Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2018-12-24, n. 201807209

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2018-12-24, n. 201807209
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201807209
Data del deposito : 24 dicembre 2018
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 24/12/2018

N. 07209/2018REG.PROV.COLL.

N. 01492/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1492 del 2013, proposto dall’Inps-Istituto Nazionale della Previdenza Sociale, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso per legge dagli avvocati E L, C C, domiciliata in Roma, Via della Frezza, n. 17;

contro

R F, rappresentato e difeso dall'avvocato S D P, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, Piazza del Popolo, n. 18;
E I, non costituita in giudizio;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. MOLISE - CAMPOBASSO: SEZIONE I, n. 956/2011, resa tra le parti, concernente diniego riconoscimento della dipendenza da causa di servizio di infermità.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di R F;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 novembre 2018 il Cons. I V e uditi per le parti gli avvocati Sebastiano Caruso, per delega di C C, e Alvise Vergerio, per delega di S D P;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Col ricorso in epigrafe l’Istituto nazionale di previdenza sociale (di seguito “INPS”) ha impugnato la sentenza del Tar per il Molise n. 956/2011, pubblicata il 19.12.2011, che – a spese compensate – ha accolto i ricorsi proposti da R F e E I per l’annullamento:

- quanto ad un ricorso:

-- eminentemente la nota 30.11.1993 con la quale il Direttore centrale dell’INPS aveva comunicato che non sarebbe stato dato corso alla procedura d’ufficio per il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio delle infermità sofferte a seguito di incidente automobilistico verificatosi il 12.2.1990;

- quanto all’altro ricorso:

-- la deliberazione del c.d.a. dell’INPS n. 1010 del 15.7.1997 con la quale era stato negato il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio dell’incidente automobilistico del 12.2.1990;

-- ogni atto preordinato, consequenziale o connesso, ivi comprese le note a firma del capo ufficio del luglio 1997, nonché la nota del 27.5.1997, con la quale si comunicava l’esito degli accertamenti svolti dal collegio medico di primo grado, tutti i verbali di visita di tale collegio, nonchè le conclusioni medico-legali ivi contenute.

1.1. La sentenza, riepilogati i fatti di causa (tra i quali quello per cui i ricorrenti, dipendenti INPS, avevano subito l’incidente nel corso di una missione di più giorni presso altra sede lavorativa dell’Istituto, nonché quello relativo al decesso della Iacovelli nel corso del giudizio, che tuttavia non aveva dato luogo alla relativa interruzione, non essendone ricorsi i presupposti) ha, in sostanza, deciso che l’incidente – contrariamente a quanto ritenuto dall’INPS – fosse qualificabile in itinere , ancorchè accaduto in una località non propriamente collocata lungo il percorso più breve tra il luogo nel quale i dipendenti in missione alloggiavano temporaneamente e la sede di servizio presso la quale la missione si doveva svolgere.

La sentenza ha altresì ritenuto il dedotto vizio di incompetenza in relazione all’impugnata delibera del c.d.a. dell’INPS (dato che, nella specie, il provvedimento doveva essere più correttamente adottato dal Comitato esecutivo dell’Istituto), nonché l’apoditticità e la non motivazione del giudizio espresso dal collegio medico-legale e della predetta deliberazione del c.d.a., posto che le lesioni riportate dal F erano in evidente nesso di causalità col predetto incidente automobilistico.

2. L’appello è affidato a censure di insufficienza, erroneità, contraddittorietà della motivazione, violazione e falsa applicazione dell’art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c., violazione e falsa applicazione della l.n. 89/1988 in relazione al regolamento organico del personale entrato in vigore l’1.11.1990 (art. 1, co. 4, dell’allegato 2 al predetto regolamento) a seguito di delibera consiliare n. 62 del 12.10.1990, violazione dei principi in tema di causa di servizio con riguardo al c.d. “ infortunio in itinere ” e alla diversa fattispecie dell’incidente occorso “ in missione ”.

2.1. Ad avviso dell’INPS, in sintesi, il sinistro non può considerarsi in itinere perché:

- i dipendenti in missione erano stati all’uopo autorizzati, ciascuno, all’uso della propria automobile ma, al momento dell’incidente, si trovavano a bordo dell’auto di un terzo dipendente, così violando i termini dell’autorizzazione del datore di lavoro;

- i dipendenti, in servizio presso una sede INPS di Campobasso, erano in missione continuativa di alcuni giorni presso altra sede dell’Istituto a Pescara. Gli stessi avevano preso alloggio in un albergo posto fuori della cinta cittadina, così assumendosi il rischio di un ulteriore tratto di percorso, di per se stesso non indispensabile. L’autorizzazione all’uso del mezzo proprio, invero, copriva “ i soli viaggi di andata e ritorno da Campobasso e Pescara ”;

- l’incidente era accaduto dopo alcuni giorni dall’inizio della missione, onde i dipendenti non potevano reputarsi ignari dell’effettivo tragitto da percorrere ripetutamente;

- il luogo dell’incidente non stava sulla traiettoria diretta, e di tragitto più breve, tra l’albergo e la sede INPS di Pescara ove avrebbero dovuto svolgere la missione di alcuni giorni;

- in particolare, era emerso che i dipendenti si erano trovati nel luogo dell’incidente per avere essi deciso di effettuare una “passeggiata” in una diversa località prima di recarsi alla sede INPS di Pescara ove, quel giorno, avrebbero dovuto svolgere le previste ore di missione di quel giorno;

- era comunque emerso che la responsabilità dell’incidente fosse tutta da addebitare al soggetto terzo investitore (come in effetti riconosciuto dalla compagnia assicuratrice);

- l’insieme di tutte queste circostanze facevano dunque propendere nel senso che, nella specie, non ricorresse un casi di rischio in itinere quanto piuttosto di un “ rischio elettivo ”, consapevolmente assunto dagli originari ricorrenti. Da ciò la decisione dell’INPS di non dare corso alla procedura d’ufficio per il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio delle infermità sofferte in seguito all’incidente;

- non ricorreva neppure il vizio di incompetenza, ritenuto dai primi Giudici, in quanto il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio era stato nella specie medio tempore effettuato solo a causa, in sostanza, di un ordine del Giudice impartito nel corso del giudizio di primo grado.

3. Si è costituito R F – unica parte privata rimasta in causa – che con memoria ha partitamente replicato agli argomenti dell’appello, in particolare osservando che l’incidente si era verificato poco prima dell’inizio del turno lavorativo presso la sede INPS di Pescara di quel giorno, che dopo il sinistro i dipendenti erano stati collocati in aspettativa per causa di servizio e che la sede INPS di Campobasso aveva scritto alla Direzione centrale dell’Istituto concludendo per l’attivazione d’ufficio del procedimento di riconoscimento della dipendenza (delle lesioni patite) da causa di servizio.

3.1. La parte ha quindi riepilogato i propri argomenti con memoria del 17.10.2018.

4. La causa quindi, chiamata alla pubblica udienza di discussione del 22.11.2018, è stata ivi trattenuta in decisione.

5. Punto nodale del caso in questione è quello del corretto inquadramento del c.d. infortunio in itinere .

5.1. All’epoca dei fatti di causa non v’era diritto positivo in tema.

Tuttavia la giurisprudenza già includeva questa tipologia di infortunio in quella, di più ampio ambito, dell’infortunio in “occasione di lavoro”.

Il nesso di prossimità normativa era costituito dall’art. 2 del d.P.R. n. 1124/1965, recante il testo unico delle disposizioni per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali.

Al riguardo la giurisprudenza riteneva non strettamente necessaria la circostanza che gli infortuni si fossero verificati nel tempo e nel luogo di lavoro, occorrendo invece un nesso eziologico tra attività lavorativa e rischio.

In pratica, l’infortunio c.d. in itinere , cioè occorso al lavoratore nel tragitto per recarsi al lavoro, perché potesse essere riconosciuto presupponeva:

a) un nesso causale tra il percorso seguito e l’evento-infortunio, nel senso che tale percorso doveva rappresentare per l’infortunato quello ‘normale’, seguito per recarsi al lavoro e per tornare alla propria abitazione;

b) un nesso almeno occasionale tra l’itinerario seguito e l’attività lavorativa, nel senso che lo stesso non fosse percorso dal lavoratore per ragioni personali o in orari non ricollegabili ai tempi dell’attività lavorativa;

c) la necessità dell’uso del mezzo di trasporto privato, considerati gli orari lavorativi e quelli dei pubblici servizi di trasporto e tenuto conto della possibilità di stazionare in luogo diverso dalla propria abitazione, purché la distanza tra tali luoghi fosse ragionevole.

5.2. Questo assetto logico-ricostruttivo risulta essere poi stato ricondotto a livello di fonte primaria grazie alle novelle subite dal predetto art. 2 del d.P.R. n. 1124/1965 (per effetto, prima, dell’art. 12 del d.lgs. n. 38/2000 e, poi, dell’art. 5, co. 4, della l.n. 221/2015).

Recita ora la norma, per quanto qui d’interesse, dicendo che “ l’assicurazione comprende gli infortuni occorsi alle persone assicurate durante il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di abitazione a quello di lavoro, durante il normale percorso che collega due luoghi di lavoro se il lavoratore ha più rapporti di lavoro e, qualora non sia presente un servizio di mensa aziendale, durante il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di lavoro a quello di consumazione abituale dei pasti. L’interruzione e la deviazione si intendono necessitate quando sono dovute a cause di forza maggiore, ad esigenze essenziali ed improrogabili o all'adempimento di obblighi penalmente rilevanti. ”.

Si è ritenuto, al riguardo, che il riconoscimento del c.d. infortunio in itinere presupponga la sola ipotesi di ‘normalità’ del percorso di andata e ritorno dal luogo di abitazione a quello di lavoro, cioè alla sola ipotesi in cui il lavoratore utilizzi per raggiungere il luogo di lavoro il percorso più breve e diretto. Ciò perché una deviazione non richiesta da ragioni di lavoro ovvero la scelta ingiustificata di un percorso più lungo, configurando un rischio generico comune, interrompe il nesso eziologico tra il luogo di lavoro e la strada percorsa, escludendo il diritto all’indennizzo e quindi la stessa riconoscibilità della predetta tipologia di infortunio (Cass., sentenze 19.1.1998, n. 445, e 1.2.2002, n. 1320).

Ciò in aggiunta al fatto che ora, testualmente, dato “ il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di abitazione a quello di lavoro ”, rispetto ad esso la “ interruzione e la deviazione [rispetto a tale percorso normale] si intendono necessitate quando sono dovute a cause di forza maggiore, ad esigenze essenziali ed improrogabili o all'adempimento di obblighi penalmente rilevanti ”.

6. Nel caso di specie l’appellato (insieme alla collega dell’epoca, ormai non più in vita per ragioni comunque non legate ai fatti per cui è causa) alloggiava – durante il periodo della sua missione continuativa – in una località sita ad alcuni chilometri ad ovest di Pescara.

L’incidente stradale è stato dallo stesso subito nei pressi di Ortona, che è ad alcuni chilometri a sud di Pescara.

Luogo dell’alloggio e luogo dell’incidente stavano, dunque, ai vertici di un’ipotenusa (rispetto ad un triangolo avene vertice a Pescara).

E’ poi stato assodato che l’appellato, all’atto dell’incidente, era a bordo dell’autovettura di un soggetto terzo. Non era dunque a bordo di un autoveicolo proprio, al cui uso era stato autorizzato in vista della missione. Peraltro, l’uso del proprio mezzo era valido per gli spostamenti dal suo ordinario luogo di lavoro a quello di missione, non invece per gli spostamenti tra il luogo di lavoro in missione e quello di temporaneo alloggio.

E’ stato altresì assodato che l’appellato si trovava, al momento dell’incidente, nei pressi di Ortona per essersi voluto recare volontariamente colà ‘per una passeggiata’.

6.1. Dato ciò, allora, nella fattispecie la ‘normalità’ del percorso (di cui sopra s’è detto) va esclusa perchè:

a) da un lato, è certo che l’infortunio è occorso durante un tragitto iniziato in punto di partenza non coincidente con l’albergo presso cui il dipendente alloggia (considerabile, per i fini in questione, come abitazione, per quanto temporanea) sibbene in un punto presso il quale lo stesso s’era recato per ragioni personali. In proposito la giurisprudenza (Cass. nn. 6088/1995, 3744/1993, 10961/1992, 11172/1992, 131/1990) è ferma nel ritenere che nel caso di rischio elettivo (scaturito cioè da una scelta arbitraria del lavoratore che, mosso da impulsi personali, crei ad affronti volutamente una situazione diversa da quelle inerente l’attività lavorativa, pur latamente intesa) si realizzi una causa interruttiva di ogni nesso fra lavoro, rischio ed evento. In particolare, la giurisprudenza, nel confermare il requisito del normale percorso, ha escluso l’indennizzabilità dell’infortunio quando il lavoratore abbia attuato, rispetto al percorso per raggiungere il luogo di lavoro, un’interruzione o una deviazione non necessitata, cioè volta a soddisfare ragioni o interessi personali. A nulla vale allora, in proposito, l’argomento difensivo secondo il quale il tragitto sarebbe stato più lungo di quello effettivamente necessitato per non conoscenza del locale reticolo stradale;

b) dall’altro lato, il nesso eziologico è pure escluso dalla circostanza che il dipendente non fosse autorizzato ad usare mezzi privati per spostamenti durante il periodo di missione.

E allora deve ritenersi che legittima sia stata la scelta dell’INPS di non proseguire nel procedimento d’ufficio per il riconoscimento dell’infortunio quale causa di servizio, dato che la normativa regolamentare dell’Istituto prevedeva l’avvio del procedimento nel (solo) caso in cui le lesioni subite fossero dovute a “certa o presunta ragione di servizio”, cosa che non ricorreva nel caso di specie.

7. Deve poi reputarsi legittima anche la deliberazione del c.d.a. dell’INPS n. 1010 del 15.7.1997, con la quale è stato denegato il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio dell’incidente automobilistico in questione.

Risulta al riguardo non condivisibile l’affermazione dei primi Giudici circa l’incompetenza di detto organo (ossia il c.d.a.).

Invero, alla stregua dell’art 2 del regolamento organico del personale INPS del 1990, il riconoscimento della dipendenza dell’infermità da causa di servizio, deve essere effettuato con deliberazione del c.d.a., al quale spetta stabilire se esiste un nesso di causalità tra l’infermità diagnosticata e l’attività lavorativa svolta dal dipendente. E rispetto a tanto l’accertamento compiuto nella specie dal Collegio medico ha costituito un’attività tecnico-consultiva di cui il predetto organo doveva tenere necessariamente conto (C.d.S., VI, nn. 109/1985, 1320/1999, 7578/2003).

Inoltre, nel procedimento diretto al riconoscimento della causa di servizio, quale disciplinato dal regolamento organico del personale dell’INPS, il Collegio medico deve esprimere una valutazione tecnico-specialistica in ordine alla natura dell’infermità, un parere circa la sua dipendenza da causa di servizio, dichiarare se l’infermità costituisca o meno impedimento temporaneo o permanente alla prestazione del servizio, dichiarare se l’infermità abbia o meno prodotto menomazioni dell’integrità fisica del lavoratore.

Nella specie anche il competente organo consultivo medico-legale ha ritenuto non sussistente il nesso causale tra servizio ed infermità riportate nell’infortunio stradale sopra detto ed il provvedimento conclusivo del procedimento (adottato c.d.a. dell’Istituto) ha solo fatto proprie le ragioni concernenti la ritenuta insussistenza del predetto nesso causale.

7.1. Quanto alla deliberazione conclusiva del procedimento, assunta dal c.d.a., è da considerare adeguatamente motivata attraverso l’operato richiamo al parere negativo del predetto organo tecnico consultivo (fra varie, C.d.S., III, n. 1212/2018).

8. Alla luce di quanto detto, i provvedimenti impugnati reggono su motivazioni non oltre censurabili in questa sede, anche perché frutto di esercizio di discrezionalità tecnica.

Il nesso eziologico tra l’incidente occorso e l’attività lavorativa della persona coinvolta è escluso dalla estraneità del luogo in cui è avvenuto l’incidente rispetto al normale tragitto che essa avrebbe dovuto seguire.

9. In conclusione, l’appello risulta fondato e, in suo accoglimento, riformata la sentenza di primo grado impugnata, vanno respinti gli originari ricorsi introduttivi.

10. Tenuto conto dei diversi tratti che hanno connotato la vicenda in questione, ricorrono giustificati motivi per compensare integralmente le spese del doppio grado di giudizio.

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