Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2013-09-24, n. 201304712

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2013-09-24, n. 201304712
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201304712
Data del deposito : 24 settembre 2013
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 02706/2012 REG.RIC.

N. 04712/2013REG.PROV.COLL.

N. 02706/2012 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2706 del 2012, proposto da:
V F, rappresentato e difeso dagli avv.ti B R e A R, con domicilio eletto presso B R in Roma, via Romeo Romei 19;

contro

Ministero della Giustizia, in persona del Ministro p.t. e Consiglio Superiore della Magistratura, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui Uffici sono domiciliati, in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la revocazione

della sentenza del CONSIGLIO DI STATO - SEZ. IV n. 05025/2011, resa tra le parti, concernente mancata idoneità alla nomina a funzioni direttive superiori


Visti il ricorso per revocazione e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero della Giustizia e del Consiglio Superiore della magistratura;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 4 giugno 2013 il Cons. Francesca Quadri e uditi per le parti gli avvocati B R e l'Avvocato dello Stato Marina Russo;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Il dott. V F, già magistrato di Cassazione collocato a riposo per raggiunti limiti d’età, impugna per revocazione la sentenza del Consiglio di Stato, Sez. IV, in data 24 maggio – 7 settembre 2011 n. 5025/2011, con cui è stato respinto il suo appello avverso la sentenza del Tar Lazio n. 1985/2006, reiettiva della domanda di annullamento della delibera del Consiglio Superiore della Magistratura del 17 maggio 2001 che lo aveva dichiarato non idoneo ai fini della nomina a funzioni direttive superiori e del conferimento del corrispondente incarico, sulla base di un giudizio complessivo, esteso a fatti già oggetto di precedenti valutazioni.

Muovendo dall’interpretazione dell’art. 16 l. 20 dicembre 1973, n. 831, che impone una valutazione globale della carriera del magistrato, non delimitata agli ultimi otto anni di permanenza nella qualifica di magistrato di cassazione, in riferimento a tutti gli elementi attinenti alla vita professionale significativi, il Consiglio di Stato ha giudicato legittimo un giudizio basato sul complesso degli atti istruttori, non annullati per effetto delle precedenti pronunce, favorevoli al ricorrente, di annullamento dei provvedimenti di diniego di promozione a magistrato di cassazione, in quanto esponenziali dell’attività dell’appellante.

La revocazione della sentenza viene richiesta ai sensi dell’art. 395, nn. 5 e 4 c.p.c., in relazione all’art. 106 cod. pr. amm., per contrasto con i precedenti giudicati formatisi in relazione a decisioni, in particolare quella del Tar Piemonte n. 930 del 9 giugno 1981 e del Consiglio di Stato, n. 1749/99, da cui risultavano già accertati i requisiti per il conferimento delle funzioni superiori.

La sentenza sarebbe, inoltre, frutto di un errore di fatto, per essersi basata sulla supposizione di un fatto (sanzione disciplinare della sospensione per sei mesi a causa delle frequentazioni da parte del magistrato) inesistente.

Si sono costituiti il Ministero della Giustizia ed il Consiglio Superiore della Magistratura, concludendo per l’inammissibilità e, comunque, per l’infondatezza del ricorso.

All’udienza del 4 giugno 2013 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

2. Il ricorso per revocazione è inammissibile.

2.1. Quanto al motivo di revocazione di cui all’art. 395, n. 5 c.p.c. (contrasto con precedente giudicato), occorre richiamare consolidati principi, per cui perché una sentenza possa considerarsi contraria ad altra precedente avente fra le parti autorità di cosa giudicata, occorre che tra i due giudizi vi sia identità di soggetti e di oggetto, tale che sussista un'ontologica e strutturale concordanza tra gli estremi su cui debba esprimersi il secondo giudizio e gli elementi distintivi della decisione emessa per prima, avendo questa accertato lo stesso fatto o un fatto ad esso antitetico, e non anche un fatto costituente un possibile antecedente logico (Cass. civ. Sez. II, 21-12-2012, n. 23815).

Tale identità manca nella fattispecie in esame, in cui i giudicati richiamati dal ricorrente riguardano le precedenti delibere del CSM attinenti alla promozione del ricorrente a magistrato di cassazione, mentre la pronuncia impugnata per revocazione riguarda il conferimento di funzioni direttive superiori.

Inoltre, le pronunce tra le quali viene asserito il contrasto non contengono un opposto accertamento in relazione ai medesimi atti istruttori attinenti alla carriera del magistrato, sul quale il ricorrente sostiene essersi ormai formato un giudicato in senso a lui favorevole.

Invero, nella sentenza oggetto della presente impugnazione, il Consiglio di Stato, lungi dal pronunciarsi su tali atti, ha semplicemente riconosciuto la permanenza della loro valutabilità, in quanto l’annullamento giurisdizionale delle delibere del CSM – motivato, in effetti, sul difetto di una valutazione complessiva dell’attività del magistrato – non comportandone il travolgimento, non ha privato l’amministrazione del potere di porli a base di un successivo, del tutto autonomo giudizio, ai fini del conferimento delle diverse funzioni direttive superiori, come rilevante elemento di valutazione della relativa idoneità.

Sotto il profilo considerato, quindi, il ricorso per revocazione deve dichiararsi inammissibile.

2.2. Venendo al motivo di revocazione di cui all’art. 395, n. 4 c.p.c., non può prescindersi dalla preliminare considerazione per cui l’errore di fatto revocatorio consiste in un errore di percezione, o in una mera svista materiale, che abbia indotto il giudice a supporre l'esistenza (o l'inesistenza) di un fatto decisivo, che risulti, invece, in modo incontestabile escluso (o accertato) in base agli atti e ai documenti di causa, sempre che tale fatto non abbia costituito oggetto di un punto controverso su cui il giudice si sia pronunciato. L’errore in questione presuppone, quindi, il contrasto fra due diverse rappresentazioni dello stesso fatto, delle quali una emerge dalla sentenza, l'altra dagli atti e documenti processuali, sempreché la realtà desumibile dalla sentenza sia frutto di supposizione e non di giudizio e che acquisti essenziale e decisivo rilievo ai fini della decisione, nel senso che deve sussistere un rapporto di causalità necessaria fra l'erronea supposizione e la pronuncia in concreto resa dal giudice di merito, tale che senza l’errore la pronuncia sarebbe stata diversa (Cass. Civ. 29-10-2010, n. 22171 ;
5-10-2007, n. 20917).

Nella specie, è da escludere che l’inflizione della sanzione disciplinare della sospensione – la cui esistenza è, peraltro, contestata dal ricorrente, ma non incontrastabilmente esclusa in base agli atti di causa – abbia, di per sé, costituito un fatto di rilevanza essenziale e decisiva ai fini della pronuncia, essendosi il Consiglio di Stato limitato ad affermare che il complesso degli atti istruttori, in quanto non annullati dalle precedenti pronunce, erano pienamente valutabili, nell’ambito dell’ampia discrezionalità che impinge nel merito dell’azione amministrativa ed è di norma sottratta al sindacato del giudice amministrativo, come elementi esponenziali della personalità dell’appellante e che tra questi rientrava anche il comportamento (e non la sanzione da esso discendente) - non contestato dal ricorrente, neanche in sede revocatoria - consistente nella frequentazione di ambienti non consoni ad un magistrato.

Anche il motivo di revocazione di cui all’art. 395, n. 4 c.p.c. deve, pertanto, ritenersi privo dei necessari presupposti.

2.3. In conclusione, il ricorso per revocazione deve dichiararsi inammissibile.

2.4. Per il principio della soccombenza il ricorrente va condannato alle spese di giudizio, liquidate in dispositivo.

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