ” e così invadendo la sfera di esclusiva pertinenza dell’organo di governo autonomo della Magistratura.

Invero, come già rilevato in precedenza, il primo giudice non ha accolto il ricorso sul presupposto che il C.S.M. non avrebbe “ valutato e ritenuto preponderanti o rilevanti ulteriori elementi istruttori che, nella denegata tesi, avrebbero dovuto condurre ad esito differente e in favore della Dott.ssa S ”, ma si è limitato ad evidenziare l’assenza di un obiettivo riscontro – alla luce degli atti di causa – dell’effettiva considerazione, da parte dell’organo di autogoverno, di determinati indici dei quali è peraltro la normativa vigente – e non il giudice – ad imporre l’esame.

L’aver evidenziato tali obiettive carenze non trascende in un’invasione della sfera riservata alla discrezionalità tecnica dell’amministrazione, ma rappresenta semplicemente il riscontro oggettivo di uno stato di fatto.

Nulla, per contro, dice la sentenza in merito al valore da attribuire agli stessi, ovvero alla prevalenza di alcuni criteri sugli altri nell’ambito del conclusivo giudizio di comparazione.

Del pari infondato è il secondo motivo di appello incidentale, con il quale si eccepisce che la sentenza avrebbe annullato un provvedimento del C.S.M. senza contestare la violazione di norme di legge (di cui al d.lgs. n. 160 del 2006), ma solo della Circolare P-14858-2015;
il che però non consentirebbe di comprendere “ quale sia il rilievo e l’effetto sostanziale della violazione della Circolare nei confronti della complessiva valutazione svolta, la quale non può che conformarsi a quelli che sono i parametri generali stabiliti dagli artt. 11 e 12 del D.Lgs. 160/2006 ”, per i quali la sentenza mostrerebbe assoluta indifferenza.

Il motivo non è fondato, alla luce dell’obiettivo tenore della sentenza impugnata. Essa, infatti, ha individuato nel vizio di motivazione (art. 3 l. n. 241 del 1990) un profilo di illegittimità del provvedimento impugnato, a fronte del quale le previsioni di dettaglio di cui alla Circolare P-14858 del 28 luglio 2015 – che il primo giudice assume integrative della normativa primaria data dagli artt. 11 e 12 del d.lgs. n. 160 del 2006 – rappresentano non la fonte “primaria” ipoteticamente lesa, bensì gli indici di riferimento cui raffrontare il provvedimento concretamente adottato, ai fini di verificarne completezza e sufficienza motivazionale.

Per il resto, il motivo ripropone osservazioni di merito volte a giustificare la prevalenza nel giudizio comparativo con gli altri candidati: osservazioni peraltro ultronee rispetto all’oggetto del giudizio, attenendo a profili valutativi estranei alla giurisdizione amministrativa.

Va dunque respinto, per infondatezza, anche l’appello incidentale.

Le spese, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza;
ritiene peraltro il Collegio che la particolarità della vicenda giustifichi, nei confronti del solo appellante incidentale dott. B D C, l’integrale compensazione – tra le parti – delle spese di lite del grado di giudizio.

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