Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2023-02-15, n. 202301578

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2023-02-15, n. 202301578
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202301578
Data del deposito : 15 febbraio 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 15/02/2023

N. 01578/2023REG.PROV.COLL.

N. 08663/2016 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8663 del 2016, proposto da
F Irrigazioni S.r.l. in liquidazione, in persona del Legale rappresentante pro tempore e Pietro F, rappresentati e difesi dall’Avvocato L T, con domicilio eletto presso il suo studio, in Roma, via G. Ferrari n. 11;

contro

Ministero per i Beni e le Attività Culturali, in persona del Ministro pro tempore , rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato presso la quale è ex lege domiciliato, in Roma, via dei Portoghesi n. 12;
Roma Capitale, in persona del Sindaco pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocato Andrea Magnanelli, con domicilio eletto in Roma, via del Tempio di Giove n. 21;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda) n. 04861/2016, resa tra le parti;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e di Roma Capitale;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 gennaio 2023 il Cons. Marco Poppi e uditi per le parti gli Avvocati presenti come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

I manufatti oggetto del presente giudizio (di proprietà dell’appellante F Pietro e concessi in affitto alla Società F Irrigazioni) incisi dal provvedimento impugnato in primo grado, insistono su una più vasta area, di estensione pari a 20 ettari, interessata in passato (1953) dal ritrovamento di importanti reperti archeologici (370 tombe) databili in un arco di tempo compreso l’VIII ed il VII secolo a.C..

L’area veniva sottoposta a vincolo di tutela diretta ai sensi della L. n. 1089/1939 con D.M. 19 settembre 1997.

L’interesse archeologico dell’area era, tuttavia, noto all’appellante in epoca precedente alla formale apposizione del vincolo avendo la Soprintendenza, già negli anni ottanta:

- diffidato l’appellante dall’eseguire lavori di alcun tipo senza ottenerne il previo nulla osta;

- espresso parere favorevole alla realizzazione di una struttura mobile da adibire a serra prescrivendo che la recinzione del lotto di proprietà dovesse rimanere esterna ad un tumulo monumentale ivi rinvenuto e distante dallo stesso almeno cinque metri in modo da consentire la prosecuzione della avviata campagna di scavo;

- concesso il nulla osta alla realizzazione della serra prescrivendo di spostare la recinzione seguendo il tracciato approvato e riservandosi il completamento di sondaggi di scavo in tutto il lotto di proprietà;

- espresso parere favorevole all’esecuzione di lavori per favorire l’acceso alla serra « fermo restando il vincolo di rispetto all’area del Tumulo e l’obbligo di concordare … eventuali movimenti di terra o piantumazione nell’area restante non ancora esplorata ».

Ciò nonostante, l’appellante trasformava la serra assentita in un capannone in muratura della superficie di circa mq. 139 nei pressi del quale veniva edificato un ulteriore manufatto di superficie pari a mq 34,78.

Relativamente a detti manufatti, entrambi destinati ad uso commerciale, veniva presentata domanda di condono ai sensi della legge n.724/1994 in merito alla quale la Soprintendenza si esprimeva il 13 novembre 2002 in senso favorevole con riferimento al capannone ex serra e negativamente in relazione all’ulteriore manufatto ritenuto essere incompatibile con il vincolo.

Il provvedimento veniva impugnato innanzi al T Lazio con ricorso iscritto al n. 1155/2003 lamentando, in estrema sintesi, l’inapplicabilità del vincolo in quanto sopravenuto alla realizzazione del manufatto e l’irragionevolezza del differente trattamento riservato ai due fabbricati.

Il T respingeva il ricorso con sentenza n. 4861 del 28 aprile 2016 ritenendo che l’amministrazione si fosse correttamente determinata in merito all’istanza valutando l’esistenza del vincolo alla data di espressione del parere restando irrilevante la data di realizzazione dell’abuso.

Parte appellante impugnava la sentenza di primo grado con appello depositato il 16 novembre 2016 deducendo:

I. « Error in iudicando. Difetto di motivazione, illogicità e contraddittorietà della sentenza appellata. Violazione del principio tempus regit actum. Violazione e falsa applicazione dell’art. 32 della L. 28/2/85 n. 47, e dell’art 39 L. 724/94, in relazione all’art. 33 legge 47/85 e alla L. 1089/39. Eccesso di potere per errore e falsità di presupposti » allegando, in ragione della sopravvenienza del vincolo all’abuso, l’illegittimità della richiesta, da parte del Comune, del parere della Soprintendenza, non previsto dalla disciplina di condono né dall’art. 32 della L. n. 47/1985 nel testo ratione temporis vigente;

II. « Error in iudicando. Illogicità e contraddittorietà della sentenza appellata. Violazione e falsa applicazione dell’art. 31 della L. 28/2/85 n. 47, in relazione all’art. 33 stessa legge e agli artt. 1 e segg. L. 1/6/1939 n. 1089, così come sostituita dal D. leg.vo n. 490/99. Eccesso di potere per errore e falsità di presupposti » allegando, sotto diverso profilo, l’illegittima applicazione del regime vincolistico sopravvenuto;

III. « Error in iudicando. Violazione e falsa applicazione dell’art. 32 della L. 28/2/85 n. 47, in relazione alla L. 1089/39 e al D.M. Ministero Beni Culturali e Ambientali 10/9/97. Eccesso di potere per errore e falsità di presupposti. Difetto di istruttoria e di motivazione. Illogicità e contraddittorietà manifeste » allegando che, contrariamente a quanto ritenuto dall’amministrazione, il manufatto non interferirebbe con la fascia di rispetto del tumulo .

Il Ministero per i beni e le Attività Culturali si costituiva formalmente in giudizio il 19/20 novembre 2016.

Roma Capitale, costituita formalmente in giudizio il 18 novembre 2016, sviluppava le proprie difese con memoria del 7 dicembre 2022 sostenendo che la pluralità di vincoli insistenti sull’area in questione, ulteriori al richiamato D.M. 19 settembre 1997 ( ex art.134 comma 1 lett. b del D. Lgs. n. 42/2004;
P.T.P. ambito 15/5;
L.R. n. 29/1997 istitutiva della Riserva naturale « Decima Malafede »), ancorché successivi alla realizzazione dell’abuso ed alla presentazione dell’istanza di condono, avrebbero imposto la richiesta del parere alla Soprintendenza.

Parte appellante, con memoria del 12 dicembre 2022, insisteva per dell’appello.

Roma Capitale e l’appellante replicavano alle avverse difese con memorie depositate, rispettivamente, il 20 e il 21 dicembre 2022.

All’esito della pubblica udienza del 12 gennaio 2023, l’appello veniva deciso.

Con il primo motivo di appello parte appellante censura la sentenza del T nella parte in cui respingeva i primi due motivi del ricorso di primo grado con i quali si affermava che la sopravvenienza del vincolo, tanto alla realizzazione del manufatto quanto alla L. n. 724/1994 ai sensi della quale veniva richiesto il condono, non avrebbe legittimato la Soprintendenza all’espressione del parere impugnato.

La tesi del T per la quale l’amministrazione dovrebbe pronunciarsi nel rispetto della disciplina vigente al momento dell’esercizio del potere, sconterebbe la mancata considerazione che ai sensi dell’art. 32, comma 3, della L. n. 47/1985, nel testo ratione temporis vigente, il parere dell’autorità preposta alla tutela del vincolo si renderebbe necessario unicamente in presenza di vincoli istituiti prima dell’abuso.

La censura è infondata.

Deve riconoscersi che la questione degli effetti della sopravvenienza del vincolo alla realizzazione dell’opera è stata in passato a lungo dibattuta.

Tuttavia, in merito alla questione è da tempo intervenuta l’Adunanza plenaria stabilendo che eventuali vincolo gravanti sull’area edificata, ancorché sopravvenuti, non possano per ciò solo ritenersi privi di conseguenze sul piano giuridico.

Ne deriva che, in simili ipotesi, sussiste sempre l’onere procedimentale di acquisire l’assenso dell'autorità preposta alla tutela del vincolo previa valutazione della compatibilità dell’intervento con il regime di tutela vigente (Cons. Stato, ad. Plen., 22 luglio 1999 n. 20).

Ciò comporta che l’amministrazione chiamata pronunciarsi in merito ad istanze di condono, debba acquisire il parere dell’autorità preposta alla tutela del vincolo sopravvenuto, che sarà chiamata ad esprimersi in coerenza con il contesto normativo vigente nel momento in cui si esprime (Cons. Stato, Sez. VI, 16 aprile 2015, n.1967).

Sul punto deve riconoscersi come, di recente, la giurisprudenza abbia affermato il principio per il quale « in caso di sopravvenuto regime di inedificabilità dell'area, questo non può considerarsi una condizione ex se preclusiva e insuperabile alla condonabilità degli edifici già realizzati (cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, 17 gennaio 2014, n. 231) », ma ciò non esclude l’obbligo dell’amministrazione di « valutare se vi sia compatibilità tra le esigenze poste a base del vincolo e la permanenza del manufatto abusivo, anche ad esempio in ordine alla salvaguardia della pubblica incolumità Cons. Stato, sez. VI, 3 giugno 2019, n. 3734) » (Cons. Stato, Sez. II, 3 gennaio 2022, n.17) (posizione, peraltro, affermata in appello dalla stessa parte appellante)

Deve, quindi riconoscersi la coerenza della condotta dell’amministrazione che, in presenza di un’istanza di condono riferita ad un fabbricato insistente su area vincolata, acquisiva il parere dell’autorità preposta alla tutela del vincolo, al cui esito non poteva che conformarsi.

Con il secondo motivo, parte appellante reitera, con diverso accento la precedente censura lamentando che, ai sensi dell’art. 33 della L. n. 47/1985, qualora il vincolo apposto dovesse essere inteso come di inedificabilità assoluta, « sarebbe applicabile in sede di condono solo se imposto anteriormente alla commissione dell’abuso ».

A sostegno della censura, evidenzia come la sentenza impugnata riconosca che il vincolo in questione, anche se di inedificabilità assoluta, qualora sopravvenuto, « va considerato relativo in sede di sanatoria, con la conseguenza che la sanabilità dell’opera abusiva va valutata indipendentemente dalla conformità della stessa ai canoni emergenti dal vincolo comunque vigente al momento dell’esame della domanda di sanatoria, per il fatto prevalente che la prescrizione è stata imposta successivamente alla realizzazione dell’intervento » (pag. 11 dell’appello).

In coerenza con tale assunto, il sopravvenire del vincolo trasformerebbe, quindi, il vincolo da assoluto a relativo con la conseguenza che « il parere che dovrà esprimere l’autorità preposta alla tutela del vincolo deve prescindere dal vincolo di inedificabilità assoluta e valutare la compatibilità dell’opera abusiva con il vincolo stesso ai sensi de menzionato art. 32 L. 47/85 » (pag. 12 dell’appello).

La doglianza è infondata.

Le suesposte deduzioni della parte appellante non contraddicono quanto già rilevato in sede di scrutinio del precedente motivo, atteso che, nel caso di specie, l’amministrazione non si esprimeva ritenendo dirimente la sopravvenienza del vincolo ma, investita della questione dall’amministrazione comunale, si esprimeva circa la compatibilità dell’intervento con i valori tutelati esprimendo un giudizio che, come di seguito si esporrà, è immune da vizi.

Con il terzo motivo, parte appellante censura la sentenza nella parte in cui respingeva il terzo motivo con il quale veniva contestato il parere nella parte in cui si fondava sull’erroneo presupposto che la localizzazione de manufatto abusivo ricadesse nell’area di rispetto del tumulo protostorico .

La sentenza sarebbe, quindi, erronea laddove riteneva irrilevante detto profilo affermando che la fascia di rispetto imposta per la recinzione del lotto (5 metri) era funzionale al perfezionamento della procedura di vincolo e sarebbe superata dalla successiva sottoposizione a vincolo, « con nuove e diverse misure », dell’intera area (20 ettari).

Tuttavia, parte appellante, afferma che la fascia di rispetto sul tumulo veniva « prescritta già antecedentemente all’imposizione del vincolo » e che nessun nuova misura sarebbe stata adottata determinando il permanere del preesistente vincolo limitato alla fascia di rispetto.

Viene, ulteriormente censurata la sentenza nella parte in cui afferma che la ricerca con esito negativo di reperti nel sottosuolo del lotto in questione, stante la sua inclusione nella più vasta area interessata agli scavi (come rilevato, 20 ettari) non potrebbe consentire di per sé consentire di « edificare trascurando la straordinaria importanza storico archeologica » del sito.

Sul punto, parte appellante, pur precisando che non intende affermare la libera edificabilità dell’area, ritiene che, in presenza di sondaggi effettuati sul proprio terreno con esito negativo, « la Soprintendenza avrebbe dovuto valutare se il prefabbricato, che osserva l’area di rispetto dal Tumulo e che è localizzato su un’area già esplorata, era o meno compatibile con la tutela del vincolo sopravvenuto ».

Tale motivazione non sarebbe rinvenibile nel provvedimento impugnato supportato con affermazioni di « di stile » ritenute dal T apoditticamente ben illustrate nella Relazione storica allegata al decreto di vincolo.

La cesura è infondata.

Con il parere impugnato la Soprintendenza, esattamente come auspicato dalla parte appellante, si esprimeva in senso sfavorevole sul rilievo che « le caratteristiche del manufatto determinano un uso improprio dell’area monumentale non compatibile con le esigenze di tutela contenute nel vincolo »: giudizio che, avuto riguardo alle già descritte caratteristiche del sito, prescinde dalla posizione del manufatto rispetto al tumulo .

In ogni caso il parere richiama espressamente:

- la nota n. 4237 del 17 aprile 1985 con la quale veniva comunicato all’appellante che il lotto di proprietà « fa parte dell’area archeologica della necropoli protostorica di Castel di Decima di cui questa Amministrazione sta perfezionando il vincolo a norma di legge 1089 del 1/6/1939 » diffidandolo dall’eseguire « recinzioni movimenti di terra, costruzioni anche prefabbricate … che non siano state precedentemente concordate e approvate da questa Soprintendenza »;

- la nota n. 1444 del 21 febbraio 1986 con la quale veniva assentita la sola « realizzazione della struttura mobile da adibire a serra » prescrivendo che la recinzione in rete metallica doveva essere realizzata alla distanza di 5 metri dal tumulo monumentale ;

- la nota n. 15256 del 14 novembre 1987 con la quale confermava l’assenso per la realizzazione della serra;

- la nota n. 366444 del 12 dicembre 2000 con la quale veniva contestato « un uso improprio di parte dell’area monumentale del tumulo protostorico e delle sue strette adiacenze non compatibile con le esigenze di tutela previste dal vincolo » in quanto « adibite a deposito di grossi contenitori colorati di plastica, previa predisposizione di strato di ghiaia bianca », ordinando contestualmente il ripristino dell’area.

I contenuti delle citate note, che in virtù di detto richiamo integrano la motivazione del parere impugnato ( ex multis , Cons. Stato, Sez. V, 3 giugno 2022, n. 4542), sotto un primo profilo, confermano la correttezza della censurata statuizione del T circa la provvisorietà della definizione della fascia di rispetto nelle more della definizione del regime di vincolo dell’area.

Comprovano ulteriormente che in alcun modo potesse considerarsi assentita, a prescindere dalla distanza dal tumolo protostorico , la realizzazione del manufatto prefabbricato.

Priva di pregio è, infine, la contestazione della sentenza impugnata nella parte in cui non riteneva viziante la circostanza che per il più consistente manufatto, insistente sul medesimo lotto ( ex serra ) la Soprintendenza si fosse espressa in senso difforme, superando la questione affermando che le «eventuali erronee valutazioni compiute dall’amministrazione» rimarrebbero «confinate nell’ambito del parere riguardante detto immobile ».

Come evidenziato, il diverso trattamento riservato alla serra trova giustificazione nella circostanza che il manufatto fosse stato espressamente assentito mentre la realizzazione di ulteriori manufatti, anche prefabbricati, era espressamente vietata in difetto di preventivo assenso.

Tutte le questioni vagliate fin qui esauriscono la vicenda sottoposta all’esame della Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell'art. 112 c.p.c. e gli argomenti di doglianza non esaminati espressamente sono stati ritenuti dal Collegio non rilevanti ai fini della decisione e, comunque, inidonei a supportare una conclusione di segno diverso.

Per quanto precede l’appello deve essere respinto.

In ragione della peculiarità della controversia e dell’assenza, all’epoca dei fatti, di un consolidato orientamento giurisprudenziale circa le specifiche questioni oggetto del giudizio, può procedersi alla compensazione delle spese di giudizio fra le parti

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