Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2023-05-03, n. 202304498
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Testo completo
Pubblicato il 03/05/2023
N. 04498/2023REG.PROV.COLL.
N. 01336/2022 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1336 del 2022, proposto da
Università degli Studi Niccolò Cusano - Telematica Roma, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati F A, L R P, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Autorita' Garante della Concorrenza e del Mercato, Autorita per Le Garanzie Nelle Comunicazioni, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
nei confronti
Konsumer Italia, non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima) n. 11999/2021, resa tra le parti, A) in forza del ricorso introduttivo di primo grado:
A.1) per l'annullamento:
«a. del provvedimento sanzionatorio del 15 gennaio 2020, notificato all'Università ricorrente in pari data a mezzo pec, mediante cui l'AGCM, in applicazione dell'art. 27, comma 6, del D.Lgs. n. 206/2005 (Codice del Consumo) ha irrogato all'Università la sanzione pecuniaria pari ad € 250.000,00 in ragione dell'asserita violazione degli artt. 24, 25 e 66 bis del D.Lgs. n. 206/2005 (All. n. 1);
b. di tutti gli atti adottati dall'Autorità nel procedimento istruttorio, ivi inclusi: la comunicazione di avvio del procedimento istruttorio n. PS11516 del 30 luglio 2019 (All. n. 2), la comunicazione del termine di conclusione della fase istruttoria del 22 ottobre 2019 (All. n. 3);la richiesta di parere prot. n. 73703 del 11 novembre 2019 inviata all'Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (All. n. 4);il rigetto dell'istanza di proroga del procedimento istruttorio avanzata dall'Università, deliberato dall'AGCM nell'adunanza del 20 dicembre 2019 (All. n. 5), nonché il verbale di detta Adunanza ancorché sconosciuto;il parere dell'Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni di cui alla delibera n. 487/19/CONS (All. n. 6);
c. di ogni atto presupposto, connesso e consequenziale, ancorché non conosciuto dalla ricorrente, con riserva di proporre motivi aggiunti»;
A.2) e, conseguentemente per la restituzione:
«delle somme già versate dall'Università ricorrente a titolo di sanzione in data 14 febbraio 2020»;
B) in forza del ricorso per motivi aggiunti proposto nel giudizio di primo grado:
B.1) per l'annullamento, oltre ai provvedimenti impugnati con il ricorso introduttivo:
«a. della comunicazione dell'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, Direzione Generale per la Tutela del Consumatore, Direzione C, inviata all'Università ricorrente via pec in data 19 maggio 2020, avente ad oggetto “relazione di ottemperanza pervenuta il 9 marzo 2020 (prot. n. 25911/2020)” (All. n. 1);
b. di ogni atto presupposto, connesso e consequenziale, ancorché non conosciuto dalla ricorrente, con riserva di proporre ulteriori motivi aggiunti»;
B.2) e, conseguentemente, per la restituzione:
«delle somme già versate dall'Università ricorrente a titolo di sanzione in data 14 febbraio 2020».
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Autorita' Garante della Concorrenza e del Mercato e di Autorita per Le Garanzie Nelle Comunicazioni;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 27 aprile 2023 il Cons. D P e uditi per le parti gli avvocati F L in sostituzione dell'avv. L R P;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con l’appello in esame l’Università odierna parte appellante impugnava la sentenza n. 11999 del 2021 del Tar del Lazio, recante rigetto dell’originario gravame. Quest’ultimo era stato proposto dalla stessa Università al fine di ottenere l’annullamento del provvedimento sanzionatorio del 15 gennaio 2020, con il quale l'Autorità garante per la concorrenza ed il mercato, in applicazione dell'art. 27, comma 6, del d.lgs. n. 206/2005 (c.d. Codice del Consumo) le aveva irrogato una sanzione pecuniaria di complessivi euro 250.000,00, in ragione dell'asserita violazione degli artt. 24, 25 e 66 bis del d.lgs. n. 206/2005.
Avverso tale sentenza parte appellante formulava i seguenti motivi di appello:
- error in iudicando, violazione dell’art. 6, comma 2, della L. n. 168/1989 e dell’art. 18, comma 1, lett. a) e b) del c.d. codice del consumo, omesso esame di una questione controversa, difetto e contraddittorietà della motivazione, travisamento di fatti, per aver erroneamente ritenuto applicabile alle università (statali e non statali) la disciplina posta dal codice, specie con riferimento alle c.d. pratiche commerciali scorrette;
- error in iudicando, violazione degli artt. 24, 25 e 66-bis del codice, travisamento di fatti e difetto di motivazione, omesso esame di una questione decisiva ai fini della controversia per l’impossibilità di ravvisare alcuna pratica commerciale scorretta e l’impossibilità di ravvisare alcuna violazione dei diritti contrattuali dei consumatori;
- error in iudicando, violazione dell’art. 27, commi 9 e 12 del Codice e dell’art. 11 della L. n. 689/1981, difetto e illogicità della motivazione, travisamento di fatti, in merito alla determinazione della sanzione amministrativa irrogata;
- error in procedendo, erronea statuizione circa l’inammissibilità del ricorso per motivi aggiunti e travisamento di fatti.
L’Autorità appellata si costituiva in giudizio e, controdeducendo punto per punto, chiedeva il rigetto dell’appello.
Alla pubblica udienza del 27 aprile 2023 la causa passava in decisione.
DIRITTO
1. Oggetto controverso del presente appello è la sentenza con cui il Tar Lazio ha rigettato il ricorso proposto dall’Università privata, odierna appellante, avverso la sanzione irrogata dall’Autorità competente in relazione a due condotte, poste in essere nell'ambito dell'offerta formativa attraverso il sito web della stessa Università.
1.2 Le pratiche contestate si rifacevano alle seguenti due articolate condotte.
1.2.1 In primo luogo, nella frapposizione di ostacoli all’esercizio del diritto di recesso da parte dei studenti/consumatori;in particolare, risultava che il professionista avesse ostacolato l’esercizio del diritto di recesso da parte dei studenti/consumatori predisponendo un meccanismo di rinnovo automatico dell’iscrizione e subordinando gli effetti economici del recesso, non già soltanto al pagamento delle somme dovute per prestazioni pregresse e fruite, ma anche al pagamento delle somme maturate dopo la manifestazione del recesso.
In relazione a tale condotta, veniva contestata una violazione degli artt. 24 e 25 del c.d. codice del Consumo, in quanto il professionista subordinava lo scioglimento del vincolo contrattuale, non già soltanto al pagamento delle somme dovute per prestazioni pregresse e fruite, ma anche al pagamento delle somme maturate dopo la manifestazione del recesso e tale condotta risultava ancora più grave in presenza di un sistema di rinnovo automatico dell’iscrizione: lo studente si trovava difatti coinvolto in una “spirale” che lo portava ad accumulare rate di debito senza la possibilità di sciogliere il vincolo contrattuale (se non pagando tutto il debito accumulato, anche per prestazioni non fruite in quanto frutto del rinnovo automatico), e ciò in presenza, peraltro, nel Regolamento di ateneo, di informazioni contrattuali in merito alla disciplina sul recesso del tutto ambigue e fuorvianti.
1.2.2 In secondo luogo, nella previsione della competenza di un foro diverso da quello di residenza o domicilio del consumatore individuato, come risulta dai moduli contrattuali, dapprima nell’ufficio del Giudice di Pace di Sarno ovvero nel Tribunale di Nocera Inferiore e, in una edizione successiva della modulistica, nel Tribunale di Roma.
In relazione a tale condotta, veniva contestata una violazione dell’art. 66-bis del medesimo codice laddove stabilisce la competenza territoriale inderogabile del giudice del luogo di residenza o di domicilio del consumatore.
1.3 Per entrambe le condotte l’Autorità, oltre a disporne la cessazione ed a vietarne la continuazione, ha irrogato una sanzione complessiva di 250.000,00 euro (200.000,00 euro per la prima condotta e 50.000,00 euro per la seconda condotta).
2. L’appello è infondato.
3. Con il primo motivo di appello l’Università lamenta l’inapplicabilità soggettiva della disciplina in tema di pratiche commerciali scorrette, evidenziando tre elementi: l’art. 6, comma 2, della legge n. 168/1989, che – a salvaguardia dell’autonomia costituzionalmente riconosciute alle università – precluderebbe che alle medesime possano trovare applicazione discipline di legge che, come nella specie, non prevedano espressamente la loro applicazione agli enti universitari (statali e non statali); l’art. 101 del c.d. codice escluderebbe dal suo ambito di applicazione i servizi pubblici (quali la formazione universitaria), laddove questi siano soggetti a una disciplina speciale volta a garantire i diritti degli utenti e i relativi standard di qualità;infine l’impossibilità che le università (statali e non statali) possano essere qualificate quali professionisti ai sensi dell’art. 18, comma 1, lett. b), del Codice.
3.1 Tali elementi non sono condivisibili, a fronte della natura primaria e speciale della disciplina in tema di tutela dei consumatori e della conseguente necessaria opzione ermeneutica estensiva in relazione alla relativa applicabilità, come reso evidente dalla giurisprudenza consolidata. Né, peraltro, la tesi di parte appellante evidenzia un eventuale sistema alternativo di tutela ai fini in esame, in quanto non è stata in grado di chiarire quale sarebbe – nel caso di specie – l’operatività del meccanismo di verifica che, a fini di tutela, la disciplina evocata prevederebbe, in termini differenti e peculiari, per i soggetti coinvolti da comportamenti e clausole quali quelle oggetto di contestazione.
A quest’ultimo riguardo, infatti, se da un canto son stati individuati tre elementi di tutela per gli studenti dettati dalla disciplina evocata, da un altro canto nessuna concreta analisi è stata svolta in merito alla eventuale rilevanza ed applicabilità nel caso di specie.
3.2 I tre elementi evocati sono i seguenti: la stipula di un c.d. “contratto con lo studente” che garantisca adeguatamente il diritto di risoluzione del medesimo rapporto e, in ogni caso, il completamento del ciclo formativo (cfr. art. 4, comma 1, lett. d-e, del D.M. 17 aprile 2003), rispetto alla quale non è stata individuata alcuna verifica di rilevanza ed applicabilità nel caso di specie;l’apposita carta di servizi, volta a garantire i diritti degli studenti quali utenti del servizio pubblico in questione (cfr. art. 4, comma 1, lett. d-e, del D.M. 17 aprile 2003), di cui analogamente è mancata alcuna verifica di rilevanza nella specie e delle eventuali modalità applicative;l’esclusivo controllo del Ministero competente circa il rispetto dei predetti “standard qualitativi” (cfr. art. 6, comma 9, della L. n. 168/1989 e art. 6 del D.M. 17 aprile 2003).
3.3 Peraltro, proprio quest’ultimo punto evidenzia il differente ambito di riferimento della disciplina evocata, rimessa alla verifica dell’Università stessa, ovvero alla eventuale tutela civilistica del singolo contraente, ovvero al Ministero vigilante.
3.4 Invece, ben diverso è il generale potere attribuito – sulla scorta di puntuali e consolidate direttive sovranazionali – all’autorità indipendente, circa la verifica del rispetto della disciplina dettata a tutela dei consumatori, in rapporto a professionisti, fra i quali deve inquadrarsi anche un’università privata che svolge attività didattica – successiva alla scuola dell’obbligo – ad evidenti fini di lucro.
3.5 Ai fini di causa e di soluzione delle questioni dedotte, assume infatti rilievo preminente la qualificazione della nozione di professionista, di cui all'art. 18, lett. b), d.lgs. n. 206/2005 la quale, per giurisprudenza costante, deve essere intesa in senso ampio, essendo sufficiente che la condotta venga posta in essere nel quadro di un'attività di impresa finalizzata alla promozione e/o alla commercializzazione di un prodotto o servizio. In tal senso, per professionista autore (o coautore) della pratica commerciale deve intendersi chiunque abbia un'oggettiva cointeressenza diretta ed immediata alla realizzazione della pratica commerciale medesima.
3.5.1 Al riguardo, l'art. 18 del Codice del Consumo stabilisce che per professionista si deve intendere qualsiasi operatore il quale, nell'ambito delle pratiche commerciali oggetto della specifica disciplina, agisce nel quadro della sua attività commerciale, industriale, artigianale e professionale. Ciò che la disposizione richiede ai fini dell'assunzione della qualificazione soggettiva di che trattasi è, dunque, che la pratica commerciale sia posta in essere dal soggetto quale manifestazione della sua ordinaria attività di lavoro, a tale dato oggettivo soltanto essendo correlati gli accresciuti oneri di diligenza e di informazione a protezione di chi opera, al contrario (il consumatore), al di fuori dell'esercizio della sua attività professionale, ed è per tale ragione in posizione di tendenziale debolezza contrattuale.
3.6 La Corte di Giustizia della Unione Europea ha già avuto modo di fornire indicazioni utili anche ai fini di causa, come ad esempio nella sentenza n. 59 del 2013, originata da una controversia in cui veniva in considerazione il comportamento tenuto da un organismo di diritto pubblico tedesco erogante prestazioni di cassa malattia obbligatoria ed operante senza scopo di lucro: detto istituto, denunciato da una associazione di consumatori in relazione ad una pratica commerciale scorretta tenuta nei confronti degli iscritti, aveva dedotto di non poter essere qualificato, in tale sua qualità, come "professionista" ai sensi dell'articolo 2, lettera b), della direttiva.
3.6.1 Orbene, la Corte europea in tale occasione ha affermato che il legislatore dell'Unione ha sancito una nozione particolarmente ampia della nozione di professionista, la quale comprende qualsiasi persona fisica o giuridica in quanto eserciti un'attività remunerata e non esclude dal suo ambito di applicazione né gli enti incaricati di una missione di interesse generale né quelli che abbiano uno status di diritto pubblico, aggiungendo che, ai fini dell'interpretazione della direttiva in esame, la nozione di consumatore riveste un'importanza fondamentale e che le sue disposizioni sono concepite essenzialmente nell'ottica del consumatore quale destinatario e vittima di pratiche commerciali sleali (v., in tal senso, sentenze del 12 maggio 2011, Ving Sverige, e del 19 settembre 2013, CHS Tour Services). Considerando, allora, che gli iscritti alla cassa malattia potevano essere danneggiati da informazioni ingannevoli diffuse dall'istituto che gestiva la citata attività previdenziale, la Corte di Giustizia è pervenuta ad affermare che anche un simile soggetto rientrava nella nozione di "professionista" ai fini dell'applicazione della direttiva sulle pratiche commerciali scorrette.
3.6.2 In tale ottica la Corte ha fatto leva sulla esigenza di assicurare al consumatore un elevato livello di tutela, al fine di delineare una nozione dinamica di "professionista", adattabile in funzione della tipologia di "consumatore", nella quale possono essere inclusi anche gli organismi di diritto pubblico incaricati di una missione generale.
3.7 L'applicazione delle norme italiane di riferimento, interpretate come indicato nei paragrafi che precedono, non conducono a risultati incompatibili con la dianzi ricordata nozione di "professionista", risultando invece coerenti con la finalità di apprestare una elevata tutela del consumatore.
3.8 Nel caso di specie, peraltro, pur dinanzi al carattere di servizio di interesse generale dell’attività svolta dell’università privata, non è in discussione il carattere remunerato della stessa ed il fine di lucro perseguito;né parimenti è discutibile la nozione di consumatore dello studente che si iscrive ad una università privata e che si trova dinanzi ad una predeterminazione delle relative clausole contrattuali, al pari di qualsiasi altro consumatore, ai fini della disciplina applicata nella specie dall’Autorità.
3.9 In una situazione come quella in esame gli studenti devono evidentemente essere ritenuti consumatori ai sensi della direttiva sulle pratiche commerciali sleali, in quanto – quali acquirenti di servizi - rischiano di essere indotti in errore dalle informazioni ingannevoli diffuse dall’organismo che tali servizi offre e vende, impedendo loro di determinarsi e scegliere in modo consapevole (v. considerando 14 di tale direttiva) e li inducono così ad assumere una decisione che non avrebbero preso in mancanza di tali informazioni. In tale contesto sono irrilevanti sia la natura pubblica o privata dell'organismo in questione sia la specifica missione da esso perseguita.
3.10 Alla luce delle considerazioni che precedono, occorre pertanto confermare lo status di professionista, ai sensi della disciplina sovranazionale attuata dalla normativa interna applicata, dell’università telematica privata in questione. Tale interpretazione è infatti l'unica tale da garantire la piena efficacia della disciplina sulle pratiche commerciali sleali, assicurando che, conformemente all'esigenza di un elevato livello di protezione dei consumatori, le pratiche commerciali sleali siano contrastate in modo efficace. Un'interpretazione siffatta è altresì in armonia con la portata particolarmente ampia che è già stata riconosciuta alla medesima disciplina quanto al suo ambito di applicazione ratione materiae.
4. Con il secondo motivo di appello l’Università contesta che le condotte contestate a Unicusano siano qualificabili come pratiche commerciali scorrette, né che siano contrarie alla diligenza professionale, né che siano state attuate mediante molestie, coercizione o indebito condizionamento né che siano false o idonee a falsare il comportamento dei “consumatori”.
4.1 Anche tale motivo è infondato.
4.2 In linea generale, una pratica va considerata scorretta se è contraria alla diligenza professionale ed è falsa o idonea a falsare in misura apprezzabile il comportamento economico, in relazione al prodotto, del consumatore medio che raggiunge o al quale è diretta o del membro medio di un gruppo qualora la pratica commerciale sia diretta a un determinato gruppo di consumatori. Nella trama normativa, tale definizione generale di pratica scorretta si scompone in due diverse categorie: le pratiche ingannevoli (di cui agli artt. 21 e 22) e le pratiche aggressive (di cui agli artt. 24 e 25). Il legislatore ha inoltre analiticamente individuato una serie di specifiche tipologie di pratiche commerciali (le c.d. 'liste nere') da considerarsi sicuramente ingannevoli e aggressive (art. 23 e 26, cui si aggiungono le previsioni 'speciali' di cui ai commi 3 e 4 dell'art. 21 e all'art. 22-bis), senza che si renda necessario accertare» i suddetti requisiti (mancata diligenza ed attitudine a falsare il comportamento economico del consumatore).
4.3 Nel caso di specie oggetto di contestazione principale è – in primo luogo - la condotta del professionista che ha ostacolato l’esercizio del recesso predisponendo un meccanismo di rinnovo automatico dell’iscrizione e subordinando gli effetti economici del recesso non solo al pagamento delle somme dovute per prestazioni pregresse e fruite, ma anche al pagamento delle somme maturate dopo la manifestazione del recesso.
Fatta salva la debenza dei pagamenti relativi al periodo antecedente il recesso, per i quali il professionista può attivare i rimedi previsti dall’ordinamento nel caso di inadempimento, il professionista ha invece indebitamente richiesto ai consumatori che avevano esercitato il diritto di recesso anche il pagamento di somme ulteriori imputabili a servizi non fruiti.
Ciò in forza del meccanismo di rinnovo automatico predisposto che, precludendo lo scioglimento immediato dal vincolo contrattuale in caso di morosità, espone i richiedenti ad oneri economici ulteriori ed ingiustificati per prestazioni di cui non si intende fruire, come manifestato con la rinuncia agli studi.
4.4 Come evidenziato dalla difesa erariale, lo stesso professionista non ha accettato, nella maggior parte dei casi, le richieste di rinuncia pervenute invocando le clausole di cui alle contestate disposizioni regolamentari per cui, se da un lato pare riconoscere che la rinuncia ha effetto immediato, dall’altro lato, invece, ha continuato a richiedere il pagamento delle rette, sia di quelle scadute e non saldate, sia di quelle che continuano a maturare dopo la comunicazione della rinuncia (in ragione dell’insolvenza dello studente). Secondo quanto riportato dalla parte appellante, poi, alcuni consumatori le cui richieste non sono state accettate hanno provveduto a soddisfare tutti gli oneri economici imposti dallo stesso al fine di rendere pienamente operativi gli effetti del recesso.
Pertanto il professionista ha sfruttato la posizione di potere rispetto ai consumatori per condizionarli indebitamente a proseguire il rapporto e a versare le rette annuali. E gli ostacoli evidenziati rispetto al diritto di recesso sono riconducibili all’ambigua disciplina contrattuale che non chiarisce le concrete modalità di esercizio del diritto e le sue conseguenze, il che si traduce in un ostacolo all’esercizio del medesimo diritto.
4.5 Tali comportamenti appaiono pertanto correttamente qualificati dal provvedimento impugnato in prime cure.
4.6 Il sito online che, per conto di un professionista, offre un servizio deve fornire in modo chiaro, trasparente ed immediato il reale prezzo del prodotto desiderato, nonché tutte le informazioni utili per orientare la scelta del consumatore, comprese quelle relative al recesso. In caso contrario la condotta dell'operatore è una pratica commerciale scorretta. Sia la normativa interna che quella comunitaria impongono che tutte le informazioni date al consumatore medio per orientarne le scelte commerciali siano immediatamente disponibili, chiare, dettagliate e trasparenti, comprese quelle fondamentali in merito al possibile recesso, che va garantito, in termini chiari e trasparenti, specie in relazione ad un servizio peculiare e di rilevante interesse pubblico quale quello di istruzione universitaria che coinvolge diritti costituzionali della persona.
4.7 Contrariamene a quanto dedotto da parte appellante, il rinnovo automatico, in seguito alla rinuncia ed al recesso dello studente, non costituisce una garanza di quest’ultimo – che ha, al contrario, manifestato la volontà di recedere – quanto una mera indebita autotutela del credito vantato dall’università in merito alle somme pregresse ed una ancor più indebita predeterminazione di un credito per le prestazioni successive, già espressamente rinunciate e quindi non richieste dal consumatore.
4.8 Va esclusa anche la sussistenza della evocata disparità di trattamento sia per la mancanza dei necessari presupposti di identità della fattispecie – solo genericamente indicati - sia – e ciò è dirimente - perché nulla esclude che l’Autorità proceda anche nei confronti di altri Atenei in caso di analoghe clausole.
4.9 Analoghe considerazioni vanno svolte – in secondo luogo – per la condotta concernente la violazione dell’articolo 66 bis del Codice del Consumo, secondo il quale “ Per le controversie civili inerenti all'applicazione delle Sezioni da I a IV del presente capo la competenza territoriale inderogabile è del giudice del luogo di residenza o di domicilio del consumatore, se ubicati nel territorio dello Stato ”.
4.10 Nella fattispecie, infatti, è pacifico che i moduli contrattuali utilizzati con i consumatori riportassero dapprima l’indicazione dell’ufficio del Giudice di Pace di Sarno e del Tribunale di Nocera Inferiore e, in un’edizione successiva della modulistica, l’indicazione di Roma, quale foro competente in caso di controversie.
4.10 Secondo parte appellante la clausola in questione non ha affatto natura vessatoria ed è prontamente visionata dagli studenti, che prima di iscriversi a un corso di laurea presso Unicusano hanno modo di sincerarsi di quale sia il foro competente e, eventualmente, proporne uno diverso.
4.11 Invero, tale ultimo inciso appare privo di prova e riscontro, in quanto la clausola risulta inserita in un modulo cui lo studente poteva solo aderire;né vi era alcuna indicazione nei termini ora sostenuti dall’Università.
Peraltro, vanno evidenziati due elementi dirimenti: da un lato la norma del codice individua la competenza come inderogabile;dall’altro lato, nel merito, la clausola costituisce una pacifica violazione della disciplina normativa applicata dall’Autorità.
5. Con il terzo motivo di appello l’Università contesta la quantificazione della sanzione irrogata per travisamento di fatti e violazione dei criteri di quantificazione.
5.1 Anche tale vizio è infondato.
5.2 I criteri generali di cui fare applicazione in sede di commisurazione delle sanzioni pecuniarie nelle materie di cui al d.lgs. 206 del 2005 (tutela del consumatore) sono rinvenibili nell'ambito dell'art. 11 della l. 689 del 1981, per il quale, nella determinazione della sanzione amministrativa pecuniaria fissata dalla legge tra un limite minimo ed un limite massimo e nell'applicazione delle sanzioni accessorie facoltative, si ha riguardo alla gravità della violazione, all'opera svolta dall'agente per l'eliminazione o attenuazione delle conseguenze della violazione, nonché alla personalità dello stesso e alle sue condizioni economiche (cfr. ex multis, Consiglio di Stato, Sez. VI, 24 agosto 2011, n. 4799).
5.3 Nella presente fattispecie i detti parametri risultano essere stati utilizzati dall’Autorità per la quantificazione di tutte le sanzioni, avendo tenuto conto della gravità della violazione, dell’opera svolta per l’eliminazione, della personalità dell’agente, delle condizioni economiche dell’impresa e della notorietà della piattaforma.
5.3.1 In particolare, in ordine alla prima condotta il provvedimento ha compiutamente richiamato il fatturato e la conseguente notevole dimensione economica del professionista (68 milioni nel 2018), l’elevata potenzialità offensiva per indebito condizionamento nonché per la pervasività di uno dei mezzi di comunicazione (Internet) utilizzati per la fruizione del servizio.
5.3.2 In ordine alla seconda condotta, sono stati parimenti evidenziati la gravità della violazione, derivante dalla specifica violazione di una norma a tutela dei consumatori nei contratti a distanza per l’esercizio dei diritti in sede giudiziaria, oltre che le dimensioni del professionista e la pervasività del mezzo di comunicazione Internet, analogamente alla prima condotta.
5.4 Se per un verso nessuno degli elementi appare censurabile in termini di travisamento dei fatti, trovando riscontro negli atti, per un altro verso, anche in termini di puro quantum, la determinazione della sanzione risulta di importo ragionevole, sia rispetto al massimo edittale, sia rispetto alle dimensioni economiche dell’operatore in questione, al fine di assicurare un minimo effetto deterrente.
5.5 In relazione agli elementi evocati circa la conformità delle clausole con le prescrizioni nazionali ovvero di altri atenei, vanno ribadite le considerazioni sopra svolte.
5.6 Nel caso di specie, va poi esclusa la evocata rilevanza della paventata volontà di interruzione e correzione dei comportamenti;sul punto giova, peraltro, puntualizzare che, ai sensi dell’art. 11 cit., richiamato dall’art. 27, comma 13, del Codice del consumo, i comportamenti (idonei a eliminare o attenuare le conseguenze della violazione) che possono rilevare ai fini della diminuzione della sanzione, sono solo quelli che l’agente assume consapevolmente, spontaneamente e operativamente prima dell'apertura del procedimento sanzionatorio nei suoi confronti (Cons. Stato, Sez. VI, 21/12/2012, n. 6638).
5.7 Per il resto, le ulteriori circostanze riproposte in sede di appello in merito alla possibile minor quantificazione della sanzione risultano superate da quanto motivatamente posto a fondamento della parte motiva del provvedimento sul quantum, che ha infatti portato ad una somma conclusiva proporzionata e non elevata.
6. Infine, parimenti infondato è il quarto motivo di appello, con cui si censura la declaratoria di inammissibilità dei motivi aggiunti di prime cure.
6.1 Infatti, l’esame degli atti così impugnati ne evidenzia il carattere endoprocedimentale, sul versante formale, nonché l’assenza di autonomia rispetto agli argomenti discussi in relazione alla censura degli atti impugnati col ricorso principale, sul versante sostanziale. Infatti, oggetto dei motivi aggiunti è la comunicazione dell'Autorità, inviata all'Università via pec in data 19 maggio 2020, avente ad oggetto relazione di ottemperanza pervenuta il 9 marzo 2020 (prot. n. 25911/2020), in relazione al cui contenuto interlocutorio ed infraprocedimentale di mera verifica, senza alcuna effettiva lesività, va condivisa la qualificazione e conseguente conclusione raggiunta dal Tar in termini di inammissibilità.
7. Alla luce delle considerazioni che precedono l’appello va pertanto respinto.
Le spese di lite, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.