Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2014-01-10, n. 201400045

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2014-01-10, n. 201400045
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201400045
Data del deposito : 10 gennaio 2014
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 04667/2012 REG.RIC.

N. 00045/2014REG.PROV.COLL.

N. 04667/2012 REG.RIC.

N. 05067/2012 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4667 del 2012, proposto da:
Comune di Vasto, in persona del legale rappresentante in carica rappresentato e difeso dagli avv. F G S, Marina D'Orsogna, con domicilio eletto presso F G S in Roma, via G.Paisiello, 55;

contro

Icem Snc di M M &
C., in persona del legale rappresentante in carica rappresentato e difeso dagli avv. S D S, G G, con domicilio eletto presso Bruno Taverniti in Roma, via Germanico 96;

nei confronti di

Sportello Unico Per Le Attività Produttive-Associazione Comuni Comprensorio Trigno-Sinello, Azienda Usl Lanciano-Vasto-Chieti N.02, Provincia di Chieti;



sul ricorso numero di registro generale 5067 del 2012, proposto da:
Società Monteferrante Srl, in persona del legale rappresentante in carica rappresentato e difeso dagli avv. S D S, G G, con domicilio eletto presso Bruno Taverniti in Roma, via Germanico 96;

contro

Comune di Vasto, in persona del legale rappresentante in carica rappresentato e difeso dagli avv. Francesco Gaetano Scoca, Marina D'Orsogna, con domicilio eletto presso F G S in Roma, via G.Paisiello, 55;
Sportello Unico Per Le Attività Produttive - Associazione Comuni Comprensorio Trigno-Sinello, Azienda Unità Sanitaria Locale 2 Lanciano-Vasto;

nei confronti di

Provincia di Chieti;

per la riforma

quanto al ricorso n. 4667 del 2012:

della sentenza del T.a.r. Abruzzo - Sez. Staccata Di Pescara: Sezione I n. 00693/2011, resa tra le parti, concernente ADOZIONE E APPROVAZIONE N.T.A. PRG DEL COMUNE DI VASTO RELATIVE ALLA DESTINAZIONE D'USO DI ALCUNE AREE

quanto al ricorso n. 5067 del 2012:

della sentenza del T.a.r. Abruzzo - Sez. Staccata Di Pescara: Sezione I n. 00693/2011, resa tra le parti, concernente rilascio del titolo del permesso di costruire per la realizzazione di una struttura alberghiera nonchè della delibera di adozione variante al p.r.g. - ris. danni


Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Icem Snc di M M &
C. e di Comune di Vasto;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 3 dicembre 2013 il Consigliere Fabio Taormina e uditi per le parti gli Avvocati D'Orsogna, Scoca, De Simone e Gileno ;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Ric. n.4667/2012 avverso sentenza n. 693/2011;

Con due ricorsi di primo grado riuniti dal Tar l’odierna parte appellata aveva proposto domanda di accertamento del proprio diritto ad ottenere il rilascio del permesso di costruire per la realizzazione di due strutture alberghiere ed in subordine per la declaratoria dell'illegittimità del silenzio rifiuto previa pronuncia sulla fondatezza della richiesta ex articolo 31 del codice del processo amministrativo. Essa aveva altresì impugnato, chiedendone l’annullamento, le norme tecniche di attuazione al piano regolatore generale del comune di Vasto, adottato con delibera consiliare 87 del 2007 e approvato con delibera 134 del 2010 la deliberazione del consiglio comunale 44 del 21 aprile 2010 nella parte in cui aveva rigettato le osservazioni da essa formulate e tutti gli atti strumentali e istruttori e pareri tecnici relativi ai precedenti provvedimenti, in particolare del parere reso dalla SUP della provincia di Chieti, delle controdeduzioni del comune di Vasto e dei verbali delle conferenze dei servizi del 19 ottobre 2010 e del 10 novembre 2010.

Era stato altresì richiesto il risarcimento del danno ingiusto subito.

Aveva prospettato svariate doglianze di violazione di legge ed eccesso di potere.

Essa, nell’ambito del ricorso di primo grado n. 184/2011 aveva fatto presente di essere proprietaria di un terreno sul quale intendeva realizzare una struttura alberghiera tramite edificazione diretta. L'istruttoria risultava definita con esito positivo come da comunicazione del comune del 4 settembre 2007, con la quale la ditta era stata invitata al ritiro del permesso previo pagamento degli oneri concessori.

Tali oneri erano stati regolarmente pagati e la ditta aveva comunicato al comune tale circostanza;
sennonché, successivamente rispetto alla comunicazione, il comune aveva adottato la variante nella quale l'area rimaneva edificabile ma soggetta alla previa formazione di un piano attuativo. La ditta aveva presentato rituali osservazioni le quali, nonostante il parere favorevole dell'ufficio, erano state rigettate.

Nella prima articolata censura la ditta aveva sostenuto di aver già acquisito il diritto alla realizzazione della struttura alberghiera, in quanto la pratica era stata completamente istruita e definita in senso positivo, con il pagamento dei relativi oneri. Il rilascio del documento formale costituiva quindi un mero atto dovuto e consequenziale.

Nella seconda censura, in via subordinata, la ditta, nella denegata ipotesi in cui la pratica edilizia non fosse stata definita, aveva dedotto illegittimità del rifiuto al rilascio del titolo per violazione della legge 142 del 1990, del testo unico n. 380 del 2001 e per errore sui presupposti, illogicità, ingiustizia e difetto assoluto di motivazione.

Si sosteneva, in particolare, che non aveva senso prevedere un piano attuativo in una zona che già risultava interamente edificata ed urbanizzata: essa aveva pertanto chiesto che ( ai sensi dell'articolo 31 del codice del processo amministrativo) venisse accertata la fondatezza della richiesta di ottenere i titoli edilizi.

Aveva inoltre proposto ulteriori otto censure avversanti la procedura di variante e la necessaria sottoposizione alla redazione di un piano attuativo della propria posizione proprietaria.

Inoltre aveva sostenuto la illegittimità degli atti gravati, in quanto asseritamente resi in violazione della direttiva comunitaria 42 del 2001 e degli articoli 5 e seguenti del decreto legislativo 152 del 2006 ed affetti da difetto di istruttoria e sviamento: ciò perché la programmazione urbanistica avrebbe dovuto essere sottoposta alle procedure di valutazione ambientale e strategica, di cui alla citata direttiva comunitaria (mentre tale procedura era stata completamente omessa);
parimenti aveva contestato la violazione del d.p.r. 357 del 1997 sostenendo che a cagione della circostanza che territorio comunale di Vasto erano presenti dei siti di interesse comunitario, sarebbe stato necessario uno studio apposito per valutare l'impatto ambientale delle NTA.

La ditta infine aveva chiesto il risarcimento del danno derivante dalla mancata realizzazione della struttura alberghiera, con conseguente lievitazione dei costi oltre che il mancato guadagno deducendo che la controversia aveva provocato un'alterazione dell'equilibrio psicofisico dei titolari della ditta, con ulteriore danno.

Il primo giudice ha in primo luogo preso in esame, respingendola, la eccezione di carenza d’interesse al ricorso in relazione alla variante.

Muovendo dalla circostanza che la originaria parte ricorrente risultava proprietaria di alcuni terreni edificabili, per cui lo scopo del ricorso era quello di ottenere una maggiore edificabilità (o comunque una più agevole edificabilità) dei terreni di propria pertinenza, e richiamata la maggioritaria elaborazione giurisprudenziale sul punto, il Tribunale amministrativo ha rilevato che la questione della mancata sottoposizione dello strumento urbanistico alla valutazione ambientale era stata prospettata qual indice della mancata accurata disamina delle ripercussioni della nuova normativa sull'intero assetto urbanistico comunale ed ha affermato che, i lamentato vizio incideva direttamente sul terreno di proprietà dell’odierna parte appellata (il quale in virtù della nuova normativa risulta soggetto a maggiori limiti per la possibilità edificatoria).

Da tali considerazioni ha fatto discendere la reiezione della eccezione.

Il primo giudice ha quindi scrutinato la questione dell'avvenuto perfezionamento o meno della concessione edilizia richiesta dalla originaria ricorrente.

Ed in proposito ha affermato che risultava dagli atti di causa che l'istruttoria della pratica era stata definita in senso positivo, come da comunicazione n. 36991 del 4 settembre 2007, con cui la ditta era stata invitata nel ritiro del permesso a costruire in relazione alla pratica edilizia n. CE 37 2006, previo pagamento degli oneri concessori. Il significato preciso della nota non era dubbio: l’iter della domanda di permesso a costruire per il Comune era perfezionato in senso positivo: la ditta infatti aveva regolarmente provveduto al pagamento degli oneri dandone informazione al comune.

Risultava quindi dagli atti che la procedura era stata compiuta e gli oneri adempiuti e che mancasse la sola consegna materiale del titolo edilizio, che comunque la ditta era stata invitata a ritirare.

Il Tar ha quindi affermato la propria condivisione dell’indirizzo giurisprudenziale secondo il quale il perfezionamento della concessione edilizia ovvero del permesso a costruire si aveva quando il comune, conclusa favorevolmente l'istruttoria, comunicava all’interessato l'esito positivo della domanda (mentre il successivo pagamento degli oneri e il rilascio materiale del permesso a costruire costituivano momenti di perfezionamento dell’efficacia di un provvedimento già esistente).

L’adozione della variante, avvenuta il 23 ottobre del 2007 con delibera del consiglio comunale, risaliva a un momento successivo alla comunicazione del comune, anche se antecedente rispetto al pagamento degli oneri: l'iter formativo del permesso a costruire si era già perfezionato, per cui doveva essere accolta la domanda della ditta volta ad accertare l'esistenza di un titolo a costruire esistente prima dell'adozione della variante, le cui norme di salvaguardia non operavano.

La fondatezza della censura relativa all’evvenuta formazione del permesso di costruire, però, ad avviso del Tar, non esauriva l’esame della causa perché il permesso a costruire riguardava solo uno dei terreni posseduti dalla ditta e interessati dalla variante.

Il Tribunale amministrativo ha quindi esaminato nel merito le dedotte censure, accogliendo quella incentrata sulla necessità per il comune di sottoporre le avversate modifiche delle norme tecniche di attuazione alla valutazione d’impatto ambientale (prevista in via generale dalla normativa europea e nazionale di recepimento).

In proposito è stato infatti rilevato che la procedura prevista dall'articolo 5 del citato decreto legislativo 152 risultava applicabile a tutti gli strumenti urbanistici, con la sola implicita eccezione di quelli che per la loro limitata portata e per il ridotto contenuto non interessavano in alcun modo l'ambiente (eccezione che peraltro avrebbe dovuto risultare dalla motivazione dell'atto di programmazione e che comunque riguardava ipotesi del tutto limitate, ed esulava dalla variante generale al PRG in esame in quanto il raffronto tra la vecchia e nuova normativa del piano confermava che la variante aveva comportato una sostanziale e incisiva modifica di standard, parametri, quantità e qualità degli interventi ammissibili e che l'introduzione di nuovi strumenti attuativi aveva di fatto comportato un ridimensionamento degli standard edilizi e urbanistici e un’alterazione dell’edificabilità).

Parimenti è stata affermata dal primo giudice la illegittimità della procedura seguita, laddove lo strumento stesso non era stato sottoposto al vaglio delle autorità provinciali e regionali per verificarne la conformità al piano provinciale e al piano regionale, soprattutto dal punto di vista ambientale (verifica di conformità e congruità con gli strumenti pianificatori sovraordinati, questa, doverosa ad avviso del Tribunale amministrativo regionale, in quanto, come anche sostenuto dalla relazione della SUP della provincia di Chieti la proposta di piano, pur apparentemente di livello normativo, incideva in modo strutturale sul sistema delle trasformazioni territoriali).

Sotto altro profilo, è stata accolta la doglianza volta a contestare la possibilità per il comune - anche in una zona già completamente urbanizzata- di imporre un piano attuativo prima di concedere le autorizzazioni edilizie.

Ciò alla stregua della considerazione per cui in una zona che risulti già urbanizzata (ed in cui, quindi tutti gli standard previsti siano stati già realizzati in modo compiuto) non sarebbe corretto dal punto di vista giuridico nè logico imporre un onere al privato che sostanzialmente sarebbe inutile (salva l’ipotesi in cui, ancorché ci si trovi al cospetto di una zona urbanizzata, la confusione edilizia e il disordine urbanistico – elementi questi sui quali il provvedimento pianificatorio si sarebbe comunque dovuto adeguatamente diffondere- siano tali da richiedere comunque la predisposizione di un piano attuativo).

Accolto pertanto il ricorso, il primo giudice (come peraltro richiesto dall’amministrazione comunale odierna appellante) si è fatto carico di stabilire la portata del proprio dictum demolitorio stabilendo quale fosse la latitudine dei poteri dell'amministrazione per conformarsi alla pronuncia stessa.

Il Tribunale amministrativo ha all’uopo precisato che l’ annullamento investiva le norme tecniche di attuazione nella parte in cui avevano imposto lo strumento attuativo,nelle aree di pertinenza della odierna parte appellata a far tempo dall’adozione e che l’annullamento predetto investiva in toto dette norme tecniche di attuazione a partire dal momento - successivo all’adozione, la quale conservava quindi il suo valore anche in salvaguardia - in cui era mancata la sottoposizione alla valutazione ambientale strategica e la verifica di conformità alla pianificazione sovraordinata.

Il primo giudice ha altresì stabilito che il Comune in relazione all’intera variante in questione (a parte le parti annullate già dall’adozione) avrebbe dovuto sottoporla alla valutazione ambientale e di conformità alla pianificazione superiore ed eventualmente riesaminarla in toto nella sua discrezionalità, usufruendo delle norme di salvaguardia entro un tempo massimo di mesi otto dalla notificazione o comunicazione della sentenza, trascorso il quale la variante stessa avrebbe perso efficacia in toto con riviviscenza della precedente normativa ed obbligo di rideterminarsi sulla istanza privata.

L’ amministrazione comunale di Vasto odierna appellante ha proposto una articolata critica alla sentenza in epigrafe chiedendone la riforma previa sospensione della esecutività riproponendo le eccezioni disattese in primo grado e lamentando che la sentenza impugnata non aveva ponderato la circostanza che la avversata variante normativa aveva apportato una diminuzione del carico urbanistico complessivo mercè decurtazione delle “cubature” originariamente previste dal PRG del 2001.

Ha in proposito preliminarmente ripercorso, anche sotto il profilo cronologico, la complessa sequenza infraprocedimentale sfociata nella avversata variante normativa, facendo presente che l’attività avviata successivamente alla pubblicazione della sentenza (iter per sottoporre la detta variante normativa alla Valutazione preliminare di compatibilità ambientale) non costituiva in alcun modo acquiescenza alla sentenza.

Nel merito, ha riproposto la disattesa eccezione di carenza di interesse con riguardo alla posizione di parte appellata, posto che l’interesse della stessa ad ottenere/mantenere un più favorevole regime di edificabilità con riguardo al suolo di propria pertinenza non era inciso dalle sollevate problematiche relative alla Vas ed alle altre valutazioni di compatibilità ambientale (il proprio interesse, al contrario, appariva antagonista all’espletamento della Vas).

Con la seconda censura ha ribadito che la valutazione ambientale strategica non era affatto necessaria con riguardo alla variante (meramente normativa) n. 87/2007 avversata.

Il procedimento di variante (essa era stata approvata il 17 novembre 2010 ed adottata il 23 ottobre 2007) era in corso alla data di entrata in vigore (31 luglio 2007) delle disposizioni in materia di Vas, e l’art. 52 del d.Lvo n. 152/2006 disponeva che detti procedimenti in corso (il parere della Commissione era stato rilasciato il 30 luglio 2007) proseguissero secondo le vigenti disposizioni (che escludevano la effettuazione della predetta verifica di compatibilità ambientale).

E ciò, in disparte la circostanza che giammai il primo giudice aveva chiarito

quali “effetti significativi” sull’ambiente sarebbero discesi dalla variante (meramente normativa) predetta: la sottoposizione della stessa a Vas sarebbe stata contraria alla Direttiva Ce che aveva introdotto l’istituto nel sistema.

Anche relativamente alla stigmatizzata carenza di parere rispetto alla valutazione di incidenza, la parte appellata non aveva alcun interesse a dedurla: la variante, in ogni caso, incidendo in senso attenuativo degli standards edificatori, non poteva produrre alcun “significativo impatto” sull’ ambiente.

Anche con riferimento alle problematiche di coordinamento con gli strumenti programmatori sovraordinati, la impugnata decisione non coglieva nel segno in quanto la valutazione di conformità con la normativa sovraordinata non era affatto mancata.

Parimenti la impugnata decisione appariva errata in relazione alla (censurata) introduzione dell’obbligo di predisposizione di un piano attuativo: l’area dell’appellata non era completamente urbanizzata (in quanto circondata da aree non edificate) e, per altro verso, il fondo della stessa insisteva in zona C1 di completamento e nuova urbanizzazione, dal che discendeva il permanere alterato della potestà comunale di esatta pianificazione dell’area con riferimento all’obiettivo dello “sviluppo sostenibile”.

Ha inoltre proposto specifiche censure all’iter motivo della sentenza nella parte in cui aveva “ confuso” i riuniti ricorsi ed era pervenuta a statuizioni contraddittorie con riferimento ai distinti complessi alberghieri erigendi, e laddove aveva inopinatamente accordato tutela risarcitoria

Parte appellata ha depositato una “nota/segnalazione”chiedendo la declaratoria di nullità della notifica dell’appello, contestata da parte appellata con una successiva memoria di replica:la fusione per incorporazione della Icem era successiva alla pubblicazione della sentenza e, pertanto, la notifica era stata validamente eseguita.

In ogni caso la fusione per incorporazione non determinava la estinzione del soggetto giuridico “assorbito” di guisa che la notifica dell’appello era tempestiva ed esattamente eseguita.

Peraltro la circostanza che parte appellata avesse a propria volta notificato (2 giorni prima della scadenza del termine un appello principale avverso la medesima sentenza non era in alcun modo significativa, non recando l’appello alcuna menzione dell’avvenuta fusione).

La “segnalazione” da parte della Monteferrante incorporante, costituiva la prova che la notifica aveva validamente raggiunto lo scopo.

Parte appellata ha poi depositato una argomentata memoria chiedendo la reiezione dell’appello perché infondato.

L’appellante comune ha depositato due memorie puntualizzando e ribadendo le proprie difese.

All’adunanza camerale del 24 luglio 2012 la causa è stata rinviata al merito.

Alla pubblica udienza del 25 giugno 2013 la causa è stata posta in decisione dal Collegio, ed è stata resa sentenza la parziale ed ordinanza collegiale istruttoria meglio descritta di seguito.


Ric. n. 5067/2012 avverso sentenza n. 693/2011

Con due ricorsi di primo grado riuniti dal Tar l’odierna parte appellante aveva proposto il petitum di cui si è dato atto nella illustrazione del contenuto del ricorso n. 4667/2012 interposto dal comune di Vasto avverso la medesima sentenza n. 693/2011 e che deve intendersi integralmente richiamata in questa sede.

Il Tar con la sentenza n. 693/2011 ha accolto i ricorsi suddetti mercè la motivazione sinteticamente illustrata prima e da intendersi integralmente trascritta.

La società originaria ricorrente odierna appellante - seppure rimasta vittoriosa in primo grado - ha proposto una articolata critica alla sentenza in epigrafe chiedendone la riforma riproponendo i numerosi motivi rimasti assorbiti in primo grado.

Ha in primo luogo censurato la appellata decisione laddove essa aveva omesso di dichiarare esplicitamente (pur avendo accolto il ricorso di primo grado n. 64/2008)la illegittimità del provvedimento di diniego di rilascio di permesso di costruire recante n. 1343/2007 e degli impugnati atti presupposti e pareri, nonché di condannare l’amministrazione al risarcimento dei danni patiti e patiendi a causa dell’illegittimo diniego (ciò laddove la gravata sentenza non dovesse intendersi ricomprensiva dei detti danni).

Ha ripercorso la vicenda processuale ed i tre ricorsi proposti in primo grado (ric. n. 64/2008 corredato da motivi aggiunti e ric. n. 184/2011 teso a gravare il rifiuto opposto dal comune al materiale rilascio del permesso di costruire), facendo presente che la sentenza aveva riconosciuto il proprio diritto ad ottenere il permesso di costruire aveva annullato la contestata variante nella parte in cui imponeva la necessaria predisposizione dello strumento attuativo ed aveva annullato in toto la variante per carenza di preventivo espletamento della Vas,

Senonchè, pur avendo riconosciuto il proprio diritto ad ottenere il permesso di costruire ed avere pronunciato condanna generica al risarcimento dei danni, la sentenza non aveva annullato il diniego di permesso di costruire relativo alla struttura alberghiera da edificarsi in Loc. San Biagio (gravato con il ricorso n. 64/2008, mentre il secondo ricorso n. 184/2011 concerneva un altro albergo, da realizzarsi in località Incoronata di vasto, oltre a gravare altresì la variante alle Nta).

Ne conseguiva che: il ric. n. 184/2011 era stato integralmente accolto ed in

ordine alle statuizioni relative al medesimo nessuna critica veniva avanzata dalla ditta appellante;
parimenti nessuna censura investiva il capo di sentenza che, accogliendo le critiche dalla ditta medesima avanzate, aveva ritenuto non necessaria la preventiva e condizionante predisposizione del piano attuativo.

La sentenza andava invece corretta/integrata laddove non aveva esplicitamente annullato l’illegittimo diniego alla richiesta di permesso di costruire relativa all’albergo da edificarsi in Loc. San Biagio.

L’appellante ditta si è poi doluta della circostanza che la sentenza impugnata non aveva esaminato gli altri motivi di ricorso proposti e contestanti il rigetto di concessione edilizia e pertanto –in asserita violazione dei principi espressi ex art. 34 e 64 e segg del cpa- non aveva fornito risposta alle doglianze in ordine alla quali l’originaria ricorrente aveva – e manteneva- un interesse prioritario.

Ha conseguentemente riproposto tutti i motivi di censura non esaminati dal Tar chiedendone l’accoglimento.

Ha poi richiesto che – laddove si fosse ritenuto che la condanna risarcitoria era limitata al ricorso di primo grado n. 184/2011 - essa venisse “estesa” al ricorso n. 64/2008 posto che sussistevano tutti i presupposti della responsabilità risarcitoria.

L’amministrazione comunale appellata ha depositato una argomentata memoria contenente anche un appello incidentale.

L’appellata ha depositato una memoria chiedendo che il ricorso incidentale fosse dichiarato inammissibile.

Con due successive memorie il Comune ha ribadito e puntualizzato le proprie difese ed ha insistito sulla tempestività ed ammissibilità del proposto ricorso incidentale sebbene fosse già stato proposto ricorso principale.

All’adunanza camerale del 24 luglio 2012 la causa è stata rinviata al merito.

Alla pubblica udienza del 25 giugno 2013 la causa è stata posta in decisione dal Collegio ed è stata resa la decisione n. 4355/2013 pubblicata il 22 agosto 2013 e

da intendersi integralmente richiamata e trascritta in questa sede, con la quale la Sezione, definitivamente pronunciando sulle censure proposte dal comune nell’ambito del riunito ricorso in appello n. 4667/2012 le ha respinte integralmente, ad eccezione di quelle concernenti il provvedimento reiettivo n. 1343 del 3 dicembre 2007 e la connessa domanda risarcitoria, in ordine alle quali sono stati disposti gli incombenti istruttori indicati in motivazione e ad eccezione di quelle avversanti la disposta condanna risarcitoria con riferimento alla prativa edilizia relativa al fondo in Loc. Incoronata in ordine alle quali si è differita la pronuncia congiuntamente alla questione prima indicata.

Definitivamente pronunciando sull’appello n. 5067/2012 proposto dalla appellante società Monteferrante srl lo ha respinto nella parte volta ad ottenere una interpretazione estensiva della gravata decisione, mentre per il resto ha provveduto interlocutoriamente ed ha disposto incombenti istruttori.

Gli incombenti istruttori disposti, riposavano nell’onere, addossato all’amministrazione comunale, di depositare presso la Segreteria della Sezione:

1)copia della documentazione sottesa alla domanda di rilascio di permesso di costruire in loc. Histoniense;

2) una complessiva relazione che specifichi analiticamente, chiarendo i passaggi procedimentali anche sotto il profilo cronologico, quali siano stati i motivi ostativi al rilascio (diversi dalla ritenuta necessità del piano attuativo) dando conto dei medesimi anche alla luce delle contrapposte obiezioni svolte dalla ditta appellante ed in ultimo esplicitate e ribadite nel ricorso in appello principale dalla stessa proposto e chiarendo se il successivo progetto asseritamente presentato dalla ditta rispondesse positivamente ai rilievi formulati dall’amministrazione comunale, e specificando, in ipotesi contraria, i punti di perdurante contrasto e difformità;

3)ogni eventuale documento e/o chiarimento utile per l’accertamento dei fatti di causa.


L’amministrazione comunale ha ottemperato alla superiore richiesta

Le parti hanno depositato articolate memorie successivamente al deposito della relazione istruttoria da parte del Comune e la ditta Monteferrante, con memoria di replica ha provveduto a quantificare gli importi risarcitori asseritamente dovutigli sia con riferimento alla pratica edilizia “Histoniene” che a quella Incoronata.

Alla odierna pubblica udienza del 3 dicembre 2013 le riunite cause sono state poste in decisione dal Collegio.

DIRITTO


1. Viene all’esame del Collegio l’ultimo segmento decisorio dei riuniti ricorsi.

2.In sostanza, gli interrogativi cui il Collegio deve rispondere –ed in relazione ad alcuni dei quali venne disposto l’incombente istruttorio descritto nella parte in fatto- sono i seguenti:

a)il provvedimento reiettivo n.1343 del 3 dicembre 2007 relativo alla domanda di rilascio di permesso di costruire in località Histoniense era legittimo ( per motivi diversi dalla questione –già affermata qual illegittima- che veniva imposta la predisposizione di un piano attuativo)?

E, nell’ipotesi negativa, perterrebbe a parte appellante l’attribuzione di tutela risarcitoria?

b)inoltre (questione, questa che avrebbe potuto essere decisa immediatamente, ma la cui trattazione si è preferito differire per evidenti ragioni di connessione con quella prima delineata, trattandosi di valutare la responsabilità soggettiva del comune) considerata la già ritenuta illegittimità dell’azione amministrativa spiegata dal comune relativamente alla domanda di costruire un albergo in località Incoronata spetta alla ditta appellante la tutela risarcitoria attribuitagli dal primo giudice?

2.1.Avuto riguardo alla documentazione ed alla relazione all’uopo depositata dal Comune ed alle contrapposte memorie depositate dalle parti, pare al Collegio, in primo luogo, opportuno iniziare il proprio esame dalla disamina delle censure mosse dal Comune di Vasto alla pronuncia di condanna generica resa dal Tar in riferimento alla domanda di costruire un albergo in località Incoronata.

A tal proposito va rilevato che, disattese nella sentenza parziale a più riprese richiamata e resa all’udienza del 25 giugno 2013 tutte le censure proposte dal Comune ed investenti la questione della supposta legittimità della variante, restano da vagliare quelle specificamente afferenti la condanna risarcitoria disposta in primo grado a carico del comune.

Tali censure sono contenute nell’ultimo motivo del ricorso in appello proposto dal Comune (pag. 47 e 48) e si compendiano in due prospettazioni.

La sentenza sarebbe errata, a dire dell’appellante, perché avrebbe disposto la condanna pur in carenza di prova e di allegazione dei danni, e perché (art. 1227 cc siccome richiamato implicitamente dall’art. 30 comma 3 cpa) avrebbe omesso di rilevare che la ditta istante non avrebbe – a far data dalla comunicazione della nota dirigenziale 4.9.2007- chiesto il rilascio di un formale titolo abilitativo ovvero esperito ricorso avverso il silenzio.

2.2. Nessuna delle due censure dedotte persuade il Collegio.

Si premette che il Collegio condivide quanto a più riprese affermato dalla a giurisprudenza amministrativa secondo cui “l' azione di risarcimento conseguente all' annullamento in sede giurisdizionale di un provvedimento illegittimo implica la valutazione dell' elemento psicologico della colpa, alla luce dei vizi che inficiavano il provvedimento stesso e della gravità delle violazioni imputabili all'Amministrazione, secondo l' ampiezza delle valutazioni discrezionali rimesse all' organo amministrativo nonché delle condizioni concrete in cui ha operato l' Amministrazione, non essendo il risarcimento una conseguenza automatica della pronuncia del giudice della legittimità.”(Consiglio Stato , sez. IV, 01 ottobre 2007, n. 5052).

Nel caso di specie non vi sono censure sotto tal profilo – che comunque rileva ai fini dell’an della concedibilità del risarcimento –il che esonera il Collegio da un partito esame della fattespecie e lo legittima ad affermare, per incidens, che avuto riguardo allo svolgimento della vicenda, ed in relazione alle carenze riscontrate nella variante e ribadite sia dal Tar che da questo Giudice d’appello con statuizione regiudicata, sussiste certamente il detto requisito legittimante.

Ciò premesso, l’appellante aveva chiesto il titolo abilitativo;
venne adottata una variante impeditiva;
essa precludeva la realizzazione di quanto ipotizzato (il dato è incontestabile);
avverso la stessa, in quanto immediatamente lesiva, venne proposto ricorso giurisdizionale (non già il 25 marzo 2011, come inesattamente affermato dalla difesa del Comune, ma) nel 2008;
detta scelta non appare neppure dilatoria ma, anzi, pur potendosi attendere la definitiva approvazione della variante, la ditta ebbe ad attivarsi giurisdizionalmente.

Il Collegio ben conosce l’orientamento di autorevole giurisprudenza amministrativa (Cons. Stato Sez. V, 12-02-2013, n. 799 “in tema di responsabilità civile della P.A. l'omessa impugnazione di un atto amministrativo lesivo può rilevare unicamente ai fini del riconoscimento o della quantificazione del danno, quale comportamento –rispettivamente- determinante o meramente concausale del pregiudizio subito, ai sensi e per gli effetti dell'art. 1227 c.c.”) in punto di applicabilità dell’art. 1227 cc con riferimento alla omessa attivazione in sede giurisdizionale del danneggiato.

E sono note le critiche che ad esso ha mosso qualificata dottrina – muovendo dalla interpretazione che di tale art. 1227 cc ha costantemente reso la giurisprudenza civile di legittimità -.

Tuttavia non ha luogo nel caso di specie ad immorare su detta tematica per una troncante ragione: avuto riguardo all’andamento processuale ed alla scansione temporale siccome sinteticamente riassunta nessun addebito può muoversi alla richiedente ditta in proposito e ciò in disparte la circostanza che essa, addirittura, ebbe a versare le somme (€ 17.561.00) dovute all’Amministrazione a titolo di onere concessorio (somme che, certamente, dovranno comunque essere restituite)

2.3.Tale caposaldo appellatorio va pertanto disatteso.

2.4.Non miglior sorte merita la articolazione della seconda censura, (difetto di prova ed allegazione) con qualche precisazione.

L’appellante ha vittoriosamente esperito il giudizio di primo e secondo grado ed è stato ivi accertato che il titolo “era stato materialmente rilasciato” (rectius che si sarebbe dovuto ritenere tale circostanza da parte del Comune) e che quindi la variante e la connessa necessità di predisposizione del piano attuativo non avrebbero potuto precludere la realizzazione dell’intervento.

Non si vede, francamente, cosa altro ancora avrebbe dovuto “provare” la ditta in relazione a tale profilo.

E’ ben vero che in materia risarcitoria opera l’art. 2697 cc e che la domanda va respinta ove si riscontri una carenza di prova ed allegazione.

Ma in un caso simile, la prova e l’allegazione risiede già nella condotta impeditiva dell’attività edificatoria in relazione ad un titolo edilizio che doveva intendersi già “operante” , e non resta che valutare sotto i consueti canoni del danno emergente e del lucro cessante l’importo dei danni arrecati.

Come era in facoltà della ditta è stata richiesta una pronuncia sull’an e questa non poteva essere negata dal Tar.

Anche l’ulteriore censura del Comune appellante, sul punto, va pertanto disattesa.

Tale capo di sentenza va pertanto integralmente confermato e l’appello del comune deve essere disatteso (la ditta istante non ha avanzato, in proposito, alcuna doglianza) mentre non ritiene il Collegio di determinare in concreto la somma dovuta, onerando il Comune a formulare una proposta che tenga conto – alla luce della documentazione che verrà in detta sede prodotta dalla Ditta Monteferrante del danno emergente e del lucro cessante (così come già disposto dal Tar), dovendosi però sin d’ora escludere che essa possa ricomprendere l’intera somma versata per l’acquisto dell’area e la stesura del rogito da parte della ditta medesima, per l’elementare ragione che, da un canto, essa resta proprietaria dell’area e, per altro verso, che al momento in cui essa acquistò l’area medesima comunque era esposta all’alea della sopravvenienza, medio tempore di una eventuale (legittima, in tesi) nuova disciplina urbanistica che ne precludesse l’edificazione .

3. Può adesso essere esaminato il profilo relativo alla supposta illegittimità del diniego del permesso di costruire in località Histoniense.

3.1. La relazione del Comune ha dato contezza degli asseriti profili di contrasto del progetto presentato dalla ditta istante anche con la normativa previgente alla adozione della variante, mentre la Società Monteferrante si è sforzata di dimostrare, da un canto, l’insussistenza del contrasto e, per altro verso, la “slealtà” dell’amministrazione comunale nel contraddittorio infraprocedimentale laddove questa avrebbe sollevato tardivamente circostanze impedienti sulle quali, in passato, non era stata sollevata alcuna obiezione.

3.2. Ritiene in proposito il Collegio di evidenziare quanto segue.

Le parti processuali hanno incentrato le loro difese –in parte in termini addirittura confusorii - su una serie di elementi che esulavano dalla materia del contendere.

La parte privata, infatti, si è diffusa – come prima si è rilevato- nella dimostrazione della asserita slealtà procedimentale del Comune.

Il Comune, invece, a propria volta, si è diffuso nel dimostrare l’indimostrabile (ultra petita, anche in questo caso) tentando di accreditare una versione dei fatti secondo la quale la sopravvenienza della variante (poi annullata) era sostanzialmente del tutto ininfluente (il che certamente non è, perché essa costituiva elemento ostativo supportante il diniego unitamente alla congerie di elementi fondati sulla normativa previgente)

3.2.1. Tali argomenti non sono, nella sostanza, esaminabili dal Collegio, né risultano in realtà utili.

L’oggetto dell’approfondimento istruttorio era diverso, e segnatamente riposava in ciò: “caduto” l’argomento reiettivo fondato sulla contestata variante, bisognava accertare (ai soli fini risarcitori posto che, in parte qua la sentenza era viziata ex art. 112 cpc) se –secondo il criterio della prognosi postuma- ove non fosse stato frapposto l’ostacolo della variante e del piano attuativo il detto permesso di costruire sarebbe stato rilasciato o meno.

Id est: il nesso di causalità determinativo tra la variante poi annullata ed il contestato diniego.

E ciò proprio in relazione alle difese articolate dal Comune;
e prescindendo in toto dall’andamento del contraddittorio procedimentale, al massimo rilevante per un giudizio di graduazione dell’ipotetica condotta colposa dell’amministrazione, ma certamente non rilevante ai fini della dimostrazione del nesso di causalità tra condotta ed evento.

Ciò che la parte privata non dimostra di avere inteso, infatti, è che lo scopo dell’approfondimento istruttorio verteva proprio su tale profilo.

Secondo il metodo “sublata causa tollitur effectus” si intendeva chiarire se la variante (illegittima) fosse stata – o meno- l’unica ragione oppositiva alla assentibilità del titolo.

Se lo fosse stata, l’elemento dello culpa rilevava sì, ma esso semmai (e dianzi si è fatto un richiamo in proposito) andava ricercato nel segmento “adozione variante” non nel fluire del procedimento relativo al rilascio del titolo in loc. Histoniense.

3.3. Ad ogni buon conto, pare al Collegio che, con riferimento a tale profilo, la relazione del Comune e la verifica del dato cronologico abbia dato esito sfavorevole alla prospettazione di parte privata appellante.

Ciò per due ordini di ragioni.

Posto che la variante venne adottata il 23 ottobre 2007, per provare che quest’ultima fosse stata l’unico elemento ostativo al rilascio del richiesto titolo abilitativo, si sarebbe dovuto dimostrare, da parte dell’appellante ditta, che alla data antecedente a questa il progetto avrebbe potuto essere approvato sic et simpliciter.

Così certamente non è, perché è dimostrato ed è incontestabile che ancora il 26 ottobre 2007 quest’ultima aveva depositato documentazione sostitutiva presso il Suap, non contestando la necessità e rilevanza di quest’ultima (come da richiesta del 15.10.2007).

Ne discende che, comunque, la tesi della Monteferrante circa l’incidenza causale della variante non può certo riguardare detto torno di tempo antecedente, che è certamente al di fuori di qualsivoglia possibile petitum risarcitorio.

Ma se così è, alla data di adozione della variante, quest’ultima “si aggiunge” agli elementi reiettivi preesistenti e fino a quel momento non contestati, e non li “determina”.

Avuto riguardo al petitum articolato in primo grado e ribadito in appello, ciò sarebbe sufficiente a respingere almeno in parte la censura.

Ma anche per il torno di tempo successivo la prospettazione di parte privata appellante (che per il vero a pag. 16 della propria memoria conclusionale corregge non poco il tiro e dirige il “fuoco” del petitum risarcitorio verso le supposte slealtà procedimentali del comune)non appare fondata.

Risulta infatti per tabulas che la Asl diede parere negativo sul progetto così come ripresentato ed emendato (relativamente ai locali seminterrati da adibirsi a camere) il che implica (con rilievo assorbente rispetto a tutti gli altri inconvenienti tecnici ostativi sui quali permane contrasto tra le parti) che, nei termini in cui lo stesso era stato cristallizzato, questo non avrebbe avuto possibilità di approvazione, a prescindere dalla variante e dalla previsione del piano attuativo.

La ditta Monteferrante, infine, fa riferimento ad una supposta “consumazione” del potere denegatorio ed istruttorio del comune, che non solo non sussiste, ma neppure rileva ai fini risarcitori: se il giudizio risarcitorio si appunta (in primis, e salvo eventuale e successivo esame sulla sussistenza dell’elemento psicologico dell’illecito) sulla risoluzione del dato ipotetico della concedibilità del permesso a prescindere rispetto alla variante, ben è possibile vagliare tutti gli aspetti ostativi alla concedibilità, ed anche ove questi non fossero rientrati tra le “modifiche previamente concordate”.

Se criticità v’erano – e ve ne erano, ed assume in proposito valenza troncante ed assorbente il parere parzialmente negativo della Asl- queste rilevavano a prescindere;
di più avrebbero potuto essere accertate autonomamente in questa sede (la verifica del nesso di causalità nella responsabilità risarcitoria è compito che pertiene al giudicante anche ex officio) se anche non fossero mai state menzionate in sede infraprocedimentale.

La tesi supportante la pretesa risarcitoria era chiara: la variante contestata e poi annullata era stata l’unica ragione giustificativa della privazione del bene della vita cui si aspirava: è evidente che, dimostrato invece che il bene della vita non era raggiungibile, nessun danno risarcibile sia stato prodotto.

3.4.Alla stregua delle superiori considerazioni, e sotto l’assorbente profilo prima evidenziato, le censure appellatorie della Monteferrante quanto a tale ultimo profilo vanno disattese ed il petitum risarcitorio relativo all’omesso rilascio del permesso di costruire in località Histoniense va disatteso.

4. In conclusione, definitivamente pronunciando sui riuniti appelli, essi vanno disattesi nei termini di cui alla motivazione che precede e con le integrazioni rese alla motivazione della gravata sentenza, viziata ex art. 112 cpc, di cui alla parte motiva della presente decisione, mentre tutti gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.

5.Le spese del giudizio possono essere integralmente compensate tra le parti, sia in ragione della reciproca soccombenza, sia in considerazione della circostanza che la proposizione degli appelli fu resa necessaria a cagione del vizio ex art. 112 cpc attingente la decisione gravata

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