Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2020-02-24, n. 202001368

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2020-02-24, n. 202001368
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202001368
Data del deposito : 24 febbraio 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 24/02/2020

N. 01368/2020REG.PROV.COLL.

N. 09600/2018 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso NRG 9600/2018, integrato da motivi aggiunti, proposto dalla Wind Tre s.p.a. a socio unico, corrente in Rho (MI), in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli avv.ti A R C, M C, I P, G M R, M S, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto in Roma, v.le Liegi n. 32 (Studio Clarich),

contro

l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni - AGCOM, con sede in Roma, in persona del Presidente pro tempore , resistente ed appellante incidentale, rappresentata e difesa dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi n. 12 e

nei confronti

– dell’Unione per la difesa dei consumatori - U.Di.Con., in persona del legale rappresentante pro tempore , non costituita in giudizio,
– del Coordinamento delle associazioni e comitati di tutela dell' ambiente e dei diritti degli utenti e dei consumatori - Codacons e dell’Associazione degli utenti per i diritti telefonici – AUSTel. Onlus, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore , rappresentati e difesi dagli avv.ti Carlo Rienzi e Gino Giuliano, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto nello studio Rienzi c/o Codacons in Roma, v.le G. Mazzini n. 73 e
– dell’Associazione Movimento Consumatori, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall'avv. Paolo Fiorio, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia,

per la riforma

A) col ricorso introduttivo, del dispositivo di sentenza del TAR Lazio, sez. III, n. 11303/2018, resa tra le parti e concernente la delibera AGCOM n. 497/17/CONS del 19 dicembre 2017;

B) con l’atto per motivi aggiunti (e con l’appello incidentale depositato da AGCOM il 15 marzo 2019), della sentenza del TAR Lazio, sez. III, n. 231/2019, resa tra le parti e concernente la citata delibera AGCOM e gli atti connessi;

Visti il ricorso in appello, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’AGCOM, dell’Associazione Movimento Consumatori, dell’AUS Tel. Onlus e del CODACONS;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore all'udienza pubblica del 4 luglio 2019 il Cons. Silvestro Maria Russo e uditi altresì, per le parti costituite, gli avvocati Clarich, Roberti, Cassano, Perego, Fiorio e Cristina Adducci (per delega di Rienzi) e l’Avvocato dello Stato Paola Palmieri;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:


FATTO e DIRITTO

1. – Con delibera n. 252/16/CONS del 21 luglio 2016, l’AGCOM stabilì una disciplina aggiornata « sulla trasparenza delle condizioni economiche dell’offerta [rivolta a] tutti i soggetti che operano nel mercato delle comunicazioni elettroniche e che hanno rapporti contrattuali con gli utenti finali… ».

Tanto al fine di assicurare «… informazioni trasparenti, comparabili, adeguate ed aggiornate in merito ai prezzi vigenti in materia di accesso e di uso dei servizi forniti dagli operatori di comunicazione elettronica …». Invero, detta delibera previde l’obbligo, a carico degli operatori di TLC, di: a) fornire un set di informazioni agli utenti;
b) assicurare la trasparenza delle condizioni economiche;
c) garantire il funzionamento di meccanismi per una reale comparazione delle offerte, alimentando un motore di calcolo gestito direttamente da AGCOM ed i cui risultati sarebbero stati accessibili agli utenti attraverso l’apposito sito WEB dell’Autorità.

La Wind Tre s.p.a. a socio unico, corrente in Rho (MI) e soggetto operatore autorizzato per i servizi di comunicazione elettronica in voce (telefonia vocale fissa e mobile), dichiara d’aver introdotto nel corso del 2017, esercitando la facoltà attribuitale dall’art. 70 del D.lgs. 1° agosto 2003 n. 259 - CCE, un aumento di circa l’8,6% delle condizioni economiche per i contratti di telefonia fissa. E ciò grazie alla riduzione del periodo di rinnovo e/o fatturazione delle offerte, che passò dalla cadenza mensile ad una quadrisettimanale (28 gg). Detta Società, nel far presente d’aver informato i suoi clienti di tal manovra tariffaria e delle loro facoltà di recesso e migrazione ad altro operatore, rende noto altresì che la manovra stessa non fu contestata da AGCOM, né ritenuta illegittima o distorsiva della concorrenza, come tal Autorità chiarì all’AGCM in un procedimento per l’accertamento di pratiche commerciali scorrette.

2. – L’AGCOM ritenne però che detto aumento tariffario mercé l’introduzione di una “tredicesima mensilità”, fosse pregiudizievole per l’utenza anche sotto il profilo della trasparenza, impedendo la comparabilità delle offerte.

L’unilaterale e congiunta modifica dei periodi di fatturazione da parte dei principali operatori di telefonia, in base alle segnalazioni pervenutele a cura delle Associazioni dei consumatori, aveva creato un clima d’incertezza nell’utenza, che non ebbe più chiari i parametri delle offerte. E ciò soprattutto nel mercato della telefonia fissa, tradizionalmente connotata da periodi di fatturazione ordinaria su base mensile, a sua volta coincidente con le modalità di fatturazione di altri servizi ed utenze, oltre che con la cadenza con la quale si genera usualmente il reddito mensile degli utenti. Reputò quindi l’AGCOM che tal manovra avesse determinato una compressione della «… libertà di scelta degli utenti e vanificato, anche considerate le tempistiche ed il contesto di mercato, la ratio sottesa all'esercizio del diritto di recesso nel caso di mancata accettazione di modifiche contrattuali, così come statuito dall'articolo 70, comma 4 …» del CCE

Sicché l’AGCOM, con delibera n. 121/17/CONS del 15 marzo 2017, modificò la citata delibera n. 252/16/CONS, col medesimo obiettivo di assicurare che fossero fornite agli utenti «… informazioni trasparenti, comparabili, adeguate e aggiornate in merito ai prezzi vigenti in materia di accesso e di uso dei servizi forniti …». Ciò in conformità all’art. 71 del CCE, il quale, attuando l’art. 8 della direttiva quadro sul servizio universale di comunicazioni elettroniche (dir. n. 2002/21/CE), proprio in tali termini delinea il principio di trasparenza a fini informativi e di scelta consapevole del consumatore. L’Autorità impose a detti operatori di telefonia, ma senza contestar loro l’aumento in sé della tariffa, di ritornare, entro il 23 giugno 2017, alla fatturazione su base mensile o suoi multipli per i servizi di telefonia fissa e ad una periodicità almeno quadrisettimanale per quelli di telefonia mobile. Tanto perché, ad avviso dell’Autorità, l’intervento de quo aveva riguardato non già libere scelte imprenditoriali degli operatori di TLC, ma le modalità della cadenza di fatturazione, rivelatasi non rispettosa della dovuta trasparenza, nei confronti degli utenti, in quanto sostanzialmente rivolta a realizzare aumenti tariffari di non immediata percezione da parte dei consumatori.

Avverso tal delibera la Wind Tre s.p.a. si gravò innanzi al TAR Lazio, col ricorso NRG 4119/2017, deducendo vari profili d’irragionevolezza e contraddittorietà, la violazione del quadro legislativo e regolamentare di riferimento, nonché la sproporzione della misura adottata dall’AGCOM rispetto all’obiettivo in concreto perseguito.

3. – Nelle more di quel giudizio, intervenne l’art. 19-quinquiesdecies del DL 16 ottobre 2017 n. 148 (conv. modif. dalla l. 4 dicembre 2017 n. 172), introducendo talune novelle all’art. 1 del DL 31 gennaio 2007 n. 7 (conv. modif. dalla l. 2 aprile 2007 n. 40).

In particolare, il nuovo art. 1, co. 1 del DL 7/2007 stabilì che « i contratti di fornitura nei servizi di comunicazione elettronica disciplinati dal codice di cui al decreto legislativo 1º agosto 2003, n. 259, prevedono la cadenza di rinnovo delle offerte e della fatturazione dei servizi, ad esclusione di quelli promozionali a carattere temporaneo di durata inferiore a un mese e non rinnovabile, su base mensile o di multipli del mese ». La novella ha altresì disposto: a) l’obbligo di adeguamento di tutti gli operatori di TLC, al di là dalla tecnologia usata, a tal cadenza di fatturazione entro 120 gg. dall’entrata in vigore della legge di conversione;
b) la garanzia dell’AGCOM sulla pubblicazione dei servizi offerti e delle tariffe generali, in modo da consentire ai consumatori scelte informate;
c) il potere dell’AGCOM di ordinare «… in caso di violazione del comma 1-bis… all'operatore la cessazione della condotta e il rimborso delle eventuali somme indebitamente percepite o comunque ingiustificatamente addebitate agli utenti, indicando il termine entro cui adempiere, in ogni caso non inferiore a trenta giorni …». Il successivo co. 4 previde pure che «… la violazione delle disposizioni di cui ai commi 1, 1-bis, 1-ter, 2, 3, 3-bis, 3-ter e 3-quater è sanzionata dall'( AGCOM ) … applicando l'articolo 98, comma 16… (CCE) … L'inottemperanza agli ordini impartiti ai sensi del comma 1-quinquies è sanzionata applicando l'articolo 98, comma 11, del medesimo codice …».

.1. – L’adito TAR, con sentenza n. 5313 del 14 maggio 2018, ha respinto l’impugnazione attorea, poiché: a) la delibera n. 121/17/CONS fu adottata dall’AGCOM nell’esercizio dei poteri di regolazione riconosciuti dall’art.1 della l. 249/1997 e, nella specie, «… tale potere è posto anche al fine di garantire in concreto una tutela effettiva alla parte debole del rapporto contrattuale dei servizi di telefonia, ovvero all’utente del servizio …»;
b) detta delibera fu emanata «… al fine di consentire all’utente, in un regime di asimmetria informativa cui porre rimedio, la trasparenza e in particolare la confrontabilità delle varie offerte, ex art.71 del D.Lgs. n. 259 del 2003 …»;
c) siffatta regolazione si fondava su valutazioni tecnico-discrezionali all’evidenza non irragionevoli, essendosi attestata su «… livelli minimi di intervento, lasciando pressoché intatta l’autonomia negoziale degli operatori sui contenuti rilevanti del rapporto contrattuale, quali modalità di erogazione del servizio e prezzo”, senza comprimere eccessivamente l’autonomia negoziale degli operatori …». Il TAR ha inoltre precisato che, ben lungi dall’abrogare la delibera n. 121/17/CONS, la regola generale posta dall’art. 19- quinquiesdecies del DL 148/2017 «… si salda con la disciplina dettata dall’Autorità, rafforzandone le previsioni e disponendo per l’avvenire …», sì da escludere ogni incompatibilità tra la regolazione anteriore ed il citato jus superveniens .

Contro tal sentenza la Wind Tre s.p.a. s’è appellata col ricorso NRG 7533/2018, tuttora pendente.

3.2. – Con la delibera n. 497/17/CONS, l’Autorità ritenne d’aver accertato che Wind Tre s.p.a. non avesse ottemperato alle prescrizioni stabilite dalla delibera n. 121/17/CONS.

Sicché l’Autorità anzitutto irrogò alla Wind Tre s.p.a. una sanzione di € 1.160.000. Inoltre le impose, secondo detta Società senza contestarle previamente alcunché e senza contraddittorio, di «… provvedere –in sede di ripristino del ciclo di fatturazione con cadenza mensile o di multipli del mese– a stornare gli importi corrispondenti al corrispettivo per il numero di giorni che, a partire dal 23 giugno 2017, non sono stati fruiti dagli utenti in termini di erogazione del servizio a causa del disallineamento fra ciclo di fatturazione quadrisettimanale e ciclo di fatturazione mensile. Nella prima fattura emessa con cadenza mensile l’operatore è tenuto a comunicare con adeguato risalto che lo storno è avvenuto in ottemperanza al presente provvedimento …».

Avverso tal statuizione e la nota 6/17/DTC, detta Società ha nuovamente adito il TAR Lazio, con il ricorso NRG 631/2018, deducendo sette articolati gruppi di censure. Nelle more di tal giudizio, il TAR ha accolto la domanda cautelare, con l’ordinanza n. 791 del 12 febbraio 2018, ritenendo che l’ingiunta restituzione monetaria dei giorni c.d. “erosi” fosse gravosa per la Società, sotto i profili economico e di concreta applicazione d’una siffatta misura.

È intervenuta quindi la delibera n. 115/18/CONS del 1° marzo 2018, con la quale l’AGCOM ha revocato la precedente delibera n. 497 nella parte in cui aveva imposto la restituzione “monetaria”, sostituendo l’invero complicato meccanismo dello storno economico (sì con pagamento diretto ai consumatori, ma col paradossale effetto concreto di vincolarli all’operatore fino all’intero saldo), con quello, d’analogo risultato, dell’erogazione gratuita delle prestazioni per un numero di giorni equivalente a quello cui lo stesso ordine di storno si sarebbe riferito. La delibera n. 115 è stata a sua volta gravata dalla Wind Tre s.p.a. con l’atto per motivi aggiunti depositato il 16 marzo 2018.

Col secondo atto per motivi aggiunti del 29 marzo 2018, la ricorrente ha integrato l’impugnazione della già gravata delibera n. 115, proponendo ulteriori censure e domanda cautelare, Col terzo atto per motivi aggiunti, depositato il 14 maggio 2018, la Società ricorrente ha ulteriormente dedotto nei confronti della delibera n. 115. La ricorrente ha poi depositato, in data 21 giugno 2018, un quarto atto per motivi aggiunti, con cui s’è gravata contro il decreto presidenziale n. 9/18/Pres del precedente 9 aprile e la ratifica di questo ad opera delibera n. 187/18/CONS dell'11 aprile 2018.

A seguito di ciò, l’AGCOM ha emanato anche la delibera n. 269/18/CONS del 6 giugno 2018, pubblicata il successivo 3 luglio, con cui l’AGCOM ha disposto, nei confronti di tutti gli operatori telefonici e, quindi, della stessa Wind Tre, un nuovo termine per l’adempimento agli obblighi di cui alle delibere nn. 112/18/CONS e seguenti, tra cui la n. 115/18/CONS. Anche contro tal statuizione la Wind Tre, in data 4 ottobre 2018, ha depositato un quinto atto per motivi aggiunti, deducendo vari profili di censura, in parte simili a quelli degli atti precedenti e in parte incentrati sul difetto di motivazione del differimento del predetto termine al 31 dicembre 2018, basato sul generico ed inconferente accenno alla struttura aziendale attorea e non tenendo conto delle osservazione formulate dalla ricorrente all’Autorità.

4. – Con dispositivo n. 11303 del 21 novembre 2018, l’adito TAR ha dichiarato il ricorso della Wind Tre in parte improcedibile e in parte infondato, accogliendo una domanda per quanto di ragione. Avverso tal dispositivo la Fastweb s.p.a. ha proposto l’appello di cui al ricorso in epigrafe, deducendo vari profili di censura.

Con sentenza n. 231 dell’8 gennaio 2019, l’adito TAR ha pubblicato la motivazione sulla vicenda in esame.

4.1. – Contro detta sentenza è intervenuto l’atto per motivi aggiunti depositato l’8 marzo 2019, con cui la Società appellante ora ne deduce, in via principale, l’erroneità per non aver colto:

1a) – l’impossibilità di ricondurre il potere restitutorio o indennitario esercitato dall’Autorità, prima dell’entrata in vigore dell’art. 19-quinquiesdecies del DL 148/2017, all’art. 2, co. 20, lett. d) della l. 14 novembre 1995 n. 481 (e men che mai alla potestà, colà prevista, di far cessare condotte illecite), in quanto tali poteri non hanno valenza atipica e innominata e, al più, si sarebbero potuti sostanziare in un ordine di cessazione della condotta illecita e non nella prescrizione di condotte risarcitorie o riparatrici del fatto illecito (attinenti a diversa sfera legislativa e procedimentale), sicché il rimedio indennitario ex l. 481/1995, oltreché ontologicamente diverso da istituti affini ma ispirati ad un’altra logica (il rimborso, la restituzione o il risarcimento, i quali sono diretti a rispristinare la situazione antecedente al pregiudizio patito dall’interessato), va commisurato, come d’altronde detta Autorità finora ha statuito, ai principi di conoscibilità, predeterminazione, proporzionalità, adeguatezza ed equità (affinché le relative misure riflettano al giusto la gravità del pregiudizio arrecato), principi, però, disattesi nel caso in esame (infatti, la delibera n. 121/2017 non richiamò il citato art. 2, co. 20, lett. d e neppure dettò alcun obbligo d’indennizzo in caso d’inottemperanza alle sue disposizioni, né stabilisce i parametri di calcolo dell’indennizzo;
tali parametri non furono fissati neanche nelle delibere n. 497/2017 e n. 115/2018, recante le sanzioni per l’inosservanza della delibera regolatoria;
il parametro dei c.d. giorni “erosi” fu individuato, peraltro in modo poco chiaro, soltanto nel corso del giudizio avanti al TAR e senza alcun contraddittorio con gli operatori);

1b) – l’impossibilità nella specie di riconoscere alcun potere implicito in capo a detta Autorità (ché il principio di legalità impone la predeterminazione del potere e dei casi in cui esso sia esercitabile), né tampoco un’autonoma sua capacità di public enforcement (tant’è che l’art. 98, co. 16 CCE, pur richiamato dall’AGCOM, prevede sanzioni e non obblighi restitutori a carico degli operatori, al più ottenibili dagli interessati previa azione giudiziaria o, al limite, davanti alla stessa Autorità nelle sue sedi sostanziale paracontenziose, ma in modo automatico o d’ufficio) e ancor meno, in generale, alcuna differenza tra storno e restituzione dei giorni c.d. “erosi”;

1c) – non aver colto il significato della doglianza sull’effetto caducante dell’art. 19-quinquiesdecies del DL 148/2017 —già entrato in vigore al momento in cui l’Autorità esercitò il proprio potere con la delibera n. 121/2017 (che perse così la sua efficacia)—, in quanto: a) quest’ultima non riguardò l’abolizione della cadenza di fatturazione a 28 giorni, non valendo in senso contrario il richiamo del TAR alla sua sentenza n. 5313/2018 (perché anch’essa sub judice ), né tampoco a quella sorta d’avvicendamento tra le due fonti (quella regolatoria e quella legislativa) nella disciplina della materia sulla cadenza mensile di fatturazione;
b) quand’anche fosse, il DL 147/2018 ha determinato la (sopravvenuta) cessazione dell’efficacia della delibera n. 121 (e ciò si vede nella stessa sentenza n. 5313/2018, nonché nel medesimo art. 19-quinquiesdecies, laddove ove fissò un nuovo termine per l’adeguamento delle offerte di telefonia fissa, in coerenza con la restaurata cadenza mensile di fatturazione);
c) resta ferma la carenza di potere dell’Autorità ad intimare l’obbligo restitutorio pure ai sensi della delibera n. 115/2018, irretita così d’illegittimità derivata dalla delibera n. 121/2017;

1d) – tal carenza, anzi, è dimostrata proprio dall’art. 19.quinquiesdecies, sicché l’AGCOM agì ultra vires ed in carenza di appropriata base giuridica, d’altronde non rinvenibile negli artt. 71 e 13, co. 4 e 6 CCE, né nell’art. 2, co. 12, lettere c), d), h) e l) della l. 481/1995, né nell’art. 1, co. 6, lett. b) n. 2) della l. 249/1997), né nella funzione di regolazione di settore, né nella portata precettiva degli atti di regolazione emanati dalle Autorità di garanzia (ed idonei a stabilire vincoli di conformazione ex ante ) che pur sempre deve trovare nella legge la fonte attributiva del potere autoritativo ed i criteri di svolgimento della relativa attività;

1e) – non aver colto che la delibera è stata comunque adottata senza alcuna previa interlocuzione con gli operatori coinvolti, in violazione del principio del contraddittorio e, in ogni caso, vietando cicli di fatturazione diversi da quello mensile per ragioni di mancanza di trasparenza (tale da viziare le scelte del consumatore), l’Autorità di fatto ha prefigurato una pratica commerciale “scorretta”, incompatibile con i principi e la normativa consumeristica;

1f ) – non aver tenuto conto di come il regime introdotto dall’Autorità con la delibera n. 121: a) abbia inciso direttamente, prima al riguardo intervenisse il citato art. 19-quinquiesdecies, sul jus variandi relativo alla cadenza di fatturazione o di rinnovo delle offerte, con ciò inibendo durate diverse dai minimi regolamentari, senza considerare che il diritto UE avesse voluto valorizzare la libertà degli operatori del settore;
b) non presenti alcun collegamento con l’affermata finalità di dar tutela agli utenti la trasparenza e la comparazione nelle condizioni economiche dell’offerta dei servizi di TLC, giacché in realtà si configura come un intervento di normalizzazione delle prassi commerciali e sul punto, anzi, l’Autorità non ha mai chiarito perché il regime di trasparenza informativa, già dettato subito prima con la delibera n. 252/2016/CONS (che ammise la cadenza di fatturazione a 28 giorni), non fosse sufficiente a garantire tali obiettivi;

1g) – non aver considerato come che l’obbligo di storno recato dalla delibera n. 115/2018 non trovi affatto il suo presupposto nelle prescrizioni di cui alla delibera n. 121/2017 (che, lungi dal conferire all’Autorità il potere d’introdurre una regola di restitutio in integrum a favore degli utenti, pose solo regole per garantire la trasparenza e la comparabilità delle condizioni economiche delle offerte di telefonia) e, in realtà, detto storno si basa su una errata interpretazione, da parte di detta delibera n. 115, del contenuto dispositivo e della parte motiva della delibera n. 121/2017 —tant’è che il TAR neppure motiva su tal aspetto—, né quest’ultima prese mai partito sulle tariffe in sé;

2a) – aver equivocato sulla censura di violazione del principio di contraddittorio procedimentale, in quanto in realtà l’odierna appellante contestò, senza che il TAR se ne diede per inteso, come mai l’inosservanza alla delibera n. 121/2017 potesse tradursi nell’imposizione di un obbligo di storno (né tantomeno son mai state ipotizzate le relative modalità di calcolo), visto che la nota AGCOM n. 6/2017/DTC si limitò a render nota a detta Società la violazione dell’art. 3, co. 10, della delibera n. 121 anticipandole solo la possibile irrogazione d’una sanzione pecuniaria ai sensi dell’art. 98, co. 16 CCE, onde la delibera n. 115/2018 CONS è stata adottata senza che sia stata esperita alcun’ulteriore attività procedimentale, neppure sulla complessità tecnica ed il tempo occorrente per realizzare tale storno e fermo restando che tal omesso contraddittorio, condizione di legittimità di detta delibera, non sarebbe stato certo sanato a seguito di quello processuale nella causa inter partes avanti al TAR Lazio (anzi, la giurisprudenza ha chiarito che: le garanzie partecipative vanno assicurate non solo in astratto, bensì in concreto;
ogni qualvolta l’interessato sia stato avvisato d’un procedimento che lo concerne, dev’esser posto realmente nella condizione d’esternare le proprie osservazioni;
siffatto contraddittorio va garantito in misura ancora più accentuata nei procedimenti sanzionatori, in linea con l’art. 6 CEDU e l’art. 41 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE, ogni omissione al riguardo essendo insanabile ex post );

2b) – la reiterazione di tal omissione procedimentale anche con riguardo alla delibera AGCOM n. 9/2018/CONS, ove la successiva interlocuzione procedimentale ha avuto ad oggetto solo il termine di esecuzione dell’obbligo di storno e non anche l’ an della misura, mentre il contraddittorio sarebbe stato tanto più necessario perché il meccanismo di storno in esame, al di là d’ogni questione circa l’inesistenza d’alcuna base legislativa della misura, era ed è tuttora suscettibile d’incidere in modo assai gravoso sulla sfera soggettiva dell’appellante e sugli stessi suoi equilibri finanziari e contabili;

2c) – l’impossibilità di sanare siffatta omissione sul presupposto, invece evocato dal TAR, secondo cui, rideterminando le modalità d’adempimento all’obbligo restitutorio, l’Autorità avrebbe tenuto conto delle istanze degli operatori incisi dalla misura, poiché la delibera n. 115 si basa sull’asserita differenza tra storno in denaro e recupero dei giorni “erosi” (in realtà, cose praticamente identiche e parimenti fonte d’una perdita economica in capo all’impresa);

3) – replicando acriticamente gli assunti dell’Autorità, l’insussistenza materiale di giorni “erosi” (e men che mai risarcibili), nonché dei presupposti, di fatto e di diritto, del relativo obbligo restitutorio disposto dalle delibere impugnate, in quanto: a) la delibera n. 121/2017 disciplinava solo la cadenza di fatturazione del servizio e certo non i suoi prezzi;
b) a tutto concedere, cioè se la cadenza mensile di fatturazione fosse stata anche subito ottemperata, comunque ciascun cliente avrebbe ricevuto fatture a cadenza mensile (anziché quadrisettimanale), le quali avrebbero incorporato il costo del servizio per il 29°, il 30° ed il 31° giorno del mese fatturato sempre in base al prezzo stabilito;
c) è logico e coerente con la natura stessa del contratto di telefonia (rapporto di somministrazione di durata) che la variazione della cadenza di fatturazione, in aumento o in diminuzione, non incide sul prezzo reale del servizio;
d) la ritardata ottemperanza alla delibera n. 121/2017 non solo non ha inciso sulla spesa effettiva sopportata dal cliente, ma soprattutto non ha determinato, a favore della stessa appellante, alcun’indebita percezione di somme (da cui scaturisce l’obbligo restitutorio), percezione che si sarebbe potuta determinare quando un operatore avesse fatturato al cliente o un servizio mai somministrato, o un servizio ad un prezzo superiore a quello in realtà applicabile, ossia due comportamenti mai realizzati da detta Società;
e) il servizio è erogato alla clientela, in costanza di rapporto, su base continuativa e la circostanza che tal prestazione sia fatturata ogni 28 giorni o a mese, non implica affatto che al cliente siano addebbiati in fattura giorni di servizio in effetti non erogati;
f) la lettura della delibera n. 121, che vada oltre alla fissazione d’un regime consumeristico finalizzato a garantire trasparenza e comparabilità delle offerte commerciali e voglia vedervi pure un regime che incide sui e vincola i prezzi delle offerte, si pone in contrasto con le disposizioni, procedurali e sostanziali, del Nuovo Quadro Regolamentare europeo in materia di misure ex ante di retail price regulation e va indebitamente ad interferire sulle dinamiche imprenditoriali e negoziali di formazione dei prezzi (appalesandosi con ciò priva di logica economico-giuridica);

4) – aver l’Autorità eluso i decisa cautelari resi in primo grado, perché: a), diversamente da quel che il TAR dice, la delibera n. 115/2018/CONS, modificando le modalità di restituzione agli utenti dei giorni “erosi”, non è stata una misura esecutiva dell’ordinanza n. 719/2018, ma ha introdotto un metodo di restituzione sì nuovo (peraltro non richiesto dall’ordinanza, che al più avrebbe imposto all’Autorità di rinviare ogni iniziativa sulla restituzione di somme e d’attendere la pronuncia di merito), ma affetto dagli stessi vizi dedotti già col ricorso introduttivo nei confronti della delibera 497/2017 (in pratica, si tratta di fornire ai clienti taluni giorni di servizio a “costo zero”);
b) siffatta elusione s’è verificata, dopo l’emanazione del decreto cautelare monocratico n. 1782/2018 —che ha accertato nel comportamento del TAR l’assenza d’ogni interlocuzione cogli operatori—, col decreto n. 9/18/PRES, il quale ha riconosciuto la necessità d’acquisire le osservazioni degli operatori e delle associazioni consumeristiche, ma sul solo profilo dei tempi per l’adempimento alle diffide, onde in tal modo l’AGCOM ha replicato tal quale l’omissione della garanzia procedimentale;

5) – non aver colto l’incongruenza del termine (31 dicembre 2018) stabilito dall’AGCOM (delibera n. 269/2018/CONS) ai fini della completa restituzione dei giorni “erosi” a tutti gli utenti (sebbene con facoltà per gli operatori di frazionare l’adempimento su più fatture, nonché proporre ai singoli interessati soluzioni di compensazione alternative), giacché l’Autorità ha sì riconosciuto che detto adempimento sarebbe potuto esser impegnativo per gli operatori coinvolti, ma ha considerato pure il lungo tempo ormai trascorso dagli illegittimi esborsi posti a carico degli utenti, i profitti maturati con la questione della diversa cadenza di fatturazione ed il rischio di comprimere ancora la libertà di scelta degli utenti stessi per l’eventuale cambio di operatore (pregiudicando il buon funzionamento del mercato), ma si tratta di valutazioni non basate su un’adeguata istruttoria (inficiata comunque da una seria interlocuzione cogli operatori) e senza ponderare con attenzione la dedotta complessità tecnica d’intervento su milioni di rapporti contrattuali con l’attribuzione dello storno:

6) – non aver colto, incappando in un’ipotesi seria di omessa concretezza ed effettività della tutela giurisdizionale, non avendo il TAR, per un verso, esaminato e risolto il profilo definitorio circa la natura della misura a favore degli utenti e del potere esercitato dall’AGCOM, misura, cioè, di volta in volta definita « indennitaria », «lato sensu ripristinatoria » (o talora « riparatoria ») —sì da porre sullo stesso piano, ma indebitamente istituti tra loro diversi, connotati da differenti presupposti—, come d’altronde sono i confini dei poteri esercitabili dall’Autorità nei due casi e come, peraltro non ebbe alcun fondamento obiettivo l’imposizione di un indennizzo/ripristino, profili, tutti, questi, non esaminati o giudicati in primo grado;

4.2. – L’appellante principale esprime infine la necessità d’un rinvio pregiudiziale ex art. 267 del TFUE, da parte di questo Consiglio –Giudice di ultima istanza–, su quanto disposto dall’AGCOM in contrasto con norme e principi fondamentali dell’ordinamento UE, ove residuasse un dubbio circa la corretta interpretazione delle disposizioni europee inerenti alla controversia, sottoponendo così alla CGUE i seguenti quesiti pregiudiziali:

1) se i principi di buona amministrazione, del contraddittorio e della tutela dei diritti della difesa, sanciti dall’art. 41 della Carta e dall’art. 6 CEDU, ostino all’intervento, nel campo della tutela del consumatore, di un’ANR che esercita le sue prerogative inter alia ai sensi dell’art. 3 della dir. n. 2002/21/CE quali quelle di cui alle citate delibere n. 497/17/CONS, n. 115/18/CONS, n. 9/18/PRES e n. 269/18/CONS, laddove in presenza di un’asserita violazione di regole di condotta imponga (a carico delle imprese ed a favore del consumatore) un obbligo di restituzione che si sostanza in una prestazione patrimoniale imposta (in denaro, ovvero in natura), senza avere previamente informato e svolto alcuna consultazione o contraddittorio con l’operatore interessato prima dell’adozione di un tale intervento;

2) se i principi di buona amministrazione, del contraddittorio e di tutela dei diritti della difesa, di cui all’art. 41 della Carta ed all’art. 6 CEDU (letti anche alla luce del principio generale della certezza del diritto), ostino ad un intervento di un’ANR nel campo della tutela del consumatore, quali quello di cui alle testé citate delibere dell’AGCOM n. 497/17/CONS, n. 115/18/CONS, n. 9/18/PRES e n. 269/18/CONS, che, in presenza di un’asserita violazione di regole di condotta, imponga (a carico delle imprese ed a favore del consumatore) l’obbligo restitutorio consistente in una prestazione patrimoniale imposta (in denaro o in natura), in una vicenda in cui, oltre a non aver ben individuato qual sia esattamente la condotta da cui origina tal obbligo, non determini l’entità del pregiudizio che il consumatore avrebbe sofferto dal per effetto di tale condotta, né dimostra l’esistenza di un nesso di causalità tra essa ed il pregiudizio medesimo.

4.3. – L’appellante principale ripropone infine le censure relative alla quantificazione della sanzione che l’Autorità le irrogò e che il TAR ha sì annullato, ma con riguardo, ad avviso di tal Società, della sola applicazione retroattiva del massimo edittale introdotto dall’art. 1, co. 43 della l. 4 agosto 2017 n. 124 (legge annuale per il mercato e la concorrenza).

L’appellante ribadisce adesso che l’Autorità abbia, comunque, applicato i criteri di quantificazione della sanzione in modo erroneamente rispetto all’art. 11 della l. 689/2981. In particolare deduce l’erroneità dell’assunto dell’Autorità:

I) – secondo il quale la trasparenza e la confrontabilità delle offerte ex art. 71 CCE debbano per forza implicare l’omogeneità o la standardizzazione dei cicli di fatturazione delle offerte (queste, a ben vedere, son trasparenti e confrontabili pur quando taluni dei loro elementi siano dissimili), in quanto la quasi totalità delle offerte di telefonia fissa dei vari operatori già da tempo s’era articolata in una cadenza a 28 giorni (addirittura prima della delibera n. 121/17/CONS e, anzi, ciò le rendeva tutte trasparenti ed immediatamente comparabili), ferma l’indicazione, nei prospetti informativi su tutte le singole offerte di telefonia fissa a 28 giorni e pubblicati in un’apposita sezione del sito web aziendale, del prezzo della stessa offerta su base mensile;

II) – secondo il quale detta Società non avrebbe adottato alcuna misura correttiva e si sarebbe limitata a confermare la correttezza del proprio operato, non tenendo conto invece, delle misure di trasparenza e completezza informativa, a suo avviso idonee a consentire alla generalità degli utenti di comparare le offerte;

III) – per cui detta Società avrebbe ben potuto osservare prontamente gli obblighi previsti da detta delibera n. 121 (grazie anche alla congruità del termine per adeguare le proprie offerte), mentre l’Autorità non considerò come i 90 giorni all’uopo assegnati non fossero sufficienti per riadeguare le offerte alla cadenza di fatturazione su base mensile (o dei suoi multipli) e ciò il TAR ben avrebbe dovuto valutare ai fini dell’applicazione d’una sanzione commisurata alla personalità dell’agente:

IV) – circa le condizioni economiche dell’appellante (fatturato netto da essa realizzato nell’esercizio 2016, pari a € 6,491 mln) per determinare il quantum di siffatta sanzione, in realtà discriminatoria e sproporzionata se poi la sanzione irrogata (pari a € 1.160.000,00) fu identica a quella applicata alla TIM (il fatturato fu di ca. € 1,9 mld).

4.4. – L’Autorità inoltre propone a sua volta gravame incidentale contro la sentenza n. 231/2019, atteso che, a suo dire, nell’esercizio della propria giurisdizione di merito il TAR non avrebbe ben individuato la cornice edittale applicabile alla condotta illecita dell’appellante principale.

Sul punto, il TAR, in sede di accertamento della sanzione da irrogare a quest’ultima, ha osservato che: a) l’Autorità applicò l’art. 98, co. 16 CCE (richiamato dall’art. 8 della delibera n. 252/16/ CONS), che fu modificato sì dall’art. 1, co. 43 della l. 124/2017, ma a far tempo dal 29 agosto 2017;
b) tale novella riguardò l’importo del massimo edittale della sanzione prevista, applicato nel caso di specie, che fu raddoppiato (oggidì è pari a € 1.160.000);
c) tuttavia, nel caso in esame l’Autorità era tenuta ad applicare la previgente misura, in quanto l’illecito sanzionato fu consumato dall’appellante principale nel giugno 2017, quando, cioè, spirò il termine d’adempimento concesso agli operatori per adeguare le loro offerte alle prescrizioni della citata delibera n. 252/16/CONS (cfr. l’art. 2, co. 3 della delibera n. 121).

L’Autorità, che pure ha provveduto a rideterminare la sanzione originariamente irrogata, chiede la riforma in parte qua della sentenza appellata, deducendo: 1) – l’ultrapetizione in cui essa è incorsa, non avendo l’appellante principale formulato in primo grado una diretta censura quantificazione della sanzione irrogata;
2) – l’erronea valutazione della norma sanzionatoria applicabile, poiché l’inadempimento all’ordine di ripristino del sistema di fatturazione mensile dà luogo ad un illecito permanente, tale, quindi, da imporre l’applicazione non già della lex mitior , ma della norma vigente al momento in cui al momento in cui è stata irrogata la sanzione. L’appellante principale eccepisce l’inammissibilità del gravame incidentale e, comunque, la sua infondatezza.

4.5. – Tutte le parti hanno ritualmente depositato documentazione e memorie.

Alla pubblica udienza del 4 luglio 2019, su conforme richiesta delle parti, il ricorso in epigrafe è assunto in decisione dal Collegio.

5. – Non avendo quello incidentale alcun vero contenuto preclusivo, non v’è ragione d’anteporne l’esame all’appello principale.

Quest’ultimo è però infondato e va disatteso, ché non uno degli argomenti dedotti resiste all’esatta, quantunque sbrigativa, ricostruzione della res controversa operata dal TAR. Tutto ciò suggerisce al Collegio d’integrare, con talune precisazioni, la motivazione del rigetto della pretesa azionata, pure al fine di rispondere alle osservazioni svolte dalla Società appellante nel sesto motivo del ricorso in epigrafe.

5.1. – Tuttavia, una precisazione preliminare è d’obbligo e s’incentra appunto sull’“eccentricità” della scelta, comune a tutti i principali operatori di telefonia, verso una fatturazione dei servizi erogati con cadenza a 28 giorni, anziché, com’è sempre stato e lo è comunque dell’entrata in vigore della novella recata dall’art. 19-quinquiesdecies del DL 148/2017.

Ora, la periodicità temporale d'uso per i pagamenti nei contratti di somministrazione continuativi di beni (energia, gas, acqua) e di servizi (telefonia fissa) è sempre stata il mese o suoi multipli (p. es., il bimestre o il trimestre). Ciò è tanto universalmente noto, quanto certo da apparire indubitabile ed incontestabile, assurgendo a fatto notorio ex art. 115, II co., c.p.c. (su tali attributi del notorio, cfr. di recente Cass., III, 21 aprile 2016 n. 8049;
id., V, 3 marzo 2017;
id., VI/3, 20 settembre 2019 n. 23546 - ord.za). La conferma che la periodicità mensile (o multipli del mese) sia la scadenza d'uso da sempre adoperata per i contratti di durata relativi alle utilities continuativamente erogati (tipo la telefonia fissa) trova buona conferma pure a livello eurounitario nell’art. 5, § 1), lett. e) della dir. n. 2011/83/UE (sugli obblighi informativi precontrattuali del professionista al fine della stipula di contratti da concludere con i consumatori a distanza o negoziati fuori dei locali commerciali). Al di là del peculiare oggetto della norma, essa si premura di precisare, per i contratti di abbonamento o a tempo indeterminato che prevedono l'addebito di una tariffa fissa, che il prezzo totale equivalga anche ai costi mensili totali. Pertanto, anche il legislatore UE reputa un dato di fatto ovvio, ossia un patrimonio di conoscenza comune della collettività per i contratti a prestazioni continuative a cadenza fissa, che il parametro ordinario di riferimento sia appunto il mese solare.

Ebbene, definire come eccentrica la scelta, in apparenza ex abrupto ed in realtà dissimulativa d’un aumento tariffario, della cadenza a 28 giorni, non solo è la ragione che mosse la citata delibera n. 121, ma evidenzia i due aspetti eversivi di tal scelta dal sistema: 1) il richiamo a una cadenza temporale estranea, se non contraria agli usi commerciali inveterati ab immemorabili ;
2) il tentativo di detti operatori di forzare il sistema dell’autonomia tariffaria eludendo gli obblighi di cui all’art. 70, co. 4, II per. ed all’art. 71, co. 1 CCE per dissimulare l’aumento tariffario e renderlo poco o nient’affatto intelligibile ai consumatori, in contrario avviso alla regola di trasparenza stabilita ai fini dell’esatta definizione delle regole del rapporto e della comparabilità di esse con quelle di altri operatori, non a caso tutti d’accordo sul punto.

Si potrebbe ipotizzare che questa scelta sia anche un’intesa restrittiva, oltre che una pratica scorretta (cfr. provvedimento AGCM del 21 dicembre 2016), posto che scaturì dalla denunciata (da AGCOM ad AGCM) situazione di anomalia per cui tutti i principali operatori nel settore della telefonia fissa e mobile erano passati, contemporaneamente, a cicli di fatturazione calcolati su 28 giorni. Ma quel che qui rileva è che essa s’appalesa sleale, non solo perché indusse l’utente, grazie allo scarto apparente piccolo tra 28 giorni e mese intero, a sottovalutare tal sottile discrepanza e non cogliere fin da subito il predetto aumento.

Invero la clausola sulla nuova cadenza di fatturazione sembra impedire o, comunque, rende più difficile all’utente rappresentare a se stesso e con la dovuta immediatezza come, mercé ed a causa della contrazione della periodicità di tariffazione, il gestore telefonico impone, nel corso di un anno, il pagamento del corrispettivo per 13, anziché per 12 volte. Né basta: la scelta a 28 giorni limitò drasticamente la possibilità di reperire offerte basate su termini temporali mensili e rese difficoltoso, se non inutile, l’esercizio del diritto di recesso, non essendo più reperibili sul mercato alternative diverse da quella così adottata. L’anomalia era legata al riscontro, da parte degli utenti, di un aumento dei prezzi delle tariffe telefoniche con modalità non trasparenti in seguito alla nuova e contemporanea rimodulazione dell’offerta. In tal senso, il principio di trasparenza ex art. 71, co. 1, I per. CCE serve ad evitare atteggiamenti oscuri ed a garantire la buona fede nei rapporti tra operatori e clientela, intesa come obbligo di celere informazione e divieto di pretermettere gli altrui ragioni e affidamenti in modo irreversibile. Dal che la ravvisata necessità non solo d’inibire forme stravaganti o eccentriche di fatturazione (con il ripristino della cadenza mensile), ma pure l’immediato ristoro dell’equilibrio nei contratti della massa degli utenti attraverso gli strumenti di regolazione, la quale implica, anzi richiede che la regola inibitoria sia accompagnata dalla sanzione ripristinatoria. È stato necessario ristabilire così una condizione di simmetria tra operatore di telefonia, ben informato e consapevole delle sue politiche commerciali, e consumatore, obbligato ad accettare le modifiche delle condizioni di rinnovo della fatturazione, se non adeguatamente informato o in assenza di serie alternative praticabili presso altri operatori.

Non ha gran senso allora l’assunto attoreo secondo il quale, avendo l’Autorità così operato su detta cadenza, si sarebbe ingerita direttamente nel jus variandi , con riguardo alla durata di fatturazione (o rinnovo delle offerte), inibendo durate con cadenza diversa dai minimi regolamentari, Ciò sarebbe in violazione dell’art. 70, co. 4 CCE, che attua l’art. 20, § 2) della dir. n. 2002/22/CE, il quale, a sua volta, valorizza certo la libertà commerciale degli operatori del settore ed il loro diritto d’apportare ai contratti di durata variazioni unilaterali delle offerte commerciali. Tuttavia, dette norme non solo non legittimano pratiche commerciali scorrette, né intese restrittive della concorrenza, ma devono anche esser coordinate coi poteri regolatori delle ANR nei confronti di siffatti mercati sensibili.

Soccorre al riguardo, in primo luogo, l’art. 2, co. 20, lett. d) della l. 481/1995, il quale consente a tal Autorità d’imporre agli operatori, a fronte di comportamenti lesivi dei diritti degli utenti, l’obbligo di corrispondere loro un indennizzo, che, ai sensi del precedente co. 12, lett. g), può pure essere in sé automatico, cioè, senz’uopo di pregresse statuizioni che ne predefiniscano i casi d’applicazione.

Soccorre altresì l’art. 2, co. 12, lett. d) e lett. h) della stessa legge n. 481. Come meglio si dirà infra , la lett. h) consente all’Autorità di definire «… in particolare i livelli generali di qualità riferiti al complesso delle prestazioni e i livelli specifici di qualità riferiti alla singola prestazione da garantire all'utente…», se del caso proponendo, ai sensi della precedente lett. d), «… la modifica… delle condizioni di svolgimento dei servizi , ove ciò sia richiesto dall'andamento del mercato o dalle ragionevoli esigenze degli utenti…». Invero, per un verso, la trasparenza di cui al citato art. 71, co. 1 concerne la potestà dell’Autorità di «… assicurare che le imprese che forniscono… servizi accessibili al pubblico di comunicazione elettronica pubblichino informazioni trasparenti, comparabili , adeguate e aggiornate in merito ai prezzi e alle tariffe vigenti… (e) … tali informazioni sono pubblicate in forma chiara, esaustiva e facilmente accessibile …», ossia quel che dà contenuto ai poteri di cui al predetto art. 2, co. 12. Per altro verso, è irrilevante che non sia immediatamente chiaro il riferimento alla lett. d) di quest’ultima disposizione, poiché i predetti poteri sono e restano immanenti nell’ordinamento sezionale dell’AGCOM e son stati in concreto esercitati nella specie, onde l’omesso specifico richiamo di tal norma nelle impugnate delibere di per sé solo non ne è motivo d’illegittimità, né può esser inteso come suo ripudio nella motivazione delle tali delibere. e, per altro verso ancora, la garanzia dei livelli specifici di qualità riferiti alla singola prestazione per ciascun utente implica che l’Autorità regoli quest’ultima in modo specifico ed unitario (egualitario) per detti utenti.

Soccorre infine, soprattutto dopo il dirimente intervento della Corte di giustizia (cfr. CGUE, II, 13 settembre 2018 n. 54) —sul criterio di concorrenza/incompatibilità tra le disposizioni di tutela di cui alla dir. n. 2005/29/CE e quelle del CCE (cfr. Cons. St., VI, 25 ottobre 2019 n. 7296)—, in primo luogo il concetto, condiviso dai Giudici nazionali e dalle Corti europee, dell’esistenza d’un corpo normativo multilivello unitario di tutele, che attinge dalle norme antitrust e dalle garanzie per i consumatori le regole comuni. Esiste altresì un altrettanto unitaria attività di protezione dei soggetti deboli (si potrebbe dire: di tutela del non predisponente nei contratti di massa per l’erogazione dei servizi d’utilità), che è svolta con criteri similari, da tutte e ciascuna ANR di settore. Si deve allora evidenziare il concetto, visto che al riguardo v’è un fermo orientamento della Sezione e ciò serve a corroborare il principio di trasparenza ex art. 71, in virtù del quale, se una pratica commerciale utilizzata da un operatore costituisce, nel suo insieme e in ragione delle singole modalità di sviluppo, il presupposto idoneo ad ingannare in un qualsiasi modo le scelte del consumatore, o a fuorviarle inquinando la sua libera scelta, detta pratica va ricondotta nella categoria delle pratiche scorrette (cfr. Cons. St., VI, 4 marzo 2013 n. 1259;
id., 25 giugno 2019 n. 4359;
id., 2 settembre 2019 n. 6033).

5.2. – Per quanto le violazioni dei diritti degli utenti (e le relative tutele) siano autonome rispetto alle vicende delle pratiche commerciali scorrette, l’intervento dell'Autorità, stante sia la contiguità logica tra tali due vicende che l’identità sostanziale tra i loro metodi inibitori e repressivi, trova la sua legittimazione nelle definizioni delle seconde per verificare l’accadimento delle prime.

Sicché non giova alla tesi attorea d’averne a suo tempo dato comunicazione ai clienti, o predicare che, in fondo, tutte le offerte, quand’anche dissimili in alcuni loro aspetti, siano sempre tra di esse comparabili. Non è proprio così: una cosa è, per l’utente finale, l’aver avuto contezza d’una data pratica (poi rivelatasi scorretta), giacché la notizia d’una metodica nuova, che impinge direttamente su una cadenza usuale del tempo della fatturazione, non rende chi l’abbia ricevuta automaticamente e subito edotto di conferme o differenze rispetto al passato. Ben altra cosa è offrire, secondo buona fede, ai propri clienti un insieme di serie e precise informazioni atte a far comprendere il contenuto vero della misura adottanda e consentire loro di coglierne di conseguenza tutte le sue eventuali nocive implicazioni.

Invero, il passaggio dalla fatturazione a cadenza mensile a quella a 28 giorni, sebbene annunciata dall’appellante alla sua clientela, determinò una violazione del principio di trasparenza, rendendo meno intelligibile l’effettivo costo del servizio. Tanto al fine d’impedire la percezione immediata dell’aumento della tariffa e, quindi, una libera valutazione delle offerte. Non basta allora asserire che, in fondo, il servizio fu sempre compiutamente offerto agli utenti e che, quindi, non vi sarebbe stato, né v’è tuttora il pregiudizio lamentato, che per l’Autorità fonda il citato obbligo di ristoro a favore della clientela. Ciò è materialmente vero, ma non è il punto della questione.

In disparte che effetto ripristinatorio e misura indennitaria discendono da siffatta violazione, nonché dal mancato ripristino della fatturazione a cadenza mensile, non è vero che la rideterminazione della cadenza di fatturazione, alla fin fine, non abbia prodotto effetti nocivi sugli utenti. Infatti, il nuovo sistema: a) incorporò l’applicazione d’un aumento tariffario che, per quanto liberamente disponibile da tutti e ciascun operatore nell’esercizio del jus variandi (che l’Autorità non mise, né ancor oggi revoca in dubbio) non fu reso comprensibile e, anzi, fu espresso in modo da impedire l’eventuale recesso;
b) determinò il passaggio da 12 a 13 fatture emesse nel corso dell’anno, aumentando così l’onere economico e quello tributario a carico degli utenti, rispetto coeteris paribus al costo del servizio per l’annualità precedente;
c) disallineò la data di tale fatturazione da quella in cui la più parte degli utenti, pur se non lavoratori subordinati (ma soprattutto questi ultimi, che ricevono di norma la retribuzione a cadenza mensile e a data fissa), impostano il pagamento automatico dei loro conti telefonici con il sistema del RID bancario;
d) rese più complicato individuare il giorno esatto in cui ciascun rateo sarebbe venuto a scadere. Insomma, il cambio di passo temporale, riducendo a 28 giorni l’obbligo di pagamento dei servizi a carico di ciascun utente e mantenendo, ma soltanto in apparenza, lo stesso prezzo della fattura mensile, determinò invece l’aumento del costo dei servizi stessi pari a ca. l’8,6 %. Tal camuffamento s’appalesa tanto più rilevante, ai fini della responsabilità di tutti e di ciascun operatore, se si considera che, al contempo, tal dato non fu reso esplicito e che il simultaneo cambio di detta cadenza da parte di tutti gli operatori principali di telefonia non consentì nei fatti la possibilità di recesso.

Non dura fatica il Collegio a constatare che l’appellante d’aver debitamente comunicato il cambio di cadenza temporale di fatturazione. Ma essa non s’avvede, oltre che degli effetti peggiorativi di quest’ultimo, d’esser stata sleale coi suoi utenti, non avendo fatto presente l’aumento sostanziale della tariffa, né tampoco la contemporanea scelta di tutti gli operatori nel medesimo senso, così da blindare la propria clientela rispetto gli altri operatori di telefonia e viceversa.

Fallace è il tentativo dell’appellante di far constare che, in fondo, nessuno avrebbe pagato di più di quel che sarebbe stato il costo del suo servizio acquistato con cadenza mensile, giacché questa è una petizione di principio. La cadenza a 28 giorni determinò comunque maggiori oneri, poiché fu solo apparente l’identità della tariffa rispetto a prima. Al più ciascun cliente avrebbe pagato, con cadenza mensile, il servizio a lui erogato con la nuova tariffa (+ 8,6%), corrispondente sì (più o meno) alla precedente, ma solo per le prime quattro settimane di ciascun mese. Se l’appellante questo avesse detto, ciò non solo sarebbe stato in linea col clare loqui (prima manifestazione della trasparenza), ma soprattutto non avrebbe creato altri problemi d’interpretazione della fattura a tutti ed a ciascun cliente e, anzi, a questo punto sarebbe stato del tutto inutile il cambio di cadenza ed ogni operatore non avrebbe falsato né il gioco della concorrenza, né questioni di trasparenza nella fatturazione.

Buona fede e correttezza (regole specifiche sia della fase di conclusione che di quella di esecuzione del contratto, artt. 1175 e 1375 c.c.), nonché rispetto del principio di trasparenza appunto questo imponevano all’appellante di render noto ai suoi utenti e ciò già alla luce del solo art. 71, co. 1 CCE e senza bisogno, pertanto, di coinvolgere pure il Codice del consumo.

5.3. – Non a diversa conclusione deve il Collegio pervenire per il rigetto, statuito dal TAR, della pretesa attorea, secondo il quale nessuna delle norme invocate dall’Autorità varrebbe a costituire un vero e idoneo fondamento normativo dell’azione regolatoria per cui è causa.

S’è già detto dell’art. 2, co. 12, lettere d) e h) della l. 481/1995. Va rammentato ora il successivo co. 37, cui il co. 12, lett. h) rinvia e che si occupa del regolamento di servizio predisposto da ciascun esercente il servizio regolato, precisa che «… le determinazioni delle Autorità di cui al comma 12, lettera h), costituiscono modifica o integrazione del regolamento di servizio …». Come si vede, e in ciò l’interpretazione resa dal TAR s’appalesa condivisibile, si tratta di norme «… dai tratti generali, che impongono un intervento attuativo dell’Autorità …», cioè di clausole aperte, da implementare in base al prudente apprezzamento di essa a seconda degli scopi di tutela da raggiungere.

Il risultato potrà prima facie apparire l’esercizio d’un potere atipico, ma in realtà, a ben vedere, esso discende dal vero e proprio sistema che la dir. n. 2005/29/CE, le direttive settoriali e le fonti interne vanno costruendo tra loro e che trovano unità di principi proprio nell’art. 2, commi 12 e 37 della l. 481/2015 (cui rinvia l’art. 1, co. 6, lett. c, n. 14 della l. 249/1997, istitutiva dell'AGCOM). Ma tutto questo accade sotto la guida degli organismi europei e della giurisprudenza della CGUE, che così garantiscono l'applicazione unitaria, coerente ed uniforme delle discipline generale e di settore, come all'interno fanno le ANR raccordando e coordinando i propri interventi nelle materie aventi tratti comuni, in primis normativi e regolatori. Sicché v’è una copertura eurounitaria alle delibere delle ANR di settore (come AGCOM) che, pur talvolta non rinvenendo immediatamente nel proprio sistema se non clausole generali e non anche un puntiglioso fondamento nelle norme primarie (UE e nazionali) di settore, perseguano obiettivi comunque coerenti con quelli fissati in queste ultime, tali, cioè, da poterne costituire continuazione ideale. Esse, quindi e per il sol fatto di aver a disposizione le fonti interne e dell’UE —nonché un framework sovranazionale basato sulla formazione, condivisione e circolazione di best practices poste dagli organi dell’UE—, danno vita a provvedimenti congruenti coi fini di tutela contro le pratiche commerciali scorrette ed a favore dei consumatori, ferme le loro rispettive potestà autonome avanti a fattispecie incompatibili (vale a dire irriducibili ed uniche, a causa della specificità tecnica propria ed esclusiva del settore).

Ebbene, già ben prima dei fatti di causa ed il TAR non ha mancato di rammentarlo, la Sezione (cfr. Cons. St., VI, 24 maggio 2016 n. 2182, ma su tali poteri, sia pur con le cautele del caso, era intervenuta Cass., III, 27 luglio 2011 n. 16401) ha chiarito come tutte tali norme abbiano attribuito all'Autorità poteri ampi di eterointegrazione, suppletiva e cogente, dei contratti per il perseguimento di specifici obiettivi individuati. Tal potere, in quanto attribuito da una norma imperativa, diventa esso stesso, insieme a tale norma, parametro di validità del contratto. Il contenuto dei contratti viene così integrato, secondo lo schema dell'art. 1374 c.c., dall'esercizio di tal potere da parte dell'Autorità o, se del caso (per i contratti contenenti clausole difformi da quanto statuito dall'Autorità stessa), queste ultime sono nulle, ai sensi dell’art. 1418, I c., c.c.

Scolorano così tutte le questioni sull’assenza, in capo all’AGCOM, del potere d’assumere misure di carattere ripristinatorio a favore degli utenti ed in applicazione della l. 481/1995.

In particolare, non può esser condivisa la tesi attorea, corretta in linea di principio ma estranea ai fatti di causa, in base alla quale nella specie si sarebbe di fronte all’esercizio di potere sanzionatorio, con cui l’Autorità sanzionerebbe l’autore di un illecito amministrativo. Le relative statuizioni, ad effetti negativi e restrittivi, sarebbero comunque sottoposte ai principi, sostanziali e procedurali di cui al capo I della l. 689/1981, in particolare, a quelli di tassatività, determinatezza e irretroattività della fattispecie sanzionatoria, a loro volta corollari del principio di legalità. Per contro, ad avviso dell’appellante, lo storno imposto dapprima con la delibera n. 497/2017/CONS, poi modificato con la delibera n. 115/2018 si pone, per contro, al di fuori della logica sanzionatoria, attribuendo agli utenti un beneficio che dovrebbe piuttosto conseguire, eventualmente, allo svolgimento di una controversia davanti all’AGO.

Ebbene, conviene qui ricordare i tratti principali in teoria generale dell’istituto dell’indennità o indennizzo, avendo in definitiva l’Autorità esercitato, a giudizio del Collegio, un potere veramente conformativo, che è sostitutivo della potestà d’imposizione di obblighi di natura indennitaria. L’indennizzo o indennità è termine riferito normalmente a prestazioni pecuniarie che ricorrono, in diritto civile, in situazioni molto diverse fra loro. In diritto amministrativo, si ricollega di solito o perlopiù all’adozione di un provvedimento amministrativo che incida sulla sfera patrimoniale di un privato (come nel caso dell’espropriazione). L’indennità si distingue dal risarcimento (collegato ad un danno ingiusto), in quanto essa dipende solo da un fatto di arricchimento a scapito di altri che si deve eliminare, senza alcuna indagine sull’ingiustizia del danno (spettante all’AGO: arg. ex Cass., sez. un., 29 agosto 2008 n. 21934, di norma senza pregiudizio per i poteri inibitori o conformativi spettanti alle ANR). Il danno è una lesione illecita di un bene protetto e, come dev’esser sanzionato applicando i predetti principi;
il fatto genetico dell’obbligo restitutorio di natura indennitaria è la perdita o limitazione della sfera giuridico-patrimoniale altrui in correlazione ad un trasferimento forzoso od alla nascita di un diritto in capo ad altri che l’ordinamento vuole riequilibrare. Sicché tal indennizzo ha una funzione di corrispettività o di carattere sostitutivo del bene che è stato trasferito.

Nel caso in esame, l’erogazione gratuita della prestazione (di natura lato sensu indennitaria) non fa che sostituire la somma di danaro, che è stata prelevata dalla generalità degli utenti con il sistema di fatturazione a 28 giorni.

Da queste coordinate generali deriva l’individuazione dell’esatta natura del potere esercitato, che è un potere conformativo di natura lato sensu indennitaria e non certo un potere sanzionatorio.

Va altresì rilevato che la giurisprudenza da tempo ha riconosciuto alle Autorità indipendenti, per la loro collocazione istituzionale, dei poteri impliciti, da esercitarsi in relazione agli scopi stabiliti dalla legge.

Basti in proposito menzionare la giurisprudenza della Sezione (cfr. Cons. St., VI, 20 marzo 2015 n. 1532), secondo cui la parziale deroga al principio di legalità in senso sostanziale (che si estrinseca, in particolare, attraverso la tipica forma di esercizio del potere regolamentare ai sensi dell'art. 17 della l. 23 agosto 1988 n. 400, secondo un sistema ispirato a una rigorosa tipicità) si giustifica, nel caso delle Autorità indipendenti, nell'esigenza d’assicurare il perseguimento di fini che la stessa legge predetermina. Il particolare tecnicismo del settore impone, infatti, di assegnare alle Autorità il compito di prevedere e adeguare costantemente il contenuto delle regole tecniche all'evoluzione del sistema, mentre una predeterminazione legislativa rigida risulterebbe invero di ostacolo al perseguimento di tali scopi: da qui la conformità a Costituzione, in relazione agli atti regolatori in esame, dei poteri impliciti.

La Sezione precisò a suo tempo (cfr. Cons. St., VI , 1° ottobre 2014 n. 4874), con riguardo a detti poteri delle ANR, che comunque il rispetto del principio di legalità, pur non imponendo la puntuale e rigida predeterminazione legale dell' an e del quomodo dell'attività di regolazione, richiede che sia indicato lo scopo che l'Autorità deve perseguire nell'esercizio concreto dell’attività stessa, oltre alla definizione, in funzione di garanzia, del contenuto e delle condizioni dell'esercizio dell'attività. A tal riguardo, nel caso in esame, il potere dell’AGCOM è nominato (è di natura inibitorio-conformativa ed indennitaria) ed è stato esercitato, nella sostanza con una fattispecie procedimentale a formazione progressiva che lo ha sagomato, in contraddittorio con le imprese. Esso è riconducibile all’ampio genus dei poteri conformativi ed inibitori spettanti all’Autorità per garantire la tutela degli utenti sul mercato. In tale chiave, l’unica interpretazione accoglibile dei provvedimenti impugnati è quella che li riconduce a tali poteri ed illumina sull’intento perseguito, che deve essere garantito effettivamente —in quanto conforme agli scopi legalmente perseguiti ed assegnati all’Autorità—, di riequilibrare a tutela degli utenti, la situazione alterata da un aumento dei prezzi non trasparente.

In conclusione, in base all’art. 2, co. 20, lett. d) della l. 481/1995, l’AGCOM non ha esercitato un vero e proprio potere sanzionatorio, ma ha attivato il rimedio generale posto dalla legge (dunque, tutt’altro che privo di base normativa) sull’ordinamento delle Autorità di regolazione. Tal rimedio indennitario, infatti e che per sua natura s’attaglia alla situazione cui intende por soluzione, appunto per questo sfugge al principio di tipicità proprio delle sanzioni. Ma non per ciò solo non risponde al fine generale dell’istituzione delle ANR e, in particolare, trova il suo fondamento nella necessità di assicurare, insieme con la promozione della concorrenza e con definizione di sistemi tariffari certi, trasparenti e basati su criteri predefiniti per i servizi erogati, la tutela degli interessi di utenti e consumatori. L’indennizzo, quindi e proprio perché in base alla delibera n. 114/2017/CONS non s’atteggia più a mero rimborso, contempera le esigenze di ripristino della fatturazione a cadenza mensile (il termine per il cui adempimento servendo a risolvere i problemi operativi di tal ripristino nei sistemi interni degli operatori di telefonia) con la refusione dei disagi subiti dagli utenti.

5.4. – Neppure si può inferire, come tenta l’appellante principale, il difetto di detti poteri dalla pur materialmente vera circostanza della novella introdotta al DL //2007 con l’art. 19-quinquiesdecies del DL 148/2017.

Dice al riguardo l’appellante principale che, solo in base a quest’ultima novella, fu espressamente attribuito all’AGCOM, in caso di accertata violazione all’obbligo di legge di fatturazione mensile, il potere di adottare, a seconda dei casi, misure tipicamente sia restitutorie (co.

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi