Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2016-03-24, n. 201601225
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N. 01225/2016REG.PROV.COLL.
N. 01964/2011 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1964 del 2011, proposto dalla società B s.p.a., in persona del legale rappresentante in carica, rappresentato e difeso dagli avv.ti M S e T M, con domicilio eletto presso il primo in Roma, viale Parioli, 180;
contro
Regione Abruzzo, in persona del legale rappresentante in carica, rappresentato e difeso per legge dalla Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12, è domiciliato;
nei confronti di
Comune di Roseto degli Abruzzi non costituitosi;
per la riforma
della sentenza del T.a.r. per l’Abruzzo – Sede di L'Aquila - Sezione I, n. 2 del 14 gennaio 2010;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio della Regione Abruzzo;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 4 febbraio 2016 il consigliere F T e uditi per le parti gli avvocati Marchese, Sanino e l'avvocato dello Stato Stigliano Messuti;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Con la sentenza in epigrafe appellata il Tribunale amministrativo regionale dell’Abruzzo – Sede di L’Aquila - ha accolto in parte il ricorso di primo grado corredato da motivi aggiunti proposto dall’odierna parte appellante S.p.A. B per l'annullamento degli atti recanti il diniego dell’approvazione del progetto (presentato in data 5 aprile 1996) volto alla realizzazione di un complesso alberghiero in territorio extraurbano del comune di Roseto in un’area vincolata di grande pregio ambientale e costiero.
1.1. In punto di fatto giova precisare fin da ora quanto segue:
a) il commissario ad acta (nominato dalla Provincia di Teramo in sostituzione dell’ente civico inerte) aveva adottato il piano di lottizzazione convenzionata nella sottozona “F4 Attrezzature ricettive” del piano regolatore generale, con delibera n. 1 del 16 febbraio 2006 e che, di conseguenza, la società B, con istanza del 9.6.06, aveva avviato presso la Regione Abruzzo – Sportello regionale ambientale della direzione Parchi Territorio Ambiente Energia della Giunta regionale - la procedura per la valutazione di impatto ambientale;
b) con nota del 27 febbraio 2007, la predetta direzione aveva comunicato alla società odierna appellante il giudizio di sospensione, formulato dall’apposito Comitato di coordinamento per la VIA nella seduta del 13 febbraio 2007, “ in quanto la sostenibilità ambientale dell’intervento dovrà essere esaminata, in termini più generali, nell’ambito della valutazione del Piano di Assetto Naturalistico in corso di redazione da parte dell’amministrazione comunale, che dovrà provvedervi nei termini dei commi 9, 10.11 art. 69 LR (n. 6) dell’8.2.05 ”;
c) la società ha proposto ricorso innanzi al T.a.r. per l’Abruzzo, evidenziando il carattere illegittimo dell’arresto istruttorio;ottenuta tutela cautelare dal Consiglio di Stato (che, in riforma dell’ordinanza reiettiva del Tar, aveva affermato che appariva “ fondata la domanda volta ad ottenere la conclusione del procedimento di VIA, nel rispetto della sopravvenuta normativa ambientale” - ordinanza n. 388 del 17 luglio 2007), aveva diffidato l’Amministrazione a provvedere;
d) il Comitato di coordinamento, in ottemperanza al dictum cautelare predetto, nella seduta del 22 gennaio 2008, ha chiuso il procedimento con esito negativo, rilevando che l’iniziativa in questione era ormai preclusa, in virtù dello ius superveniens di cui all’art. 33 comma 4 della L.R. 34/2007, entrato in vigore il 6 ottobre 2007, che aveva ulteriormente modificato l’articolo 69 comma 2 della legge regionale 6/2005;in particolare, aveva testualmente osservato il Comitato che tale norma “ definisce… i confini della riserva naturale …. e fa scattare per l’effetto la soppressione della clausola di salvezza (così che) torna il divieto assoluto di realizzare strutture ricettive”.
e) la società impugnava con motivi aggiunti anche tale atto, reiterando la domanda risarcitoria sia per il danno da ritardo, che per la preclusione alla realizzazione dell’intervento;in particolare, faceva presente che l’annullamento e la declaratoria di illegittimità non erano richiesti in funzione del conseguimento del bene della vita, quanto “in ragione dell’illegittimo e tardivo esercizio della funzione amministrativa, al fine di conseguire, anche in ragione dei mezzi dedotti con il ricorso introduttivo, il conseguimento risarcitorio per equivalente” .
1.2. L’impugnata sentenza:
a) ha rilevato che le ragioni poste a base della sospensione valutativa erano state ravvisate nell’esigenza di concentrare l’esame di sostenibilità ambientale dell’intervento in questione all’interno della più generale valutazione del Piano di Assetto Naturalistico, ancora in corso di redazione da parte dell’amministrazione comunale “che dovrà provvedervi nei termini dei commi 9, 10.11 art. 69 LR (n. 6) dell’8.2.05” (capo non impugnato);
b) ammessa la proponibilità dell’impugnativa e rilevato che il provvedimento sospensivo si atteggiava quale “una sorta di misura di salvaguardia connessa all’istituzione in loco della Riserva Naturale” così da imporre – secondo l’autorità procedente - una sospensione dei procedimenti comunque connessi al piano di lottizzazione in itinere, in attesa del Piano di assetto naturalistico ancora in corso di redazione, ha affermato l’illegittimità di tale ultimo atto ai soli fini risarcitori (anche tale capo non è stato impugnato);
c) pronunciando sui motivi aggiunti, ha riqualificato la domanda della società come di accertamento del ritardo illegittimo serbato dalla Regione e l’ha accolta (capo non impugnato);
d) ha escluso che prima dell’entrata in vigore dello ius superveniens la società abbia dato prova della spettanza del bene della vita (ovvero il diritto a realizzare l’infrastruttura turistica) ed ha ritenuto che si verta in una ipotesi di danno da perdita di chance a sua volta ricomprensivo della categoria dei danni da ritardo (anche tale capo non è stato impugnato);
e) circa la quantificazione del danno ha stabilito che poteva senz’altro presumersi un riverbero negativo sugli interessi economici del ricorrente a causa del portamento dilatorio dell’amministrazione;la misura del danno è stata determinata in via equitativa, ex art. 1226 c.c., nella misura di euro 15.000,00: per stessa ammissione della società, infatti, i ritardi connessi alla fase procedimentale gestita dal Comitato di coordinamento (a seguito di istanza di VIA del 9.6.2006) rappresentavano una componente minoritaria e comunque solo parziale dei più ampi ritardi amministrativi che avrebbero trovato origine dal lontano 5 aprile 1996 (data di presentazione della dante causa al Comune di Roseto della domanda approvativa del piano di lottizzazione convenzionata, poi sostanzialmente divenuta improcedibile, a seguito della novella legislativa del 2007);nella quantificazione doveva anche tenersi conto della circostanza che - prima dello ius superveniens preclusivo - non era ancora stata accertata la spettanza in capo alla originaria ricorrente di una valutazione positiva sull’impatto ambientale degli insediamenti ricettivi programmati, anche in considerazione dell’elevata protezione paesaggistica del territorio civico in questione;doveva, altresì, tenersi conto, però, della circostanza che gli organi regionali – nel loro lungo iter di infruttuosa gestione della pratica - non avevano evidenziato alcun concreto motivo ostativo verso una positiva valutazione (in disparte la nota regionale del 21 agosto 2006 con cui erano state trasmesse delle osservazioni formulate da enti pubblici, comitati civici ed associazioni ambientaliste, poi prontamente controdedotte dalla società fin dal 20 settembre 2006 - senza alcuna ulteriore contestazione);
f) ha compensato integralmente le spese di lite.
2. La società B ha proposto una articolata critica alla sentenza in epigrafe, chiedendo la riforma dell’appellata decisione in quanto quest’ultima, nella sostanza, aveva liquidato una somma ridicolmente modesta.
2.1. Con il primo mezzo (pagine da 17 a 23), ha evidenziato che tale contenuta liquidazione del danno si era fondata su due errate asserzioni:
a) concorrenza di ritardi da parte del Comune, e non esclusiva responsabilità della Regione;
b) non certa spettanza del bene della vita, pur a fronte della circostanza che la Regione non aveva mai sollevato alcun elemento ostativo (diverso ed ulteriore rispetto a quelli poi dichiarati illegittimi giudizialmente).
2.2. Con il secondo mezzo (pagine 23 – 26) ha posto in luce che il T.a.r. non aveva valutato la documentazione prodotta in giudizio e, in particolare, la perizia di parte nell’ambito della quale il danno era stato stimato in € 20.500.000.
2.3. Con il terzo mezzo (pagine 26 – 27) ha censurato la decisione nella parte in cui ha integralmente compensato le spese di lite.
3. Si è costituita la Regione Abruzzo concludendo per l’infondatezza del gravame in fatto e diritto.
4. Alla camera di consiglio del 22 ottobre 2012 la domanda di sospensione della esecutività della gravata decisione è stata rinviata al merito.
5. Alla pubblica udienza del 18 marzo 2014 la causa è stata posta in decisione dal Collegio ed è stata resa l’ordinanza collegiale n. 1770 dell’11 aprile 2014, da intendersi integralmente richiamata e trascritta in questa sede, nell’ambito della quale sono stati disposti gli incombenti istruttori ivi contemplati e si è chiarita la ratio dei medesimi.
6. All’ udienza pubblica del 21 ottobre 2014 la causa è stata posta in decisione dal Collegio che, con ordinanza n. 5204/2014, ha accolto la richiesta di proroga del deposito della relazione di verificazione fissando un nuovo termine per l’adempimento.
7. La relazione di verificazione è stata depositata in data 20 marzo 2015.
8. Parte appellante ha depositato il 22 luglio 2015 una articolata e completa memoria, nell’ambito della quale:
a) ha sintetizzato l’esito della verificazione, facendo presente, da un lato, che il complesso e completo lavoro di ricostruzione del contesto in cui ebbe a maturare la censurata attività amministrativa consentiva di affermare che il progetto proposto da B sarebbe stato certamente assentito;dall’altro, che era rimasta definitivamente accertata, ed era quindi fuori discussione, la circostanza che essa aveva tenuto un comportamento processuale improntato a diligenza e prontezza, tempestivamente attivandosi per contestare le condotte dilatorie delle Amministrazioni;
b) ha ricusato il “passaggio” della ordinanza collegiale n. 1770 del 2014 nell’ambito della quale – riepilogandosi lo stato del contenzioso – si era fatto presente che nessuna domanda era stata proposta dall’appellante nei confronti del Comune, e non era stato gravato il capo della sentenza di primo grado ove si era affermato che “Ritiene il collegio che sussistono i presupposti per il riconoscimento del danno da ritardo nei sensi e nei limiti di seguito puntualizzati, con l’ovvia precisazione che rilevano nella presente sede le sole fasi procedimentali di competenza della Regione e del suo comitato per la VIA, senza pertinenza delle pregresse vicende (sulle quali pure la ricorrente si è particolarmente diffusa) che ineriscono alle lamentate inerzie del Comune di Roseto sulla domanda di lottizzazione del 5.4.1996.” ;
c) richiamata l’efficacia meramente interinale delle ordinanze collegiali istruttorie (artt. 177 commi 1 e 2 c.p.c., art. 39 c.p.a.), ha sostenuto di avere gravato il relativo capo di sentenza, ed ha fatto presente che in virtù dell’art. 2055 c.c. la Regione doveva essere condannata, in via solidale, a risarcire l’intero danno cagionato, salvo suo regresso nei confronti del Comune, ed ha fatto presente che – a suo avviso- in ogni caso la responsabilità ricadeva quasi esclusivamente a carico della Regione;
d) ha quantificato il risarcimento danno dovuto, facendo presente che esso si componeva di due voci:
I) deprezzamento del fondo di propria pertinenza a seguito della imposizione dei vincoli sull’area;
II) mancato guadagno scaturente dall’omesso assentimento del progetto da essa presentato.
Quanto a tale ultimo profilo, ha fatto presente (richiamando relazioni di consulenza di parte versate in atti) che un dato utile per la determinazione del danno risarcibile poteva ricavarsi compulsando i guadagni percepiti dall’appellante società dalla gestione di un villaggio turistico simile, per tipologia, a quello che sarebbe stato realizzato, ove il progetto fosse stato assentito;
e) ha fatto presente che il margine operativo lordo di un villaggio simile era stato pari ad euro 15.000.000 ed ha concluso chiedendo una liquidazione del danno non inferiore ad Euro 20.500.000//00.
9. Alla pubblica udienza del 22 settembre 2015 la causa è stata rinviata a cagione della incompatibilità di un componente del Collegio.
10. Alla odierna pubblica udienza del 4 febbraio 2016 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. Viene alla decisione del Collegio l’ultimo segmento dell’appello in epigrafe.
1.1. Si rammenta che con la ordinanza collegiale n. 1770 del 2014, da intendersi integralmente richiamata e trascritta in questa sede, si è chiarito il motivo per cui il Collegio ha ritenuto che la causa non fosse matura per la decisione, ed è stato altresì puntualizzato quali fossero i capi di sentenza passati in giudicato in ordine ai quali era precluso ogni eventuale accertamento ulteriore da parte del Collegio.
Consolidati principi processuali (tra i quali il divieto di reformatio in peius , laddove si tenga presente che la sentenza non è stata appellata da alcuna parte pubblica, ma unicamente dalla originaria ricorrente, ed esclusivamente in punto di commisurazione del danno risarcibile), impongono di non rimettere in discussione l’ an della responsabilità risarcitoria e di non liquidare a parte appellante un compendio risarcitorio inferiore a quello riconosciuto dal T.a.r.
1.2. La materia del contendere si esaurisce, quindi, unicamente, nella risposta al seguente quesito: “quanto spetta a parte appellante a titolo di risarcimento del danno?”.
1.3. I quesiti oggetto della disposta verificazione tendevano ad accertare l’assentibilità – o meno – dell’insediamento turistico, alla stregua del quadro normativo previgente, e, quindi, la realizzabilità del relativo progettato, laddove l’Amministrazione con atti illegittimi ciò non avesse ostacolato.
1.4. Ciò premesso, la verificazione (depositata successivamente alla proroga dei termini accordata con ordinanza n. 5204 del 2014), ha assodato, nella sostanza, che:
a) l’intervento progettato e teso alla realizzazione di un complesso alberghiero in area extraurbana del Comune di Roseto degli Abruzzi era corredato da tutta la indispensabile documentazione tecnica;
b) il progetto era in astratto pienamente assentibile sino al 2007 e prima dello jus superveniens a condizione che fossero implementate alcune prescrizioni (molte delle quali indicate in forma ordinatoria nel progetto presentato) in sede di progettazione esecutiva;
c) vi erano alcune criticità legate al fatto che il progetto insisteva su area vincolata, evidenziate nelle numerose osservazioni presentate da associazioni ambientaliste e dal comune di Roseto degli Abruzzi, ma che le stesse non erano ex se ostative alla realizzazione del progetto medesimo.
2. Deve adesso essere esaminata la richiesta di liquidazione del danno.
2.1.Come avvertito in premessa, le statuizioni contenute nella sentenza di primo grado (che avevano indotto il T.a.r. ad assegnare all’appellante la somma di Euro 15.000 a titolo di risarcimento) ed avversate da parte appellante erano state le seguenti:
a) concorrenza di ritardi da parte del Comune, e non esclusiva responsabilità della Regione;
b) non certa spettanza del bene della vita, pur a fronte della circostanza che la Regione non aveva mai sollevato alcun elemento ostativo (diverso ed ulteriore rispetto a quelli poi dichiarati illegittimi giudizialmente).
2.2. La prima statuizione, come già rilevato nella ricostruzione in fatto, non integra cosa giudicata.
2.2.1. La seconda, costituiva l’oggetto dell’ accertamento demandato alla disposta verificazione, nel senso che di seguito si dirà.
3. Quanto alla prima problematica parte appellante (nello svolgere, con la memoria conclusionale, corrette ed incontestabili considerazioni processuali in punto di efficacia solo interinale della ordinanza collegiale, e di revocabilità e modificabilità della medesima) sostiene che:
a) essa ha gravato il capo della sentenza di primo grado ove il Tar ha affermato che “in tale quantificazione viene per l’appunto considerato che, per stessa ammissione della ricorrente, i ritardi connessi alla fase procedimentale gestita dal Comitato di coordinamento (a seguito di istanza di VIA del 9.6.2006) rappresentano una componente minoritaria e comunque solo parziale dei più ampi ritardi amministrativi che avrebbero trovato origine dal lontano 5 aprile 1996, data di presentazione della dante causa al comune di Roseto della domanda approvativa del piano di lottizzazione convenzionata, poi sostanzialmente divenuta improcedibile, a seguito della novella legislativa del 2007.” ;
b) che quanto al segmento procedimentale successivo al 2006 la responsabilità doveva ricadere interamente (ed esclusivamente) sulla Regione;
c) che se anche si fosse individuata una responsabilità concorrente del Comune questa sarebbe stata minoritaria;
d) e che in ogni caso, stante la unicità del fatto produttivo di illecito ex art. 2055 c.c. la Regione doveva essere condannata per l’intero, salvo suo regresso nei confronti del Comune.
3.1. Il Collegio condivide le considerazioni appellatorie in punto di non attitudine al passaggio in giudicato di affermazioni incidentali contenute nella ordinanza istruttoria, e ritiene che le puntuali osservazioni di parte appellante meritino partita risposta nella motivazione della presente sentenza.
3.2. Ciò premesso, il Collegio conosce e condivide la giurisprudenza citata da parte appellante (Consiglio di Stato Sez. IV n. 4786 del 2001;Sez. VI n. 5279 del 2012 e giurisprudenza successiva).
Il principio affermato dalla citata decisione n. 4786 è tranchant , e non è in discussione senonchè, sotto un primo profilo, ciò può avvenire – per pacifici ed incontestati principi di natura processuale – soltanto allorché le due (o più ) parti pubbliche o private destinatarie della domanda risarcitoria siano state intimate e messe in condizione di difendersi nel corso del processo di cognizione e laddove nei loro confronti sia stata articolata la corrispondente domanda.
3.2.1. Vi sono però, nell’odierno giudizio, due rilevanti specificità che consentono di affermare che la pretesa di parte appellante non sia accoglibile.
3.2.2. Si osserva innanzitutto che nell’odierno giudizio, né in primo grado, né in appello, è stato presente il Comune di Roseto degli Abruzzi;e soprattutto che nei confronti del medesimo neppure in primo grado (vedasi epigrafe del ricorso al T.a.r.) è stata articolata alcuna domanda meno che mai risarcitoria.
L’invocazione della norma sancita dal precitato art. 2055 c.c. , inoltre, è stata formulata per la prima volta in sede di memoria difensiva nel presente grado di appello.
Nella data situazione, affermare la responsabilità comunque solidale della Regione, e condannarla eventualmente per l’intero, violerebbe i principi processuali ex art. 112 c.p.c., sul giudicato e sulla natura meramente illustrativa delle memorie conclusionali;inoltre la Regione non potrebbe utilizzare la sentenza per rivalersi nei confronti del comune, ed esercitare il regresso.
3.2.3. Alla stregua di ciò, si ribadisce che:
a) parte appellante iniziò il giudizio di primo grado – e, per quel che serve, l’odierno appello - impostando la propria pretesa risarcitoria sul convincimento che unica responsabile dell’illecito fosse stata la Regione, tanto da non proporre alcuna domanda nei confronti del Comune;
b) unicamente nei confronti della Regione ha proposto la domanda, ed in tale ottica ha (non già espressamente censurato la sentenza di primo grado ma), ribadito, anche in appello, il convincimento che la Regione fosse l’unica responsabile;
c) ove il Collegio acceda a diverso convincimento, non potrebbe “comunque” condannare la Regione per l’intero ex art. 2055 c.c. perché mancherebbe il presupposto processuale (articolazione di domanda nei confronti dell’altro “responsabile”, accertamento della condotta quantomeno colposa di questi, ecc. ecc.) per disporre in tale senso, e perché una tale pretesa non è contenuta neppure nell’atto di appello ma in memoria, e quindi inammissibile;
d) semmai, poi, l’appellante, giovandosi eventualmente come principio di prova delle affermazioni contenute nella sentenza di primo grado ed eventualmente in quella di appello che ipotizzassero una concorrente responsabilità del Comune, potrebbe agire nei confronti di questultimo ente, ove ne ricorrano le condizioni processuali e sostanziali (prima fra tutte l’avere interrotto la prescrizione nei suoi confronti, circostanza che, allo stato, per altro non risulta dagli atti di causa).
3.3. Muovendo da tale punto di partenza, il Collegio evidenzia l’inaccoglibilità della tesi sostenuta dalla società B.
3.3.1. Il Collegio, infatti, è convinto della fondatezza dell’intuizione del Tar, in parte qua.
3.3.2. Invero va puntualizzato che il procedimento diretto all’assentimento del progetto per cui è causa, inizia nel 1996.
E’ pacifico ed incontestato tra le parti infatti che in data 5 aprile 1996 la dante causa della soc. B chiese di essere ammessa a realizzare un complesso alberghiero in territorio extraurbano del comune di Roseto degli Abruzzi.
Il Comune rimase inerte.
Il commissario ad acta nominato dalla Provincia di Teramo in sostituzione dell’ente civico inerte adottò il piano di lottizzazione convenzionata nella sottozona “F4 Attrezzature ricettive” del piano regolatore generale, con delibera n. 1 del 16 febbraio 2006.
Durante il segmento temporale 1996-2006 non v’è alcun elemento che militi in favore del riconoscimento di una responsabilità della Regione: essa non era minimamente coinvolta nella procedura autorizzativa.
Né l’appellante nulla ha prospettato in tale senso.
E’ poi pacifico che la società B, con istanza del 9.6.06, avviò presso la Regione Abruzzo – Sportello regionale ambientale della direzione Parchi Territorio Ambiente Energia della Giunta regionale - la procedura per la valutazione di impatto ambientale.
V’è altresì concordia nel ritenere corretto che la definitiva preclusione alla realizzazione dell’intervento discende dallo ius superveniens di cui all’art. 33 comma 4 della L.R. 34/2007, entrata in vigore il 6 ottobre 2007, che ha ulteriormente modificato l’articolo 69 comma 2 della legge regionale 6/2005.
4. Passando alla quantificazione della responsabilità della Regione, considerato che l’arco temporale del ritardo nel provvedere (e/o nel provvedere legittimamente) muove dalla data del 9.6.1996 e culmina nell’ottobre 2007 (data di definitiva impossibilità di realizzazione dell’intervento) e che il comune ( rectius: il commissario ad acta nominato dalla Provincia di Teramo in sostituzione dell’ente civico inerte) adottò il piano di lottizzazione convenzionata nella sottozona “F4 Attrezzature ricettive” del piano regolatore generale, con delibera n. 1 del 16 febbraio 2006, dell’efficienza causale di tale arco temporale nella produzione del danno non può essere chiamata a rispondere la Regione.
Tenuto conto dei tempi fisiologici di adozione del piano di lottizzazione, può ipotizzarsi che esso dovesse essere tempestivamente reso nel febbraio 1997 (la domanda della dante causa è datata, si ripete, 9.6.1996).
Il ritardo “comunale” (o, se si vuole, il segmento temporale durante il quale l’intervento non viene assentito a cagione della condotta di Enti diversi dalla Regione, ed in relazione al quale non si rinviene alcuna compartecipazione causale di quest’ultima) ammonterebbe quindi a 9 anni: 108 mesi.
La Regione viene adita, con istanza del 9.6.06;l’intervento divenne impossibile nell’ottobre 2007.
Tenuto conto dei tempi fisiologici per una positiva risposta tempestiva si può affermare che la stessa sia incorsa in un contributo causale al ritardo di 12 mesi.
Se ne deve concludere che la causalità nel ritardo che rese poi impossibile l’effettuazione dell’ambito intervento ascrivibile alla Regione sia pari ad un decimo dell’intero e che, quindi, essa non possa essere condannata che in ragione di un decimo dell’importo del danno complessivo arrecato.
4.1. Pertanto, il Collegio ritiene di dovere procedere nel seguente modo:
accertata in primo luogo -nei termini che precedono- quale sia stata la percentuale cui ha causalmente concorso la condotta della (unica intimata) Regione nella determinazione del danno, si dovrà quantificare l’ importo complessivo del danno risarcibile e la Regione –per quanto prima chiarito -dovrà essere condannata a risarcire unicamente la percentuale alla stessa direttamente “imputabile” sotto il profilo eziologico.
4.2.Quanto a tale delicata problematica, si ribadisce che l’appellante ha chiesto una liquidazione del danno non inferiore ad Euro 20.500.000//00.
4.3. Per quanto si è finora chiarito, il dato di partenza sul quale incentrare la disamina è quello per cui –dando credito integralmente alla domanda dell’appellante – la cifra di partenza sia quella di Euro 2.050.000//00 ( id est: la porzione, pari ad un decimo, del danno complessivo, in quanto questa sola è causalmente ricollegabile alla condotta della evocata Regione.
4.4. Anche tale importo, tuttavia, non può essere riconosciuto per intero all’appellante, in quanto esso viola il giudicato formatosi, e muove dalla non condivisibile individuazione di poste “reddituali” che partono dal presupposto che l’intervento infrastrutturale sarebbe stato certamente eseguito.
4.4.1. Tale presupposto però, è fallace per più ragioni.
4.4.2. In primo luogo, l’appellante non ha censurato il capo della sentenza di primo grado che ha così statuito doversi applicare in materia i principii propri del danno da chance (“trattasi in buona sostanza di un danno da ritardo che ha determinato l’arresto irreversibile di un procedimento ancora sub iudice, seppure con fondate e qualificate possibilità di successo;ne consegue l’applicabilità al regime risarcitorio in esame anche dei principi propri del danno da chance, peraltro rinforzato e qualificato da concrete prospettive di accoglimento della domanda divenuta improcedibile ”);
4.4.3. Secondariamente, la verificazione ha accertato che l’intervento sarebbe stato assentibile;ciò armonicamente con la formulazione del quesito di cui all’ordinanza collegiale della Sezione n. 1770/2014 a più riprese richiamata (così, testualmente la formulazione del quesito, volto ad accertare se “il progetto presentato dalla odierna appellante e volto alla realizzazione di un complesso alberghiero in territorio extraurbano del comune di Roseto degli Abruzzi sarebbe stato, o meno, assentibile anche sotto il profilo della sostenibilità ambientale del medesimo ”).
Ma sia nello specifico (esso doveva eseguirsi in area di pregio, era fortemente avversato da associazioni ambientaliste, ecc. ecc.) che sotto un profilo più generale, deve tenersi conto dei consolidati principi affermati dalla giurisprudenza in punto di caratteristica della V.i.a., per cui non può dirsi che esso sarebbe stato certamente realizzato, siccome parrebbe pretendere parte appellante.
Si è esattamente e condivisibilmente rilevato in proposito (Consiglio di Stato, Sez. V, 2 ottobre 2014;Sez. IV, 22 gennaio 2013, n. 361;Sez. V, 31 maggio 2012, n. 3254;Sez. V, 5 luglio 2010, n. 4246;Sez. V, 22 giugno 2009, n. 4206; Sez. VI, 17 maggio 2006, n. 2851) che, alla stregua dei principi comunitari e nazionali oltre che delle sue stesse peculiari finalità, la valutazione di impatto ambientale non si sostanzia in una mera verifica di natura tecnica circa la astratta compatibilità ambientale dell'opera, ma implica una complessa e approfondita analisi comparativa tesa a valutare il sacrificio ambientale imposto rispetto all'utilità socio - economica, tenuto conto anche delle alternative possibili e dei riflessi sulla stessa c.d. opzione – zero.
Ed è espressione della ampia discrezionalità che la legge ha attribuito in materia all'amministrazione regionale, di guisa che essa potrebbe avere esito negativo anche in assenza di diretto contrasto dell’opera progettata con puntuali prescrizioni urbanistiche, vincoli di salvaguardia, etc.
4.4.4. Attenendosi quindi ai suindicati principi, va evidenziato come non sia certo che l’appellante avrebbe realizzato il manufatto in oggetto;esso era assentibile (tale è l’univoco risultato della verificazione, che non si intende revocare in dubbio) e deve affermarsi che v’era la probabilità qualificata che poteva essere realizzato (arg. ex Consiglio di Stato, sez. V, 22 settembre 2015, n. 4431).
4.4.5.Non può invece sostenersi che sarebbe stato certamente realizzato, come parte appellante parrebbe pretendere.
4.5. Deve quindi ( ex aliis Consiglio di Stato, sez. V, 30/06/2015, n. 3249) positivamente procedersi alla determinazione del danno risarcibile, in termini di chance : come affermato dal T.a.r.;come rimasto regiudicato; come ribadito dal Collegio (vedasi anche la formulazione del quesito rivolto al verificatore);e come si desume dai pacifici principi prima richiamati in punto di V.i.a..
Come è noto, in simili casi è ammissibile che il danno arrecato, qualificato in termini di chance vada risarcito ricorrendo ad una determinazione equitativa ex art. 1226 del codice civile, e non è mai consentita, invece alcuna liquidazione del c.d. “interesse positivo” ( ex aliis Consiglio di Stato, sez. VI, 1/02/2013, n. 633).
4.5.1. Tenuto conto che nulla può imputarsi a parte appellante in termini di concorso colposo ex art. 1227 c.c., il danno arrecato dalla Regione va quantificato equitativamente in € 150.000, somma questa che appare comprensiva sia delle spese procedimentali (progetto presentato, etc) , che del danno discendente dalla circostanza che per il torno di tempo in cui ancora aspirava alla possibile realizzazione del progetto, essa avrebbe potuto meglio impiegare le risorse presumibilmente rimaste a disposizione in vista della possibile realizzazione dell’intervento.
4.5.2. A tale determinazione, si perviene, conclusivamente, nel seguente modo: si reputa inaccoglibile la quantificazione prospettata dalla parte appellante, in quanto relativa a danni postulanti la certa realizzazione del villaggio turistico;ex art. 1226 c.c. invece, la chance di realizzazione viene quantificata in complessivi Euro 1.500.000//00.
La decima parte di tale danno, gravante etiologicamente sulla Regione, per quanto si è prima chiarito, è quindi pari ad Euro 150.000//00).
4.6. Quanto al motivo di appello in punto di spese processuali, esso è improcedibile, in quanto assorbito dall’accoglimento parziale dell’appello, e dalla statuizione in punto di spese del doppio grado di giudizio contenuta nella presente decisione.
5. Le questioni appena vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante, ex plurimis , per le affermazioni più risalenti, Cassazione civile, sez. II, 22 marzo 1995 n. 3260 e, per quelle più recenti, Cassazione civile, Sez. V, 16 maggio 2012 n. 7663).
5.1.Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.
6. Conclusivamente, l’appello va parzialmente accolto, ed in parziale riforma della gravata decisione, la Regione deve essere condannata al risarcimento del danno in favore di parte appellante, nella misura complessivamente quantificata in € 150.000 (Euro centocinquantamila).
Su tale somma, e sino alla effettiva liquidazione, saranno dovuti gli interessi legali.
7. Le spese processuali del doppio grado di giudizio, ivi incluse quelle della c.t.p., regolamentate secondo l’ordinario criterio della soccombenza, sono liquidate in dispositivo tenuto conto dei parametri stabiliti dal regolamento 10 marzo 2014, n. 55.
7.1. Le spese di verificazione seguono parimenti la soccombenza, come peraltro già statuito nella ordinanza collegiale n. 1770 del 2014 .
Il Collegio – preso atto dell'assenza di contestazioni in ordine alla nota spese prodotta dai verificatori nonché dell’allegazione delle eventuali tariffe approvate dall’Amministrazione di appartenenza ai sensi dell’art. 66, co. 4, c.p.a. - procede direttamente, con la presente pronuncia, alla liquidazione del compenso.
Militano a supporto di tale scelta le seguenti considerazioni (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, n. 533 del 2015;Sez. V, n. 401 del 2014):
I) evidenti ragioni di economia processuale;
II) il provvedimento collegiale assunto con la forma della sentenza assicura maggior garanzia rispetto al decreto presidenziale monocratico ed offre una più incisiva tutela dell'interesse dei verificatori e delle parti che possono fruire, da subito, della piena cognizione collegiale sul punto.
Tali competenze possono essere quindi quantificate - tenuto conto della complessità dell’operato, della molteplicità di elementi da esaminare, della durata della attività, della nota spese sopra indicata, nonché dei parametri di cui al regolamento n. 140 del 2012, ma senza la maggiorazione dovuta per le prestazioni di eccezionale difficoltà - in complessivi Euro quarantamila (€40.000//00), oltre oneri accessori se dovuti, e parimenti devono essere corrisposte dalla appellata Regione, che provvederà quindi a corrispondere ai due verificatori la residua somma di Euro trentasettemila (€37.000//00) da dividersi in parti uguali, rifondendo all’appellante la somma di Euro tremila (€3000/00) da questa anticipata, siccome disposto nella menzionata ordinanza collegiale n. 1770 del 2014.