Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2020-12-10, n. 202007867

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2020-12-10, n. 202007867
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202007867
Data del deposito : 10 dicembre 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 10/12/2020

N. 07867/2020REG.PROV.COLL.

N. 02851/2020 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2851 del 2020, proposto da
-OMISSIS-, rappresentata e difesa dall'avvocato M F, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Agenzia Nazionale per L'Amministrazione e la Destinazione dei Beni Sequestrati e Confiscati, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

nei confronti

Ministero dell'Interno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima) n. -OMISSIS-, resa tra le parti, concernente l'ordinanza di rilascio art. 47, comma 2, del D. Lgs. n. 159/2011;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno e dell’Agenzia Nazionale per L'Amministrazione e Destinazione dei Beni Sequestrati e Confiscati alla Criminalità Organizzata;

Visti tutti gli atti della causa;

Visto l’art. 25 del d.l. n. 137/2020;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 19 novembre 2020, tenutasi da remoto, il Cons. Stefania Santoleri e udito per la parte appellante l’avvocato M F;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. - Con il ricorso di primo grado, proposto dinanzi al TAR per il Lazio, la ricorrente ha impugnato l'ordinanza di sfratto ex art. 2 decies - comma 2 L. n. 575/1965 (oggi art. 47 - comma 2 del D. Lgs. n. 159/2011), prot. n. -OMISSIS-, con la quale è stata disposta la restituzione di immobili siti in -OMISSIS-, “entro e non oltre il termine perentorio di 120 giorni (trenta) dalla notifica del presente provvedimento” e tutti gli atti del procedimento indicati nell’epigrafe del ricorso.

Nell’atto introduttivo del giudizio la ricorrente ha esposto:

- di essere comproprietaria, in virtù di fondo patrimoniale costituito in data 11.11.12, di un fabbricato sito in -OMISSIS-

- che tale immobile, in applicazione della misura di prevenzione patrimoniale di cui all’art. 24 del d.lgs. n. 159/2011, emessa nei confronti del marito Sig.-OMISSIS-, era stato colpito da confisca, disposta con decreto n. -OMISSIS- poi confermato con decreto dalla Corte d’Appello n. -OMISSIS-con sentenza della Suprema Corte di Cassazione;

- di aver proposto avverso tale decreto incidente d’esecuzione dinanzi al Giudice penale competente nonché ricorso dinanzi alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, giudizi ancora pendenti al momento della presentazione del ricorso dinanzi al TAR.

1.1 - Con il ricorso di primo grado ha proposto plurime doglianze avverso l’ordinanza di sfratto, chiedendo, in via preliminare, la sospensione del giudizio in pendenza dei giudizi – a suo dire – pregiudiziali dinanzi al giudice penale e alla Corte EDU.

1.2 – Si è costituita in giudizio l’Amministrazione intimata chiedendo il rigetto del ricorso.

2. - Con la sentenza impugnata il TAR ha respinto l’istanza di sospensione del processo ed ha rigettato il ricorso.

3. - Avverso tale decisione parte ricorrente ha proposto appello, articolato sulla base di cinque motivi, chiedendo la riforma della sentenza impugnata.

3.1 - Si è costituita in giudizio l’Amministrazione appellata chiedendo il rigetto dell’appello.

3.2 – Con memoria depositata il 19/10/2020 l’appellante ha ribadito le proprie tesi difensive chiedendone l’accoglimento.

4. - All’udienza pubblica del 19 novembre 2020, tenutasi da remoto, l’appello è stato trattenuto in decisione.

5. - L’appello è infondato e va, dunque, respinto.

6. – Con il primo motivo l’appellante ha censurato il capo di sentenza con il quale il TAR ha respinto l’istanza di sospensione del giudizio, ritenendola non obbligatoria.

L’appellante ha dedotto, in punto di fatto, che il ricorso per revocazione è stato definito durante il giudizio di primo grado;
ha però aggiunto che attualmente pende il ricorso per cassazione avverso la decisione della Corte di Appello di Napoli.

Ha sottolineato, inoltre, che risulta ancora pendente il giudizio dinanzi alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, trasmesso in data 2/5/2018.

In punto di diritto ha censurato la decisione del TAR sostenendo che la pendenza dei due gravami configurerebbe certamente una causa pregiudiziale che incide sul provvedimento impugnato, ai sensi dell’art. 295 c.p.c. e dell’art. 79, comma 1, c.p.a., in quanto l’accoglimento anche di uno solo dei due giudizi comporterebbe la restituzione del bene all’appellante.

Ha quindi dedotto l’erroneità della decisione del TAR per aver ritenuto insussistenti i presupposti per disporre la sospensione del processo.

6.1 - La doglianza non può essere condivisa.

Correttamente il TAR ha richiamato la giurisprudenza di questa Sezione secondo cui: “il codice del processo amministrativo non annovera tra le cause di sospensione necessaria del giudizio amministrativo la pendenza di un procedimento penale, ancorché relativo ai medesimi fatti di cui si controverte in causa (artt. 8 co. 2, 77 c.p.a.). L’attuale codice di procedura penale ha superato l'idea che il giudizio penale dovesse produrre risultati valevoli in qualsiasi altra sede, restringendo l’autorità extra-penale del giudicato penale alle sole ipotesi di cui all’art. 651 c.p.p.

Il giudice amministrativo, al di fuori delle ipotesi di cui agli artt. 8 co. 2 e 77 c.p.a., non è dunque affatto tenuto alla sospensione del processo, essendo in questi casi tale scelta rimessa ad una valutazione di opportunità da compiersi in relazione alla rilevanza della pregiudizialità del giudizio penale rispetto al giudizio amministrativo.

La sospensione del giudizio ex art. 295 c.p.c. è necessaria soltanto quando la previa definizione di altra controversia civile, penale o amministrativa, pendente davanti allo stesso o ad altro giudice, sia imposta da una espressa disposizione di legge ovvero quando, per il suo carattere pregiudiziale, costituisca l'indispensabile antecedente logico-giuridico dal quale dipenda la decisione della causa pregiudicata ed il cui accertamento sia richiesto con efficacia di giudicato” (Cons. Stato, Sez. III, 4 marzo 2019 n. 1499).

6.2 - A ciò è opportuno aggiungere che il provvedimento di confisca è divenuto definitivo in quanto “ai sensi dell'art. 27, del D.Lgs. n. 159 del 2011, "i provvedimenti che dispongono la confisca dei beni sequestrati (...) diventano esecutivi con la definitività delle relative pronunce";
mentre, secondo le norme del codice di procedura penale (le quali si osservano, in quanto applicabili, anche in caso di confisca, ex art. 10, comma 4, D.Lgs. n. 159 del 2011), le pronunce del giudice penale acquisiscono carattere definitivo, vale a dire passano in giudicato (art. 648 c.p.p.), quando non sono proponibili impugnazioni diverse dalla revisione, ovvero sia decorso inutilmente il termine per proporre impugnazioni, ovvero sia stato dichiarato inammissibile o rigettato il ricorso per cassazione”
(cfr. Cons. Stato Sez. III n. 1499/2019).

Al di fuori di tali presupposti, la sospensione cessa di essere necessaria e, quindi, obbligatoria per il giudice.

Il TAR ha anche ritenuto l’inutilità della sospensione atteso che il giudizio revocatorio non sarebbe idoneo a determinare la restituzione del bene sostenendo che “ né la definitività è attenuata dalla possibilità di esperire rimedi straordinari (revisione e istituti similari) che si ritiene consentano una tutela risarcitoria, con esclusione della restituzione del bene”.

6.3 - Nell’atto di appello l’appellante ha censurato quest’ultima la statuizione rilevando che l’art. 28, comma 4, del d.lgs. 159/11 dispone che: “quando accoglie la richiesta di revocazione, la corte di appello provvede, ove del caso, ai sensi dell’art. 46”; quest’ultimo articolo prevede che “la restituzione dei beni confiscati….nell’ambito delle risorse disponibili a legislazione vigente, può avvenire anche per equivalente, al netto delle migliorie, quando i beni medesimi sono stati assegnati per finalità istituzionali o sociali, per fini di giustizia o di ordine pubblico o di protezione civile di cui alle lettere a), b) e c) dell’art. 48, comma 3, del presente decreto e la restituzione possa pregiudiziare l’interesse pubblico….” : secondo l’appellante, quindi, solo nel caso di beni già assegnati a specifiche finalità l’Agenzia potrebbe optare, in luogo della restituzione, per il risarcimento per equivalente.

Nel caso di specie la destinazione non sarebbe avvenuta e, quindi, la sospensione del processo eviterebbe il rischio di non poterla più ottenere in caso di accoglimento dell’istanza di revocazione della confisca.

6.4 - Premesso che – come già rilevato – non sussistono i presupposti per disporre la sospensione necessaria ex art. 295 c.p.c., la tesi dell’appellante non risulta comunque convincente anche a volerla valutare sotto il profilo meramente logico e di opportunità, ove confrontata con il rispetto del principio del giusto processo.

6.4.1 - Innanzitutto – nella tesi dell’appellante – il discrimine per la restituzione del bene è costituito dall’avvenuta destinazione o meno del bene confiscato (in quanto solo in quest’ultimo caso l’Agenzia è chiamata ad operare una valutazione di tipo discrezionale);
il potere di destinazione del bene confiscato è conseguente alla definitività della confisca e tale circostanza si è già verificata: occorre considerare, infatti, che i giudizi ancora pendenti costituiscono soltanto rimedi straordinari previsti dalla legge che riguardano, quindi, limitatissimi casi nei quali, in effetti, sia stata emessa la confisca in difetto di presupposti.

6.4.2 - In questi particolari casi può valere il principio espresso dalla giurisprudenza penale (cfr. Cass. Pen. Sez. V, 15/03/2018, n. 32692) secondo cui “colui che abbia ottenuto il provvedimento di revocazione ha diritto alla restituzione di quanto gli è stato confiscato e, in generale, come si desume dalla citata Sez. U, n. 57 del 19/12/2006 - dep. 08/01/2007, A, al ripristino della situazione anteriore alla confisca, privata di effetti ex tunc”.

“Nè, in senso contrario, assume rilievo l'inciso contenuto nell'art. 28, u.c., laddove prevede che il tribunale, al quale gli atti sono stati trasmessi dalla corte d'appello che abbia disposto la revocazione, provvede, ai sensi dell'art. 46 "ove del caso".

“La norma non introduce valutazioni di opportunità - che sarebbero di dubbia legittimità costituzionale, in quanto sganciate da parametri normativi puntuali e prevedibili negli esiti applicativi - ma rinvia semplicemente ai possibili epiloghi decisori che l'art. 46 prefigura, in relazione alle diverse situazioni che possono verificarsi in concreto” (sent. sopra citata).

La Cassazione Penale nella suddetta sentenza ha, infatti, rilevato che le eccezioni alla regola della restitutio in integrum sono rappresentate dai casi nei quali, “per ragioni di efficiente svolgimento dei procedimenti di amministrazione dei beni confiscati, il legislatore si pone il problema della coesistenza di un interesse pubblico che giustifica il sacrificio, peraltro adeguatamente indennizzato, della pretesa restitutoria”.

6.4.2 - Ebbene, tale evenienza, secondo il Collegio è quantomai remota, atteso che:

- sono trascorsi circa 10 anni dall’adozione della confisca, periodo nel quale si sono svolti molteplici giudizi avverso tale provvedimento (tutti conclusisi negativamente per l’appellante), in pendenza dei quali l’Agenzia non ha mai provveduto a determinare la destinazione del bene confiscato;

- è ormai pendente il solo ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di Appello di Napoli che ha rigettato l’istanza di revocazione (oltre al giudizio dinanzi alla CEDU che, come è noto, ha tempi molto lunghi, incompatibili con il principio del giusto processo codificato nell’art. 2 c.p.a.);

- non sussistano i presupposti per disporre la sospensione del giudizio, tenuto conto, da un lato, del principio di ragionevole durata del processo di cui all’art. 2, comma 2, c.p.a., e dall’altro che, in caso di esito favorevole del giudizio di revocazione, l’Amministrazione provvederà, in via conseguenziale, alla restituzione del bene;

- in ogni caso, ove ciò non fosse possibile, verrebbe comunque assicurata la tutela per equivalente.

6.4 - In merito alla pendenza del giudizio dinanzi alla CEDU sono pienamente condivisibili le statuizioni del TAR secondo cui “…La pendenza del procedimento innanzi la Corte Europea dei Diritti Umani non incide sulla possibilità di procedere alla sgombero del bene ed alla sua destinazione ad altro: è infatti evidente che gli articoli 45 e 45 bis del D. L.vo 159/2011, laddove fanno riferimento al “provvedimento definitivo di confisca”, alludono al provvedimento di confisca che sia da ritenersi “definitivo” in base alle norme dell’Ordinamento italiano, e quindi al provvedimento di confisca in relazione al quale non possa essere esperito un rimedio impugnatorio interno.

14. Del resto, se e nel caso in cui la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo dovesse riconoscere fondatezza al ricorso presentato dai ricorrenti, non per tale ragione verrebbe meno, automaticamente, la validità del decreto di confisca di cui si discute nel presente giudizio: come gli stessi ricorrenti ammettono in ricorso, in tale circostanza lo Stato italiano dovrebbe adottare misure idonee a porre i ricorrenti in una situazione simile a quella in cui si sarebbero trovati ove non vi fosse stata inosservanza alcuna della Convenzione, e tali misure non necessariamente dovrebbero comportare la restituzione della proprietà dell’appartamento del cui sgombero si tratta.

15. Non è peraltro inutile ricordare che la Corte di Strasburgo ha già avuto modo di pronunciarsi sulla legittimità della confisca disposta quale misura di prevenzione antimafia, affermando in particolare che: i) la confisca come misura di prevenzione, non solo non confligge con le norme della CEDU, ma anzi è una misura indispensabile per contrastare il crimine (sentenza 22 febbraio 1994, Raimondo c. Italia, in causa 12954/87;
Decisione 4 settembre 2001, Riela c. Italia, in causa 52439/09).;
ii) la confisca deve essere, in ogni caso, conforme alle prescrizioni dell'art. 1, primo paragrafo, del Protocollo n. 1 alla Convenzione, ed a tal fine deve rispettare due limiti: deve, cioè, essere irrogata sulla base di una espressa previsione di legge e deve realizzare il giusto equilibrio tra l'interesse generale e la salvaguardia del diritti dell'individuo (sentenza 20 gennaio 2009, Sud Fondi s.r.l. c. Italia, in causa 75909/01);
iii) per la Corte inoltre non costituisce di per sé violazione né della CEDU, né del Protocollo n. 1, l'inversione dell'onere della prova, in base al quale è il prevenuto a dover dimostrare l'origine lecita dei beni di cui dispone (Decisione 5 luglio 2001, Arcuri c. Italia, in causa 52024/99 che ha affermato che "la presunzione d'innocenza non è assoluta"), fermo restando, ovviamente, il diritto incoercibile del prevenuto a fornire con ogni mezzo la prova contraria (sentenza 23 dicembre 2008, Grayson e Barnham c. Regno Unito, nelle cause riunite 19955/05 e 15085/06, 40, 41 e 45 della motivazione);
iv) la Corte, con riferimento all'ipotesi di confisca ai danni di un terzo, diverso dal reo o dal prevenuto, ha, in varie occasioni, affermato che il requisito del giusto equilibrio è rispettato quando al terzo proprietario dei beni confiscati sia data la possibilità di un ricorso giurisdizionale (per es. Decisione 26 giugno 2001, C.M. c. Francia, in causa 28078/95).”

Il primo motivo va, quindi, respinto.

7. - Con il secondo motivo l’appellante ha dedotto l’erroneità del capo di sentenza che ha respinto il secondo motivo di ricorso, con cui era stata contestata la legittimità del provvedimento di rilascio in mancanza della preventiva destinazione del bene confiscato.

7.1 - La doglianza non può essere condivisa alla luce del costante orientamento della giurisprudenza (anche di questa Sezione) secondo cui: “quello dell’Agenzia di ordinare lo sgombero di un immobile confiscato è un “potere-dovere” che non è in alcun modo condizionato dalla previa adozione del provvedimento di destinazione del bene stesso ma risponde ad un interesse concreto alla liberazione dei beni, che viene compiutamente soddisfatto con l’esercizio di un’azione esecutiva complementare ma distinta da quella discrezionale con cui, invece, l’amministrazione decide in ordine all’uso sociale dei medesimi beni mediante il procedimento di destinazione disciplinato dagli artt. 47 ss. d.lgs. n. 159/2011 (cfr. per tutte: Cons. Stato, Sez. III , 25.7.16, n. 3324).

L’ordinanza di sgombero, come congegnata dal legislatore, è riconducibile all'esercizio di un potere vincolato e costituisce un “atto dovuto”, strettamente consequenziale rispetto alla confisca definitiva dei beni, da cui consegue un istantaneo trasferimento a titolo originario in favore del patrimonio dello Stato del bene che ne costituisce l’oggetto ex art. 45 co. 1 d.lgs. n. 159/2011 (cfr. Cass. civ., SS.UU., 8.1.07, n. 57).

Al momento dell’acquisizione del carattere di definitività del provvedimento di confisca corrisponde, quindi, per l’Agenzia il potere-dovere di ordinare alla parte ricorrente di lasciare libero il bene, avendo lo stesso acquisito, per effetto del provvedimento ablatorio, una impronta rigidamente pubblicistica che non consente di distoglierlo, anche solo temporaneamente, dal vincolo di destinazione e dalle finalità pubbliche.

La giurisprudenza ha costantemente affermato che, ai sensi dell'art. 47 comma 2, d.lgs. n. 159/2011, l'adozione dell'ordinanza di sgombero di immobile confiscato alla criminalità organizzata costituisce, per l’ANBSC, un atto dovuto, atteso che essa ha il potere-dovere di ordinare ai ricorrenti di lasciare libero un bene che, per effetto della confisca, acquisisce un'impronta rigidamente pubblicistica, che non consente di distoglierlo, anche solo temporaneamente, dal vincolo di destinazione e dalle finalità pubbliche. Il che determina l'assimilabilità del regime giuridico del bene confiscato a quello dei beni facenti parte del patrimonio indisponibile (Cons. Stato, Sez. III, 5.7.16, n. 2993 e 16.6.16, n. 2682)”.

7.2 - Possono richiamarsi, in aggiunta a quelle indicate dal TAR, le ulteriori decisioni di questa Sezione del 10/4/2019 n. 2364 e 5/2/2020 n. 926 che hanno ribadito che il "potere/dovere" dell'Agenzia di ordinare lo sgombero di un immobile confiscato non è in alcun modo condizionato alla previa adozione del provvedimento di destinazione del bene stesso.

7.3 - Quanto alla specifica condizione dell’appellante, soggetto terzo, è opportuno richiamare il costante orientamento della giurisprudenza penale secondo cui il sequestro e la confisca possono avere ad oggetto i beni del coniuge, dei figli e degli altri conviventi, dovendosi ritenere la sussistenza di una presunzione di "disponibilità" di tali beni da parte del prevenuto - senza necessità di specifici accertamenti - in assenza di elementi contrari (cfr. Cass., sez. V, 26 ottobre 2015, 266142;
da ultimo, cfr. Cassazione penale, sez. VI, 25/06/2020, n.21056) (quanto alla giurisprudenza amministrativa, cfr. Cons. Stato, Sez. III, 22/10/2020 n. 6386).

7.4 - Infine il provvedimento impugnato non reca alcuna lesione ad un preteso "diritto all'abitazione" - che genericamente si asserisce essere tutelato dalla Costituzione - in considerazione del fatto che l'invocata tutela presuppone un valido titolo di disponibilità del bene, qui non ricorrente proprio a seguito dei puntuali accertamenti che hanno preceduto la confisca (cfr., amplius, in punto di compatibilità costituzionale della confisca, quale misura di prevenzione, con gli articoli 2 e 3 della Costituzione, Cons. Stato, sez. V, 27/11/2015, n. 5383;
Cons. Stato, Sez. III, 22/10/2020 n. 6386).

8. - Altrettanto infondato è il terzo motivo di appello, con il quale l’appellante ha lamentato la violazione dell’art. 7 della L. 241/90 e la violazione del giusto procedimento: correttamente il TAR ha ritenuto che, in applicazione di quanto dispone l'art. 21 octies, L. 7 agosto 1990, n. 241, la natura di atto dovuto del provvedimento di confisca rende irrilevante la censurata violazione delle garanzie partecipative, atteso che il contenuto e la forma non avrebbero comunque potuto essere differenti da quelli in concreto adottati.

Contrariamente a quanto dedotto in appello la mancata destinazione del bene non avrebbe avuto alcuna concreta incidenza sulle determinazioni dell’Agenzia tenuto conto, da un lato, della natura vincolata del potere, e dall’altro, dall’irrilevanza della preventiva destinazione del bene per le ragioni in precedenza esposte.

9. - Con il quarto motivo l’appellante ha censurato il capo di sentenza che ha respinto la quarta doglianza del ricorso di primo grado, con la quale era stato censurato il provvedimento dell’Agenzia per aver ritenuto – con clausola di mero stile – di dover conseguire in tempi brevi e non dilazionabili la disponibilità del bene al fine di provvedere alla sua destinazione secondo le modalità e le finalità di cui all’art.

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