Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2022-11-07, n. 202209715

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2022-11-07, n. 202209715
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202209715
Data del deposito : 7 novembre 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 07/11/2022

N. 09715/2022REG.PROV.COLL.

N. 01719/2021 REG.RIC.

N. 01740/2021 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1719 del 2021, proposto da
N F, rappresentato e difeso dall'avvocato F C, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato M B in Roma, via Cicerone, n. 49;

contro

Comune di Matera, non costituito in giudizio;

nei confronti

V I, non costituita in giudizio;



sul ricorso numero di registro generale 1740 del 2021, proposto da
V I, rappresentata e difesa dall’avvocato Francesco Calculli, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Paolo Botzios in Roma, via Cicerone, n. 49;

contro

Comune di Matera, non costituito in giudizio;

nei confronti

N F, non costituito in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Basilicata (sezione Prima) n. 456/2020.


Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 20 ottobre 2022 il Cons. Giordano Lamberti e udita l’avvocato M B, in sostituzione dell'avv. F C Monica e dell'avv. Francesco Calculli;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1 - Con due distinti ricorsi, depositati entrambi in data 7/11/2019, N F e V I, coniugi comproprietari di un immobile in costruzione sito in Matera, via degli Ausoni (località Serra Rifusa), hanno impugnato l’ordinanza n. 276 del 27/8/2019, con cui il Comune di Matera ha ingiunto la sospensione dei lavori assentiti con segnalazione certificata di inizio attività del 17/3/2019 e la demolizione delle opere abusivamente realizzate.

2 – La vicenda che ha portato all’emanazione del predetto provvedimento può essere riassunta come segue:

- in data 17/3/2017, la Iacovone, comproprietaria delegata dal coniuge, ha presentato presso lo sportello unico dell’edilizia (S.U.D.E.) del Comune di Matera una segnalazione certificata di inizio attività (S.C.I.A.) relativa ad un progetto di demolizione (di un fabbricato preesistente, legittimato da condono edilizio) e ricostruzione, con delocalizzazione dei volumi e delle superfici in area antistante ai sensi della L.R. n. 25/2012;

- in data 6/6/2019, i tecnici comunali hanno svolto un sopralluogo all’esito del quale hanno accertato, come si evince dalla relazione prodotta in data 11/6/2019, consistenti violazioni della normativa edilizia. Segnatamente: “ risulta realizzato un nuovo fabbricato costituito da strutture in c.a., solai in latero cemento in parte allo stato rustico ed in parte tompagnato, delle stesse dimensioni in pianta di quello autorizzato, mentre risultano realizzati in difformità due avancorpi costituiti da pilastri e coronamento di chiusura superiori in c.a.;
inoltre risultano predisposti sottotetti dichiarati in progetto inaccessibili con altezza interna che appare maggiore delle altezze autorizzate a mt. 1,80 (non è stato possibile accedere al solaio sottotetto in quanto la scala di accesso non era stata ancora realizzata e non vi erano in loco attrezzature per potervi accedere)”
;

- si accertava inoltre che “ il fabbricato oggetto della demolizione per far posto al nuovo fabbricato era ancora esistente ed intatto, come dimostrano le foto allegate, e non era stato interessato dal cambiamento di destinazione di cui alla DIA del 27.01.2001 prot. n. 6046, si accertava inoltre che non avendo comunicato nella piattaforma informatica (Sude) la data di inizio ai lavori, gli stessi devono intendersi in totale assenza di titolo abilitativo, non risultando oltremodo l'avvenuto assentito deposito dei calcoli strutturali, ai sensi delle vigenti leggi ”;

- inoltre: “ il fabbricato risulta localizzato nel Vigente Strumento Urbanistico (PRG 99), nella quasi totalità in Zona di Parcheggio Pubblico e nell'adottato Regolamento Urbanistico in Verde di livello locale ”.

2.1 - Tenuto conto di tali risultanze istruttorie, il Comune di Matera ha adottato il provvedimento impugnato con cui, oltre a sospendere i lavori in corso, è stata ingiunta la demolizione del manufatto illegittimamente edificato.

3 – Previa riunione dei ricorsi, il TAR per la Basilicata li ha respinti con la sentenza indicata in epigrafe.

Con separati ricorsi (n. 1719/21 proposto da N F e n. 1740/21 proposto da V I) gli originari ricorrenti hanno impugnato tale pronuncia per i motivi di seguito esaminati.

4 – Trattandosi dell’impugnazione della medesima sentenza, i due appelli vanno riuniti ai sensi dell’art. 96 c.p.a.

5 – Con il primo motivo di appello si contesta il rigetto da parte del Giudice di primo grado della richiesta di declaratoria di improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse, formulata da entrambi i ricorrenti, in ragione della presentazione dell’istanza di sanatoria (istanza su cui è intervenuto diniego tacito, impugnato con separato gravame;
quindi un diniego espresso, anch’esso impugnato con motivi aggiunti).

5.1 – La censura è infondata, dovendosi integralmente confermare la statuizione del TAR secondo cui la proposizione dell’istanza diretta ad ottenere il rilascio del permesso di costruire in sanatoria non comporta l’improcedibilità del ricorso, ma solo un temporaneo arresto dell’efficacia che, in caso di rigetto della sanatoria (in specie intervenuto), potrà riacquistare la sua piena efficacia.

Al riguardo, i tentativi dell’appellante di giustificare un diverso esito, valorizzando la circostanza che il rigetto di sanatoria è stato impugnato dal privato, non sono convincenti e si scontrano con l’orientamento della giurisprudenza più recente, alla quale il Collegio aderisce, secondo cui la presentazione di una istanza di sanatoria ex art. 36 D.P.R. 380/2001 non rende inefficace il provvedimento sanzionatorio pregresso;
non vi è dunque una automatica necessità per l’amministrazione di adottare, se del caso, un nuovo provvedimento di demolizione. La domanda di accertamento di conformità determina un arresto dell’efficacia dell’ordine di demolizione, ma tale inefficacia opera in termini di mera sospensione. In caso di rigetto dell’istanza di sanatoria, l’ordine di demolizione riacquista la sua efficacia ( cfr. Cons. St. 2681/2017).

Per i principi di legalità e di tipicità del provvedimento amministrativo e dei suoi effetti, soltanto nei casi previsti dalla legge una successiva iniziativa procedimentale del destinatario può essere idonea a determinare ipso iure la cessazione dell’efficacia del provvedimento.

In materia edilizia, la legge n. 47 del 1985 (per come richiamata dalle successive leggi sul condono del 1994 e del 2003) ha previsto che la presentazione della domanda di condono – nei casi ivi previsti ed in presenza dei relativi presupposti – determina la cessazione degli effetti dei precedenti atti sanzionatori.

Fuori da tale ipotesi tipica, quando è proposta una domanda di accertamento di conformità, ai sensi dell’art. 36 del testo unico n. 380 del 2001, si verifica invece una sospensione dell’efficacia dell’ordine di demolizione (nel senso che questo non può essere portato ad esecuzione, finché non vi sia stata la definizione della domanda, con atto espresso o mediante il silenzio-rigetto), sicché nel caso di rigetto dell’istanza di accertamento di conformità l’ordine di demolizione riacquista la sua efficacia.

6 – Con il secondo motivo, il Fiorentino contesta il rigetto del primo motivo di ricorso con il quale contestava il ricevimento dell’ingiunzione alla demolizione, in quanto proprietario non responsabile dell’abuso, lamentando che l’amministrazione comunale ha notificato (ma non ordinato) anche all’appellante l’ordinanza di demolizione e la riduzione in pristino di tutte le opere ritenute abusive senza nemmeno premurarsi di comprendere se loro realizzazione fosse o meno ad esso imputabile.

6.1 – La censura è infondata scontrandosi con la lettera dell’art. 31 del T.U. Edilizia.

Ai fini della legittimazione passiva del soggetto destinatario dell’ordine di demolizione, l’art 31 del d.P.R. n. 380/2001, nell’individuare i soggetti colpiti dalle misure repressive nel proprietario e nel responsabile dell’abuso, considera esplicitamente quale soggetto passivo della demolizione il soggetto che ha il potere di rimuovere concretamente l’abuso, potere che compete indubbiamente al proprietario, anche se non responsabile in via diretta.

Invero, il presupposto per l’adozione di un’ordinanza di ripristino non coincide con l’accertamento di responsabilità storiche nella commissione dell’illecito, ma è correlato all’esistenza di una situazione dei luoghi contrastante con quella codificata nella normativa urbanistico–edilizia, e all’individuazione di un soggetto che abbia la titolarità a eseguire l’ordine ripristinatorio, tra cui il proprietario in virtù del suo diritto dominicale;
sicché in modo legittimo la misura ripristinatoria è posta a carico, non solo dell’autore dell’illecito, ma anche del proprietario del bene e dei suoi aventi causa.

7 – Con un diverso ordine di censure, gli appellanti lamentano l’impropria ed ingiusta applicazione dell’assorbimento da parte del TAR.

Nello specifico, sulla rilevata mancata demolizione del fabbricato preesistente, deducono che:

- l’ordinanza del Comune lamenta (in corso d’opera e con titolo vigente) la contestuale esistenza dei due fabbricati e, quindi, assume che, non avendo comunicato l’inizio dei lavori per la costruzione del nuovo fabbricato e non avendo demolito il preesistente, il nuovo fabbricato risulta completamente abusivo. Gli appellanti lamentano che “ l’ordinanza si rivolge erroneamente al nuovo fabbricato, in luogo di dettare prescrizioni propulsive nei confronti del preesistente fabbricato ”;

- l’ordinanza comunale va annullata, “ stante il carattere anche espresso (ed abnorme ed infondato) della natura congiuntiva delle condizioni (non avendo altresì comunicato l'inizio dei lavori per la costruzione del nuovo fabbricato e non avendo demolito il preesistente....”) che la gravata sentenza erroneamente non ha apprezzato, assumendo non doversi interessare della dichiarazione di inizio dei lavori. Al contrario non è irrilevante, nel giudizio il tema che il Comune ha espresso della invalidante occorrente e congiuntiva dichiarazione di inizio lavori ”;

- la SCIA comporta l’inizio dell’attività, sicché difformi pretese sarebbero lesive del principio di non aggravamento di cui all’art. 1 l. 241/90 e del principio di equivalenza;

- sono stati depositati i calcoli ai sensi dell’art. 2 della L.R. 38/97 e artt. 93 e 94 del T.U. presso il Dipartimento Infrastrutture e mobilità della Regione Basilicata;
ne deriva che, secondo l’appellante, vi è un titolo di assenso valido e vigente, che autorizza la demolizione dell’immobile precedente salvaguardando quanto edificato.

7.1 – Sotto altro profilo, gli appellanti lamentano l’omesso apprezzamento di plurime ragioni asseritamente costituenti forza maggiore, quali: il grave sinistro stradale occorso il 5.5.2017 e l’intervenuta separazione dei coniugi omologata in data 8.2.2019.

Secondo parte appellante, la mancata anteriore demolizione del fabbricato preesistente regolarmente condonato è dipesa da forza maggiore, tenuto conto che negli ultimi due anni si sono verificati fatti di tale importanza e gravità da non consentire agli appellanti alcuna gestione dei propri rapporti economici e patrimoniali.

7.2 – Gli appellanti deducono inoltre: - l’assenza di ogni esercizio di poteri inibitori nel termine di legge sulla S.C.I.A.;
- il decorso di 18 mesi dalla S.C.I.A. e la persistenza e resistenza dell’atto di assenso;
- l’assenza di garanzie di avvio e partecipazione che devono accompagnare gli atti di ritiro.

7.3 - Sull’aspetto relativo alla presenza di elementi strutturali non previsti, gli appellanti lamentano che alcun riscontro riceve in sentenza il rilievo dell’assenza di alcuna chiusura o copertura. Per altro verso, insistono nel sostenere che gli oggetti descritti hanno carattere di mera accessorietà, pertinenzialità, precarietà e non funzioni insediative e, pertanto, non necessitano di titolo edilizio.

7.4 – Quanto alla rilevata localizzazione del nuovo fabbricato su un’area di sedime diversa da quella autorizzata ed adibita a parcheggio pubblico dal PRG, gli appellanti prospettano che la legge regionale sul Piano Casa legittima interventi “in deroga agli strumenti urbanistici comunali vigenti e all'art. 44 della legge regionale 11 agosto 1999, n. 23 e s.m.i.”.

Da un altro punto di vista, rilevano che la cd. Zona di Parcheggio Pubblico sarebbe interclusa e irrealizzabile ed ha visto anche decorrere inutilmente dal PRG 1999 (entrato in vigore in data 8.1.2007) i cinque anni di decadenza dell’eventuale vincolo preordinato ad esproprio.

8 – L’appello è infondato.

Non è in contestazione l’obiettiva circostanza della mancata demolizione del fabbricato preesistente, oggetto del complessivo progetto demo-ricostruttivo, con delocalizzazione dei volumi e delle superfici, assentito con S.C.I.A. del 17/3/2017.

Deve inoltre precisarsi che il Comune con il provvedimento impugnato non contraddice la predetta S.C.I.A. - che abilita l’intervento di demolizione e ricostruzione - contestando invece la difformità di quanto accertato in fatto, con quanto dichiarato nel predetto titolo.

Sotto il profilo normativo deve evidenziarsi che gli interventi di demolizione e ricostruzione con traslazione dell’area di sedime presuppongono, sotto il profilo tecnico, oltre che sotto il profilo logico, la previa demolizione dell’immobile preesistente, come chiaramente evincibile dalla relativa disciplina regionale (art. 3 della L.R. n. 25/2009).

Quest’ultima sancisce chiaramente che “ Negli interventi di demolizione e ricostruzione (…) l'inizio dei lavori di ricostruzione è subordinato alla dimostrazione dell'avvenuta demolizione dell'edificio esistente ” (art. 3, co. 5) e che “ Ove si proceda alla delocalizzazione delle volumetrie di cui al comma precedente, le aree di sedime e di pertinenza dell'edificio demolito devono rimanere libere da edificazione ” (art. 3, co. 5- quinquies ).

Ne deriva che la demolizione del preesistente, oltre che condizione per l’edificazione del nuovo, deve anche essere materialmente eseguita, onde rendere disponibile la volumetria da riedificare.

8.1 - Tanto precisato, deve essere integralmente confermato l’assunto del Giudice di primo grado, secondo il quale dall’omessa demolizione dell’edificio preesistente discende il carattere abusivo dell’edificio ricostruito, poiché la relativa volumetria viene sviluppata in carenza di un’essenziale condizione di carattere legittimante.

8.2 - Tale conclusione, neppure specificatamente contestata dagli appellanti, con quanto ne consegue in termini processuali di procedibilità delle ulteriori censure dagli stessi dedotte, priva, anche sul piano sostanziale, di ogni significato e rilevanza i motivi di appello così come i motivi di cui al ricorso di primo grado riproposti in questa sede.

Infatti, alla luce della situazione fattuale emersa dagli accertamenti in loco e del dato per cui, per gli interventi in questione, è imprescindibile la demolizione del preesistente, prima di edificare il nuovo, sono del tutto irrilevanti i rilievi con i quali l’appellante valorizza la sussistenza di una S.C.I.A. che varrebbe anche quale comunicazione di inizio lavori, nonché il fatto che questa non sia stata oggetto di alcun intervento in autotutela.

Invero, l’abuso consiste nella difformità rispetto al progetto di cui alla S.C.I.A., che vale ad autorizzare la nuova edificazione solo previa demolizione del “vecchio” fabbricato: circostanza che pacificamente non si è verificata.

8.3 - L’accertamento alla base del provvedimento impugnato dà inoltre conto della presenza di ulteriori difformità rispetto al titolo: “ risultano realizzati in difformità due avancorpi costituiti da pilastri e coronamento di chiusura superiori in c.a.;
inoltre risultano predisposti sottotetti dichiarati in progetto inaccessibili con altezza interna che appare maggiore delle altezze autorizzate a mt.1,80”
.

La sussistenza di tali difformità non è oggetto di una specifica censura, dovendosi per altro ricordare che i verbali redatti da un pubblico ufficiale hanno efficacia probatoria qualificata, cioè sino a querela di falso ex art. 2700 c.c., delle attività ivi riportate ( ex multis Cons. St., sez. VI, 11 dicembre 2013, n. 5943).

Da un altro punto di vista, la sentenza impugnata merita integrale conferma anche dove ha escluso che i predetti elementi di difformità rispetto al progetto possano considerarsi pertinenze o vani tecnici per i quali non è necessario un titolo edilizio come prospettato dai ricorrenti.

Inoltre, al riguardo, gli appellanti – sui quali grava il relativo onere della prova ( cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 29/1/2015, n. 406) – non hanno neppure descritto compiutamente le caratteristiche di tali manufatti e la loro funzione, rendendo impossibile effettuarne una precisa classificazione.

8.4 - Sono parimenti destituiti di ogni fondamento gli ulteriori rilievi facenti leva sugli impedimenti personali degli appellanti, i quali non sono idonei ad incidere sulla sussistenza dell’abuso, per il quale rileva solo l’oggettiva difformità dello stato di fatto rispetto all’assentito.

9 - In definitiva, i descritti abusi integrano violazioni essenziali della normativa urbanistico-edilizia. Tali inosservanze giustificano, anche autonomamente intese, la sanzione demolitoria prevista dall’art. 31 del D.P.R. n. 380/2001, rendendo ininfluente l’esame delle ulteriori difformità e dei relativi rilievi di parte appellante, dal momento che, ai fini della legittimità di un atto amministrativo fondato su di una pluralità di ragioni, fra loro autonome, è sufficiente che anche una sola fra esse sia riconosciuta idonea a sorreggere l’atto medesimo, mentre le doglianze formulate avverso gli altri motivi devono ritenersi carenti di un sottostante interesse a ricorrere, giacché in nessun caso le stesse potrebbero portare all'invalidazione dell'atto ( ex multis Cons. St. sez. IV, 7 aprile 2015, n. 1769).

Per scrupolo deve osservarsi che l’istanza di sanatoria relativa alle difformità oggetto del presente giudizio è stata respinta dal Comune e la relativa impugnazione giurisdizionale non è stata accolta dal TAR per la Basilicata.

9.1 - In ogni caso, quanto al supposto vizio di motivazione dell’atto impugnato, deve ricordarsi che, in relazione alla motivazione, la giurisprudenza di questo Consiglio è costante nell’affermare che l’attività di repressione degli abusi edilizi costituisce attività vincolata. Ne consegue “ che l'ordinanza di demolizione ha natura di atto dovuto e rigorosamente vincolato, dove la repressione dell'abuso corrisponde per definizione all'interesse pubblico al ripristino dello stato dei luoghi illecitamente alterato, con la conseguenza che essa è già dotata di un'adeguata e sufficiente motivazione, consistente nella descrizione delle opere abusive e nella constatazione della loro abusività ” (Cons. Stato, sez. VI, 6 febbraio 2019, n. 903).

9.2 - Per la stessa ragione, considerato che l’esercizio del potere repressivo degli abusi edilizi costituisce, notoriamente, manifestazione di attività amministrativa doverosa, non può rilevare la dedotta sproporzione della sanzione irrogata.

9.3 - Infine, non risultano rilevanti le supposte violazioni procedimentali che avrebbero precluso un effettiva partecipazione degli interessati al procedimento, dovendosi ribadire anche a questo proposito che l’esercizio del potere repressivo degli abusi edilizi costituisce attività vincolata della P. A., con la conseguenza che, ai fini dell’adozione delle ordinanze di demolizione, non è necessario l’invio della comunicazione di avvio del procedimento, non potendosi in ogni caso pervenire all’annullamento dell’atto alla stregua del già citato art. 21- octies , legge 241/1990 ( cfr . Cons. St., sez. IV, n. 734 del 2014).

10 – Per le ragioni esposte, gli appelli vanno respinti.

Non è necessario provvedere sulle spese di lite, stante la mancata costituzione in giudizio del Comune appellato.

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