Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2024-06-13, n. 202405325
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Testo completo
Pubblicato il 13/06/2024
N. 05325/2024REG.PROV.COLL.
N. 03051/2022 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3051 del 2022, proposto da
-OMISSIS- in proprio e quale erede di -OMISSIS-, rappresentata e difesa dall'avvocato R P, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Comune di Lecce, in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentato e difeso dall'avvocato L A, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Lecce, via Rubichi 16;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia sezione staccata di Lecce (Sezione Terza) n. -OMISSIS-/2021, resa tra le parti e per il reclamo avverso il decreto n. 15 del 2020 reso dalla Commissione per il patrocinio a spese dello Stato presso il Tar per la Puglia, sezione distaccata di Lecce
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Lecce;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 febbraio 2024 il Cons. D C e viste le conclusioni come da verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1.La sig.ra -OMISSIS- ha interposto appello avverso la sentenza del Tar Puglia, sede di Lecce, sez. III, 11 gennaio 2021 n. -OMISSIS- con la quale è stato in parte rigettato ed in parte dichiarato inammissibile il ricorso proposto per l’annullamento del provvedimento n. -OMISSIS- dell’8 maggio 2019, con cui il Responsabile dell’Ufficio Casa del Comune di Lecce ha rigettato la richiesta di regolarizzazione, ex art. 20 della Legge Regionale Puglia n. 10/2014, dell’occupazione dell’alloggio E.R.P. sito in Lecce, in Viale della Repubblica n. 60, con contestuale invito al rilascio dell’alloggio predetto entro trenta giorni, nonché per la condanna del Comune di Lecce all’assegnazione in locazione semplice, dell’alloggio E.R.P. di Viale della Repubblica n. 60 o, in via subordinata, di altro alloggio popolare di E.R.P. sempre in Lecce e per la condanna del medesimo Comune al risarcimento dei danni morali ed esistenziali subiti dalla medesima ricorrente e dei danni patrimoniali quantificati in € 50.000,00.
1.1. Ha inoltre con il medesimo appello chiesto che venga esitato il reclamo, non deciso in prime cure , avverso il provvedimento di diniego di ammissione al gratuito patrocinio adottato dalla Commissione del gratuito patrocinio presso il Tar, n. 15 del 2020, adottato a suo dire sulla base della mera bozza del ricorso, in assenza dell’atto definitivo e dei relativi allegati, fondato sul rilievo che per contro la Commissione per il gratuito patrocinio presso il Consiglio di Stato l’aveva ammessa relativamente all’atto di appello e che l’Agenzia delle Entrate Riscossione aveva comunicato l’esistenza del debito di circa euro 2.000.00 relativamente al contributo unificato di primo grado dell’importo di euro 600,00, oltre sanzione ed interessi per euro 1.300,00.
2. Dagli atti di causa risulta quanto di seguito specificato.
2.1. In data 28.11.2016 il sig. -OMISSIS- - coniuge deceduto della ricorrente - presentava al Comune di Lecce una richiesta di regolarizzazione in sanatoria dell’occupazione dell’alloggio E.R.P. ubicato in Lecce, in Viale della Repubblica n.60, ai sensi dell' art. 20 della Legge Regionale Puglia n. 10/2014 e ss. mm., dichiarando che l’occupazione di detto alloggio era stata determinata dall' atto di generosità espresso dalla signora -OMISSIS-, legittima assegnataria del detto immobile, ad ospitare la famiglia -OMISSIS- e che la residenza della famiglia istante nel predetto alloggio era iniziata in data 25.01.2012.
2.2. Avverso il provvedimento dell'8.5.2019, prot. n. -OMISSIS-/2019, con cui il Responsabile dell’Ufficio Casa del Comune di Lecce ha significato il mancato accoglimento della richiesta di regolarizzazione dell’occupazione dell'alloggio di E.R.P presentata dal Sig. -OMISSIS- - coniuge, nel frattempo deceduto della sig. ra -OMISSIS- - fondato sul duplice rilievo dall’assenza del requisito richiesto dalla legge, di occupazione sine titulo dal triennio precedente dall’entrata in vigore della L.R. n. 10 del 2014, richiesto dall’art. 20 comma 1 lett. a) della medesima legge, avendo la famiglia acquisito la residenza anagrafica presso il predetto immobile a far data dal 25 gennaio 2012, e dal mancato invio nel termine richiesto della documentazione integrativa precedentemente richiesta - è insorta in prime cure la sig.ra -OMISSIS-, rassegnando le censure di seguito sintetizzate:
I- Falsa applicazione dell'art. 97 della Costituzione e dell'art. 22 della L.R. Puglia n. 54/1984 recante norme per l'assegnazione e la determinazione dei canoni di locazione relativi agli alloggi E.R.P.;nonché violazione dell'art. 1 della L. n. 241/1990 relativamente al principio di economicità, efficacia e imparzialità, relativamente alla mancata consegna da parte del Comune di Lecce alla famiglia della ricorrente dell’alloggio popolare legittimamente assegnato a seguito dello spossessamento dalla stessa subito, nonostante la denuncia fatta all’epoca dei fatti al Sindaco del Comune.
II - Violazione di legge per mancato accoglimento della richiesta di regolarizzazione del rapporto locativo in sanatoria, ai sensi della L.R. Puglia n. 10/2014 art. 20 e ss. mm. e ii. Eccesso di potere sotto i profili della contraddittorietà, illogicità e carenza istruttoria. Violazione del termine di conclusione del procedimento di cui all'art. 2 L. n. 241/1990 e ss. mm. e ii. Violazione dell'art. 1 della L. n. 241/1990, relativamente al principio di efficacia, imparzialità e trasparenza. Con tale motivo si rappresentava come il Comune non potesse rigettare l’istanza facendo riferimento alla data della residenza anagrafica, dovendo aversi riguardo alla data di occupazione sine titulo dell’immobile de quo , risalente al marzo 2011, come da dichiarazione resa dalla legittima assegnataria del medesimo alloggio, che li aveva inizialmente ospitati per generosità e da dichiarazioni rese dai coniugi -OMISSIS- - -OMISSIS-;ha inoltre evidenziato come la documentazione integrativa fosse stata regolarmente presentata al Comune di Lecce, nonostante non fosse stata protocollata.
III - Violazione e falsa applicazione della Legge del 7/8/1990 n. 241, relativamente all' art. 20 che disciplina l'istituto del "Silenzio-assenso". Parte ricorrente con tale censura evidenziava che l’istanza era stata rigettata dopo che sulla stessa si era formato il silenzio assenso, con conseguente illegittimità del provvedimento reiettivo.
IV - Violazione e falsa applicazione delle disposizioni di cui al " Bando di concorso generale n.1 del 2011 per assegnazioni di alloggi di Edilizia Residenziale Pubblica ", ed eccesso di potere sotto i profili della illogicità e contraddittorietà;nonché violazione dell'art. 1 della L. n. 241/1990 relativamente al principio di efficacia, economicità e imparzialità. Parte ricorrente lamenta l’illegittimità del comportamento del Comune, che non aveva assegnato loro altro alloggio popolare nonostante fossero legittimamente inseriti nella graduatoria di cui al bando di concorso n. 1 del 2011 dalla quale non erano stati depennati, avendo ricevuto solo una comunicazione di avvio del procedimento, non più sfociata in un provvedimento definitivo, relativo alla cancellazione da detta graduatoria per l’occupazione abusiva posta in essere.
2.3. Con la memoria finale la ricorrente, oltre a porre in dubbio la legittimazione passiva sopravvenuta del Comune, per essere le competenze in materia di alloggi popolari passate ad ARCA, evidenziava una serie di illegittimità poste in essere dal Comune di Lecce nella gestione degli alloggi popolari, come da esposti presentati e da indagini avviate.
3. Con la sentenza odiernamente appellata il giudice di prime cure ha in primo luogo evidenziato come non rilevasse la dedotta sopravvenuta situazione di incertezza circa la gestione amministrativa delle competenze in materia di assegnazione degli alloggi di Edilizia Residenziale Pubblica asseritamente attribuita all’A.R.C.A. Sud Salento (non evocata in giudizio), atteso che la stessa era rimasta del tutto estranea all’adozione dell’atto oggetto di impugnativa, adottato dal Comune di Lecce e pertanto allo stesso imputabile.
3.1. Il Tar ha poi ritenuto il ricorso parzialmente inammissibile, quanto alla richiesta di condanna dell’ente resistente alla stipula di un contratto in locazione semplice, e per il resto infondato.
4. Avverso tale sentenza la sig.ra -OMISSIS-, ha formulato, in otto motivi, le seguenti censure (essendosi nell’atto di appello erroneamente indicato come quarto motivo di appello il terzo motivo, con conseguente erronea numerazione anche dei successivi motivi):
I) Violazione e falsa applicazione dell’art. 101 comma II della Cost.;
II) Violazione e falsa applicazione dell’art. 111 della Cost recante il principio del giusto processo;
III) Violazione e falsa applicazione dell’art. 10 l.R. Puglia n. 1072014;erronea percezione della documentazione probatoria depositata nel giudizio innanzi al Tar Puglia;
IV) Violazione e falsa applicazione dell’art. 20 della L. 241/90;mancato rispetto delle previsioni dell’istituto giuridico del silenzio assenso;
V) Violazione e falsa applicazione delle disposizioni di cui al bando di concorso generale n. 1/2011 per assegnazione di alloggi ERP, nonché violazione art. 111 comma 6 Cost.;
VI) Censurabilità del rigetto della richiesta di rifusione ex art. 2043 c.c. dei pregiudizi di natura patrimoniale ed esistenziale patiti dal nucleo familiare -OMISSIS- -OMISSIS-;
VII) Sulla asserita tardività del ricorso introduttivo;
VIII) Mancata valutazione di quanto dedotto nella memoria difensiva depositata in prime cure.
5. Si è costituito il Comune di Lecce, con articolata memoria difensiva, instando per il rigetto dell’appello.
6. La causa è stata trattenuta in decisione all’esito dell’udienza pubblica dell’8 febbraio 2024.
DIRITTO
7. In limine litis va precisato come il reclamo presentato avverso il decreto n. 15 del 2020, reso in prime cure dalla Commissione per il gratuito patrocinio, non esitato dal primo giudice, verrà delibato dopo la disamina nel merito dell’appello, dovendo essere vagliata la non manifesta infondatezza del ricorso di prime cure (oltre che dei motivi di appello).
8. Con la sentenza odiernamente appellata il giudice di prime cure ha in primo luogo evidenziato come non rilevasse la dedotta sopravvenuta situazione di incertezza circa la gestione amministrativa delle competenze in materia di assegnazione degli alloggi di Edilizia Residenziale Pubblica, asseritamente attribuita all’A.R.C.A. Sud Salento (non evocata in giudizio), atteso che la stessa era rimasta del tutto estranea all’adozione dell’atto oggetto di impugnativa adottato dal Comune di Lecce e pertanto allo stesso imputabile.
8.1. Il Tar ha poi ritenuto il ricorso parzialmente inammissibile, quanto alla richiesta di condanna dell’ente resistente alla stipula di un contratto in locazione semplice, e per il resto infondato.
8.2. In particolare ha disatteso il primo motivo di ricorso, con cui si lamentava che il Comune aveva a suo tempo omesso di intervenire tempestivamente a liberare l’immobile di via Pirro, legittimamente assegnato al sig. -OMISSIS- e oggetto di occupazione abusiva, nonostante la denuncia fatta all’epoca dei fatti all’allora sindaco, sulla base del rilievo che, come dedotto dalla difesa civica, dal rapporto informativo del 21.10.1990 dei Vigili Urbani di Lecce risultava che il suddetto alloggio di via Pirro era stato ceduto dal de cuius della ricorrente a terzi, tant’è che con provvedimento sindacale del 18.07.1991 (non impugnato e quindi oramai divenuto definitivo) veniva dichiarata la decadenza dall’assegnazione dell’alloggio E.R.P. predetto e che comunque non era stata fornita la prova della comunicazione al Comune di Lecce dell’assenza “temporanea” dall’alloggio de quo .
8.3. Ha poi disatteso il secondo motivo di ricorso, relativo all’assenza dei presupposti per l’adozione dell’atto oggetto di impugnativa, sulla base dell’assorbente rilievo che il Sig. -OMISSIS- (coniuge della ricorrente), con nota del 7.11.2016 con prot. n. -OMISSIS-, avente per oggetto: “ Occupazione illegittima di alloggio comunale ” aveva dichiarato di occupare senza titolo l’alloggio in questione a partire dal gennaio 2012, con conseguente insussistenza del requisito previsto dall’articolo 20, comma 3, lett. a), della Legge Regione Puglia n. 10/2014 (ossia l’occupazione da almeno tre anni alla data di entrata in vigore della predetta legge, avvenuta l’8 aprile 2014).
Del tutto irrilevante veniva inoltre considerato dal primo giudice l’asserito consenso del legittimo detentore dell’alloggio E.R.P. occupato, tanto più che tale circostanza, oltre a non risultare dimostrata, contrastava con la nota prot. n. -OMISSIS- del 15.02.2017, con cui il sig. -OMISSIS-, residente in Lecce in viale della Repubblica n. 60, presentava un esposto nei confronti dei sig.ri -OMISSIS- e M A -OMISSIS- dichiarando che entrambi “ lo costringevano a firmare una carta da loro compilata dove io dichiaravo che gli stessi erano residenti già nel 2011 ” e allegando a tale nota copia della denuncia - querela presentata in data 24.01.2017 alla Questura di Lecce.
Disattendeva poi l’asserzione secondo la quale il possesso del requisito del triennio doveva ritenersi implicito nella richiesta di comprova del requisito reddituale richiesto in via integrativa, ritenendo detto profilo irrilevante.
8.4. Ha poi rigetto il terzo motivo di ricorso, relativo all’asserita formazione del silenzio assenso, in quanto non applicabile ai provvedimenti di carattere concessorio, quale deve assimilarsi il provvedimento di assegnazione di alloggio popolare, anche in considerazione dei riscontri che devono essere operati dalla P.A.
8.5. Ha infine dichiarato inammissibile il quarto motivo di ricorso, riferito alla violazione del bando di concorso 2011, trattandosi di un provvedimento ormai divenuto definitivo e non più modificabile, e comunque superato da quello oggetto di impugnativa, non vertendosi in tema di diritti soggettivi perfetti, nonché comunque inammissibile la domanda, proposta dalla ricorrente in via subordinata, di accertamento e di condanna dell'Amministrazione Comunale di Lecce all'assegnazione in locazione semplice, in favore di M A -OMISSIS-, di un altro alloggio popolare di E.R.P. sito in Lecce, in conformità alle esigenze della famiglia -OMISSIS-, stante l’assenza di alcuna posizione di diritto soggettivo all’assegnazione di un alloggio di Edilizia Economica Popolare, alla quale si accede solo tramite procedura concorsuale, previa verifica dei requisiti di legge.
8.6. Ha pertanto conseguentemente rigettato anche la domanda risarcitoria.
9. Ciò posto, con il primo motivo parte appellante censura il capo della sentenza di prime cure che aveva ritenuto irrilevante quanto dedotto in corso di causa relativamente alla situazione di incertezza nella gestione delle competenze in materia di alloggi popolari, data dal subentro di ARCA alle competenze del Comune, denunciandone l’irragionevolezza quanto al dedotto difetto di legittimazione passiva sopravvenuta del Comune di Lecce, con la conseguenza che il provvedimento impugnato andava dichiarato illegittimo per sopravvenuta carenza di potere e comunque andava disposta la condanna del soggetto legittimato passivo alla stipula del contratto di locazione semplice, trattandosi di atto vincolato.
9.1. Il motivo è destituito di fondamento, posto che, vertendosi in tema di impugnazione di provvedimento amministrativo, la legittimità dell’atto non può che essere valutata con riferimento alla situazione esistente al momento della sua adozione ( tempus regit actum ) per cui non è ipotizzabile un’illegittimità per sopravvenuta carenza di potere, rilevando le sole sopravvenienze intervenute tra la data di presentazione dell’istanza della parte che ha dato avvio al procedimento e la data di adozione del provvedimento finale e non certamente le sopravvenienze successive all’adozione di tale provvedimento.
Ed invero, richiamando la giurisprudenza di questo Consiglio (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. IV, 24 ottobre 2022, n. 9045;id, sez. IV, 16 novembre 2020, n. 7052;id., sez. III, 29 aprile 2019, n. 2768;id., sez. V, 18 marzo 2019, n. 1733;id., sez. V, 10 aprile 2018, n. 2171;id., sez. IV, 21 agosto 2012, n. 4583), nei procedimenti amministrativi la corretta applicazione del principio tempus regit actum comporta che la pubblica amministrazione deve considerare anche le modifiche normative intervenute durante il procedimento, non potendo considerare l'assetto normativo cristallizzato in via definitiva alla data dell'atto che vi ha dato avvio. Ne consegue che la legittimità del provvedimento adottato al termine di un procedimento avviato ad istanza di parte deve essere valutata con riferimento alla disciplina vigente al tempo in cui è stato adottato il provvedimento finale, e non al tempo della presentazione della domanda da parte del privato, dovendo ogni atto del procedimento amministrativo essere regolato dalla legge del tempo in cui è emanato in dipendenza della circostanza che lo jus superveniens reca sempre una diversa valutazione degli interessi pubblici.
9.2. Parimenti irrilevante, ai fini della riforma in parte qua della sentenza di prime cure , si palesa il dedotto difetto di legittimazione passiva rispetto alla richiesta contenuta nel ricorso alla condanna alla stipula di un contratto in locazione, trattandosi di domanda inammissibile sulla base del duplice rilevo che l’Arca – asserito soggetto legittimato - non è stata mai evocata in giudizio dalla parte ricorrente, nonché del rilievo che, non vertendosi in tema di diritti soggettivi perfetti, come evidenziato dal primo giudice, la parte avrebbe dovuto azionare al più l’azione sul silenzio al fine di richiedere l’assegnazione dell’immobile sulla base della graduatoria del 2011, azione che, ad onta di quanto dedotto in appello, non può ritenersi ritualmente formulata in prime cure , non essendovi in atti la prova di alcuna previa richiesta alla conclusione del procedimento di assegnazione di immobile sulla base di detta graduatoria, né la prova della tempestiva proposizione dell’azione sul silenzio entro il termine annuale dalla data di presentazione della suddetta istanza, ex art. 31 comma 2 c.p.a.;ciò fermo quanto di seguito precisato in ordine all’inammissibilità della richiesta condanna, anche sotto altro profilo, non ricorrendo i presupposti al riguardo richiesti dall’art. 31 comma 3 c.p.a..
10. Con il secondo motivo di appello la sig.ra -OMISSIS- lamenta l’erroneità della sentenza di prime cure, nella parte in cui aveva rigettato il primo motivo di ricorso, con cui si censurava l’operato del Comune per non avere provveduto a riconsegnare l’immobile assegnato al sig. -OMISSIS- in via Pirro, oggetto di occupazione abusiva nel 1990 ad opera di altro soggetto, in considerazione del rilievo che era stata posto a base della decisione quanto dedotto dal Comune in merito alla cessione dell’alloggio de quo e alla consequenziale decadenza, in assenza di qualsivoglia prova documentale al riguardo, non avendo in realtà i coniugi mai ceduto detto immobile, ma essendo stato lo stesso oggetto di occupazione nel periodo in cui si erano allontanati dal medesimo per recarsi in Padova, a causa di problemi familiari. Del tutto destituito di fondamento poi si rilevava, in tesi di parte appellante, l’asserita notifica dell’atto di decadenza non oggetto di impugnativa, posto che dalla documentazione prodotta dal Comune si evinceva la notifica a soggetto del tutto estraneo.
In tesi attorea il giudice di prime cure, dopo avere accertato la dedotta abusiva occupazione dell’immobile legittimamente assegnato al nucleo familiare, avrebbe dovuto dichiarare l’illegittimità del provvedimento oggetto di impugnativa e comunque condannare il comune a stipulare un contratto di assegnazione di immobile popolare in locazione semplice, avuto riguardo all’intervenuto spossessamento.
10.1. Il motivo è inammissibile e comunque infondato, posto che la sentenza di prime cure è motivata non solo in riferimento a quanto dedotto nel controricorso del Comune, circa la decadenza dall’assegnazione dell’alloggio de quo per cessione dello stesso , ma anche sulla circostanza che la famiglia non aveva comunicato l’allontanamento temporaneo dall’alloggio de quo , come onere della parte, precisazione questa in grado di reggere il rigetto e non oggetto di alcuna contestazione.
Ed invero, in assenza di alcuna specifica contestazione contro l’autonoma motivazione posta a base del decisum di prime cure , ben può applicarsi il principio di diritto elaborato dalla Suprema Corte di Cassazione secondo il quale, qualora la sentenza del giudice di merito si fondi su più ragioni autonome, ciascuna delle quali logicamente e giuridicamente idonea a sorreggere la decisione, l'omessa impugnazione, con ricorso per cassazione, anche di una soltanto di tali ragioni determina l'inammissibilità, per difetto di interesse, anche del gravame proposta avverso le altre, in quanto l'eventuale accoglimento del ricorso non inciderebbe sulla ratio decidendi non censurata, con la conseguenza che la sentenza impugnata resterebbe, pur sempre, fondata su di essa (Cass. n. 3951 del 1998;Cass. n. 5902 del 2002;Cass. n. 2273 del 2005;Cass. n. 389 del 2007;Cass. n. 3386 del 2011;Cass. n. 18641 del 2017;Cass. n. 16314 del 2019).
Trattasi di un principio radicato anche nella giurisprudenza amministrativa con riferimento all’impugnazione di provvedimenti amministrativi plurimotivati, secondo cui, in presenza di provvedimenti motivati con distinte ragioni, ciascuna delle quali di per sé astrattamente sufficiente a sorreggere la volizione amministrativa, la parte che agisce per l'annullamento ha l'onere di aggredire tutti i pilastri motivazionali che reggono l'avversata decisione, pena l'inammissibilità dell'azione, strutturalmente inidonea, quand'anche in toto accolta, a determinare l'annullamento dell'atto, che, al contrario, resterebbe in piedi in virtù delle ragioni non fatte oggetto di censura (ex multis Cons. Stato, sez. V, 06 febbraio 2024, n. 1215), e senz’altro estensibile, per identità di ratio, all’impugnativa di provvedimenti giurisdizionali.
Peraltro, in disparte da tali rilievi, la censura articolata in prime cure era infondata anche sotto altro profilo, posto che la parte ricorrente in alcun modo aveva dimostrato, come suo onere, ex art. 64 c.p.a. e 2697 c.c. di avere denunciato l’intervenuto spossessamento dell’immobile legittimamente assegnato al nucleo familiare, essendosi limitata ad affermare di avere denunciato l’accaduto al sindaco in carica, dovendosi al riguardo evidenziare che nel giudizio amministrativo l'art. 101 c.p.a. (d.lgs. n. 104/2010) - che fa riferimento a " specifiche censure contro i capi della sentenza gravata " - deve essere coordinato con il principio di effetto devolutivo dell'appello, in base al quale è rimessa al giudice di secondo grado la completa cognizione del rapporto controverso, con integrazione - ove necessario - della motivazione della sentenza appellata e senza che rilevino, pertanto, le eventuali carenze motivazionali di quest'ultima (ex multis Cons. Stato, sez. V, 26 aprile 2021, n. 3308;17 gennaio 2020, n. 430;13 febbraio 2017, n. 609).
Al riguardo si evidenzia, ad integrazione di quanto osservato dal primo giudice, che la parte in alcun modo aveva provato in giudizio di avere denunciato al Comune l’intervenuto spossessamento.
Ed invero ai sensi dell'art. 64, comma 1, c.p.a. spetta alle parti l'onere di fornire gli elementi di prova che siano nella loro disponibilità riguardanti i fatti posti a fondamento delle domande e delle eccezioni;il reticolo normativo del codice del processo amministrativo in materia di onere della prova richiama l'art. 2697 c.c., secondo cui chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento, mentre chi eccepisce l'inefficacia di tali fatti ovvero eccepisce che il diritto si è modificato o estinto deve provare i fatti su cui l'eccezione si fonda;il principio che domina il regime di acquisizione delle prove, anche nel processo amministrativo, è quindi scolpito dal brocardo " onus probandi incumbit ei qui dicit " (Cons. di St., sez. IV, 22 agosto 2018, n.5030).
11. Con il terzo motivo parte appellante critica il capo della sentenza che aveva rigettato il secondo motivo di ricorso sulla base del rilievo del difetto del requisito del triennio dell’occupazione sine titulo richiesto dall’art. 20 comma 3 l.r. Puglia n. 10/2014, assumendo che il giudice di prime cure si era limitato ad assegnare rilievo alle dichiarazioni in atti, rese dai coniugi circa l’inizio dell’occupazione de qua a far data dal 25 gennaio 2012, dettate dall’ignoranza dei coniugi stessi, che avevano inteso far riferimento alla loro posizione anagrafica e non alla data di effettiva occupazione dell’alloggio, risalente al marzo 2011, come comprovato dalla dichiarazione resa dalla sig. -OMISSIS- assegnataria dell’alloggio de quo, che aveva dichiarato di avere ospitato la famiglia -OMISSIS-/-OMISSIS- a partire da tale data.
Assume parte ricorrente inoltre che il Comune non avrebbe dato seguito al provvedimento del Procuratore della Repubblica – che era intervenuto nel procedimento per occupazione abusiva intrapreso nei confronti del -OMISSIS-, conclusosi con mero decreto penale di condanna – con cui a suo dire sì ordinava al Comandante della Polizia Municipale di intimare all’Ufficio Case del Comune di Lecce di provvedere alla regolarizzazione.
11.1. Anche tale motivo risulta destituito di fondamento posto che, alla stregua di quanto in precedenza precisato, era del pari del pari onere della ricorrente fornire valida prova circa la data di decorrenza dell’occupazione sine titulo , avuto riguardo anche alla discordanza delle dichiarazioni in atti provenienti dai coniugi -OMISSIS- - -OMISSIS- e all’assenza di valida prova documentale al riguardo, non potendosi annettere valore probatorio alla dichiarazione resa dalla sig.ra -OMISSIS-, legittima assegnataria, in quanto non resa nelle forme della testimonianza scritta;ciò senza tralasciare di considerare che in alcun modo potrebbe rilevare come inizio di occupazione sine titulo , atta a far decorrere il triennio preso in considerazione dall’art. 20 comma 3 lett. a) l.r. Puglia n. 10/2014, l’eventuale coabitazione con la legittima assegnataria dell’immobile, per atto di mera ospitalità.
Avuto riguardo all’assenza di idonea prova documentale circa l’inizio dell’occupazione abusiva, legittimamente il Comune ha valorizzato la data di iscrizione anagrafica della residenza presso l’alloggio de quo, peraltro coincidente, sulla base delle stesse dichiarazioni in atti, con la data di allacciamento dell’utenza elettrica in capo alla famiglia -OMISSIS- – -OMISSIS- (cfr allegato n. 16 al ricorso di primo grado);per cui è inverosimile ritenere che la stessa fosse risalente al marzo del 2011, data di inizio della coabitazione con la legittima assegnataria, ovvero al periodo immediatamente successivo, posto che era stata disattivata l’utenza elettrica dopo l’allontanamento della sig.ra -OMISSIS- dall’alloggio de quo .
Alcun rilievo può inoltre annettersi all’invito espresso della Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Lecce, al Comune di provvedere alla regolarizzazione della posizione abitativa del sig. -OMISSIS-, trattandosi di mero invito (cfr. all. n. 16 all’atto di appello), non avendo il Procuratore della Repubblica alcun potere in merito e dovendo le istanze amministrative essere esitate sulla base delle risultanze istruttorie ad opera degli organi competenti.
12. Con il quarto motivo parte appellante lamenta che la sentenza di prime cure sarebbe del pari illegittima nella parte in cui aveva escluso che sull’istanza di regolarizzazione si fosse formato il silenzio assenso, avente portata generalizzata ed applicabile, in base ad un certo orientamento giurisprudenziale, anche all’assegnazione degli alloggi popolari.
12.1. Anche tale motivo è destituito di fondamento, dovendo sul punto condividersi la statuizione resa dal primo giudice, posto che secondo l’orientamento giurisprudenziale seguito dalla Sezione, dal quale non vi è motivo di discostarsi, la materia della concessione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica non contempla il silenzio assenso come fattispecie provvedimentale (ex multis Cons. Stato Sez. V, 19 febbraio 2018, n. 1013;Cons. Stato, V, 10 ottobre 2017 n. 4688).
13. Con il quinto motivo la sig.ra -OMISSIS- lamenta che la sentenza di prime cure sarebbe erronea nel punto in cui aveva ritenuto inammissibile la censura riferita alla violazione del bando del 2011, nella cui graduatoria il nucleo familiare risultava legittimamente inserito, evidenziando che la comunicazione di avvio del procedimento relativa alla cancellazione dalla graduatoria de qua, per avere il -OMISSIS- occupato l’immobile di cui è causa contro la volontà della legittima assegnataria, non aveva più avuto seguito, per cui l’amministrazione avrebbe dovuto provvedere all’assegnazione dell’immobile in base a detta graduatoria.
Parte appellante lamenta pertanto che erroneamente il Tar aveva disatteso la censura riferita al silenzio dell’amministrazione comunale sul punto, non essendo l’azione sul silenzio tardiva;peraltro non sarebbe comprensibile l’argomentazione del giudice di prime cure secondo cui il provvedimento di esclusione dalla graduatoria sarebbe definitivo ed immodificabile, non essendo stato notificato ai coniugi -OMISSIS-- -OMISSIS- alcun provvedimento definitivo, ma solo la comunicazione di avvio del procedimento di esclusione dalla graduatoria. Né, in tesi di parte appellante, sarebbe chiaro il riferimento al superamento della graduatoria del 2011 da parte dell’atto impugnato.
Parimenti erronea in tesi di parte appellante sarebbe la conclusione della sentenza circa l’inammissibilità dell’azione sul silenzio, non vertendosi in tema di diritti soggettivi perfetti.
Pertanto il giudice di prime cure , in tesi attorea, avrebbe dovuto condannare il Comune alla stipula di un contratto in locazione semplice.
13.1. Il motivo de quo è da rigettare, sia pure integrando la motivazione resa al riguardo dal primo giudice, avuto riguardo al principio devolutivo che permea il giudizio di appello, alla stregua di quanto innanzi precisato.
Si osserva al riguardo la graduatoria del 2011, oltre che superata dalla successiva graduatoria del 2016, non può rilevare rispetto alla legittimità del provvedimento oggetto di impugnativa in prime cure , relativo ad istanza di regolarizzazione di immobile occupato sine titulo, da esitare sulla base delle risultanze istruttorie, ma solo rispetto ad un’azione sul silenzio, non ritualmente introdotta dalla parte, che non risulta avere presentato un’istanza di assegnazione di immobile sulla base di detta graduatoria, come evidenziato nel paragrafo 9.2, né risulta aver agito con detta azione nel termine annuale dalla presentazione di tale istanza, richiesto dall’art. 31 comma 2 c.p.a.;fermo restando che, anche ove fosse stata introdotta tale domanda, il primo giudice giammai avrebbe potuto, in difetto di istruttoria di competenza dell’amministrazione, accertare la fondatezza dell’istanza e condannare il Comune all’assegnazione di un immobile appartenente agli alloggi di edilizia economico popolare, rispetto al quale si poteva rilevare ostativo lo stesso decreto penale di condanna irrogato nei confronti del -OMISSIS- per l’occupazione dell’immobile, citato nello stesso atto di appello, o comunque la situazione di spossessamento posta in essere nei confronti della -OMISSIS-, posta a base della comunicazione di avvio del procedimento di decadenza dalla graduatoria.
E’ infatti noto, che in tema di azione sul silenzio, il giudice può accertare la fondatezza dell’istanza ex art. 31 comma 3 c.p.a. quando si tratti di attività vincolata o quando risulta che non residuino ulteriori margini di esercizio della discrezionalità e non sono necessari adempimenti istruttori che debbano essere compiuti dall’Amministrazione;pertanto, a prescindere dal rilievo che l’Amministrazione non aveva adottato il provvedimento definitivo di decadenza dalla graduatoria del 2011, a fronte del profilo ostativo indicato nella comunicazione di avvio del procedimento, e comunque del residuare di spazi di apprezzamento in capo al Comune in ordine a tale profilo, giammai il primo giudice avrebbe potuto accertare la fondatezza dell’istanza e condannare il Comune all’assegnazione di un alloggio di edilizia economico popolare in favore della parte ricorrente.
14. Avuto riguardo alla legittimità dell’atto oggetto di gravame in prime cure e comunque all’assenza di elementi probatori atti a suffragare la dedotta illiceità del comportamento del Comune, anche in merito alla mancata assegnazione di altro alloggio, a seguito dell’intervenuto spossessamento dell’alloggio legittimamente assegnato alla famiglia -OMISSIS- -OMISSIS-, ovvero all’inammissibilità della richiesta condanna del Comune, relativa al mancato scorrimento della graduatoria del 2011, non meritevole di accoglimento si palesa la domanda risarcitoria oggetto del sesto motivo di appello.
14.1. E’ infatti noto che in materia di responsabilità civile della P.A. si deve verificare se ricorre una lesione contra ius , violando la stessa un interesse ritenuto meritevole di tutela secondo l’ordinamento giuridico, e non iure , espressione con cui si vuole significare che l’evento lesivo sia stato cagionato dall’agente a fronte di una condotta non giustificata dall’ordinamento. In secondo luogo, occorre accertare, altresì, la sussistenza di tutti gli elementi costitutivi dell’illecito civile ai sensi dell’art. 2043 c.c..
Pertanto, in mancanza della prova di un agire illegittimo della P.A. ( non iure ) – id est di un comportamento illecito ex art. 2043 c.c.– ovvero dell’esistenza di un interesse ritenuto meritevole di protezione secondo l’ordinamento giuridico ( contra ius ), viene a mancare lo stesso presupposto per l’accoglimento della pretesa risarcitoria.
15. Del tutto irrilevante, ai fini della riforma della sentenza appellata, e dell’accoglimento del ricorso di prime cure si rileva poi il settimo motivo di appello, con cui parte appellante, piuttosto che censurare la sentenza di prime cure , che non ha considerato il ricorso irricevibile, ha contestato le deduzioni del comune circa la tardività del ricorso, per essere stato notificato il provvedimento impugnato presso lo studio legale in cui faceva la pratica legale il figlio della ricorrente, evidenziando che alcun mandato era stato conferito al legale titolare dello studio, solo successivamente incaricato del patrocinio.
16. Destituito di fondamento si rileva poi l’ultimo motivo di appello, con cui confusamente, al fine di evidenziare l’asserita superficialità della sentenza di prime cure , si evidenzia come nella stessa non si fosse in alcun modo tenuto conto di quanto dedotto in memoria difensiva circa i reati ascrivibili ai funzionari dell’ente, incaricati della gestione degli alloggi popolari e circa la sparizione di documenti dal fascicolo inerente l’istanza di sanatoria di cui è causa.
Ed invero va in primo luogo sottolineato che quanto evidenziato nella memoria difensiva giammai avrebbe potuto allargare il thema decindum rispetto ai motivi formulati nel ricorso di prime cure , stante l’onere di tempestiva formulazione degli stessi, quale prescritto dall’art. 40 comma 1 lett. d) c.p.a., con la sola possibilità di presentare ricorso per motivi aggiunti avverso il medesimo provvedimento gravato, laddove la parte venga successivamente a conoscenza, sulla base della documentazione successivamente acquisita, di ulteriori profili di illegittimità, ex art. 43 comma 1 c.p.a., entro il termine decadenziale dall’acquisizione di tali documenti.
16.1. In disparte da tale rilievo, in alcun modo quanto dedotto da parte ricorrente nella memoria difensiva in prime cure e riportato nell’ultimo motivo di appello, avrebbe potuto condurre all’accoglimento del ricorso, posto che dalla documentazione in atti si evince l’insussistenza del requisito di cui all’art. 20 comma 3 lett. a) l.r. Puglia n. 10 del 2014 e che comunque non sussistevano i presupposti, ai sensi di quanto innanzi precisato, per l’accoglimento di alcuna sentenza di condanna del Comune all’assegnazione di un alloggio di edilizia economico popolare in favore della parte ricorrente.
17. L’appello va dunque respinto.
17.1. Peraltro, nonostante il ricorso di prime cure non fosse meritevole di accoglimento, dovendo il rigetto motivarsi avuto riguardo, quanto all’azione impugnatoria, all’assenza di prova circa la sussistenza del requisito di cui all’art. 20 comma 3 lett. a) l.r. Puglia n. 10 del 2014, il reclamo proposto in prime cure avverso il decreto n. 15 del 2020, reso dalla Commissione per il patrocinio a spese dello Stato, di non ammissione al gratuito patrocinio, non scrutinato dal primo giudice nel decidere nel merito il ricorso, deve ritenersi meritevole di accoglimento, non essendosi in presenza di un ricorso manifestamente infondato, ovvero la cui infondatezza fosse evincibile dalla mera disamina dei motivi di ricorso, senza alcuno scrutinio degli atti istruttori.
18. Per le medesime ragioni è meritevole di conferma l’ammissione al gratuito patrocinio disposta per il grado di appello dalla commissione per il gratuito patrocinio presso il Consiglio di Stato, in quanto sebbene l’appello non sia meritevole di accoglimento, non può considerarsi manifestamente infondato.
19. Le questioni sopra vagliate esauriscono la vicenda sottoposta all'esame del Collegio, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell'art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante, ex plurimis , per le affermazioni più risalenti, Cass. civ., Sez. II, 22 marzo 1995, n. 3260, e, per quelle più recenti, Cass. civ., Sez. V, 16 maggio 2012, n. 7663, e per il Consiglio di Stato, Sez. VI, 18 luglio 2016, n. 3176).
Gli argomenti di difesa non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.
20. Sussistono eccezionali e gravi ragioni avuto riguardo alle ragioni della decisione e alla materia trattata per compensare tra le parti le spese di lite del presente grado.