Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2015-10-23, n. 201504877

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2015-10-23, n. 201504877
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201504877
Data del deposito : 23 ottobre 2015
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 02977/2013 REG.RIC.

N. 04877/2015REG.PROV.COLL.

N. 02977/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2977 del 2013 proposto da
P E, rappresentata e difesa dall'avv. E T, con domicilio eletto presso lo stesso in Roma, Via Alberico II, 5;

contro

Comune di San Felice Circeo, non costituitosi in giudizio;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. LAZIO -SEZIONE STACCATA DI LATINA, n. 669/2012, resa tra le parti, concernente sospensione lavori e demolizione di opere abusive;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Vista la memoria difensiva dell’appellante;

Viste le ordinanze istruttorie e “cautelari in via interinale” della Sezione nn. 3264 e 4181 del 2014;

Vista l’ordinanza cautelare di accoglimento n. 452 del 2015;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del 6 ottobre 2015 il cons. Marco Buricelli e udito per la parte appellante l’avvocato Travarelli;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Con la sentenza impugnata il Tribunale amministrativo regionale del Lazio –sezione staccata di Latina, decidendo sul ricorso proposto dalla signora Eliana Pomati, nata a Milano il 19 giugno 1946, e residente in Roma, Viale Jonio, 70 (Pomanti, nella intestazione del ricorso in appello), contro il Comune di San Felice Circeo (LT), non costituitosi in giudizio, per l’annullamento delle ordinanze n. 190 del 26 agosto 1999 e n. 265 del 29 dicembre 1999, entrambe dirette alla signora Pomati e notificate alla ricorrente in data 8 gennaio 2000, recanti ordini di sospensione lavori e di demolizione di opere abusivamente realizzate nell’immobile sito in San Felice, località Quarto Freddo, ha respinto il ricorso motivando come segue:

“[…]si impugnano le ordinanze n.190 del 26.8.1999 e n. 265 del 29.12.1999 di ingiunzione alla sospensione e alla demolizione di opere abusivamente realizzate nell'immobile sito in San Felice Circeo, località Quarto Freddo […] Precisa il ricorrente che il manufatto, costituente una pertinenza dell'edificio principale, è oggetto di istanza di sanatoria edilizia ex L. 47/1985, in corso di rilascio. Con distinti accessi in loco, agenti del corpo forestale di Sabaudia hanno accertato, dapprima lavori di rifacimento del manufatto adibito a ricovero, e successivamente i lavori di completamento concretantisi nella ultimazione della pertinenza, nella realizzazione del marciapiede esterno, nella impermeabilizzazione del terreno antistante, nonché nella elevazione di un muro di contenimento…

Deduce il ricorrente violazione dell’art. 38 L. 47/85. La censura è smentita in fatto dalla ricorrente che afferma che solo l'edificio principale è oggetto di istanza di sanatoria. Deduce poi la ricorrente violazione dell’art. 1 L. 10/77 in relazione all’art. 31 L. 457/78;
violazione degli artt. 7 e 20 lett. a) L. 47/85;
violazione L. 662/96 art. 2 comma 60. Anche queste censure vanno disattese in quanto infondate in fatto, trattandosi non di un intervento di manutenzione straordinaria, ma di nuove opere come tali soggette a concessione edilizia. Il ricorso è pertanto infondato e va respinto. Nulla sulle spese
”.

2. L’atto d’appello, tempestivamente e ritualmente proposto, e che contiene “ istanza di sospensione ”, è strutturato in due parti: 1) fatto e svolgimento del giudizio di primo grado e 2) primo motivo e secondo motivo di appello.

Sub 1) la Pomanti afferma:

- di essere proprietaria dell’immobile, composto di un edificio principale, interamente in legno, adibito ad abitazione, e di una piccola costruzione in muratura (manufatto di circa 30 mq. in appoggio all’abitazione principale e di cui costituisce pertinenza, adibita a locale tecnico e a ricovero per attrezzature);

- che il locale tecnico ha formato oggetto, assieme ad altri manufatti presenti entro la medesima area di sedime, di apposita istanza di condono , presentata al Comune in data 1° settembre 1986. La domanda riguarda la sanatoria di una superficie complessiva di circa 116 mq, di cui 78 di superficie utile abitabile;

- di essere stata costretta, nel 1999, a seguito di eventi meteorologici avversi, alla manutenzione e al rifacimento delle opere murarie danneggiate del locale tecnico e a lavori di completamento del locale medesimo;
lavori giudicati abusivi dal Corpo forestale dello Stato e fatti oggetto, da parte del Comune, di due ordinanze di demolizione, la n. 190 del 26 agosto 1999 e la n. 265 del 29 dicembre 1999, impugnate dinanzi al Tribunale amministrativo di Latina con due motivi: 1) violazione dell’art. 38 della l. 28 febbraio 1985, n. 47 per avere, il Comune, ordinato la demolizione di manufatti oggetto di un procedimento di condono edilizio, prima che detto procedimento fosse definito;
e 2) violazione dell’art. 31 della l. 5 agosto 1978, n. 457 ( Norme per l'edilizia residenziale ) per essere stata erroneamente ordinata la demolizione delle opere eseguite, quale sanzione edilizia per nuove opere realizzate in assenza di concessione edilizia, anziché disposta la mera sanzione pecuniaria in relazione a interventi di manutenzione straordinaria assoggettati al regime della DIA o a quello dell’autorizzazione edilizia.

Sub 2) l’appellante critica la sentenza anzitutto per avere respinto il motivo basato sulla violazione dell’art. 38 della l. n. 47 del 1985 per la ragione che, secondo la sentenza, il manufatto oggetto dell’ordine di demolizione non avrebbe formato oggetto d’istanza di sanatoria. Così appare contraddetta, nella parte in diritto, la ricostruzione operata nelle premesse in fatto.

L’errore in cui cade la sentenza si specifica in una palese contraddittorietà tra la ricostruzione dei fatti operata dal giudice di prime cure ed il ragionamento di diritto che quest’ultimo fa discendere dalle suddette premesse. Afferma (il Tribunale amministrativo) che, secondo la prospettazione offerta dalla parte ricorrente, “il manufatto, costituente una pertinenza dell’edificio principale, è oggetto di istanza di sanatoria edilizia ex L. 47/1985, in corso di rilascio". Sconfessando quanto poco prima asserito nella ricostruzione dei fatti, nella motivazione (della decisione) si afferma che la violazione di legge censurata con il primo motivo di ricorso sarebbe “smentita in fatto dalla ricorrente che afferma che solo l’edificio principale è oggetto di istanza di sanatoria” […] la conclusione tratta dal giudice di primo grado si (pone) in piena contraddizione con la premessa […] rappresentata dalla situazione di fatto ricostruita in giudizio. Una volta affermato in premessa che il manufatto interessato dalle ordinanze impugnate "é oggetto di istanza di sanatoria edilizia, non è ammissibile da ciò ricavare il convincimento che “la censura é smentita in fatto dalla ricorrente che afferma che solo l’edificio principale è oggetto di istanza di sanatoria " […] dalla descrizione degli abusi contenuti nell’istanza di condono …e negli ordini di demolizione […] ” si ricava che oggetto di sanatoria è stato in modo precipuo “il corpo di fabbrica posto in aderenza al fabbricato residenziale principale”. “Così opinando i giudici pontini hanno omesso di pronunciarsi su un punto centrale della controversia, ossia sull’avvenuta violazione dell’art. 38 della l. n. 47/1985, contenente il principio generale che impone alla P. A., sino alla definizione del predetto procedimento di condono, di astenersi da ogni iniziativa repressiva […] (Cons. Stato, sez. IV, 22 gennaio 2013, n. 362)… ” .

La sentenza è poi censurata riguardo alla violazione e falsa applicazione dell’art. 31 della l. n. 457 del 1978, per essersi il Tribunale amministrativo convinto che si sarebbe trattato non di un intervento di manutenzione straordinaria ma di nuove opere, come tali soggette a concessione edilizia.

Il Comune, ritualmente intimato, non si è costituito.

Nel corso del procedimento cautelare la Sezione ha, dapprima, con ordinanza n. 3264 del 2014, ordinato al Settore urbanistica del Comune di produrre una documentata nota di chiarimenti sulla vicenda a partire dall’istanza di condono del 1986, con la precisazione che, in caso d’inottemperanza alla richiesta istruttoria, il Collegio avrebbe potuto trarre argomenti di prova.

La richiesta istruttoria, rimasta inseguita, è stata reiterata con ordinanza n. 4181/2014, ferma la sospensione dell’esecuzione delle ordinanze di demolizione impugnate.

Preso atto della persistente inottemperanza dell’Amministrazione, la Sezione, nella camera di consiglio del 27 gennaio 2015, “ visto l’art. 64 del Cod. proc. amm ”, con ordinanza n. 452/2015 ha sospeso l’esecutività della sentenza.

L’appellante ha illustrato la propria posizione con memoria conclusiva e all’udienza del 6 ottobre 2015 il ricorso è stato trattenuto in decisone.

3.L’appello è fondato e va accolto riguardo al primo motivo, con il quale è stata dedotta “ violazione e falsa applicazione dell’art. 38 della l. n. 47 del 1985 ” per avere l’Amministrazione emesso le misure repressive senza aver prima definito il procedimento scaturente dall’avvenuta presentazione della domanda di condono.

Vale rammentare che detto art. 38 ( Effetti della oblazione e della concessione in sanatoria ), al primo comma dispone: «La presentazione entro il termine perentorio della domanda di cui all'art. 31, accompagnata dalla attestazione del versamento della somma di cui al primo comma dell'art. 35, sospende il procedimento penale e quello per le sanzioni amministrative» .

Ne consegue che l’avvenuta, tempestiva presentazione della domanda di condono impone la previa - seppure non differita nel tempo - definizione negativa di quel procedimento perché si proceda nella misura ripristinatoria successivamente disposta .

Con riferimento al caso in esame, si rileva che il Comune appellato non si è costituito e non ha dato risposta alla richiesta istruttoria di cui alle ordinanze collegiali nn. 3264 e 4181 del 2014 fatta per ottenere chiarimenti documentati sulla vicenda sin dall’istanza di condono edilizio (presentata al Comune il 1° settembre 1986 a nome del signor E M, residente in Roma, Viale Jonio, 70), per opere abusive realizzate in Via Torre Paola e dalla superficie complessiva di mq. 116.

Si può perciò qui fare applicazione del principio di non contestazione, di cui all’art. 64, comma 2, Cod. proc. amm., in virtù del quale si possono dare per acquisiti i fatti non contestati.

In particolare la sentenza - come rileva l’appellante - ha contraddittoriamente preso le mosse nella ricostruzione della vicenda dall’assunto che i manufatti indicati dalle ingiunzioni di demolizione avrebbero formato oggetto dell’istanza di sanatoria;
ma poi ha negato, nella parte in diritto, la violazione dell’art. 38 della l. n. 47 del 1985, sul rilievo che soltanto l’edificio principale (a quanto consta, il fabbricato adibito ad abitazione) avrebbe formato oggetto dell’istanza medesima.

Così facendo la sentenza ha però omesso la pronuncia sulla prima delle due censure proposte.

Come osserva l’appellante, diversamente da quanto ritenuto in sentenza allo stato degli atti i manufatti oggetto degli ordini di demolizione appaiono tutti ricadere tra quelli che avevano formato oggetto dell’istanza di sanatoria del 1° settembre 1986 (cfr. sopra, p. 2/1).

Perciò, in assenza della previa definizione negativa della previa domanda di condono, l’ordinanza di demolizione per cui è qui causa risulta illegittima e va annullata.

Resta comunque salvo e integro il dovere dell’Amministrazione comunale di tornare sul caso non appena, sollecitamente, avrà adempiuto al dovere di definizione della domanda di condono edilizio.

Non v’è infatti chi non veda che, grazie a questo differimento, vi è un sospettabile abuso dello strumento della sospensione del procedimento sanzionatorio, con il risultato pratico di non applicare le sanzioni di legge.

A questo proposito questo Consiglio di Stato deve rilevare che, ove oggettivamente risulti che a ben ventinove anni di distanza dalla presentazione l’istanza di condono ancora non è stata definita, vi sarebbe una grave inadempienza degli uffici del Comune medesimo, fonte di responsabilità per ogni effetto che possa rilevare.

L’appello allo stato va comunque accolto e per l’effetto, in riforma della sentenza di primo grado, va accolto il ricorso di primo grado e devono essere annullate le ordinanze di demolizione impugnate dinanzi al giudice di primo grado, salvi e impregiudicati gli ulteriori provvedimenti della pubblica amministrazione .

Nonostante l’esito del giudizio, nella singolarità, specie in punto di fatto, della controversia, il Collegio ravvisa, in base al combinato disposto di cui agli articoli 26, comma 1, Cod. proc. amm e 92, secondo comma, Cod. proc. civ., eccezionali ragioni per l’integrale compensazione delle spese del doppio grado di giudizio tra le parti.

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