Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2015-10-29, n. 201504944
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N. 04944/2015REG.PROV.COLL.
N. 07103/2010 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7103 del 2010, proposto da:
P C, rappresentato e difeso dall'avv. G V, con domicilio eletto presso Alfredo Placidi in Roma, via Cosseria, n. 2;
contro
Comune di Ginosa, Regione Puglia e Provincia di Taranto, non costituiti in giudizio;
per la riforma
delle sentenze del T.A.R. Puglia – Lecce, Sez. I, nn. 721/2010 e 789/2010, rese tra le parti, concernenti D.I.A. .
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati.
Viste le memorie difensive.
Visti tutti gli atti della causa.
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 29 settembre 2015 il Cons. Alessandro Maggio e udito per la parte l’avvocato G V.
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
In data 25/2/2008, il sig. P C ha presentato al Comune di Ginosa una denuncia di inizio attività (DIA), con la quale ha comunicato l’intenzione di installare su un’area di sua proprietà (inclusa nel vigente strumento urbanistico in zona T1 - villaggi turistici), una struttura temporanea e precaria di circa 130 mq, da adibire a punto ristoro per turisti.
La DIA era stata preceduta dalla richiesta del prescritto parere idrogeologico al Settore Foreste Attuazione Politiche Forestali della Regione Puglia e da quella concernente la valutazione di incidenza ambientale rivolta alla Provincia di Taranto.
Sennonchè, con determinazione 2/5/2008 n. 6588, a firma del Capo Area Tecnica e del Capo Sezione Urbanistica del detto comune, veniva disposto l’annullamento della menzionata DIA in quanto “oltre ad essere incompleta dal punto di vista documentale e mancante dei necessari N.O. per i vincoli insistenti sull’area d’intervento, non sussistono le condizioni per l’applicabilità, nella fattispecie, di quanto meglio esplicitato all’art. 1, comma 1.4 della D.C. n. 04 del 21.03.2005”.
Mentre, con nota del 5/5/2008, il Settore Foreste Attuazione Politiche Forestali, ha domandato al Comune di Ginosa lumi sulla realizzabilità dell’intervento previsto nella DIA presentata dal sig. C.
Ritenendo tali atti illegittimi il sig. C li ha impugnati davanti al TAR Puglia – Lecce, con ricorso rubricato al n. 1224/2008, sul quale la Sez. I, si è pronunciata con due distinte sentenze: la 11/3/2010 n. 721, con la quale ha accolto il gravame compensando le spese e la 19/3/2010 n. 789, con cui ha respinto l’impugnazione con spese a carico del ricorrente.
Avverso le dette pronunce ha proposto appello il sig. C affermando, in relazione alla prima, che il Presidente del Collego giudicante avrebbe emesso dichiarazione di “annullamento per duplicato”, e deducendo, nei confronti della seconda, i seguenti motivi.
1) Il giudice di prime cure ha motivato il rigetto del ricorso con motivazioni che nulla hanno a che vedere con le ragioni addotte dall’amministrazione a sostegno del provvedimento di annullamento e non si è, inoltre, pronunciato su alcuni dei motivi di gravame prospettati dal ricorrente.
Il TAR ha, infatti, ritenuto che la struttura, per caratteristiche di ampiezza e ancoraggio al suolo e per la presenza di impianti idraulici, elettrici e telefonici non rientra tra quelle soggette al regime di cui al regolamento approvato dal Consiglio Comunale di Ginosa con delibera 21/3/2005 n. 4.
Tuttavia, le misure sono conformi a quelle stabilite dall’art. 4 del citato regolamento, non è previsto alcun ancoraggio al suolo e il suddetto regolamento non vieta la presenza degli impianti igienici e di quelli necessari per i servizi essenziali, ma anzi li impone, come emerge dalla norma che consente la realizzazione di stabilimenti balneari, discoteche e punti ristoro.
Dall’art. 6 del regolamento, si ricava, infine, che le strutture possono restare installate per un periodo che va dal 1 febbraio, al 30 novembre di ciascun anno e ciò esclude - diversamente da quanto affermato dal giudice di prime cure - che al fine di verificare la precarietà dell’opera debba aversi riguardo al suo profilo funzionale.
L’istanza proposta dall’appellante è del resto in linea con quanto previsto dall’art. 22, comma 3, lett. b) del D.P.R. 6/6/2001 n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia), che consente di procedere mediante DIA quando l’intervento sia conforme (come nella specie) “alle previsioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della disciplina urbanistico - edilizia vigente”.
2) Il TAR non si è pronunciato sulla censura dedotta contro il motivo di annullamento con cui l’amministrazione ha ritenuto che la DIA fosse “incompleta dal punto di vista documentale e mancante dei necessari N.O. per i vincoli insistenti sull’area di intervento”.
Orbene l’operato del comune contrasta sia con l’art. 7 della delibera consiliare n. 4/2005, sia con l’art. 23 del T.U. sull’edilizia.
Nel caso di documentazione incompleta l’amministrazione non può, infatti, né ordinare di non effettuare l’intervento, né procedere in autotutela, ma deve richiedere le necessarie integrazioni documentali.
Nel caso, poi, di area soggetta a vincoli se la tutela di questi compete alla stessa amministrazione comunale, il termine di 30 giorni che rende eseguibile l’intervento decorre dal rilascio del relativo atto di assenso, se la tutela del vincolo spetta ad altra amministrazione e il parere positivo di quest’ultima non sia allegato alla DIA, il comune deve convocare apposita conferenza di servizi.
Alla luce di quanto sopra, non ricorrevano i presupposti per l’adozione dell’avversato provvedimento di autotutela.
3) Sull’ulteriore ragione di annullamento (“non sussistono le condizioni per l’applicabilità, nella fattispecie, di quanto meglio esplicitato all’art. 1, comma 1.4 della D.C. n. 04 del 21.03.2005”), fatta oggetto di specifica censura, il TAR non si è pronunciato.
La doglianza prospettata in primo grado va, dunque, riproposta.
L’art. 1, comma 1.4, del regolamento approvato con la delibera consiliare n. 4/2005, dispone che la disciplina dal medesimo introdotta “si applica ad:
a) attività commerciali di pubblico esercizio di somministrazione di alimenti e bevande;
b) attività di ricezione turistica destinate alla ristorazione e/o alla ricreazione”.
Ebbene, l’intervento oggetto di DIA si sostanza nel montaggio di un modesto manufatto smontabile in legno da adibire a punto ristoro”, ed è, pertanto, del tutto compatibile con quanto stabilito dalla norma invocata dall’amministrazione comunale.
Quest’ultima, nelle memorie difensive prodotte in primo grado, ha affermato che la non conformità al regolamento dell’intervento progettato dal sig. C, discenderebbe dalla disposizione contenuta nell’art. 1, comma 1, del medesimo e che il progetto contrasterebbe, comunque, con l’art. 23 del P.R.G.
Sennonché il provvedimento comunale impugnato non faceva riferimento a tali norme e, comunque, le stesse non risultano violate dalla proposta DIA.
4) L’impugnato provvedimento comunale è stato emanato senza rispettare norme e principi che regolano l’esercizio del potere di autotutela.
Ed invero, non è stata sufficientemente motivata l’illegittimità della DIA, non è stato motivato l’interesse pubblico al ritiro e la sua prevalenza su quello del privato al mantenimento dell’atto e non è stata data comunicazione di avvio del procedimento.
La censura si ripropone in quanto non esaminata dal TAR.
5) Il giudice di prime cure non ha nemmeno esaminato la doglianza (che quindi si ripropone) con cui il ricorrente aveva dedotto il difetto di motivazione della determinazione gravata, che non indicava con chiarezza le cause ostative alla realizzazione dei lavori.
6) Si ripropone, infine, la censura – non esaminata in primo grado - rivolta contro la nota del Settore Foreste Attuazione Politiche Forestali della Regione Puglia, che risulta illegittima in quanto la richiesta con la medesima effettuata è del tutto estranea all’ambito delle funzioni riservate all’autorità richiedente.
Alla pubblica udienza del 29/9/2015, la causa, su richiesta della parte, è stata posta in decisione.
In via pregiudiziale il Collegio rileva l’inammissibilità dell’appello per quanto rivolto avverso la sentenza n. 721/2100.
Al riguardo è sufficiente osservare che la citata sentenza è favorevole all’appellante, per cui costui non ha alcun interesse ad impugnarla.
L’impugnazione rivolta contro la sentenza n. 789/2010 va, invece, esaminata nel merito.
I primi tre motivi di gravame sono meritevoli di accoglimento e possono essere affrontati congiuntamente.
Il provvedimento comunale impugnato era motivato con riguardo al fatto che la DIA fosse “incompleta dal punto di vista documentale e mancante dei necessari N.O. per i vincoli insistenti sull’area d’intervento” e che alla stessa non fosse applicabile la norma di cui all’art. 1, comma 1.4 della delibera consiliare 21/3/2005 n. 4 (Regolamento per l’installazione di strutture temporanee e precarie).
Orbene, il TAR ha respinto il ricorso ritenendo che la struttura, per caratteristiche di ampiezza e ancoraggio al suolo e per la presenza di impianti idraulici, elettrici e telefonici non rientrasse tra quelle soggette al regime di cui al regolamento approvato dal Consiglio Comunale di Ginosa con delibera 21/3/2005 n. 4.
Sennonché, come correttamente dedotto dall’appellante, una tale motivazione è del tutto estranea a quella addotta dall’amministrazione a sostegno del provvedimento impugnato.
Ed invero, il thema decidendum sul quale il giudice adito deve pronunciare, è rigidamente definito dai motivi che l’amministrazione pone a fondamento del provvedimento impugnato nei limiti in cui gli stessi sono fatti oggetto di critica da parte del ricorrente.
Nel caso di specie, dunque, il giudice di prime cure avrebbe dovuto basare la propria pronuncia unicamente sulle ragioni del disposto annullamento enunciate dal comune, alla luce delle censure prospettate dalla parte istante. Cosa che, invece, come più sopra evidenziato, non è avvenuta.
Occorre procedere, quindi, all’esame delle lagnanze rivolte in primo grado contro i motivi di annullamento individuati dall’intimato comune di Ginosa e qui riproposte.
In primo luogo il Collegio rileva che, come esattamente si deduce nell’atto d’appello, l’incompletezza della documentazione giammai avrebbe potuto giustificare il disposto annullamento d’ufficio.
Infatti, in presenza di una riscontrata carenza documentale, l’amministrazione, prima di procedere in autotutela, avrebbe dovuto, in linea con quanto stabilito dall’art. 6 della L. 7/8/1990 n. 241, formulare all’interessato una richiesta istruttoria finalizzata ad acquisire gli atti mancanti ritenuti essenziali ai fini del completamento della pratica.
Del resto, anche l’art. 7 del regolamento approvato con la citata delibera consiliare n. 4/2005 prevede che nel caso di documentazione incompleta l’ufficio SUAP provveda “alla richiesta di quanto necessario”.
Nemmeno l’asserita mancanza dei prescritti nulla osta avrebbe potuto legittimare il provvedimento di ritiro.
Difatti, i commi 3 e 4, dell’art. 23, del D.P.R. 6/6/2001, n. 380, nel testo in vigore all’epoca di adozione del provvedimento impugnato, stabilivano, rispettivamente:
“Qualora l'immobile oggetto dell'intervento sia sottoposto ad un vincolo la cui tutela compete, anche in via di delega, alla stessa amministrazione comunale, il termine di trenta giorni di cui al comma 1 decorre dal rilascio del relativo atto di assenso. Ove tale atto non sia favorevole, la denuncia è priva di effetti” (comma 3).
“Qualora l'immobile oggetto dell'intervento sia sottoposto ad un vincolo la cui tutela non compete all'amministrazione comunale, ove il parere favorevole del soggetto preposto alla tutela non sia allegato alla denuncia, il competente ufficio comunale convoca una conferenza di servizi ai sensi degli articoli 14, 14-bis, 14-ter, 14-quater, della legge 7 agosto 1990, n. 241. Il termine di trenta giorni di cui al comma 1 decorre dall'esito della conferenza. In caso di esito non favorevole, la denuncia è priva di effetti” (comma 4).
Dalla lettura delle trascritte norme emerge de plano la sussistenza della denunciata illegittimità.
Difatti: a) nel caso di vincolo la cui tutela spettava al medesimo comune, quest’ultimo avrebbe dovuto prima pronunciarsi sul vincolo;b) nel caso di vincolo affidato alla tutela di altra amministrazione, il comune avrebbe dovuto, in assenza del parere favorevole di quest’ultima, indire apposita conferenza di servizi.
Quanto all’ulteriore ragione posta a base dell’avversato annullamento d’ufficio, fondatamente l’appellante ha dedotto come la struttura sia del tutto conforme a quanto previsto dall’art. 1, comma 1.4 della delibera consiliare n. 4/2005.
Tale norma, per quanto qui rileva, stabilisce che la disciplina dettata dal regolamento si applichi ad:
“a) attività commerciali di pubblico esercizio di somministrazione di alimenti e bevande;
b) attività di ricezione turistica destinate alla ristorazione e/o alla ricreazione”.
La DIA presentata dal sig. C ha ad oggetto una struttura lignea smontabile di circa 130 mq, da adibire a punto ristoro per turisti, per cui non risulta in contrasto con la disposizione regolamentare invocata nel provvedimento di ritiro.
Col sesto motivo d’appello il sig. C ha riproposto la censura, non esaminata dal TAR, dedotta contro la nota del datata 5/5/2008 emessa dal Settore Foreste Attuazione Politiche Forestali della Regione Puglia.
La doglianza non merita accoglimento essendo la nota priva di contenuti provvedimentali.
L’appello contro la sentenza 789/2010 merita, quindi accoglimento.
Restano assorbiti tutti gli argomenti di doglianza motivi od eccezioni non espressamente esaminati che il Collegio ha ritenuto non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.
Spese ed onorari di giudizio, liquidati come in dispositivo, seguono la soccombenza, nei confronti del comune, mentre possono essere compensati nei riguardi delle altre parti intimate.