Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2022-03-16, n. 202201858

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2022-03-16, n. 202201858
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202201858
Data del deposito : 16 marzo 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 16/03/2022

N. 01858/2022REG.PROV.COLL.

N. 02287/2017 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2287 del 2017, proposto dai signori -OMISSIS-, rappresentati e difesi dall’avvocato M R, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato M R in Roma, via Ennio Quirino Visconti, n. 8,

contro

il Ministero della giustizia, in persona del Ministro pro tempore , e la Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento della Funzione Pubblica, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentati e difesi dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria ex lege presso la sua sede in Roma, via dei Portoghesi, n. 12,

per la riforma

della sentenza del T.a.r. per la Campania, sede di Napoli - Sezione VII, n. -OMISSIS-2016, resa inter partes , concernente l’accertamento di crediti da lavoro subordinato ex art. 9 commi 1 e 2 d.P.R. 395/1995 (cd. Servizi Esterni) maturati e non corrisposti dal 1° novembre 1995 e al 31 dicembre 2007, oltre interessi e rivalutazione ISTAT.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero della giustizia e della Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della Funzione Pubblica;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 25 gennaio 2022 il consigliere Giovanni Sabbato, nessuno presente per le parti;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Con ricorso n.5384/2011, proposto innanzi al T.a.r. per la Campania, sede di Napoli, -OMISSIS-, tutti dipendenti del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria del Ministero della Giustizia ed in servizio presso il Penitenziario di Napoli -OMISSIS-, hanno chiesto l’accertamento del diritto all’indennità di lavoro di cui all’art. 9, commi 1 e 2, del d.P.R. n. 395/1995, prevista per il personale impiegato nei servizi esterni, asseritamente maturata e non corrisposta nel periodo dal 1° novembre 1995 al 31 dicembre 2007, oltre interessi e rivalutazione ISTAT, con la conseguente condanna dell’Amministrazione, previa ricostruzione della carriera, al pagamento di quanto a tale titolo dovuto oltre al risarcimento del danno ex art. 2043 c.c. per l’asserito ritardo.

2. A sostegno del ricorso, invocando l’applicazione retroattiva delle circolari del 13 dicembre 2007 e del 13 settembre 1999, hanno affermato la sussistenza del diritto invocato, in quanto da ricondurre all’espletamento dei servizi “ presso postazioni all’interno del muro di cinta degli istituti di pena e/o al di là della portineria d’ingresso nonché in quegli ambienti che, pur non essendo istituzionalmente destinati alla detenzione, possono occasionalmente o provvisoriamente ospitare uno o più detenuti, con consequenziale trattamento deteriore rispetto al trattamento riservato a coloro le cui posizioni d’impiego sono state esplicitate nella circolare del 13.9.1999 ” (cfr. ricorso di primo grado).

3. Costituitasi l’Amministrazione in resistenza, il Tribunale amministrativo adìto (Sezione VII) ha dichiarato inammissibile il ricorso ed ha compensato le spese di lite.

4. In particolare, il T.a.r. ha rilevato “ l’estrema genericità del petitum e della causa petendi ” evidenziando peraltro che il fatto che l’Amministrazione non sia in possesso della documentazione concernente il servizio svolto “ non esclude la persistenza dell’onere di allegazione dei fatti costitutivi a carico di chi agisce ” e non sarebbe “ stata depositata neanche documentazione da cui risulti che l’amministrazione ha negato ai ricorrenti il beneficio retributivo richiesto ”.

5. Avverso tale pronuncia i medesimi ricorrenti come sopra elencati hanno interposto appello, notificato il 22 marzo 2017 e depositato il 30 marzo 2017, lamentando, attraverso un unico complesso motivo di gravame, quanto di seguito sintetizzato:

- avrebbe errato il T.a.r. non avendo considerato che tutti i ricorrenti hanno precisato, senza contestazioni di sorta, di essere dipendenti del Ministero della giustizia, quali appartenenti al Corpo della Polizia Penitenziaria, precisamente in servizio presso il Centro Penitenziario di Napoli -OMISSIS-;
hanno, altresì, chiarito nella procura alle liti sia le loro rispettive tipologie di servizio, che posizione sostanziale e sede di servizio;
non andava poi documentato il diniego essendo esso intervenuto per facta concludentia ossia semplicemente non elargendo l’importo dovuto previsto dalla legge ”;
il T.a.r. sarebbe incorso nella violazione dell’art. 64 c.p.a. e nella disparità di trattamento non essendosi curato di precedenti di segno contrario su questioni identiche del medesimo Tribunale.

6. Gli appellanti hanno concluso chiedendo, in riforma dell’impugnata sentenza, l’accoglimento del ricorso di primo grado e quindi l’annullamento degli atti con lo stesso impugnati.

7. In data 5 maggio 2017, il Ministero della giustizia e la Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della Funzione Pubblica si sono costituiti in giudizio.

8. In vista della trattazione nel merito del ricorso le parti non hanno svolto difese scritte.

9. La causa, chiamata per la discussione alla udienza pubblica del 25 gennaio 2022, è stata ivi trattenuta in decisione.

10. L’appello è infondato.

10.1 Come illustrato in sede di esposizione dei profili di fatto della vicenda di causa, la pronuncia odiernamente impugnata contiene un’unica statuizione in rito, preclusiva della disamina del merito del ricorso di primo grado avendo il T.a.r. ritenuto questo affetto da causa di inammissibilità per mancata adeguata specificazione dei motivi di gravame. A parere del Tribunale, infatti, le deduzioni sollevate dai ricorrenti sarebbero eccessivamente generiche non essendo specificate le modalità e le caratteristiche del servizio rispettivamente svolto da ciascuno di essi. A fronte di tali considerazioni l’appellante deduce che, in realtà, il ricorso di primo grado presenterebbe un’adeguata specificazione dei predetti elementi fattuali essendo in esso evidenziato che tutti i ricorrenti sono agenti di Polizia Penitenziaria presso il carcere di Napoli -OMISSIS- con l’indicazione delle rispettive qualifiche in seno alla procura alle liti rilasciata in favore del proprio difensore. Ebbene, ritiene il Collegio che entrambi i profili della deduzione sollevata da parte appellante non possono indurre a conclusioni di segno diverso da quello che connota l’impugnata sentenza nel senso, come detto, della inammissibilità del ricorso.

10.2 A tali conclusioni deve pervenirsi, per quanto riguarda il primo versante della critica, alla luce delle stesse caratteristiche del diritto azionato che non può prescindere dalla esatta configurazione delle caratteristiche del servizio svolto non fondandosi unicamente sulla qualità di agente di Polizia Penitenziaria in servizio presso un istituto carcerario. A tal riguardo si profila l’opportunità di ripercorrere taluni passaggi di una recente pronuncia di questo Consiglio che si è soffermato giustappunto sul beneficio economico della indennità per i cosiddetti servizi esterni evidenziando quanto segue: “ l’indennità in questione, lo si ricorda per chiarezza, è l'indennità per servizi esterni prevista dall'art. 12 del D.P.R. n. 147 del 1990, per cui l'originario supplemento giornaliero all'indennità di istituto "è triplicato per il personale impiegato nei servizi esterni, ivi compresi quelli di vigilanza esterna agli istituti di pena, organizzati in turni sulla base di ordini formali di servizio". […] Costante giurisprudenza di questo Consiglio interpreta le norme citate nel senso che lo scopo dell'indennità è in linea di principio favorire il personale che operi in situazioni di particolare disagio, esposto agli agenti atmosferici o impegnato in un luogo di lavoro di "particolare diversità" rispetto all'ufficio, però con un limite, nel senso che non è sufficiente per darvi diritto il mero fatto di svolgere il servizio fuori dai locali dell’ufficio stesso: così per tutte C.d.S. sez. IV 1 ottobre 2018 n.5630 e 10 novembre 2003 n.7204. In tal senso, il caso deciso da C.d.S. sez. IV 1 ottobre 2018 n.5632, invocata dai ricorrenti appellati come precedente a proprio favore, non è invece pertinente: in quell’occasione, il servizio venne qualificato esterno in quanto gli interessati si spostavano dalla sede in modo definito “significativo”, dato che per far ciò si servivano di automezzi: è implicito, ma inequivocabile, che viceversa uno spostamento "non significativo" non avrebbe dato diritto all'indennità in questione. 12.3 Il criterio per distinguere i casi in cui l'indennità spetta da quelli in cui non spetta è invece individuato in positivo dalla recente sentenza della Sezione 22 febbraio 2017 n.830, per cui si deve appunto trattare di servizio svolto “all’esterno dei comandi”, ovvero con uno spostamento significativo, che però assuma comunque “carattere esterno rispetto alla sede del proprio comando” ovvero si esplichi in un luogo in cui “il Comandante o chi dispone il servizio non possono esercitare la propria autorità”. In tal senso, sempre secondo la sentenza in esame, è anche la lettera della norma, secondo la quale il servizio rilevante si esplica appunto all'esterno dei comandi "o presso enti e strutture di terzi": la sentenza osserva che estendere l'indennità a quest'ultima ipotesi significa ribadire “il requisito del necessario carattere esterno dell'attività svolta rispetto al comando di appartenenza (cfr. Cons. Stato Sez. IV, 25 maggio 2020, n. 3273). Occorre poi rammentare la testuale formulazione della norma di riferimento che, per quanto riguarda la Polizia Penitenziaria, è l’art. 9 d.P.R. n. 395 del 1995, il cui secondo comma, prevede che l’indennità per i cd. servizi esterni “ compete anche al personale del Corpo di polizia penitenziaria impiegato in servizi organizzati in turni, sulla base di ordini formali di servizio, presso le sezioni o i reparti e, comunque, in altri ambienti in cui siano presenti detenuti o internati ”. Con la circolare n. 0388688-2007 dell’Amministrazione penitenziaria si è quindi stabilito che l’indennità in oggetto deve essere attribuita agli appartenenti al Corpo di polizia penitenziaria che prestino servizi in “ ambienti che, pur non istituzionalmente destinati alla detenzione, possono occasionalmente o provvisoriamente ospitare uno o più detenuti/e: tali possono essere considerati i mezzi di trasporto, le aule giudiziarie, gli ospedali, gli ambienti lavorativi dei detenuti, per effetto dell’applicazione del regime della semilibertà o del lavoro all’esterno ai sensi dell’art. 21 O.P. ”, sempreché le predette condizioni ricorrano per una durata non inferiore a tre ore (art. 9, d.P.R. 164/02). Questo Consiglio (Adunanza della Sezione Terza, parere del 23 giugno 2009) ha altresì rilevato, in ordine alla richiamata circolare, che l’attribuzione dell’indennità in questione spetta (anche) al personale che, ricorrendone gli altri presupposti (es. presenza di detenuti), presta servizi in uffici posti all’esterno delle aree strettamente destinate alla detenzione. In particolare, con tale parere si è osservato quanto segue: “ Né è specificato cosa si intenda per presenza dei detenuti. Anche in tale ambito, la Circolare ha fornito, e non poteva essere altrimenti considerata la genericità della norma, un’interpretazione estensiva chiarendo che tutte le postazioni di servizio, istituite all’interno del muro di cinta, sono di per sé sufficienti per assicurare il rispetto del requisito connesso alla presenza dei detenuti nell’ambiente ove viene svolta l’attività lavorativa, aggiungendo che anche ambienti dislocati all’esterno del muro di cinta possono comunque ospitare uno o più detenuti provvisoriamente ”. In base poi alla circolare GDAP – 0034052-2015 si ripercorre la distinzione tra servizi svolti all’interno ed all’esterno del muro di cinta e riconosce, in tale secondo ordine di ipotesi, la possibile sussistenza dei presupposti applicativi dell’indennità in tre ipotesi specifiche così elencate: “ a) vigilanza armata all'esterno degli uffici o presso enti e strutture di terzi;
b) attività di tutela, scorta, traduzione, vigilanza, lotta alla criminalità;
e) tutela della normativa in materia di poste e comunicazioni
”. Al di là di siffatte ipotesi altresì prevede che “ la spettanza dell'indennità debba essere determinata in ambito locale dal dirigente responsabile della struttura: solo tale Organo, infarti, può appurare in concreto le situazioni logistiche, organizzative ed operative che sono previste dai modelli di organizzazione del lavoro, in aderenza al dettato normativo ”.

Da tanto, quindi, si evince che l’indennità in questione non può prescindere dalla ricostruzione, caso per caso, delle caratteristiche del servizio espletato in relazione al luogo e alle modalità di svolgimento, caratteristiche che non trovano alcuna specificazione del ricorso di primo grado e alle quali di certo non si può risalire sulla base semplicemente dell’appartenenza ai ranghi del personale in servizio presso il citato istituto penitenziario. Va quindi confermato in questa sede il passaggio motivazionale recato dall’impugnata sentenza che richiama un consolidato orientamento di questo Consiglio circa la necessità di dar seguito, in relazione a vicende analoghe, all’onere della prova. In particolare, con l’ultima delle sentenze richiamate dal T.a.r. si è stabilito che “ deve ritenersi inammissibile il ricorso collettivo che nulla dice in ordine alle condizioni di legittimazione e di interesse di ciascuno dei ricorrenti, in quanto ciò impedisce al giudice di controllare il concreto e personale interesse di ciascuno di loro, l’omogeneità delle loro posizioni e la concreta fondatezza della domanda. Del resto l’attenuazione, nel processo amministrativo, del principio dispositivo non può tradursi in uno svuotamento dell’onere probatorio (specie laddove, come nella fattispecie, si faccia valere un diritto soggettivo nell’ambito di un rapporto paritetico) e del connesso e pregiudiziale dovere di allegare, con specificità e precisione, i fatti costitutivi della domanda ” (cfr. Cons. Stato, sez. III, 8 luglio 2015, n. 3426).

10.3 Ma nemmeno il secondo profilo della deduzione sollevata è in grado di adeguatamente suffragare la critica sollevata dall’appellante in ragione del fatto che gli elementi di fatto e di diritto che connotano un’azione giurisdizionale, a prescindere dalla posizione giuridica ad essa sottesa, non possono che essere ricavati dal ricorso proposto - secondo le parti, in fatto e in diritto, che lo compongono - invece che da un atto, quale la procura alle liti, che assume l’unica valenza di fondare lo jus postulandi del difensore al quale è stato conferito il relativo mandato. La sua disamina ad opera del giudice non può che avere tale finalità senza che il suo contenuto possa integrare il libello contenente le deduzioni con finalità caducatorie ovvero accertative.

10.4 L’eventuale rimozione della statuizione in rito avente, come detto effetto preclusivo del merito non condurrebbe, in ogni caso, all’accoglimento del ricorso nel merito, non emergendo in alcun modo quegli elementi fattuali che possono denotare la sussistenza del beneficio invocato. In particolare, non ha motivo di configurarsi in radice la disparità di trattamento lamentata dall’appellante, in considerazione di pronunce del medesimo T.a.r. di segno contrario (tra le quali quella della Sezione prima quater sentenza 310/2013) rispetto alla sentenza impugnata su vicende analoghe in ragione del fatto che, alla luce delle stesse caratteristiche del beneficio invocato, la verifica circa i suoi presupposti non può prescindere dalla ricognizione degli elementi fattuali che connotano ciascuna vicenda materiale. L’appellante sostiene, in sostanza, che sarebbe idoneo ad integrare il fondamento del diritto soggettivo azionato, valorizzando le previsioni delle citate circolari, la semplice circostanza dell’espletamento dei compiti di servizio all’interno del muro di cinta ovvero della portineria d’ingresso nonché in considerazione “ della natura interna di tutti gli altri ambienti che, pur non essendo istituzionalmente destinati alla detenzione, possono occasionalmente o provvisoriamente ospitare detenuti;
e della certezza con cui tale muro delimita l’area all’interno della quale istituzionalmente risiede la popolazione detenuta
”. E’ di tutta evidenza che la causa petendi che connota la domanda di parte abbraccia, in maniera indistinta, un coacervo di ipotesi che invece andavano differenziate e specificamente ricondotte alla condizione materiale d’impiego di ciascuno dei ricorrenti. La domanda di accertamento dei rispettivi diritti soggettivi al sospirato beneficio economico non può quindi trovare accoglimento per difetto di prova in ordine ai suoi elementi costitutivi. Vale ancora una volta richiamare la su citata pronuncia di questo Consiglio, con la quale, nel confermare l’orientamento già espresso in relazione a domande di analogo tenore, ha osservato che l’indennità in questione “ richiede un quid pluris affinché possa legittimamente essere concessa, i.e. la sussistenza di un particolare pericolo o disagio tale da giustificare un trattamento economico aggiuntivo e differenziato. In caso contrario, si finirebbe per concedere la predetta indennità indiscriminatamente a tutti coloro che, ancorché impiegati presso Amministrazioni diverse, svolgano attività non connotate da alcun particolare pregiudizio fisico o psichico, alimentando, innegabilmente, una disparità di trattamento fra gli stessi operatori (Cons. Stato, sez. III, n. 2293 del 7 maggio 2015) ”.

11. In conclusione, l’appello è infondato e deve essere respinto.

12. Per quanto riguarda le spese del presente grado di giudizio, secondo il principio della soccombenza, vanno poste a carico di parte appellante nella misura stabilita in dispositivo applicando i parametri di cui al regolamento n. 55 del 2014.

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