Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2024-05-07, n. 202404107
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Testo completo
Pubblicato il 07/05/2024
N. 04107/2024REG.PROV.COLL.
N. 03478/2022 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3478 del 2022, proposto da:
Sistema Italia 93 s.r.l., in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentata e difesa dall'avvocato L V, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
nei confronti
Ministero delle Imprese e del Made in Italy, in persona del Ministro
pro tempore
, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per la riforma:
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Quarta) n. 00719/2022, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni e del Ministero delle Imprese e del Made in Italy;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 23 aprile 2024 il Consigliere Lorenzo Cordì e udita l’avvocato dello Stato Beatrice Gaia Fiduccia;
Lette le conclusioni rassegnate dalle parti;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Sistema Italia 93 s.r.l. ha impugnato la sentenza n. 719/2022, con la quale il T.A.R. per il Lazio – sede di Roma ha respinto il ricorso proposto dalla Società avverso: i ) la delibera n. 572/18/CONS dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, recante “ ordinanza ingiunzione a Sistema Italia 93 s.r.l. per la violazione dell’art. 6 del d.lgs. n. 261/99 e dell’art. 8 del ‘Regolamento in materia di titoli abilitativi per l’offerta al pubblico di servizi postali ’; ii ) “ ogni altro atto e/o comportamento presupposto, consequenziale e/o connesso ”, ivi compresi, il provvedimento Cont. N. 20/18/DSP, recante “ Contestazione alla Sistema Italia 93 s.r.l. per la violazione dell’art. 6 del d. lgs. n. 261/99 e dell’art. 8 del Regolamento in materia di titoli abilitativi per l’offerta al pubblico di servizi postali (All. A Delibera n. 129/15/CONS) ”, la nota dell’A.G.Com. - Direzione Servizi Postali del 30 novembre 2017 avente ad oggetto “ Delibera n. 129/15/CONS. richiesta di informazioni ”, il verbale delle operazioni compiute presso la ditta Galante Alessandro, in qualità di affiliato alla rete “ Mail Boxes Worldwide S.p.a. ”, del 23 novembre 2017, nonché, per quanto occorrer possa, la Delibera dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni n. 129/15/CONS e il relativo Allegato recante il “ Regolamento in materia di titoli abilitativi per l’offerta al pubblico di servizi postali ”.
2. In punto di fatto l’appellante ha esposto di essere Società licenziataria esclusiva per l’Italia, la Repubblica di San Marino e la Città del Vaticano del marchio e del “ know-how ” Mail Boxes. I punti Mail Boxes sono - secondo quanto evidenziato dalla Società - centri professionali di servizi innovativi rivolti alla clientela sia privata sia business , che offrono alla propria utenza: i ) servizi di comunicazione integrata; ii ) stampa digitale, fascicolatura, rilegatura e plastificazione; iii ) servizi di grafica e stampa; iv ) imballaggio e confezionamento pacchi; v ) prodotti per ufficio. Sistema Italia 93 ha, altresì, rappresentato di offrire i propri servizi – tra cui l’intermediazione per la fornitura di servizi di corriere espresso – anche attraverso una rete di soggetti terzi, con i quali viene stipulato un contratto di franchising . In particolare, la Società ha dedotto di prestare servizi propedeutici alla successiva attività postale in senso stretto (svolta dai corrieri), consistenti nella mera custodia dei pacchi e degli oggetti affidati dal cliente-mittente e in servizi accessori. Il cliente stipula, quindi, con Mail Boxes un contratto di servizio regolato dal Modulo Ordine Spedizione (M.O.S.), in virtù del quale conferisce a Mail Boxes l’incarico di custodire il collo e di sottoscrivere, in suo nome e conto, la lettera di vettura e le condizioni di trasporto del Corriere prescelto. L’attività svolta da Mail Boxes consiste, quindi, nella mera intermediazione e messa a disposizione dei locali in cui il cliente può consegnare i propri pacchi, e, quindi, in attività propedeutiche ed accessorie rispetto alle tipiche attività postali di raccolta, trasporto, smistamento e recapito che sono svolte direttamente dal corriere prescelto dal cliente, con il quale si instaura il relativo rapporto contrattuale.
3. Operata tale premessa in fatto, l’appellante ha esposto il quadro normativo di riferimento osservando che le disposizioni di cui agli artt. 5 e 6 del D.Lgs. n. 261/1999 prevedono che l’offerta al pubblico di servizi postali sia subordinata al rilascio di titolo abilitativo (licenza individuale o autorizzazione generale). L’appellante ha, inoltre, evidenziato come per servizio postale si intendono le attività di “ raccolta, smistamento, trasporto e distribuzione degli invii postali ”, definendosi l’invio postale come “ l'invio, nella forma definitiva al momento in cui viene preso in consegna dal fornitore di servizi postali ” [art. 1, comma 2, lett. a ) e f ), del D.Lgs. n. 261/99,]. La raccolta è, invece, definita come “ l'operazione di raccolta degli invii postali da parte di un fornitore di servizi postali ” [art. 1, comma 2, lett. d ) del medesimo articolato normativo]. Inoltre, l’appellante ha esposto come la normativa conferisca al Ministero delle Imprese e del Made in Italy la competenza al rilascio dei titoli e all’A.G.Com. il compito di stabilire i requisiti per il rilascio dei titoli, gli obblighi a carico dei titolari di licenze e autorizzazioni, le modalità dei controlli presso le sedi di attività e le procedure di diffida, sospensione e revoca dei titoli. In attuazione di tali disposizioni, l’A.G.Com. - con delibera 129/15/CONS – ha approvato il Regolamento in materia di titoli abilitativi per l’offerta al pubblico di servizi postali. Le sanzioni per chi svolge servizi postali senza autorizzazione generale sono previste, invece, dall’art. 21, comma 5, del D.Lgs. n. 261/99, che, testualmente, prevede: “ Chiunque espleti servizi al di fuori dell'ambito del servizio universale senza aver prodotto la dichiarazione o senza attendere, laddove previsto, il prescritto periodo di tempo è punito con sanzione pecuniaria amministrativa da cinquemila euro a centocinquantamila euro ”.
4. L’appellante ha, quindi, rappresentato che l’A.G.Com. aveva irrogato alla stessa una sanzione pari a euro 115.000,00, per aver operato in violazione della previsione di cui all’art. 21, comma 5, del D.Lgs. n. 261/99, e, in particolare sia per aver offerto al pubblico servizi (di raccolta) postali senza la prescritta autorizzazione generale, che per aver organizzato una rete di operatori affiliati, anch’essi privi del prescritto titolo abilitativo. In particolare, la sanzione irrogata era stata pari a euro 15.000,00 per aver svolto attività postale senza titolo abilitativo, e pari a euro 5.000,00 per ognuna delle venti Regioni all’interno delle quali operavano i soggetti affiliati. L’appellante ha rappresentato che, nella prospettiva dell’Autorità, la Società era stata responsabile anche per la rete di affiliati controllati direttamente dalla stessa.
5. La Società ha, quindi, esposto i motivi articolati nel ricorso proposto dinanzi al T.A.R. e le ragioni a sostegno della decisione di reiezione del ricorso, che saranno entrambi esaminati nel prosieguo della presente sentenza e nei limiti di quanto necessario.
6. Avverso la sentenza del T.A.R. per il Lazio Sistema Italia 93 s.r.l. ha interposto appello, affidato a tre motivi che saranno, anch’essi, di seguito esaminati. Si sono costituiti in giudizio l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni e il Ministero delle Imprese e del Made in Italy chiedendo di respingere il ricorso in appello. In vista dell’udienza pubblica del 23 aprile 2024 le parti hanno depositato memorie difensive. All’udienza del 23 aprile 2024 la causa è stata trattenuta in decisione.
7. Con il primo motivo di ricorso in appello Sistema Italia 93 s.r.l. ha dedotto l’erroneità della sentenza di primo grado in relazione al capo con il quale è stato affermato che l’attività della Società doveva ascriversi nell’ambito del servizio di raccolta postale.
7.1. In particolare, il T.A.R. ha respinto lo speculare motivo articolato dalla Società in primo grado osservando che: i ) la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, nella sentenza del 31 maggio 2018, cause riunite C259/16 e C260/16, aveva chiarito che un’impresa doveva essere qualificata come fornitrice in servizio postale, ai sensi dell’articolo 2, punto 1- bis della direttiva 97/67/CE quando avesse svolto almeno uno dei servizi elencati all’articolo 2, punto 1 della menzionata direttiva: raccolta, smistamento, trasporto e distribuzione ovvero recapito; ii ) nella fattispecie concreta, l’attività era stata correttamente qualificata come raccolta postale, consistendo nella accettazione dei pacchi da inviare tramite corrieri, che avveniva nei locali messi a disposizione dall’impresa dove gli utenti consegnavano i pacchi, compilavano il modulo contrattuale e pagavano il corrispettivo per il servizio; iii ) tale attività risultava del tutto indistinguibile da quella svolta dagli uffici postali nella fase di raccolta degli invii, e, pertanto, era da considerarsi artificiosa la tesi della Società, tendente a distinguere, nell’ambito della fase della raccolta postale, una sotto-fase in cui l’operatore si sarebbe limitato ad apprendere i pacchi e una successiva sotto-fase in cui tali pacchi sarebbero stati presi in carico dal vero e proprio operatore postale; iv ) si sarebbe trattato, quindi, della fase di raccolta del servizio postale che, per essere svolta lecitamente, doveva essere autorizzata con un provvedimento amministrativo, non essendo consentito dalla normativa di settore l’esercizio abusivo dell’attività postale.
7.2. Sistema Italia 93 s.r.l. ha dedotto l’erroneità della sentenza osservando che: i ) non era possibile assimilare la propria attività a quella degli uffici postali, atteso che, in quest’ultimo caso, il rapporto contrattuale viene instaurato direttamente con l’operatore che accetta l’invio nei propri uffici, mentre Mail Boxes riceve il solo incarico di stipulare, in nome e per conto del cliente un contratto con il corriere autorizzato, prescelto dal cliente medesimo, con il quale si instaura, quindi, il rapporto contrattuale; ii ) la distinzione fattuale tra le due attività avrebbe rinvenuto un riferimento normativo nella delibera 129/15/CONS, che, trattando dei cc.dd. consolidatori (e cioè dei soggetti che raccolgono la corrispondenza di diversi mittenti per poi affidarla agli operatori postali), chiarisce che tali “ consolidatori ” svolgono attività postale in senso stretto solo quando effettuano (anche solo occasionalmente) attività di pre-lavorazione e pre-smistamento degli invii; iii ) anche i servizi di Mail Boxes sarebbero meramente preparatori all’attività di raccolta, trattandosi, infatti, di una mera intermediazione, come confermato dal regime di responsabilità previsto dal M.O.S., che esclude la responsabilità di Mail Boxes per il trasporto dei colli e come affermato anche da diverse pronunce giurisprudenziali; iv ) l’esclusione delle attività di Mail Boxes dai servizi postali sarebbe confermata anche dalla nozione di raccolta conseguente alle modifiche normative introdotte dal D.Lgs. n. 58/2011, limitata all’operazione di raccolta degli invii da parte di un fornitore di servizi postali;nozione che avrebbe confermato come l’attività di raccolta di un non operatore di servizi postali non potrebbe rientrare nell’alveo di applicazione della disciplina.
7.3. Il motivo è infondato.
7.4. Prendendo l’abbrivo dal dato normativo si osserva che la previsione di cui all’art. 1, comma 2, del D.lgs. n. 261/1999, definisce [alla lettera a)] i servizi postali come i servizi che includono la raccolta, lo smistamento, il trasporto e la distribuzione degli invii postali;la successiva previsione di cui all’art. 1, comma 2, lett. d ), definisce, invece, la raccolta come l'operazione di raccolta degli invii postali da parte di un fornitore di servizi postali. Quest’ultima definizione è stata così modificata dall’art. 1, comma 1, lett. c ), del D.Lgs. n. 58/2011, in attuazione della direttiva n. 6 del 2008 del Parlamento europeo e del Consiglio.
7.5. Il riferimento allo svolgimento delle operazioni da parte di un fornitore di servizi postali non implica che il ciclo delle attività postali possa ritenersi prendere l’avvio solo nel momento in cui interviene un soggetto appositamente abilitato. Infatti, una simile prospettazione determina un’aporia logico-giuridica, atteso che l’obbligo di ottenere un’autorizzazione è connesso all’attività svolta, che, però, nell’interpretazione suggerita da parte appellante, risulta qualificabile come servizio postale solo se svolta da un soggetto autorizzato, con un evidente inversione della sistematica normativa e con il rischio di deprivare di rilievo la stessa funzione del titolo autorizzatorio. La previsione legale esaminata non può, quindi, interpretarsi come tesa a circoscrivere le attività postali ai soli servizi svolti da operatori autorizzati. Al contrario, tale definizione deve ricostruirsi avendo riguardo – in coerenza con l’impianto della disciplina – ai presupposti oggettivi di tale attività e non al termine soggettivo di riferimento che segue e non precede l’individuazione dell’attività rientrante nei servizi postali. Lo conferma la sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea del 31 maggio 2018, cause C-269/16 e C-260/16, osservando che un’impresa deve essere qualificata come « fornitore di un servizio postale », ai sensi dell’articolo 2, punto 1- bis , della direttiva 97/67, “ quando essa svolge almeno uno dei servizi elencati all’articolo 2, punto 1, della menzionata direttiva e il servizio o i servizi così svolti riguardano un invio postale, non dovendo tuttavia la sua attività essere limitata unicamente al servizio di trasporto ” (punto 34).
7.6. Incentrando, quindi, l’attenzione sul dato oggettivo si osserva, altresì, come la sentenza della Corte di Giustizia appena menzionata abbia, altresì, chiarito che “ imprese di autotrasporto o di spedizione le quali offrano, in via principale, un servizio di trasporto di invii postali e, a titolo accessorio, servizi di raccolta, smistamento o distribuzione di siffatti invii non possono essere escluse dall’ambito di applicazione della direttiva in parola ” (v., ancora, punto 34 della sentenza). In sostanza, anche laddove l’attività sia limitata ad una delle fasi del ciclo postale l’impresa rientra, comunque, nell’ambito di applicazione della direttiva e, conseguentemente, della normativa interna di attuazione. Nel caso di specie, l’attività della Società comporta, comunque, l’accettazione del plico postale al cui trasporto provvede una diversa impresa scelta dal cliente. Questa fase di accettazione non può ritenersi irrelata dalla complessiva nozione di servizio postale, trattandosi, comunque, dell’affidamento del plico destinato al successivo trasporto e alla consegna al destinatario. Né assume rilievo la circostanza che la Società stipuli, in nome e per conto del cliente, il successivo contratto di trasporto. Questo contratto è, infatti, relativo alla successiva fase di trasporto che, come osservato, è, però, una delle fasi in cui si articola il ciclo postale, e non incide sul ruolo di raccolta della posta effettuata dalla Società appellante. Del resto, diversamente opinando gli obblighi stabiliti dalla normativa unionale e interna a garanzia della sicurezza dei servizi postali sarebbero, facilmente, comprimibili mediante l’utilizzo di contratti di mandato funzionali alla creazione di ulteriori sotto-fasi, immuni dall’applicazione della normativa settoriale. Né diverse soluzione possono essere affermate facendo riferimento alle sentenze civili evocate dall’appellante che riguardano la responsabilità delle parti e, quindi, l’assetto meramente contrattuale che, tuttavia, non può ritenersi strumento idoneo a limitare gli obblighi di matrice pubblicistica derivanti dalla normativa sin qui esaminati.
8. Con il secondo motivo di ricorso in appello la Società ha dedotto l’erroneità del capo di sentenza con cui il T.A.R. ha respinto il motivo fondato sulla diversa interpretazione della nozione di servizio postale espressa dal Ministero delle Comunicazioni nel 2001, sulla quale la Società aveva fatto affidamento.
8.1. In particolare, il T.A.R. ha osservato, sul punto, che: i ) in linea di principio l’attività amministrativa condotta in violazione del canone di buona fede non può costituire un vizio di un provvedimento amministrativo legittimo, ma semmai determinare la responsabilità della pubblica amministrazione per la condotta scorretta; ii ) nella fattispecie, comunque, non era ravvisabile una condotta univoca tale da determinare il legittimo affidamento della Società, atteso che il Ministero delle Comunicazioni, con un parere reso il 29 febbraio 2008, aveva chiarito di non ritenere più valido il precedente avviso, espresso con nota numero 2258 del 2001, nella parte in cui aveva escluso che la Società avrebbe dovuto conseguire il titolo abilitativo per lo svolgimento del servizio di raccolta postale; iii ) in tale parere il Ministero aveva chiarito che la natura giuridica del mandato a stipulare il contratto di trasporto con il corriere - indicato nel M.O.S. - non poteva escludere la natura postale dell’attività di raccolta svolta dalla Società stessa; iv ) inoltre, neppure il messaggio proveniente da una Camera di Commercio poteva ritenersi idoneo, dal tenore letterale dello stesso, ad escludere lo stato soggettivo colposo della Società, ai fini dell’applicazione della sanzione, in quanto privo di elementi idonei a rassicurare la stessa riguardo la natura non postale del servizio svolto.
8.2. Sistema Italia 93 ha dedotto l’erroneità della sentenza evidenziando, in sintesi, che: i ) sia il Ministero che le relative articolazioni avevano escluso la possibilità di ricondurre le attività delle Società nell’ambito dei servizi postali, e la comunicazione (di diverso avviso) del Ministero del 2008 era stata un mero avvio del procedimento, poi non successivamente concluso; ii ) anche dopo il 2008 il Ministero non aveva mai contestato a Mail Boxes alcuna violazione per l’omessa acquisizione del preventivo titolo abilitativo, con conseguente difetto di colpa ex art. 3 della L. n. 689/2001.
8.3. Osserva il Collegio come le censure di Sistema Italia 93 non possano ritenersi idonee a decretare l’illegittimità del provvedimento dell’A.G.Com. che, al contrario, si è fondato su una corretta interpretazione della normativa di riferimento, come illustrato nel precedente capo della sentenza. Inoltre, il parere del 2001 al quale l’appellante ha fatto riferimento è stato, comunque, rivisitato dal Ministero dopo l’emanazione della direttiva 2008/6/CE del Parlamento europeo e del Consiglio. Infatti, nella nota del 20.3.2008, il Ministero ha evidenziato di ritenere ormai “ priva di efficacia la nota n. 2258 [del 2001] con decorrenza giuridica dall’entrata in vigore della nuova direttiva postale, nella parte in cui [aveva escluso] che non si [dovesse] conseguire alcun titolo abilitativo per effettuare servizi di raccolta postale ”. La nota del Ministero ha, inoltre, evidenziato che la definizione di raccolta postale contenuta nella nuova direttiva, essendo sufficientemente dettagliata, non era condizionata da alcun intervento delle Autorità nazionali ed era, quindi, in conformità al consolidato orientamento della giurisprudenza nazionale e comunitaria, immediatamente e direttamente efficace nell’ordinamento interno, con conseguente disapplicazione di ogni norma atto amministrativo nazionale contrastante. In sostanza, la definizione di servizio postale derivava, direttamente, dalla direttiva e tale nuova definizione imponeva l’acquisizione di un titolo abilitativo. La natura legale della fonte attributiva dell’obbligo – correttamente evidenziata dal Ministero – rende non rilevante la circostanza relativa alla natura meramente procedimentale della nota, che è, infatti, meramente ricognitiva delle regole dettate dalla Direttiva del 2008, e non ha, quindi, valenza costitutiva-attributiva.
8.4. Inoltre, secondo la costante giurisprudenza della Corte di Giustizia, “ quale corollario del principio della certezza del diritto, il diritto di invocare la tutela del legittimo affidamento si estende a qualunque soggetto che si trovi in una situazione dalla quale risulti che l'amministrazione […] ha fatto nascere in lui fondate aspettative ”;costituiscono “ assicurazioni idonee a far nascere siffatte aspettative, quale che sia la forma in cui vengono comunicate, eventuali informazioni precise, incondizionate e concordanti che promanino da fonti autorizzate ed affidabili ”;per contro, non “ può invocare una violazione del principio suddetto in assenza di precise assicurazioni che gli siano state fornite dall'amministrazione” (Corte giustizia dell’Unione europea, Grande Sezione, 30 aprile 2019, causa C-611/17;v., nella giurisprudenza della Sezione, Consiglio di Stato, Sez. VI, 26 febbraio 2024, n. 1896). Ora, nel caso di specie, il contegno ministeriale – che, come si esporrà nel prosieguo, ha avuto, comunque, dei tratti di ambiguità e assume rilievo in ordine al quantum debeatur della sanzione – non può ritenersi tale da escludere la colpevolezza della Società appellante, che è, comunque, licenziataria in Italia di un marchio di livello internazionale radicato in plurimi Paesi e con una rilevante struttura organizzativa. Si tratta, quindi, di un operatore di mercato che aveva gli strumenti per verificare il quadro normativo di riferimento usando l’ordinaria diligenza che è necessario attendersi da un’impresa di simile livello.
9. Con l’ultimo motivo di ricorso in appello Sistema Italia 93 ha dedotto l’erroneità della sentenza nella parte in cui ha ritenuto legittima la sanzione irrogata alla stessa sia per aver svolto un’attività senza autorizzazione che per aver creato una rete di centri anch’essi privi di autorizzazione.
9.1. Il T.A.R. ha respinto la speculare censura articolata in primo grado osservando che: i ) dall’istruttoria condotta dall’Autorità era risultato che la rete non era composta di operatori autonomi, ma operanti mediante un contratto di franchising mediante il quale il servizio era rigorosamente disciplinato a livello centrale; ii ) la Società doveva, quindi, rispondere del servizio di raccolta postale svolto dai propri affiliati in tutte le regioni nelle quali essi operano; iii ) il fatto che l’autorizzazione generale eventualmente rilasciata alla società posta al vertice dell’organizzazione potesse avere valore sull’intero territorio nazionale non determinava una limitazione di responsabilità nel caso in cui, come nella fattispecie concreta, fosse risultata carente tale autorizzazione generale; iv ) non avendo conseguito l’autorizzazione generale, la Società non poteva qualificare i propri affiliati come sede mandatarie e doveva rispondere anche dell’operato di questi; v ) una diversa conclusione non avrebbe potuto ritrarsi dalla sentenza di questo Consiglio n. 3111/2019, ritenuta non sovrapponibile al caso di specie, in quanto relativa ad un caso in cui la Società principale si era, comunque, munita di autorizzazione.
9.2. Sistema Italia ha dedotto l’erroneità della sentenza osservando che: i ) il T.A.R. aveva aderito all’assunto dell’Autorità, secondo la quale i vincoli derivanti dal contratto di franchising determinavano una totale dipendenza dei franchisee (che non sarebbero altro che meri esecutori di decisioni imprenditoriali prese da Mail Boxes a livello centrale), senza, tuttavia, considerare alcuni elementi specifici e senza tener conto della normativa relativa a tale figura contrattuale e la giurisprudenza formatasi in materia; ii ) infatti, i franchisee , pur essendo soggetti a certe regole dettate dal franchisor per controllare il corretto utilizzo del marchio, agivano, comunque, a proprio rischio e con gestioni separate, con la conseguenza che Sistema Italia non poteva essere considerata responsabile delle condotte degli affiliati, in applicazione del principio affermato da questo Consiglio con la sentenza n. 3111/2019, e considerato che, in ogni caso, gli obblighi legali e la responsabilità per eventuali condotte illecite erano imputabili alle sole società affiliate, come affermato da questo Consiglio con la sentenza n. 1101/2021; iii ) tale impostazione trovava conferma anche nella giurisprudenza ordinaria formatasi in relazione al sistema di cui al D.Lgs. n. 231/2001, la quale confermava l’impossibilità di affermare un meccanismo di imputazione della responsabilità che rifluisse in una colpa per fatto altrui; iv ) il T.A.R. avrebbe, comunque, effettuato un’affermazione contraddittoria nella parte in cui ha riconosciuto che la Società avrebbe potuto ottenere un’unica autorizzazione generale; v ) in ogni caso, difettava una regola che consentiva di sanzionare la capogruppo per aver creato una rete di operatori privi di titolo e difettava, altresì, una regola che attribuiva alla capogruppo una responsabilità oggettiva per l’operato dei franchisee ; vi ) la fattispecie era sovrapponibile a quella decisa dalla sentenza n. 3111/2019 di questo Consiglio, dovendosi ritenere irrilevante la mancanza di un’autorizzazione generale in quanto il principio della sentenza da applicare anche al caso di specie era quello relativo ai limiti della responsabilità della capogruppo.
9.3. Il motivo è infondato per le ragioni di seguito esposte.
9.4. La disposizione di cui all’art. 21, comma 5, del D.Lgs. n. 261/1999 (applicata nel caso di specie) prevede che “ Chiunque espleti servizi al di fuori dell'ambito del servizio universale senza aver prodotto la dichiarazione o senza attendere, laddove previsto, il prescritto periodo di tempo è punito con sanzione pecuniaria amministrativa da cinquemila euro a centocinquantamila euro ”. Pertanto, la condotta di cui agli artt. 6 del D.Lgs. n. 261/1999 e 8 del “ Regolamento in materia di titoli abilitativi per l’offerta al pubblico di servizi postali ” risulta suscettibile di una sanzione ricompresa tra euro cinquemila e euro centocinquantamila.
9.5. Nel caso si specie, la sanzione applicata dall’Autorità è stata pari a complessivi 115.000,00, di cui euro 15.000,00 per aver svolto Sistema Italia attività postale in assenza di titolo abilitativo, e euro 5.000,00, per ognuna delle venti Regioni ove operato i vari soggetti affiliati. L’Autorità ha, quindi, distinto, formalmente le sanzioni irrogate sebbene sia le previsioni violate che la disposizione sanzionatoria siano uniche. A sostegno di questa suddivisione formale e della complessiva sanzione l’Autorità ha svolto diffuse considerazioni sul ruolo di Sistema Italia 93 nell’ambito della rete di franchising . Queste segmenti della motivazione del provvedimento, pur presentando qualche elemento di ambiguità, non tracimano nelle illegittimità dedotte dalla parte. Infatti, la diversificazione anche sanzionatoria tra la condotta consistente nello svolgimento di attività postale senza autorizzazione e l’affidamento di tali servizi a vari operatori nelle venti Regioni italiani non configura, invero, né una responsabilità oggettiva per omesso controllo, né una responsabilità per fatto altrui. Il dato sostanziale che l’Autorità ha inteso sanzionare consiste, infatti, nell’unica condotta di svolgimento dell’attività postale senza autorizzazione, la cui gravità è stata amplificata dalla creazione di una rete composta da 520 affiliati. Ora, è evidente come l’imputazione di una responsabilità per omesso controllo o per fatto altrui avrebbe imposto all’Autorità di muovere un numero di contestazioni pari al numero degli affiliati. Laddove si fosse realizzata una simile ipotesi sarebbe stato corretto qualificare la sanzione come espressione di una responsabilità per omesso controllo del singolo affiliato o per fatto dell’affiliato. Al contrario, la sanzione complessiva è parametrata non sulla condotta dei singoli affiliati ma sull’estensione territoriale della rete, prendendo come punto di riferimento le venti Regioni italiane ove i punti Mail Boxes sono presenti. Da tale considerazioni emerge come la condotta che si è intesa propriamente sanzionare è una condotta propria e unitariamente apprezzabile della Società, consistente nell’omessa acquisizione di un’autorizzazione, e, quindi, nello svolgimento di servizi postali senza il titolo abilitativo, resa particolarmente grave dalla rete mediante la quale tali servizi sono stati offerti. In sostanza, i riferimenti al potere di controllo e direzione della Società sulle affiliate non si sono, invero, tradotti nell’abiura del modello contrattuale (il franchising ) prescelto per i rapporti con le affiliate (considerato anche che le contestazioni dell’Autorità non sono addivenute ad una diversa qualificazione dei rapporti negoziali, ipotizzando, ad esempio, il ricorrere di una concessione di vendita) o nell’affermazione di una integrale assenza di soggettività giuridica e/o autonomia dei vari affiliati, quanto nella constatazione del ruolo che la rete creata ha assunto per l’espletamento di servizi postali senza autorizzazione, rendendo, quindi, più grave la condotta contestata e costituendo, in ultima analisi, il punto di riferimento per la dosiometria sanzionatoria di una responsabilità per fatto proprio dell’impresa. In ragione delle considerazioni svolte, risultano, quindi, non rilevanti i precedenti giurisprudenziali citati da parte appellante, che si sono incentrate sul sistema di controllo e direzione e non sul ruolo svolto da una rete come quella esaminata dal Collegio per l’attribuzione della responsabilità e la determinazione della sanzione.
9.6. Le considerazioni svolte sono confermate anche dalla delibera n. 129/2015/CONS, richiamata dall’appellante. Come evidenziato dall’Autorità, tale delibera – al considerandum n. 121 – ha evidenziato che il soggetto licenziatario o autorizzato, all’atto della richiesta del titolo (o anche successivamente) poteva fornire puntuali informazioni sulle “ sedi mandatarie ”, così da consentire alla Società principale – munita di titolo autorizzativo – e alle mandatarie di operare. In sostanza, l’autorizzazione è destinata ad offrire una copertura integrale dei servizi svolti da una Società articolata in sedi secondarie sul territorio nazionale;a questo sistema fondato su un’autorizzazione unica valevole per la Società principale e le mandatarie funge da logico contraltare la sanzione – e la sua relativa modulazione – di cui all’art. 21, comma 5, del D.Lgs. n. 261/1999, che, correttamente, viene parametrata all’entità complessiva della rete di servizi postali qualora difetti un titolo che avrebbe consentito il legittimo svolgimento dei servizi anche da parte di tutte le affiliate.
9.7. In ragione di quanto esposto il motivo deve essere respinto.
10. La Società ha, in ultimo, chiesto la riduzione della sanzione irrogata, che il T.A.R. ha ritenuto congrua.
10.1. Tale istanza deve essere accolta con rimodulazione della sanzione ai sensi dell’art. 134 c.p.a. Osserva, infatti, il Collegio come sia necessario considerare alcuni elementi specifici della vicenda, rilevanti sotto il profilo della gravità della violazione (punto 3.1.1. delle Linee Guida allegate alla delibera n. 265/15/Cons). In particolare, occorre tener conto della condotta del Ministero delle Comunicazioni che, seppur non idonea – come spiegato – a condurre all’annullamento del provvedimento dell’A.G.Com., ha, comunque, ingenerato una situazione di incertezza sulla qualificazione dei servizi svolti dalla Società. Infatti, il Ministero non ha, comunque, concluso il procedimento avviato con la nota del 29.2.2008, e, soprattutto, non ha dato un seguito concreto alla posizione assunta con tale nota, non essendovi – nonostante il lungo tempo trascorso - evidenze in ordine a eventuali indicazioni fornite agli organi di controllo, né a provvedimenti o misure conseguenti. Questa situazione va, quindi, considerata nella determinazione della sanzione, avendo, comunque, inciso nell’errore sulla sussistenza del divieto da parte della Società, pur senza escludere integralmente – come spiegato – una responsabilità della stessa, trattandosi, comunque, di errore non incolpevole, in quanto evitabile con l’ordinaria diligenza ( cfr ., in termini generali, Corte di Cassazione, Sezione II, 29 marzo 2024, n. 8588). Inoltre, deve considerarsi come l’attività della Società e delle affiliate riguarda una sola fase del ciclo delle operazioni postali e non l’intera sequenza. Pertanto, tenendo conto di tali circostanze e considerato che la condotta contestata è – come spiegato nel precedente capo – unitaria e legata ad una responsabilità per fatto proprio, si ritiene di poter ridurre la sanzione complessivamente irrogata – ai sensi dell’art. 134, comma 1, lett. c ), c.p.a. – in euro 60.000,00 (sessantamila/00).
11. Le questioni esaminate e decise esauriscono la disamina dei motivi, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante; cfr ., ex plurimis , Consiglio di Stato, Sez. VI, 2 settembre 2021, n. 6209;Id., 13 settembre 2022, n. 7949), con la conseguenza che gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.
12. Le spese di lite del doppio grado di giudizio possono essere compensate ai sensi degli articoli 26 del codice del processo amministrativo e 92 del codice di procedura civile, come risultante dalla sentenza della Corte Costituzionale 19 aprile 2018, n. 77, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di quest’ultima disposizione nella parte in cui non prevede che il giudice possa compensare le spese tra le parti, parzialmente o per intero, anche qualora sussistano altre analoghe gravi ed eccezionali ragioni, da individuarsi nella peculiarità della vicenda e delle questioni esaminate.