Consiglio di Stato, sez. I, parere definitivo 2020-01-15, n. 202000137
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Numero 00137/2020 e data 15/01/2020 Spedizione
REPUBBLICA ITALIANA
Consiglio di Stato
Sezione Prima
Adunanza di Sezione del 23 ottobre 2019
NUMERO AFFARE 00851/2019
OGGETTO:
Ministero dell'interno
Ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, con istanza sospensiva, proposto da -OMISSIS-, contro Ministero dell'Interno, Questura di -OMISSIS-, avverso provvedimento del 6/12/2017 di rigetto istanza intesa ad ottenere il rilascio della licenza ex art. 88 del t.u.l.p.s.;
LA SEZIONE
Vista la relazione n. del 15/05/2019 con la quale il Ministero dell'interno dipartimento sicurezza pubblica ha chiesto il parere del Consiglio di Stato sull'affare consultivo in oggetto;
Esaminati gli atti e udito il relatore, consigliere F Cfaggi;
Premesso:
Il signor -OMISSIS-è legato alla società -OMISSIS- da un rapporto di affiliazione commerciale. Egli svolge attività di promozione e commercializzazione in favore della suddetta società, favorendo l’apertura di conti gioco tra gli scommettitori ed il concessionario nonché attività di intermediazione telematica, promuovendo la raccolta e la trasmissione di proposte di scommesse per coloro che non sono titolari di conti-gioco.
In data 7 giugno 2017 il Sig. -OMISSIS-, legale rappresentante della società "-OMISSIS-", società titolare del centro di trasmissione ed elaborazione dati (CTD) con sede in -OMISSIS-- (LT), affiliato al bookmaker -OMISSIS-"-OMISSIS-", presentava alla Questura di -OMISSIS- comunicazione ai sensi dell'art. 1, comma 644, lettera E, della legge n. 190/2014, finalizzata all'esercizio dell'attività di raccolta scommesse su eventi sportivi.
Con decreto -OMISSIS-, notificato il 31.1.2018 previa regolare comunicazione di avvio del procedimento, ai sensi degli artt. 7 della L. 241/90, il questore di -OMISSIS-, qualificando l'istanza dell'interessato come domanda intesa ad ottenere il rilascio della licenza ex art. 88 del T.U.L.P.S., la respingeva e contestualmente ordinava la cessazione dell'attività denunciata, stante l'assenza dei requisiti previsti dalla vigente normativa di pubblica sicurezza a presupposto della licenza predetta (cfr. articoli 88 del T.U.L.P.S. e 161 del relativo Regolamento di Esecuzione).
Avverso tale decreto, il ricorrente presentava ricorso gerarchico al Prefetto di -OMISSIS- che, esaminate le controdeduzioni fornite dalla Questura con nota del 15 maggio 2018, lo respingeva con provvedimento n. -OMISSIS-, notificato il 22 giugno 2018, rilevando come l'attività di raccolta scommesse su eventi sportivi per conto della società -OMISSIS-"-OMISSIS-", fosse svolta in assenza di concessione e pertanto in violazione dell'art. 88 del T.U.L.P.S. Con il provvedimento veniva rigettata la richiesta di autorizzazione ed ordinata la sospensione dell’attività.
Contro i due provvedimenti l'interessato ha proposto ricorso straordinario al Presidente della Repubblica per violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 24, 27 Cost.;difetto di motivazione, abnormità, eccesso di potere, violazione dei principi di ragionevolezza e proporzionalità, violazione della normativa europea in relazione all'art. 1, comma 643 della legge di stabilità 2015 e 2016 in relazione all'art. 88 del T.U.L.P.S., anche con riferimento al numero limitato delle concessioni.
L’amministrazione riferente esprime l’avviso che il ricorso sia infondato e debba essere respinto.
Considerato
Lamenta il ricorrente che la concessione rilasciata dallo Stato di Malta al suo affiliante -OMISSIS- gli consentirebbe di operare come centro di trasmissione dati e per questo il provvedimento della Questura di -OMISSIS- di diniego della licenza e sospensione dell’attività, confermato dalla Prefettura di -OMISSIS-, sarebbe illegittimo. L'art. 88 del TULPS stabilisce che un'autorizzazione di polizia, che presuppone un certo numero di controlli delle qualità personali e professionali del richiedente, può essere rilasciata, nel settore dei giochi d'azzardo, esclusivamente a coloro che sono già in possesso di una concessione.
La disciplina distingue chiaramente tra gioco a distanza con rete virtuale e gioco con rete fisica le cui autorizzazioni rientrano nell’ambito dell’art. 88 TULPS. Nel primo caso non è consentita alcuna forma di intermediazione tra lo scommettitore ed il concessionario. Solo nell’ipotesi della esistenza di una rete fisica tale intermediazione è consentita e regolata, in Italia, da un regime di doppia autorizzazione, che, come si vedrà, è stato ritenuto legittimo sia dalla Corte di Giustizia sia dalla Corte Costituzionale. Ha ritenuto la giurisprudenza che l’uso di intermediari con la formula del centro di trasmissione dati (CTD) non possa consentire lo svolgimento di attività di gestione, potendo in tal modo sottrarsi il concessionario al sistema di controlli vigente nel nostro ordinamento ( Consiglio di stato, sez. III, 4905/2018). Afferma in proposito la giurisprudenza “ il CTD non potrebbe in ogni caso svolgere l’attività per cui è stata chiesta l’autorizzazione, senza la qualificata presenza nel nostro ordinamento del soggetto nel cui interesse agisce. Infatti, il sistema concessorio-autorizzatorio, vigente nel nostro ordinamento, la cui legittimità è stata confermata anche dalle Corti europee, riguarda unicamente operatori economici che intendano ‘organizzare e gestire’ nel territorio la parte del mercato nazionale delle scommesse dismessa dalle strutture pubbliche, e non lascia nessuno spazio per formule organizzatorie, che, separando le fasi della negoziazione, non consentano l’individuazione dell’effettivo radicamento giuridico del gestore reale nel mercato nazionale delle scommesse. Invece con il meccanismo predisposto (attraverso un CTD intermediario, come nella fattispecie), ove lo Stato italiano lo consentisse, il reale gestore del mercato potrebbe svolgere la sua attività all’estero senza sottoporsi a controlli e verifiche, agendo attraverso l’intermediatore, rispetto al quale nessuna responsabilità sarebbe ipotizzabile, ingenerando incertezze presso gli stessi scommettitori. Anzi, tale incertezza costituisce di per sé un valido e sufficiente motivo di ordine pubblico per denegare l’autorizzazione. ( (Cons. Stato Sez. III, n. 5676/2013, TAR Lombardia 848/2019).
La Questura di -OMISSIS- fonda il proprio diniego sulla circostanza che la concessione -OMISSIS-concerne solo il gioco a distanza e non a quello su rete fisica. Giova precisare che, pur potendo una concessione avere ad oggetto sia l’attività di giochi a distanza sia quella su rete fisica, nel caso di specie la società affiliante era concessionaria dell’attività di gioco a distanza e non poteva svolgere la propria attività servendosi di una rete fisica.
In assenza della concessione per rete fisica non può essere rilasciata un’autorizzazione per lo svolgimento di attività di intermediazione, essendo questa vietata. Il ricorrente stesso ammette di svolgere attività di intermediazione telematica tra gli scommettitori ed il concessionario maltese, oltre all’attività di promozione e commercializzazione. E’ evidente che tali attività non sono compatibili con la concessione per gioco a distanza di cui è titolare l’affiliante. Proprio la mancanza del requisito oggettivo costituito da una concessione idonea è il fondamento sia del provvedimento di diniego che di quello di sospensione dell’attività. Il motivo è dunque infondato. A ben vedere tali conclusioni assorbirebbero anche i restanti motivi di ricorso che comunque verranno brevemente considerati per valutarne la fondatezza.
Con il terzo motivo di ricorso il ricorrente lamenta l’inapplicabilità dell’art. 88 e dunque la violazione e/o falsa applicazione dell'art. 1 comma 644 l.n. 190/2014 mod. e int. dall'art. 1 comma 923 legge n. 208/2015. Asserisce che con la regolarizzazione non sarebbe necessaria l’autorizzazione ex art. 88 ma sarebbe sufficiente una mera comunicazione sulla falsariga dell’istituto della SCIA. Il motivo è infondato.
Il ricorrente evidenzia che l’istanza inviata non sarebbe stata volta ad ottenere il rilascio della licenza ex art. 88 T.U.L.P.S. ma ex art. 1 comma 644 lett. e) della Legge di Stabilità 2015 e 2016, in conformità alla normativa di settore. A parere del ricorrente secondo il quadro normativo attualmente vigente, per effettuare la raccolta di scommesse per conto di un bookmaker comunitario, non occorrerebbe più la licenza ex art. 88 T.U.L.P.S. in quanto l'attività sarebbe regolamentata e autorizzata dall'art. 1 comma 644 legge di Stabilità n. 190/2014.
Il ricorrente sostiene che in base alla normativa di cui alla legge di stabilità si può disporre la chiusura immediata dell’esercizio solo per motivi di ordine pubblico.
Da ciò sarebbe evidente che lo Stato italiano ha autorizzato il bookmaker comunitario (privo di concessione italiana ma titolare di una licenza comunitaria) a svolgere servizi transfrontalieri attraverso lo sportello virtuale presente nel territorio italiano.
La legge di stabilità non avrebbe dunque fatto altro che applicare la sentenza Biasci nella quale la Corte di Giustizia Europea ha dichiarato che non sussistono motivi ostativi all’esercizio del servizio transfrontaliero specialmente se il bookmaker si avvale, all’interno del territorio italiano, della figura fisica dell’intermediario. Ne conseguirebbe quindi che chi aderisce alla regolarizzazione della propria attività ai sensi dell’art. 1 comma 643 e 644 della legge 190/2014, non esercita un’attività abusiva ma garantita dall’ordinamento italiano. Si insiste poi affinché venga dichiarata la legittimità dell’attività svolta dal ricorrente per effetto dello ius superveniens in quanto per la prima volta la figura del c.d affiliato ad un bookmaker comunitario è stata regolamentata dall’art. 1 comma 926 legge di stabilità n. 208/2015 che richiama l’art. 1 comma 644 l. 190 del 2014.
Per ultimo si evidenzia che l’attività del gioco rientri nelle attività soggette alla S.C.I.A..
Sostiene il ricorrente che il legislatore italiano mediante la sanatoria di cui all'art. 1, comma 643, I. n. 190 del 2014 avrebbe sostituito un sistema basato sulla doppia autorizzazione con altro, fondato sulla semplice comunicazione. Il motivo è infondato. Il ricorrente non ha partecipato alla sanatoria;non sarebbe comunque abilitato all’esercizio dell’attività e dunque titolare di una legittima aspettativa ad ottenere l’autorizzazione. Ma l’interpretazione della disciplina proposta dai ricorrenti non è condivisibile. In accordo con quanto prospettato dalla amministrazione la disciplina di cui al comma 644 dell’articolo 1 non ha introdotto un sistema alternativo a quello dell’articolo 88 TULPS limitando al solo ricorso dei requisiti soggettivi la valutazione dell’amministrazione. Tale interpretazione è stata contraddetta sia dalla Cassazione penale che dal Consiglio di Stato in relazione a diversi profili. Ha affermato la Cassazione penale “che non hanno affatto innovato la normativa quanto ai presupposti richiesti per l'esercizio dell'attività in esame (concessione più licenza di PS), ma hanno soltanto introdotto una disciplina derogatoria "a termine", con la quale - a date condizioni, espressamente richiamate nel medesimo testo normativo - si è consentito di regolarizzare la propria posizione ai soli "soggetti attivi alla data del 30 ottobre 2014, che comunque offrono scommesse con vincite in denaro in Italia, per conto proprio ovvero di soggetti terzi, anche esteri, senza essere collegati al totalizzatore nazionale dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli”(cfr. Cass. penale, Sez.3, sent. n. 20879/ 2018).
Ancora, non pare ravvisarsi alcun profilo discriminatorio della disciplina della sanatoria, e ciò in quanto non risulterebbe che il ricorrente non avrebbe potuto partecipare alla sanatoria de qua. E, infatti, la sanatoria prevista nella legge di stabilità non esclude la possibilità di partecipazione alla società che fosse adempiente rispetto agli obblighi contributivi. Alla luce di ciò, essendo stata la mancata partecipazione il frutto di una libera scelta dettata dalla volontà dell’operatore, non si può ravvisare una violazione del principio di non discriminazione (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 4707/2018).
Nell’ambito dello stesso motivo poi ripreso nel quinto motivo di ricorso che si esamina congiuntamente, il ricorrente lamenta violazione e/o falsa applicazione degli artt. 3, 4, 10, 11, 13, 15, 41, 43 53 e 97 Cost. e degli artt. 49, 52, 56, 258, 264 trattato T.U.E, travisamento dei fatti;disparità di trattamento - violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1 e 2 l. n. 241/1990.
Con il quinto motivo di ricorso il ricorrente si duole del fatto che la normativa ed in particolare l’art. 88 sia stata interpretata in contrasto con il diritto europeo e con le disposizioni della Carta costituzionale in materia di libera iniziativa economica. Il motivo è infondato.
La normativa vigente prevede un regime della c.d. "doppia autorizzazione", che si declina nella concessione all'attivazione della rete da parte dell'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli e nella licenza successivamente rilasciata dal questore ex art. 88 del TULPS., previa verifica della sussistenza dei requisiti soggettivi (in capo al richiedente) ed oggettivi (relativi ai locali di esercizio dell'attività che si chiede di autorizzare) previsti dalla legge. Giova preliminarmente ricordare che l’imposizione di vincoli allo svolgimento di attività economica avente ad oggetto giochi d’azzardo è stata ritenuta compatibile con le norme costituzionali di cui agli artt. 41 e 42. Ha affermato in proposito la Corte Costituzionale “Proprio in ragione dell’esigenza di garantire un livello di tutela dei consumatori particolarmente elevato e di padroneggiare i rischi connessi a questo settore, la giurisprudenza europea ha ritenuto legittime restrizioni all’attività (anche contrattuale) di organizzazione e gestione dei giochi pubblici affidati in concessione, purché ispirate da motivi imperativi di interesse generale, quali sono certamente quelli evocati dall’art. 1, comma 77, della legge n. 220 del 2010 (contrasto della diffusione del gioco irregolare o illegale in Italia;tutela della sicurezza, dell’ordine pubblico e dei consumatori, specie minori d’età;lotta contro le infiltrazioni della criminalità organizzata nel settore), e a condizione che esse siano proporzionate (sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea, 30 giugno 2011, in causa C-212/08).” Prosegue poi la Corte “ Questa Corte ha costantemente negato che sia «configurabile una lesione della libertà d'iniziativa economica allorché l'apposizione di limiti di ordine generale al suo esercizio corrisponda all’utilità sociale», oltre, ovviamente, alla protezione di valori primari attinenti alla persona umana, ai sensi dell’art. 41, secondo comma, Cost., purché, per un verso, l'individuazione dell’utilità sociale «non appaia arbitraria» e, «per altro verso, gli interventi del legislatore non la perseguano mediante misure palesemente incongrue» (ex plurimis, sentenze n. 247 e n. 152 del 2010;n. 167 del 2009). Questi principi, secondo la giurisprudenza costituzionale, devono essere osservati anche nella disciplina legislativa di un’attività economica considerata quale pubblico servizio, che è pur sempre espressione del diritto di iniziativa economica garantito dall’art. 41 Cost., con la particolarità che al regime di ogni servizio pubblico è connaturale l’imposizione di controlli e programmi per l'indirizzo dell'attività economica a fini sociali, sicché in tali ipotesi «[…] la individuazione da parte del legislatore dell’utilità sociale può sostanziarsi di valutazioni attinenti alla situazione del mercato» e «può dar luogo ad interventi legislativi tali da condizionare in qualche modo le scelte organizzative delle imprese», sempre che l'individuazione dell'utilità sociale non appaia arbitraria e che gli interventi del legislatore non perseguano l'individuata utilità sociale mediante misure palesemente incongrue, ed in ogni caso che l'intervento legislativo non sia tale da condizionare le scelte imprenditoriali in grado così elevato da indurre la funzionalizzazione dell'attività economica di cui si tratta sacrificandone le opzioni di fondo» (sentenza n. 548 del 1990).
Nella specie, si versa in un caso di attività economica svolta dal privato in regime di concessione di un servizio pubblico riservato al monopolio statale e connotato dai preminenti interessi generali menzionati nel comma 77 dell’art. 1 della legge n. 220 del 2010. Al regime concessorio, in questa materia, è dunque connaturale l’imposizione di penetranti limitazioni della libertà di iniziativa economica, che rispondono alla protezione di tali interessi. E tanto più lo è in un settore che, per le ragioni già indicate, presenta profili di delicatezza del tutto particolari, connessi alla rischiosità e ai pericoli propri della peculiare attività economica soggetta al regime di concessione” (Corte Costituzionale, sentenza 56/2015). Infondate sono dunque le censure di incostituzionalità della normativa applicata.
Così come lo sono quelle relative alla presunta violazione del diritto europeo. Il regime di doppia autorizzazione è stato ritenuto dalla Corte di Giustizia compatibile con la legislazione europea nella sentenza Biasci ( CGUE C- 660/11) dove si è affermato :
- “gli articoli 43 CE e 49 CE devono essere interpretati nel senso che non ostano a una normativa nazionale che imponga alle società interessate a esercitare attività collegate ai giochi d’azzardo l’obbligo di ottenere un’autorizzazione di polizia, in aggiunta a una concessione rilasciata dallo Stato al fine di esercitare simili attività, e che limiti il rilascio di una siffatta autorizzazione segnatamente ai richiedenti che già sono in possesso di una simile concessione”;
- “un sistema di concessioni può costituire un meccanismo efficace che consente di controllare coloro che operano nel settore dei giochi di azzardo allo scopo di prevenire l’esercizio di queste attività per fini criminali o fraudolenti”;
- “la condizione dell’autorizzazione di polizia in forza della quale coloro che operano in tale settore nonché i loro locali sono assoggettati ad un controllo iniziale e ad una sorveglianza continua … contribuisce chiaramente all’obiettivo mirante a evitare che questi operatori siano implicati in attività criminali o fraudolente e sembra una misura del tutto proporzionata a tale obiettivo”;
- “il fatto che un operatore debba disporre sia di una concessione sia di un’autorizzazione di polizia per poter accedere al mercato di cui trattasi non è, in sé, sproporzionata rispetto all’obiettivo perseguito dal legislatore nazionale, ossia quello della lotta alla criminalità collegata ai giochi d’azzardo”;
- “gli articoli 43 CE e 49 CE devono essere interpretati nel senso che, allo stato attuale del diritto dell’Unione, la circostanza che un operatore disponga, nello Stato membro in cui è stabilito, di un’autorizzazione che gli consente di offrire giochi d’azzardo non osta a che un altro Stato membro, nel rispetto degli obblighi posti dal diritto dell’Unione, subordini al possesso di un’autorizzazione rilasciata dalle proprie autorità la possibilità, per un tale operatore, di offrire siffatti servizi a consumatori che si trovino nel suo territorio”.
Da tali affermazioni la Corte di Giustizia ha desunto due ulteriori conseguenze:
- “ogni Stato membro conserva il diritto di subordinare la possibilità per gli operatori che intendano proporre giochi d’azzardo a consumatori che si trovino sul suo territorio al rilascio di un’autorizzazione da parte delle sue autorità competenti, senza che la circostanza che un operatore privato sia già titolare di un’autorizzazione rilasciata in un altro Stato membro possa esservi d’ostacolo (v. sentenza Stoß e a., cit., punto 113)”;
- “i vari Stati membri non dispongono necessariamente degli stessi mezzi tecnici per controllare i giochi d’azzardo e non compiono per forza le medesime scelte al riguardo. Il fatto che un particolare livello di tutela dei consumatori possa essere raggiunto in un determinato Stato membro, mediante l’applicazione di tecniche sofisticate di controllo e di sorveglianza, non consente di concludere che il medesimo livello di protezione possa essere raggiunto in altri Stati membri che non dispongano di questi mezzi tecnici o non abbiano fatto le medesime scelte. Inoltre, uno Stato membro può legittimamente scegliere di voler sorvegliare un’attività economica che si svolge nel suo territorio, ciò che sarebbe per esso impossibile qualora dovesse fidarsi dei controlli effettuati dalle autorità di un altro Stato membro mediante sistemi di regolazione cui esso non sovrintende in prima persona (v., in tal senso, sentenza D e Ö, cit., punto 98)”. Da tali precisazioni emerge chiaramente che non sussista il lamentato contrasto tra la disciplina interna e quella europea.
Alla luce delle motivazioni esposte ritiene la Sezione che il diniego dell’autorizzazione a svolgere attività di intermediazione sia legittimo così come legittimo è l’ordine di sospensione di un’attività che necessitava di un’autorizzazione che comunque non si sarebbe potuto concedere perché relativa ad un’attività di gioco a distanza, unica attività per cui l’affiliante disponeva della concessione, per cui è vietata la presenza di intermediari.