Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2020-11-23, n. 202007323

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2020-11-23, n. 202007323
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202007323
Data del deposito : 23 novembre 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 23/11/2020

N. 07323/2020REG.PROV.COLL.

N. 03089/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3089 del 2019, proposto dai signori M G T, G Q, F R, G R, O Q, R M, M E Q, O Q e A Q, rappresentati e difesi dagli avvocati G P e S P, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato G P in Roma, corso del Rinascimento, n. 11;

contro

Il Comune di Monteroni di Lecce, in persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dall'avvocato P Q, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via dei Giubbonari, n. 47;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, Lecce, (Sezione Prima) n. 13 del 10 gennaio 2019, resa tra le parti.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Monteroni di Lecce;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 8 ottobre 2020 il consigliere M C e uditi per le parti gli avvocati Gianluigi Pellegrino, su delega dell’avvocato G P, e P Q;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. In data 29 dicembre 2015, l’odierna parte appellante ha presentato presso il Comune appellato una proposta di piano di lottizzazione riguardante una serie di fondi compiutamente individuati in atti.

1.1. Nel corso del relativo procedimento, il Comune - dopo aver domandato e ottenuto dagli istanti la produzione di una serie di documenti necessari all’istruttoria - con nota prot. 7003 dell’11 maggio 2016, ha individuato talune ragioni ostative all’accoglimento dell’istanza e ha invitato quest’ultima a depositare, entro quindici giorni, osservazioni e documentazione per il loro superamento.

1.2. Nel dettaglio, con la nota in questione, denominata “comunicazione ostativa”, il Comune ha rappresentato che l’area oggetto della proposta era interessata da una procedura esecutiva “ culminata nella trascrizione di un pignoramento immobiliare ”.

Per il Comune tale circostanza determinava l’insussistenza del requisito della disponibilità giuridica delle aree e, dunque, della legittimazione a domandare l’approvazione del piano di lottizzazione.

1.3. A seguito della predetta nota, i privati hanno presentato delle osservazioni procedimentali, cui è seguita un’ulteriore nota del Comune, datata 7 settembre 2016, nella quale il responsabile dell’area di competenza confermava la determinazione di inammissibilità dell’istanza, formulata con la precedente nota.

1.4. Trascorso ulteriore tempo, l’odierna parte appellante, ritenuto di essere tornata nella piena titolarità giuridica dell’area, ha formulato, con nota del 6 novembre 2017, un invito al Comune affinché provvedesse espressamente sull’originaria istanza del 2015, seguita da una vera e propria diffida del 13 marzo 2018.

2. A fronte della perdurante inerzia del Comune appellato, ha quindi proposto un ricorso ex artt. 31 e 117 c.p.a. innanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sede di Lecce.

I ricorrenti hanno formulato, altresì, una domanda di risarcimento dei danni patiti a causa dell’illegittima inerzia dell’ente locale.

2.1. Nel relativo giudizio, si è costituito il Comune, il quale ha resistito al ricorso, deducendo l’insussistenza dell’inadempimento lamentato.

2.2. L’ente locale si è difeso, evidenziando di aver provveduto espressamente sull’istanza formulata dalla parte privata, con le due note del 2016.

2.3. Il Giudice adito ha accolto la prospettazione dell’ente ed ha, pertanto, respinto la domanda, dichiarandola inammissibile e compensando le spese.

3. L’appello è infondato e deve essere respinto.

Preliminarmente il Collegio prende atto che è inutile esaminare la questione dell’inammissibilità dei depositi documentali effettuati in questo grado perché i documenti sono irrilevanti ai fini della decisione;
conseguentemente, non è necessario approfondire il tema della violazione, da parte del difensore del Comune, dei canoni di lealtà processuale ex art. 88 c.p.c., evocata nella memoria di replica dei privati del 15 settembre 2020.

3.1. Gli appellanti - articolando due autonomi mezzi di gravame (da pagina 6 a pagina 13) - hanno censurato la sentenza di primo grado, lamentando l’erronea qualificazione delle note adottate, nell’anno 2016, dal dirigente dell’area comunale.

3.2. Secondo parte appellante, esse non avrebbero avuto un contenuto decisorio e non sarebbero dunque qualificabili come provvedimenti amministrativi.

Si tratterebbe, invece, di meri atti endoprocedimentali, mediante i quali il Comune avrebbe sospeso il procedimento, in attesa del deposito da parte del privato della documentazione e delle attestazioni ritenute mancanti.

3.2.1. Secondo parte appellante, tale caratteristica sarebbe manifestata:

a) dall’incompetenza del dirigente comunale ad esprimersi sull’istanza di lottizzazione, rimessa alla competenza del consiglio comunale;

b) dalla circostanza che, in un precedente di questo Consiglio (n. 5055 del 2012), sarebbe stata stigmatizzata tale incompetenza;

c) dal tenore letterale delle note e, in particolare, dalla seconda delle due, nella quale vi è un inciso con cui il dirigente avvisa che “ Al verificarsi delle suddette condizioni (consenso del pignorante o rientro nella piena proprietà del bene pignorato), quindi, lo scrivente provvederà ad esaminare l’istanza dei suoi clienti ”;

d) dalla mail del 26 aprile 2018, con la quale il dirigente del competente servizio dell’ente locale, ha preannunciato di volersi occupare “ nei prossimi giorni della proposta ” relativa al progetto di lottizzazione e ha dedotto di non averlo potuto fare in precedenza, a causa di ragioni di carattere personale.

3.3. Gli appellanti hanno poi rinunciato alla domanda di condanna a provvedere, articolata in prime cure nei confronti dell’ente locale, deducendo di non avervi più interesse, ma hanno insistito su quella finalizzata alla declaratoria di illegittimità dell’inerzia serbata dall’amministrazione sull’istanza presentata, in quanto trattasi di accertamento prodromico alla domanda di risarcimento del danno, scaturente dalla medesima inerzia, formulata dagli appellanti in prime cure e riproposta in questo giudizio di appello.

4. Si è costituito nel presente giudizio, il Comune di Monteroni di Lecce.

4.1. L’ente locale, con memoria del 4 giugno 2019, ha resistito alle censure di appello, evidenziando che:

a) la questione dell’incompetenza costituirebbe, al più, un profilo di illegittimità che inficerebbe il provvedimento comunale, e non già un criterio ermeneutico. L’incompetenza, peraltro, secondo l’ente, neppure sussisterebbe in ragione della circostanza che, trattandosi di mera inammissibilità, non sarebbe stata necessaria una pronuncia del consiglio comunale;

b) non sarebbe pertinente il precedente n. 5055 del 2012 di questo Consiglio, poiché in tale giudizio la nota del dirigente comunale è stata comunque impugnata, proprio deducendosi l’incompetenza, sicché ne uscirebbe confermata la natura provvedimentale;

c) l’inciso cui si riferisce parte appellante non elide il fatto che l’ente locale ha qualificato come inammissibile l’istanza presentata dai privati, enunciando dunque una volontà conclusiva, qual è quella che è sottesa alla nozione di inammissibilità;

d) le diffide del 6 novembre 2017 e del 13 marzo 2018 non sarebbero idonee a riattivare il procedimento concluso e quindi a qualificare la condotta dell’ente locale in termini di inerzia;

e) anche a voler prescindere dalle precedenti difese, il T.a.r. ha giudicato inidonea la documentazione integrativa, presentata dalla parte privata, per far venire meno l’inammissibilità altrimenti opposta, e su questo capo della sentenza non sarebbe stato proposto appello.

4.2. L’ente locale ha riproposto poi l’eccezione di tardività del ricorso già formulata in primo grado e non esaminata, poiché l’istanza da cui computare il termine per impugnare sarebbe quella del 2015, non potendosi invece attribuire alcun rilievo alle richieste meramente sollecitatorie formulate successivamente, e come tali dovrebbero essere qualificate la nota del 2017 e la diffida del 2018.

4.3. Circa la domanda risarcitoria, l’ente locale ha dedotto che, non essendovi stato alcun accertamento circa la spettanza del bene della vita, questa non potrebbe che essere respinta.

Anzi, secondo la difesa del Comune, in ragione della mancata impugnazione del capo della sentenza relativo all’inidoneità della documentazione prodotta per “riattivare” il procedimento, vi sarebbe addirittura la certezza della non spettanza del bene della vita.

5. A questa memoria ha replicato parte appellante, con note del 7 giugno 2019.

5.1. Con queste scritto difensivo, si è enfatizzato il valore ermeneutico degli ultimi due periodi della nota comunale, del 7 settembre 2016, che chiarirebbero, secondo i deducenti, che quella manifestata dal Comune non è stata una volontà conclusiva del procedimento, bensì meramente soprassessoria, ossia di “… rendere non esaminabile l’istanza fino a quando non fossero state eliminate le condizioni …”.

5.2. Viene rimarcato il ruolo che rivestirebbe l’aggettivo “ attuale ” espresso con riferimento al lemma “ inammissibilità ”, che esprimerebbe una valutazione negativa “ solo interinale ”, idonea soltanto ad arrestare a tempo indeterminato il procedimento e non anche a concluderlo.

5.3. Si è contestata la ripartizione di competenze dirigente-consiglio comunale enucleata dal Comune.

5.4. Si è evidenziata la mancata contestazione circa l’esistenza della nota del 26 aprile 2018 e la sua riconducibilità al dirigente del Comune, nonché il suo rilievo nell’interpretazione delle note del 2016 (come atti endo-procedimentali), ai sensi dell’art. 1362 c.c.

5.5. Si è contestata la deduzione difensiva che ha prospettato la necessità dell’impugnazione del capo della sentenza relativo alla mancata produzione dei documenti ritenuti mancanti dall’ente locale, con la nota di settembre 2016, trattandosi di un passaggio che presuppone e si fonda sulla circostanza che tale nota sia un provvedimento amministrativo, il che, però, l’appellante recisamente contesta.

5.6. Neppure, infine, potrebbe dedursi, fondatamente, l’inammissibilità per tardività del ricorso proposto in prime cure, perché, chiaramente, l’inerzia dell’ente (e quindi, di rimando, tutti gli altri termini rilevanti nel procedimento) dovrebbero computarsi a partire dalla nota del 6 novembre 2017, quando si è riattivato il procedimento amministrativo.

5.7. Pur dandosi atto della rinuncia alla domanda di condanna a provvedere, formulata nei confronti dell’amministrazione, viene domandato l’accertamento dell’illegittimità della condotta dell’ente, ai sensi dell’art. 34 comma 2 c.p.a.

6. All’udienza del 20 giugno 2019, questo Consiglio ha disposto il rinvio del ricorso per la trattazione in pubblica udienza a data da destinarsi, tenuto conto della rinuncia alla domanda di condanna, formalizzata dall’appellante con l’atto introduttivo del gravame e della conseguente applicazione del rito della udienza pubblica.

7. Successivamente alla fissazione della udienza del 28 maggio 2020, con memoria del 27 aprile 2020, il Comune ha dedotto:

a) di aver depositato documentazione che comprova l’attuale persistenza di una procedura esecutiva immobiliare su alcuni terreni oggetto dell’istanza di lottizzazione, sicché non si sarebbe ancora verificate quelle condizioni al ricorrere delle quali il comune aveva subordinato l’esame dell’istanza;

b) ulteriormente, sui profili già compiutamente articolati nella memoria di costituzione.

8. Con la memoria del 6 maggio 2020, gli appellanti hanno ulteriormente evidenziato:

a) che a seguito della rinuncia alla pronuncia della condanna dell’obbligo di provvedere, “ la valutazione dell’illegittimità dell’inerzia assume rilievo soltanto come causa petendi della domanda risarcitoria, al cui accoglimento è limitato il petitum ”;

b) che il Comune ha omesso di prendere posizione sulla pec inviata in data 26 aprile 2018 da parte del dirigente del Comune;

c) di aver prodotto in atti, unitamente alla presente memoria, documenti dai quali risulta che, nella procedure r.g.e. n. 605 del 2015, incardinata presso il Tribunale ordinario di Lecce, sono state depositate le rinunce all’azione esecutiva sia del creditore procedente che degli interventori.

9. Con memoria depositata in pari data, il Comune ha depositato una memoria di replica nella quale ha rimarcato che:

a) i terreni erano ancora sotto procedura esecutiva e dunque non si è inverata la condizione posta dal Comune per il riesame della pratica;

b) la circostanza che il provvedimento è stato emanato dal dirigente dell’ufficio e non dal Consiglio comunale non ha alcuna incidenza;

c) il danno di cui si domanda il risarcimento non è dipeso dall’inerzia, ma dalla mancata approvazione del piano di lottizazione, la cui possibile e proficua approvazione non è stata però valutata dall’amministrazione, sicché non può dirsi spettante al privato il bene della vita;

d) il danno, inoltre, sia a volerlo ricondurre all’inerzia sia a volerlo ricondurre alla mancata approvazione del piano di lottizzazione, si è verificato non già in ragione di questi antecedenti causali, bensì per la mancata individuazione di partner interessati alla realizzazione dell’iniziativa, da parte dell’odierna appellante, entro il termine indicato nel contratto stipulato con la propria controparte contrattuale;

e) si ribadisce l’eccezione di tardività formulata in primo grado. Secondo il Comune, “ Se la tesi di controparte è che le note dell’Ufficio erano endoprocedimentali e che era il Consiglio a doversi esprimere, il silenzio era riferito alla espressione della volontà comunale da parte del Consiglio e quindi il termine del silenzio doveva computarsi a partire dalla presentazione dell’istanza a nulla valendo le successive produzioni e/o istanze presentate dai privati ”.

10. Con replica “integrativa” del 7 maggio 2020, il Comune ha evidenziato che il mutamento del rito da “camerale” a “pubblico” era stato già disposto alla scorsa udienza dal Presidente del Collegio, sicché avrebbero dovuto applicarsi i termini propri di quest’ultimo procedimento e non quelli propri del rito in camera di consiglio.

Il Comune si è pertanto opposto all’ammissibilità del deposito documentale effettuato dalla controparte in data 6 maggio 2020, in quanto tardivo.

11. Con memoria “integrativa” del 7 maggio 2020, parte appellante ha evidenziato che, contrariamente a quanto rilevato dall’ente locale, non vi sarebbe stata alcuna udienza pubblica fissata, tant’è che dalla competente Segreteria sarebbe pervenuto un avviso di svolgimento dell’odierna udienza in camera di consiglio.

12. All’udienza del 28 maggio 2020, il Collegio, preso atto che, per un disguido di Segreteria, la causa è stata fissata alla camera di consiglio invece che all’udienza pubblica, contrariamente a quanto disposto alla precedente udienza del 20 giugno 2019, ha rinviato il processo all’udienza pubblica dell’8 ottobre 2020, per il suo rituale svolgimento.

13. Venivano depositate, da entrambe le parti, ulteriori memorie difensive e relative repliche, in vista dell’udienza dell’8 ottobre 2020.

14. Con la propria, parte appellante ha rappresentato l’ammissibilità della produzione documentale da essa effettuata il 9 aprile 2019 e il 6 maggio 2020, trattandosi di atti aventi data successiva alla sentenza appellata e che proverebbero il venire meno dell’interesse ad una pronuncia di condanna a provvedere nei confronti del Comune, nonché il permanere del solo interesse ad una sentenza di accertamento dell’illegittimità dell’inerzia del Comune, in vista del conseguente risarcimento del danno.

14.1. Viene eccepita, per contro, l’inammissibilità dei documenti prodotti in data 16 aprile 2020 dal Comune, sia perché “ almeno in parte anteriori alla sentenza appellata ” sia perché “ dubbia ” la produzione del documento n. 5.

14.2. Analoga censura viene mossa alla produzione documentale del Comune del 24 luglio 2020, relativamente alla quale parte appellante ha anche formulato istanza di poter produrre, tardivamente, l’ispezione ipotecaria di contenuto difforme rispetto a quella prodotta dall’ente.

15. Nella sua memoria, invece, il Comune ha insistito sulla mancata piena disponibilità dei terreni da parte degli appellanti, poiché gli stessi sarebbero stati assoggettati fino oltre la sentenza di primo grado a procedura esecutiva.

16. Con le repliche, le parti hanno operato reciproci rilievi alle rispettive memorie e produzioni.

17. All’udienza dell’8 ottobre 2020, la causa è stata è stata trattenuta in decisione.

18. L’odierno appello censura la sentenza in epigrafe, per non aver accertato l’illegittimità dell’inerzia tenuta dal Comune appellato, sull’istanza di approvazione di un piano di lottizzazione, presentata dalla società appellante.

18.1. In particolare, la questione controversa nel presente giudizio riguarda l’esatta qualificazione di due atti comunali adottati a maggio e settembre del 2016, i quali, per l’appellante, sarebbero da qualificarsi come meri atti endoprocedimentali, sicché il procedimento intrapreso dall’ente non sarebbe stato mai concluso, mentre, per il Comune e per il Tribunale amministrativo regionale che ne ha accolto la prospettazione difensiva, costituirebbero veri e propri provvedimenti conclusivi del procedimento.

18.2. Dall’accoglimento dell’una o dell’altra tesi discende la qualificazione della condotta comunale in termini di silenzio-inadempimento o meno.

19. Gli interessati, nel corso del processo e, segnatamente, con l’appello hanno però rinunciato alla domanda volta alla condanna a provvedere del Comune, insistendo per la sola declaratoria di illegittimità dell’inerzia, strumentale alla domanda risarcitoria proposta.

20. Il Collegio – tanto più in assenza di una specifica contestazione di ammissibilità del Comune appellato – ritiene che una domanda di accertamento, qual è quella formulata dall’appellante, sia pienamente ammissibile, anche se ritiene che essa debba essere qualificata non già come domanda proposta ai sensi dell’art. 34, comma 3, c.p.a., come pure adombrato dagli appellanti, quanto costituire un normale segmento dell’accertamento cui questo Consiglio è chiamato, dovendo delibare la domanda risarcitoria degli appellanti.

21. Quest’ultima, sia in ragione di quanto espressamente dedotto negli atti di questo grado di appello, sia in ragione di quanto allegato nel ricorso di prime cure, è articolata configurando la fattispecie risarcitoria, in modo tale da ricondurre la lesione dell’interesse legittimo e il conseguente pregiudizio patrimoniale all’inerzia serbata dal Comune.

21.1. Gli appellanti ritengono cioè che, ove il Comune si fosse determinato nei tempi fisiologici del procedimento amministrativo e non avesse invece persistito nel suo comportamento colpevolmente omissivo, non si sarebbero mai inverati né la lesione dell’interesse che il correlato pregiudizio patrimoniale.

22. Per accertare la sussistenza di questa fattispecie risarcitoria, va dunque accertata la legittimità o meno della condotta del Comune.

23. L’accertamento viene compiuto, ex art. 104 comma 2 c.p.a., alla stregua della documentazione versata nel fascicolo d’ufficio relativo al giudizio di primo grado.

24. Si deve verificare, dunque, se, effettivamente, la condotta del Comune possa qualificarsi come silenzio-inadempimento, valutando la natura giuridica delle due note emanate nel 2016.

25. Il Collegio ritiene che le suddette note debbano qualificarsi come provvedimenti amministrativi e non come meri atti endoprocedimentali.

26. Invero, poiché la seconda nota è atto confermativo della prima, che sostituisce, la disamina va concentrata su quest’ultima.

27. Si deve ritenere che, malgrado le suggestive e pregevoli argomentazioni di parte appellante, vi siano diversi elementi che corroborano la convinzione che la nota in questione ha espresso una volontà conclusiva e non meramente soprassessoria.

27.1. In primo luogo, l’atto in esame definisce la proposta dei privati come “ inammissibile ”.

Nell’ambito della teoria generale, il termine adoperato richiama una particolare categoria giuridica, che qualifica in senso conclusivo quello che è il procedimento intrapreso, evidenziandone una mancanza sotto un qualche profilo di carattere formale e preliminare, ostativa all’esame dei suoi aspetti di merito e di opportunità, i quali rimangono – proprio in ragione di questa carenza preliminare – insondati.

27.2. Questa prima notazione consente di inquadrare allora anche l’uso dell’aggettivo “ attuale ”, sapientemente rimarcato dagli appellanti per scalfire l’impianto argomentativo posto a base della sentenza di prime cure.

27.2.1. L’uso di questo aggettivo non infirma il carattere conclusivo della statuizione comunale, ma, più semplicemente, e in linea con la determinazione di inammissibilità assunta dall’ente locale, sottolinea che la preclusione posta con la nota de qua non è assoluta, quale potrebbe essere quella derivante dalla riscontrata assenza o insussistenza di un requisito di merito o di opportunità, bensì meramente contingente e collegata alla ritenuta temporanea non sussistenza dei requisiti legittimanti l’istanza, che il Comune aveva contestato con la nota precedente.

27.2.2. Il riferimento all’ “ attuale inammissibilità ” è da intendersi, allora, nel senso che, ove l’istanza verrà riproposta in assenza della condizione ostativa alla sua presentazione, enucleata con la prima nota (quella di maggio 2016), consistente nell’esistenza di una procedura esecutiva, l’istanza sarà, verosimilmente, giudicata “ammissibile” e quindi potrà essere scrutinata nei suoi aspetti di merito.

27.2.3. Quest’ultimo assunto è corroborato dalla circostanza che il dirigente comunale si dichiara disponibile ad “ esaminare ”, in futuro, l’istanza presentata, “ al verificarsi delle suddette condizioni ”, invece, in quel momento mancanti.

27.2.4. Non si dimentichi, a tale proposito, che la legittimità di un atto va valutata e giudicata in relazione al momento in cui si effettua lo scrutinio, e che, ovviamente, anche l’istanza è un atto amministrativo.

Questa, in particolare, è quell’atto amministrativo endoprocedimentale che dà inizio al procedimento, quando quest’ultimo è rimesso all’iniziativa della parte privata.

Come atto amministrativo, esso viene giudicato hic et nunc dall’amministrazione, sicché un eventuale giudizio di ammissibilità o inammissibilità si riferisce a quell’atto e lo “fotografa” in quel momento.

27.3. Si ritiene, pertanto, che l’atto dichiarativo dell’inammissibilità sia un atto conclusivo e non meramente soprassessorio, come invece contrariamente opinato.

27.4. Ulteriore conferma della qualificazione del Collegio si trae dall’ultimo periodo della nota in esame, nel quale il Comune perentoriamente afferma che “ allo stato…non vi è alcun obbligo giuridico a provvedere da parte del Comune ”.

27.4.1. L’affermazione conclusiva si palesa netta rispetto alla prospettazione di parte appellante perché, con essa, a torto o a ragione, il Comune esclude comunque la sua attuale necessità di provvedere.

27.4.2. A fronte di una simile chiusura, diviene difficile ritenere che il Comune volesse semplicemente sospendere il procedimento, sine die , per consentire ai privati di produrre, quando avessero potuto o voluto, la documentazione mancante o, comunque, attestante il venire meno della condizione ostativa.

27.4.3. La prospettazione di parte appellante è contro intuitiva per due ragioni.

In primis , il procedimento amministrativo deve essere scandito da tempi certi, non soltanto a garanzia del privato, ma anche a garanzia del buon andamento della stessa amministrazione, la quale non può permettersi, per l’ordinata gestione degli interessi pubblici attribuiti alla sua cura, di sospendere sine die i procedimenti amministrativi, che, in tal modo, rimarrebbero pendenti fino a data da destinarsi (arg. ex art. 2, comma 7, legge n. 241 del 7 agosto 1990).

In secundis , se l’amministrazione avesse voluto – come pure allegato dagli appellanti – sospendere il procedimento in attesa del venire meno della condizione ostativa, avrebbe potuto adoperare un lessico e formule più perspicue in questo senso, senza parlare, invece, di “ inammissibilità ”, ancorché “ attuale ”, e di assenza di obbligo di provvedere, ancorché “ allo stato ”.

Con molta semplicità, all’ente sarebbe stato sufficiente evidenziare la sospensione del procedimento, adoperando proprio il lemma appropriato. Invero, una simile ultima soluzione, giova rimarcarlo, sarebbe potuta legittimamente avvenire soltanto nel rispetto delle condizioni previste dall’ordinamento.

27.5. La conclusione accolta, risulta viepiù persuasiva, se si analizza il comportamento antecedente tenuto dall’ente locale.

27.5.1. Con la nota dell’11 marzo 2016, il Comune, evidenziando alcune carenze istruttorie, ritenute ostative all’esame della pratica, ha domandato la produzione della documentazione e ha espressamente “ sospeso ”, per quindici giorni, l’istruttoria intrapresa, adoperando il termine più consono ad indicare l’effetto giuridico voluto.

27.6. Va poi ulteriormente evidenziato che la soluzione accolta, oltre ad essere suffragata dai suesposti argomenti, correlati all’interpretazione letterale della nota comunale e ai principi generali dell’ordinamento amministrativo, è, a parere del Collegio, anche supportata da un addentellato di ordine positivo e sistematico.

Invero, l’art. 2 della legge n. 241 del 1990 statuisce che “ Ove il procedimento consegua obbligatoriamente ad un'istanza, ovvero debba essere iniziato d'ufficio, le pubbliche amministrazioni hanno il dovere di concluderlo mediante l'adozione di un provvedimento espresso. Se ravvisano la manifesta irricevibilità, inammissibilità, improcedibilità o infondatezza della domanda, le pubbliche amministrazioni concludono il procedimento con un provvedimento espresso redatto in forma semplificata, la cui motivazione può consistere in un sintetico riferimento al punto di fatto o di diritto ritenuto risolutivo ”.

27.6.1. La nota costituirebbe dunque un “ provvedimento espresso redatto in forma semplificata ”, cui la norma fa riferimento.

27.6.2. Ad essa risulta, pertanto, più corretto attribuire valenza decisoria ed espressiva di una volontà di chiusura del procedimento.

27.7. Non persuadono, poi, le ulteriori ragioni che l’appellante deduce per smentire quella che è la qualificazione accolta dal T.a.r.

27.7.1. Circa il riparto di competenze che sarebbe stato violato secondo gli appellanti, ove si acceda alla tesi dell’atto conclusivo e non meramente soprassessorio, se la nota del 7 settembre 2016 viene qualificata come provvedimento, è evidente che il vizio di competenza lamentato si traduce in un profilo di illegittimità, da far valere innanzi al Tribunale amministrativo nel consueto termine di decadenza. L’argomento, dunque, non assume una valenza dirimente sul versante della qualificazione dell’atto.

27.7.2. Circa, invece, la nota del 26 aprile 2018, essa presenta, effettivamente, un tenore letterale inequivoco, a favore della tesi degli appellanti, ma espresso in un contesto di totale informalità, il che rende quest’ultima comunicazione insufficiente a dimostrare la tesi che gli interessati propugnano.

La mail nulla fa trasparire, del resto, su quale sarebbe stato l’intendimento del dirigente comunale circa la questione “in oggetto”, ossia circa la proposta di lottizzazione, e non può escludersi che, esaminati gli atti inerenti alla vicenda, il dirigente – come avrebbe dovuto fare, in un’ottica di leale collaborazione con la parte privata – avrebbe potuto indirizzare agli istanti una nota di cortesia nella quale chiariva l’avvenuta definizione del procedimento nel 2016 e la necessità di incardinare, ove gli interessati avessero così ritenuto opportuno, un nuovo procedimento.

28. In definitiva, il Collegio ritiene che, effettivamente, non sussisteva per il Comune appellato l’obbligo di provvedere, nel momento in cui gli sono state indirizzate le note del 2017 e del 2018.

29. L’insussistenza del profilo di illegittimità della condotta comunale elide la possibilità di configurare, relativamente al suo operato, un fatto qualificabile come illecito.

30. La domanda risarcitoria non può dunque essere accolta.

31. In conclusione, l’appello va respinto e, per l’effetto, va confermata la sentenza di primo grado.

32. La novità delle questioni trattate induce il Collegio a compensare le spese di lite.

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