Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2014-02-10, n. 201400630

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2014-02-10, n. 201400630
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201400630
Data del deposito : 10 febbraio 2014
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 10068/2007 REG.RIC.

N. 00630/2014REG.PROV.COLL.

N. 10068/2007 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 10068 del 2007, proposto da:
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avv. A G e G A, con domicilio eletto presso l’avv. G A in Roma, via G. Ferrari n. 2;

contro

Ministero dell'Interno, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. LAZIO - ROMA: SEZIONE I TER n. 02290/2007, resa tra le parti, concernente decreto di destituzione


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Visto l'art. 52 D. Lgs. 30.06.2003 n. 196, commi 1 e 2;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 dicembre 2013 il Cons. Angelica Dell'Utri e uditi per le parti gli avvocati Del Duca su delega di Antonini e dello Stato Marchini;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con atto inoltrato per la notifica il 3 dicembre 2007 e depositato il 21 seguente il signor -OMISSIS-, ha appellato la sentenza 13 marzo 2007 n. 2290 del TAR per il Lazio, sezione prima ter , non risultante notificata, di reiezione del suo ricorso avverso il decreto in data 6 agosto 2001 del Capo della Polizia, col quale gli è stata inflitta, a norma dell’art. 7, co. 2, nn. 1 e 2, del d.P.R. 25 ottobre 1981 n. 737, la sanzione disciplinare della destituzione per la mancanza così definita: “intratteneva rapporti di frequentazione al di fuori delle esigenze di servizio, con un soggetto a lui noto quale pluripregiudicato, anche accompagnandolo, quasi a garanzia, grazie al suo ruolo di -OMISSIS-per effettuare denuncia di smarrimento dei passaporti di alcune cittadine nigeriane dedite alla prostituzione. Inoltre consentiva l’attività di favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione delle stesse cittadine extracomunitarie, svolta a Rimini, dallo stesso pregiudicato -OMISSIS-, al quale aveva anche, tramite -OMISSIS-, messo a disposizione l’immobile dove erano state ospitate le cittadine nigeriane”.

Premesso, tra l’altro, di essere stato sottoposto a procedimento disciplinare pur dopo essere stato assolto con sentenza n. 2606/00 del Tribunale di Rimini dal reato di favoreggiamento della prostituzione, a sostegno dell’appello ha dedotto:

1.- Violazione e/o falsa applicazione artt. 14 e 19 DPR 737/81. Eccesso di potere per violazione del diritto di difesa.

Censurava per genericità e indeterminatezza dell’atto di contestazione degli addebiti, il quale operava una commistione tra ricostruzione cronologica del procedimento penale e circostanze oggetto del medesimo (molte presentate come risultato di accertamenti incontrovertibili anziché come mere supposizioni), soffermandosi sulle motivazioni della condanna di -OMISSIS- (poi assolto in appello). Ciononostante il TAR ha reputato che tali aspetti afferissero alla sola “valorizzazione dei fatti ai fini disciplinari”.

2.- Eccesso di potere per contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione.

La delibera del Consiglio di disciplina ed il decreto sanzionatorio ripristinano gli addebiti già esclusi in sede penale ed attribuiscono valenza disciplinare ad episodio (accompagnamento del -OMISSIS-) non specificamente addebitato nella contestazione. Il TAR, che peraltro descrive l’episodio in termini più gravi, afferma che ciò è specificazione della contestazione in base agli approfondimenti istruttori, così sforzandosi di correggere i vizi della motivazione della p.a..

3.- Violazione e/o falsa applicazione art. 653 c.p.p.. Eccesso di potere per contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione.

Il TAR ha immotivatamente disatteso la censura secondo cui la condotta addebitata involgeva profili di responsabilità già esclusi in sede penale. Sia l’Amministrazione che il primo giudice hanno omesso di dare corretta applicazione all’art. 653 c.p.p., che riguarda ora tutte le ipotesi di assoluzione e impedisce di considerare illecito disciplinare il fatto che il giudice penale abbia ritenuto irrevocabilmente non costituire illecito penale.

4.- Eccesso di potere per travisamento e/o erronea valutazione dei fatti.

L’Amministrazione gli ha addebitato condotte che nel processo penale non sono mai state accertate e/o provate, quindi la stessa Amministrazione non era autorizzata a dar per scontato l’accertamento incontrovertibile delle medesime. Ma quand’anche tali condotte potessero ritenersi sussistenti, il loro disvalore disciplinare va escluso in radice per effetto della sentenza d’appello di assoluzione con formula piena del -OMISSIS-, al quale la p.a. ha ricollegato i comportamenti disciplinarmente rilevanti. Anche in ambito disciplinare l’Amministrazione ha l’onere di vincere la presunzione di innocenza;
e nella specie ciò non è stato per le addebitate condotte seguenti:

(a) aver condotto trattative per locare l’immobile al -OMISSIS- (nella consapevolezza del coinvolgimento di questi in precedenti inchieste su prostituzione), in quanto la conoscenza col medesimo era avvenuta nel 1988-89 per ragioni di servizio, quale confidente assai prezioso per la Polizia di Stato, né egli era a conoscenza di pregresse o coeve inchieste poiché dal 1993 alla data della disposta sospensione ha prestato servizio presso la Questura di Catania;
l’iniziativa contrattuale è da attribuirsi al -OMISSIS-;
l’accordo contrattuale aveva durata transitoria di un anno senza possibilità di proroga, con espresso divieto di sublocazione in mancanza di espresso accordo;
(b) committenza dei lavori di ristrutturazione e abitazione dello stesso durante l’esecuzione delle opere, in quanto la committenza non può essere desunta da alcun atto, mentre la coabitazione è esclusa dalla coincidenza tra l’effettiva immissione del bene locato nella detenzione del locatario e la contestuale immissione del ricorrente nella detenzione di altro immobile da lui locato.

Il TAR, nonostante la produzione dell’accennata sentenza d’appello, ha perseverato nel travisamento ed ha confuso la tematica delle differenze tra procedimento penale e procedimento disciplinare con altra di profilo squisitamente probatorio, senza tener conto del mancato accertamento di circostanze fattuali ritenute incontrovertibili o, comunque, il loro disvalore disciplinare a seguito della successiva pronuncia penale d’appello.

5.- Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 653 c.p.p. e 3 Cost., eccesso di potere per difetto di istruttoria e ingiustizia manifesta.

In violazione del cit. art. 653 l’Amministrazione ha escluso che gli altri fatti oggetto di contestazione di addebiti potessero essere confutati in forza della sentenza di assoluzione, la quale non fa invece stato relativamente a circostanze non accertate ma costituenti mere illazioni, supposizioni o ragionamenti induttivi e personali del giudicante. Ed il Consiglio di disciplina ha invece mutuato tali circostanze senza sottoporle a dovuti approfondimenti istruttori.

6.- Violazione e/o falsa applicazione artt. 1 e 19 DPR 737/81, 3 e 97 Cost., eccesso di potere per difetto di motivazione.

Il funzionario istruttore ha esso stesso proposto la sanzione da applicare. Al riguardo, il TAR ha ritenuto che la norma di garanzia posta dall’art. 12 del d.P.R. n. 737 del 1981 riguardasse il rapporto inoltrato dal superiore gerarchico e non il funzionario istruttore. Tuttavia, il tenore della norma raffrontato con quello dell’art. 21 ne impongono un’interpretazione restrittiva delle competenze ivi regolate e, d’altra parte, il legislatore ha espresso l’inequivoca volontà di rimettere al solo organo decidente l’inquadramento giuridico-disciplinare del fatto addebitato.

Al passaggio in giudicato della sentenza di assoluzione è stato dato inizio al procedimento disciplinare, sicché al ricorrente è stato riservato ingiustamente il trattamento che consegue a sentenze di condanna.

Anche nella denegata ipotesi di ritenuta sussistenza di condotte disciplinarmente rilevanti, resterebbe ferma la censura di inosservanza del principio di proporzionalità, immotivatamente disattesa dal TAR pur dopo la produzione della sentenza di assoluzione del -OMISSIS-, mentre è noto che la sanzione maggiormente afflittiva non può essere irrogata che per comportamenti talmente gravi da arrecare serio pregiudizio alle funzioni di pubblica sicurezza;
carattere, questo, non sussistente nel caso di specie. Infine, è errato che egli abbia riportato ben nove precedenti disciplinari, come si evince dal prodotto estratto del foglio matricolare.

Il Ministero dell’interno si è costituito in giudizio, ma non prodotto scritti difensivi.

DIRITTO

Il signor -OMISSIS-, era imputato con la consorte del delitto di cui agli artt. 110 c.p., 3, n. 8 (secondo cui è punito “chiunque in qualsiasi modo favorisca o sfrutti la prostituzione altrui”) e 4, n. 7 ( secondo cui la pena è raddoppiata “ se il fatto è commesso ai danni di più persone”) della legge n. 75 del 1958 (recante “Abolizione della regolamentazione della prostituzione e lotta contro lo sfruttamento della prostituzione altrui”) perché “in concorso tra loro, locando più stanze a -OMISSIS- ed avendo la consapevolezza della sublocazione dell’immobile da parte -OMISSIS- a più donne di nazionalità nigeriana, favorivano la prostituzione delle predette”;
erano altresì imputati per favoreggiamento altri due soggetti, nonché dei delitti di cui agli artt. 110 e 81 cpv. c.p., 3, n. 8, e 4, n. 7, della legge n. 75 del 1958 i signori-OMISSIS- -OMISSIS- e -OMISSIS- perché “in concorso tra loro ed in esecuzione del medesimo disegno criminoso, locando loro più stanze ed accompagnandole sul luogo ove esercitavano l’attività di meretricio, favorivano e sfruttavano la prostituzione di più donne di nazionalità nigeriana”.

Stralciata la posizione del signor -OMISSIS-, definita ex art 444 c.p.p. con sentenza divenuta irrevocabile, all’esito di giudizio abbreviato con sentenza 13-27 dicembre 2000 n. 2606 del Tribunale di Rimini il signor -OMISSIS- era dichiarato colpevole del delitto ascrittogli, mentre il signor -OMISSIS- e la consorte erano assolti “perché il fatto non sussiste”, tuttavia il primo ai sensi dell’art. 530, co. 2, c.p.p., cioè l’assoluzione è stata pronunciata in mancanza, insufficienza o contraddittorietà della prova che il fatto sussiste.

Sulla scorta dell’indicata sentenza, è stato iniziato a carico del signor -OMISSIS- un procedimento disciplinare, conclusosi con l’applicazione della sanzione della destituzione per la motivazione riportata in narrativa;
ciò ai sensi dell’art. 7, co. 2, nn. 2 e 3 del d.P.R. 25 ottobre 1981 n. 737, ovverosia per “atti che rivelino mancanza del senso dell’onore o del senso morale” e “che siano in grave contrasto con i doveri assunti con il giuramento”.

Ciò posto, la Sezione ritiene l’appello infondato.

In primo luogo, il primo giudice ha correttamente escluso la configurabilità di genericità ed indeterminatezza della contestazione degli addebiti ex art. 19 del d.P.R. n. 737/1981 in data 12 marzo 2001, poiché in essa sono riportate puntualmente le condotte addebitate e, così come prescritto dal precedente art. 14, la specifica trasgressione di cui l’incolpato è stato chiamato a rispondere. È ben vero che dette condotte erano ricollegate a circostanze emergenti dal procedimento penale, nella parte a carico sia dell’incolpato che del signor -OMISSIS-, ma non è dubbio che l’Amministrazione potesse procedere disciplinarmente in base a siffatte condotte e circostanze le quali, pur essendo escluso in sede penale (peraltro nel senso che non si è raggiunta prova sicura) che abbiano dato luogo all’affermazione di responsabilità per il “fatto-delitto” del favoreggiamento della prostituzione, ben potevano configurarsi quali infrazioni disciplinari, quindi rilevare autonomamente in ambito disciplinare dal momento che, com’è noto, l’illecito disciplinare e quello penale “orbitano” su piani diversi (cfr., tra le tante, Cons. St., sez. IV, 3 maggio 2011 n. 2643).

In altri termini, le contestazioni concernono non già il “favoreggiamento della prostituzione”, ma fatti materiali che, nonostante l’insussistenza (ancorché nei sensi predetti) del detto “fatto-delitto”, in quanto ulteriori a quest’ultimo sono suscettibili di valutazione negativa sotto il profilo dell’osservanza dei doveri del dipendente nascenti dal rapporto d’impiego.

V’è, infatti, profonda differenza tra il “favoreggiamento” della prostituzione e l’aver “consentito” tale attività a terzi mediante locazione dell’immobile ove alloggiavano le cittadine in questione.

Va pertanto negato, in secondo luogo e di conseguenza, che siano stati ripristinati addebiti esclusi in sede penale, con l’ulteriore conseguenza dell’infondatezza della censura di violazione dell’art. 653 c.p.p., in tema di efficacia nel giudizio di responsabilità disciplinare davanti alle pubbliche autorità del giudicato penale di assoluzione “quanto all’accertamento che il fatto non sussiste …”, essendo stati valutati – giova ribadirlo – in sede disciplinare fatti materiali differenti rispetto al “fatto” ritenuto penalmente insussistente.

In terzo luogo, non v’è contrasto tra l’addebito concernente l’episodio di essersi “recato presso la -OMISSIS-, insieme al pluripregiudicato -OMISSIS- (…) ed alcune nigeriane prostitute, per loro stessa ammissione (…), per denunciare lo smarrimento dei passaporti di dette cittadine extracomunitarie” ed il decreto di destituzione con la sottostante deliberazione della commissione di disciplina, laddove la sanzionata mancanza è quella di intrattenere rapporti col soggetto pluripregiudicato “anche accompagnandolo” presso quella Stazione dell’Arma per effettuare la denuncia di smarrimento “quasi a garanzia, grazie al suo ruolo di -OMISSIS-”;
si tratta, invero, di specificazione in chiave valutativa anche sotto il profilo soggettivo (sicuramente consentita all’organo decidente) dell’identico fatto materiale contestato.

Del tutto irrilevante, poi, è l’osservazione del TAR secondo cui la finalità dell’episodio sarebbe stata quella di ottenere indebitamente la regolarizzazione della presenza delle cittadine nigeriane sul territorio italiano, tale elemento non essendo presente nella mancanza sanzionata, né fondando di per sé la reiezione del ricorso.

Quanto alla circostanza che in appello il signor -OMISSIS- è stato poi assolto per non aver commesso il fatto con sentenza 2-10 novembre 2005 n. 4619 della Corte di appello di Bologna, è dato successivo all’adozione del decreto di destituzione impugnato in primo grado;
come pacificamente affermato dalla giurisprudenza amministrativa, la legittimità di un provvedimento amministrativo si deve accertare con riferimento allo stato di fatto e di diritto esistente al momento della sua emanazione, secondo il principio tempus regit actum , onde un giudizio di illegittimità non può discendere da fatti (o norme) sopravvenuti all’emissione dell’atto.

D’altro canto, da un lato v’è l’irrevocabilità della sentenza di condanna, sia pure ex art. 444 c.p.p., per favoreggiamento e sfruttamento del signor -OMISSIS-. Dall’altro lato la sentenza assolutoria del signor -OMISSIS- non ha escluso, anzi ha confermato che talune delle cittadine extracomunitarie alloggiate nell’immobile locato al signor -OMISSIS- avevano esercitato in passato il meretricio quando alloggiavano presso l’albergo in Rimini del signor -OMISSIS-, mentre altre lo hanno proseguito anche dopo il trasferimento in quell’immobile, e che tale sistemazione fu offerta dal signor -OMISSIS- dopo la cessazione della propria attività alberghiera. Né si è occupata, sicché non ha posto in dubbio, le risultanze emergenti dalla sentenza n. 2606 del 2000 in ordine alle seguenti circostanze:

(a) il signor -OMISSIS-, il signor -OMISSIS- ed alcune cittadine nigeriane si erano recati nei giorni 28 e 30 novembre 1995 presso la -OMISSIS- per denunciare lo smarrimento dei passaporti delle donne, alcune delle quali ammettevano poi di aver esercitato in Rimini l’attività di prostituzione, tutte alloggiate nell’immobile in proprietà della consorte di -OMISSIS- locato al signor -OMISSIS-, già collaboratore nell’albergo del signor -OMISSIS- ove alcune delle denuncianti avevano soggiornato;

(b) il signor -OMISSIS- ed il signor -OMISSIS- si conoscevano da tempo e quest’ultimo, a causa della chiusura del suo albergo (in quanto, evidentemente anche recentemente rispetto ai fatti in questione, coinvolto in indagini nel campo della prostituzione), ha contattato il primo per affittare l’immobile della consorte;

(c) il signor -OMISSIS- ha condotto direttamente le trattative per la locazione;

(d) nell’immobile sono stati eseguite (abusivamente) opere di ristrutturazione e cambiamento d’uso, creando 12 nuove camere e servizi vari;
opere “verosimilmente” commissionate dal signor -OMISSIS- “non solo per come riferito dalla polizia municipale e come accennato dal prevenuto in udienza”, ma anche in ragione del dato che “parte dei complessi lavori di ristrutturazione risultassero già ultimati” alla data del 18 novembre 1995, del sopralluogo della polizia municipale.

Restano perciò confermati gli elementi oggetto della contestazione di addebiti, dati per accertati nella predetta sentenza (e, però, non ritenuti probanti dei reati ascritti in assenza di prova sicura che il signor -OMISSIS- si fosse occupato anche del contratti di subaffitto e dell’attività di accompagnamento delle cittadine extracomunitarie nei luoghi di esercizio della prostituzione, mentre la sua compresenza alla denuncia di smarrimento dei passaporti poteva ispirarsi “da motivi umanitari verso le giovani donne o più semplicemente di cortesia verso il -OMISSIS-”).

È infatti dato oggettivo che il signor -OMISSIS- fosse pregiudicato;
altrettanto oggettivo è sia il dato della frequentazione tra i due “al di fuori delle esigenze di servizio”, sia quello dell’esercizio, quanto meno da parte di alcune delle cittadine nigeriane denuncianti ed abitanti nell’immobile locato a cura del signor -OMISSIS-, in passato (quando erano alloggiate nel ripetuto albergo) o in atto dell’attività di prostituzione, mentre è dato ragionevolmente attendibile, anche in ragione dell’oggettiva consistenza del lavori al momento del citato sopralluogo, quello della committenza dei lavori da parte del signor -OMISSIS-.

Circa la conoscenza da parte di questi dei precedenti penali del signor -OMISSIS-, se in sede penale è stato ritenuta l’insussistenza, ai fini della responsabilità appunto penale, di un “onere di conoscenza o dovere di vigilanza per il solo fatto dell’appartenenza alle forze di polizia”, è stato “comunque” osservato come fosse “assai probabile che all’epoca il -OMISSIS- fosse venuto effettivamente a conoscenza delle precedenti indagini nel capo della prostituzione in cui era coinvolto il -OMISSIS- come si desume dal contenuto in equivoco dell’istanza difensiva depositata in data 2/3/96 nell’interesse del -OMISSIS-”, nella quale “testualmente si afferma: «Va altresì ricordato che il -OMISSIS-, avendo prestato servizio a Rimini e conoscendo per ragioni di servizio il -OMISSIS-, già segretario della pensione -OMISSIS- oggetto di svariate indagini da parte del Commissariato PS di Rimini »”.

Proprio tali elementi sono stati apprezzati dall’Amministrazione, quindi non sono fondati i dedotti vizi di travisamento dei fatti e difetto di istruttoria.

Quanto alle valutazioni di questi stessi elementi, non appare affatto manifestamente illogica ed irrazionale la rilevanza di massimo disvalore assegnata ai medesimi nella diversa sede disciplinare, quali contegni non consoni, anzi incompatibili con l’esercizio delle funzioni di polizia e, in particolare, di quelle delicate e complesse, peculiari dell’ispettore della Polizia di Stato. Ed in questi limiti dette valutazioni possono essere sindacate alla stregua del consolidato orientamento giurisprudenziale, richiamato dal primo giudice, secondo cui “la valutazione in ordine alla gravità dei fatti addebitati in relazione all'applicazione di una sanzione disciplinare, costituisce espressione di discrezionalità amministrativa, non sindacabile in via generale dal giudice della legittimità salvo che in ipotesi di eccesso di potere, nelle sue varie forme sintomatiche, quali la manifesta illogicità, la manifesta irragionevolezza, l'evidente sproporzionalità e il travisamento” (cfr., ad es., Cons. Stato, sez. VI, 7 giugno 2011 n. 3414 e sez. IV, 16 ottobre 2009 n. 6353). In particolare, è stato affermato che “le norme relative al procedimento disciplinare sono necessariamente comprensive di diverse ipotesi e, pertanto, spetta all'amministrazione, in sede di formazione del provvedimento sanzionatorio, stabilire il rapporto tra l'infrazione e il fatto, il quale assume rilevanza disciplinare in base ad un apprezzamento di larga discrezionalità (l'amministrazione dispone, infatti, di un ampio potere discrezionale nell'apprezzare autonomamente le varie ipotesi disciplinari, con una valutazione insindacabile nel merito da parte del giudice amministrativo)” (cfr. cit. sez. VI, n. 3414 del 2011 e sez. VI, 22 marzo 2007 n. 1350, ivi richiamata).

Né nella specie, tenuto conto dell’evidenziata peculiarità e delicatezza delle funzioni proprie della qualifica di appartenenza dell’attuale appellante, la sanzione massima applicata appare palesemente abnorme e sproporzionata.

In relazione alle due voci in cui è articolata la mancanza sanzionata, non possono pertanto essere condivise le doglianze avanzate con i primi cinque motivi d’appello e parte del terzo, concernenti gli aspetti su esaminati.

Infine, neppure è fondata la residua censura, con cui si insiste sulla pretesa illegittimità della nota di contestazione degli addebiti, avendovi in funzionario istruttore “proposto la sanzione da applicare” in assunta violazione dell’art. 19 del cit. d.P.R. n. 737 del 1981 in rapporto al disposto del precedente art. 12.

In realtà, il funzionario istruttore, nel contestare gli addebiti ai sensi del menzionato art. 19, non ha “proposto” la sanzione della destituzione, invece proposta dal Consiglio provinciale di disciplina, bensì si è limitato a rappresentare all’interessato “la specifica trasgressione di cui l’incolpato è chiamato a rispondere” (la fattispecie prevista dall’art. 7, nn. 1 e 2 del d.P.R. n. 737 del 1981), come si è visto in linea con quanto prescritto dall’art. 14 del detto d.P.R., mentre il divieto di esplicitare una proposta relativa alla specie ed all’entità della sanzione, previsto dal precedente art. 12, co. 2, riguarda il rapporto, anteriore ed eventualmente propedeutico alla stessa instaurazione del procedimento disciplinare, da inoltrarsi da parte del superiore competente a rilevare le infrazioni all’organo competente ad infliggere la sanzione.

In conclusione, l’appello non può che essere respinto.

Tuttavia la singolarità della fattispecie consiglia la compensazione tra le parti delle spese del grado.

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