Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2022-03-16, n. 202201920
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Pubblicato il 16/03/2022
N. 01920/2022REG.PROV.COLL.
N. 10030/2014 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 10030 del 2014, proposto dalla Azienda Agricola Tosatto Paolo e Federico Ss, in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentato e difeso dall'avvocato M A, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato A P in Roma, via Nizza, n. 59;
contro
l’Agea-Agenzia per le erogazioni in agricoltura, in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentato e difeso
ex lege
dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria
in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
per la riforma
della sentenza breve del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sede di Roma(Sezione Seconda), n. 3790/2014, resa tra le parti
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Agea-Agenzia per le erogazioni in agricoltura;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza straordinaria del giorno 23 febbraio 2022 il Cons. G T e udito l’avvocato M A;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Con la sentenza gravata, il T.A.R. del Lazio ha respinto il ricorso proposto dall’azienda ricorrente contro il provvedimento AGEA ex art. 1, comma 5, l. n. 79 del 2000 di compensazione nazionale per il periodo di commercializzazione del latte e prodotti lattiero-caseari 1° aprile 2000/31 marzo 2001, in relazione agli effetti che lo stesso esplica nei confronti dell’azienda ricorrente;nonché contro il provvedimento AGEA del 26 luglio 2001, con cui è stato comunicato alla ricorrente “… il suo esubero produttivo e l’esito delle operazioni di compensazione …”.
Con ricorso in appello, ritualmente notificato e depositato, la parte ricorrente in primo grado ha impugnato l’indicata sentenza.
Si sono costituiti in giudizio, per resistere al ricorso, l’Agenzia per le erogazioni in agricoltura e il Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali.
Il ricorso è stato trattenuto in decisione all’udienza straordinaria del 23 febbraio 2022.
2. Il ricorso di primo grado contestava la legittimità del provvedimento di comunicazione dell’esubero produttivo e dell’esito delle operazioni di compensazione relativi all’annata lattiero casearia 2000/2001.
La parte ricorrente deduceva, tra l’altro, l’illegittimità della procedura di compensazione prevista dall’art. 1, comma 8, del decreto-legge 1° marzo 1999, n. 43, convertito dalla legge 27 aprile 1999, n. 118.
Il T.A.R. ha rigettato il ricorso osservando, tra l’altro, che le censure proposte non “ sono idonee a dare conto dell’illegittimità del provvedimento impugnato in quanto volte (….) a dimostrare in linea generale l’illegittimità della complessiva azione amministrativa, ma non formulate con specifico riferimento alla posizione individuale della ricorrente e, quindi, prive di un adeguato supporto probatorio in ordine alla sussistenza di una concreta ed effettiva lesività degli atti. In sostanza, le censure dedotte attengono a profili generici di contestazione dell’intero sistema, ma non forniscono elementi di prova circa una diversa produzione lattiera per le campagne in discorso, né il diritto ad una diversa assegnazione di quota. Diversamente, il processo amministrativo non è posto a garanzia oggettiva della legittimità degli atti, ma tende piuttosto alla tutela specifica ed individuale delle posizioni giuridiche soggettive lese. Ad ogni buon conto, il Collegio rappresenta in particolare che:
- le comunicazioni in materia di quote latte afferiscono ad una enorme pluralità di destinatari, sicché, per ciascun nominativo, non possono che essere motivate per relationem, mentre, come detto, sarebbe onere del singolo ricorrente fornire almeno un principio di prova su quale avrebbe dovuto effettivamente essere il QRI a cui l’amministrazione avrebbe dovuto fare riferimento per l’effettuazione delle compensazioni e la determinazione dei prelievi;
- la mera sospensione dell’esecuzione degli atti presupposti, in assenza dell’esito del relativo ricorso giurisdizionale, non può tradursi di per sé sola in un vizio di legittimità degli atti impugnati;
- è sufficiente che le comunicazioni siano state portate a conoscenza degli interessati con modalità idonee, a prescindere dall’effettuazione di una notifica in senso tecnico;
- per quanto concerne le censure afferenti i vizi di carattere strettamente formale è sufficiente ribadire che sarebbe stato onere della ricorrente fornire dimostrazione dell’illegittimità dell’azione amministrativa in riferimento alla propria posizione individuale, dimostrazione che non può ricavarsi da elementi meramente formali ”.
3. Con una censura di carattere preliminare, da cui si fa discendere la nullità della sentenza impugnata, l’appellante contesta la decisione di primo di grado perché a suo dire:
3.1. il T.A.R. avrebbe fatto impropriamente ricorso alla decisione mediante sentenza in forma semplificata;
3.2. la motivazione rinvia per relationem a precedenti sentenze che avevano deciso questioni analoghe, laddove ad avviso della parte appellante le questioni oggetto dei precedenti sarebbero state “in parte diverse”;
3.3. la sentenza non avrebbe pronunciato su tutti i motivi di ricorso, in violazione dell’art. 112 cod. proc. civ.
4. Tutti i descritti profili di censura sono infondati.
4.1. Quanto al primo, premesso che non consta, né è stato peraltro dedotto, che la parte ricorrente in primo grado si sia opposta alla contestata forma decisoria (nei limiti in cui tale opposizione può comunque avere rilievo), esso risulta del tutto generico: giacchè si limita ad affermare apoditticamente che “ non si ritiene che nel caso di specie sia legittimo decidere mediante sentenza in forma semplificata ”, senza dedurre in che misura e per quale ragione lo strumento processuale avrebbe frustrato in concreto le esigenze di un pieno ed effettivo vaglio dei motivi di ricorso proposti (in merito alla problematica del possibile “abuso” della sentenza in forma semplificata il Collegio rinvia alla sentenza di questo Consiglio di Stato, sez. III, n. 8126/2020).
4.2. Quanto al secondo, l’art. 3 del codice del processo amministrativo, dopo avere sancito – al primo comma – l’obbligo di motivazione dei provvedimenti giurisdizionali, stabilisce, al comma successivo, che “ Il giudice e le parti redigono gli atti in maniera chiara e sintetica, secondo quanto disposto dalle norme di attuazione ”.
Il successivo art. 74, che disciplina la sentenza in forma semplificata, chiarisce poi che “ La motivazione della sentenza può consistere in un sintetico riferimento al punto di fatto o di diritto ritenuto risolutivo ovvero, se del caso, ad un precedente conforme ”.
Nel caso di specie il primo giudice ha fatto buon governo di tali regole, considerato che i motivi del ricorso di primo grado avevano riguardo alle medesime questioni, in diritto, oggetto dei precedenti richiamati dalla motivazione della sentenza (pur se con riguardo, ovviamente, a specifici elementi di fatto che non implicavano tuttavia una inutilizzabilità della regola di giudizio richiamata nei precedenti cui si è rinviato).
4.3. Quanto, infine, al terzo profilo di censura, esso è del pari infondato: ad un attento esame emerge che, sia in ragione della connessione di alcuni motivi del ricorso di primo grado (inerenti il medesimo thema decidendum , ancorché variamente esposto e declinato), sia attraverso il rinvio che la motivazione della sentenza ha operato a diversi precedenti, non può dirsi sussistente il denunciato vizio di difetto di motivazione (peraltro formulato in modo generico, perché non vengono specificati i punti sui quali il primo giudice avrebbe omesso di motivare).
5. Con il primo motivo di appello, si contesta il capo della sentenza gravata che ha rigettato i motivi 1, 2, 3, 4, 5, 6, e 8 del ricorso di primo grado.
La censura concerne anzitutto il problema della comunicazione “retroattiva” dei quantitativi di riferimento individuali.
Il mezzo è infondato.
Come già chiarito da questo Consiglio di Stato nella sentenza n. 5322/2013, “ discende la non necessità delle comunicazioni individuali dei QRI perché, come meglio si vedrà appresso, la certezza del diritto è principio sì irrinunciabile, ma va letto ed applicato, anche ai fini della delibazione in concreto dell’adeguatezza della pubblicità in materia adottata via via in Italia, in una con altri principi parimenti forti. Per un verso, non si possono sottacere le disposizioni sulla formazione dei QRI iniziali e, per altro verso, in soggetta materia gli artt. 1 e 4 del regol. n. 3950/92/CEE non ostano a che a seguito di controlli uno Stato - membro rettifichi i QRI ad ogni produttore e quindi ricalcoli, in esito a riassegnazione dei QRI inutilizzati, i prelievi supplementari dovuti, dopo il termine di scadenza del pagamento di tali prelievi per l’annata lattiera di riferimento. Dal che non si può affermare ragionevolmente la rilevanza dirimente dell’assenza di personale notifica dei QRI a tutti e ciascun produttore e, di conseguenza, la totale inefficacia del sistema delle quote-latte in Italia. Pure la Corte costituzionale (cfr. C. cost., 7 luglio 2005 n. 272) ha precisato che la rideterminazione dei QRI non è soggetta al vincolo della irretroattività, giacché le funzioni di accertamento ed aggiornamento dei dati, anche in relazione a campagne lattiere già concluse, è conseguenza diretta di controlli successivi effettuati dagli organi statali preposti al settore che sono, a loro volta, funzionali, tra l’altro, all’applicazione corretta della normativa UE sull'intero territorio della Repubblica ”.
5.1. La parte appellante chiede sollevarsi questione di legittimità costituzionale di alcune disposizioni delle leggi n. 5/1998, 118/1999 e 79/2000, “nella parte in cui prevedono un’attribuzione retroattiva di QRI e l’imposizione retroattiva del prelievo supplementare”.
Ad avviso del Collegio la questione è manifestamente infondata, atteso che gli argomenti posti a supporto della stessa non superano le condivisibili motivazioni della richiamata sentenza n. 272/2005 della Corte costituzionale.
6. Il gravame ripropone, nel terzo motivo di appello, che a questo punto deve essere esaminato con priorità in ragione del suo carattere pregiudiziale (trattandosi di mezzo che deduce l’illegittimità comunitaria della norma interna regolante l’esercizio del potere de quo ), la censura contenuta nel settimo motivo del ricorso di primo grado (rigettata dal T.A.R. mediante richiamo alla precedente sentenza n. 5975/2011), concernente “ Illegittimità comunitaria dell’art. 1, comma 8 e 21 ter, L. n. 118/99, dell’art. 1, comma 5, L. n. 79/00 e degli atti derivati per violazione e falsa applicazione dei Reg. CEE 3950/92 e CEE 536/93 (per previsione di categorie privilegiate di produttori che usufruiscono della compensazione nazionale in via prioritaria) – Illegittimità per violazione e falsa applicazione di legge (artt. 3 e segg. e 7 e segg. L. 241/90) – Eccesso di potere ”.
Il mezzo nel ricorso di primo grado è stato formulato nei termini seguenti: “ Del tutto illegittimamente ed in contrasto con i regolamenti comunitari citati (….) è stato previsto che la compensazione vada effettuata in via prioritaria in favore dei produttori che non hanno assegnazione di QRI. Da qui l’illegittimità degli atti impugnati per i vizi in rubrica indicati, anche tenuto conto del fatto che non è possibile alcuna verifica circa le operazioni effettuate da AIMA, perché nulla in tal senso è stato comunicato ai produttori ”.
6.1. La parte appellante nella memoria depositata in vista dell’udienza pubblica ha in argomento sostenuto che gli atti impugnati con il ricorso di primo grado, in quanto adottati in attuazione di una norma interna contrastante con norma comunitaria, sarebbero non già annullabili – come dedotto nel ricorso di primo grado e nel ricorso in appello – ma radicalmente nulli.
Viene in proposito invocata la sentenza di questo Consiglio di Stato n. 1324/2021: “ il Collegio richiama l’indirizzo giurisprudenziale di questo Consiglio di Stato (cfr. Sez. V, 19 maggio 2009, n. 3072;8 settembre 2008, n. 4263 e 10 gennaio 2003, n. 35;Sez. IV, 21 febbraio 2005, n. 579), secondo il quale, mentre la violazione del diritto comunitario comporta un vizio di illegittimità – annullabilità dell’atto amministrativo con esso contrastante (da far valere nell’ordinario termine di decadenza, a pena dell’inoppugnabilità di tale atto), si ha nullità (o inesistenza) nelle ipotesi in cui il provvedimento nazionale sia stato adottato sulla base di una norma interna (attributiva del potere) incompatibile con il diritto comunitario e quindi disapplicabile. Con il ché, si perviene anche per questa via al superamento del problema dell’assenza di una censura specifica, nel ricorso di primo grado e nell’atto di appello, relativa all’incompatibilità comunitaria del meccanismo di compensazione nazionale sotto il profilo richiamato: ciò, vista la rilevabilità ex officio della nullità e considerato che, con la sospensione del giudizio – disposta dalla sentenza non definitiva n. 3456/2019 cit. proprio in ragione della rilevanza diretta, nel presente giudizio, della suindicata questione di incompatibilità comunitaria – si può ritenere assolto nei confronti delle parti l’onere di avviso ex art. 73, comma 3, c.p.a. In conclusione, l’inapplicabilità del meccanismo di compensazione nazionale per categorie prioritarie di produttori e la necessità, ai sensi della normativa eurounitaria ratione temporis applicabile, che le riassegnazioni ai produttori eccedentari dei quantitativi di riferimento individuali (QRI) inutilizzati vengano effettuate in proporzione ai quantitativi di riferimento a disposizione di ciascun produttore, determinano l’accoglimento dell’appello, senza che si debba procedere alla disamina delle ulteriori censure dedotte con il nono e decimo motivo”. Infatti, la caducazione degli atti e provvedimenti impugnati in prime cure comporta la necessità per la Pubblica Amministrazione di procedere ad una complessiva attività di rideterminazione (C.d.S., Sez. II, n. 1105/2020, cit.) ”.
7. Rileva il Collegio anzitutto che nella fattispecie in esame non viene in considerazione il profilo da ultimo evocato nella memoria dell’appellante.
Nel ricorso di primo grado era stata infatti formulata la censura che deduceva l’illegittimità degli atti amministrativi impugnati in quanto adottati in base a norma interna (l’art. 1, comma 8, del d.l. n. 43 del 1° marzo 1999, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 118/1999) contrastante con norma comunitaria.
Tale censura, riproposta con il ricorso in appello, è fondata, alla luce della sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea sez. VII, 27 giugno 2019 in causa C‑348/18, nonché della successiva sentenza della Seconda Sezione della Corte di Giustizia, 13 gennaio 2022, in causa C-377/19).
Entrambe le pronunce hanno infatti accertato l’illegittimità comunitaria di regimi normativi che introducano meccanismi di compensazione per categorie prioritarie, e comunque non proporzionali.
I provvedimenti adottati sulla base di tali regimi devono pertanto essere annullati.
L’obbligo di disapplicazione della norma interna – regolante non già l’attribuzione del potere, ma l’esercizio di esso - confliggente con il diritto comunitario, sulla base della quale sono stati adottati i provvedimenti impugnati, non ha peraltro l’effetto di modificare lo stato patologico di tali provvedimenti: i quali, secondo la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, rimangono affetti dal vizio di illegittimità-annullabilità, e non già da quello della nullità (ex multis Consiglio di Stato VI Sezione, sentenza n. 7874/2019).
8. L’accoglimento di tale censura esime il Collegio dallo scrutinio della richiesta di proporre un ulteriore rinvio pregiudiziale, formulata per l’ipotesi – non ricorrente - di mancata adesione alla dedotta tesi dell’illegittimità comunitaria in punto di criteri non proporzionali di compensazione.
Il motivo è pertanto fondato e deve essere pertanto accolto, con assorbimento di ogni altra censura (come già deciso da questo Consiglio di Stato in fattispecie analoghe: ex multis , sentenza n. 8681/2021), ad eccezione di quelle qui scrutinate.
L’assorbimento delle residue censure preclude l’esame degli ulteriori dubbi di illegittimità comunitaria prospettati dall’appellante (relativi alla individuazione della soglia – statuale o comunitaria - di eccedenza;alla produzione di latte vaccino utilizzata per i formaggi d.o.p., alla produzione di latte vaccino effettuata in conformità alla normativa sulle produzioni biologiche), con connessa domanda di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia.
Il descritto esito del giudizio, in quanto delimitato dalle esaminate questioni in diritto, esime altresì il Collegio dallo scrutinio delle istanze istruttorie riproposte con il ricorso in appello, in quanto i temi oggetto delle stesse attengono a questioni fattuali ininfluenti ai fini delle superiori decisioni, ed anzi a seguito di esse perdono l’originaria, astratta rilevanza (anche alla luce del fatto che in sede di riedizione del potere l’amministrazione dovrà operare una nuova ricognizione fattuale, avuto riguardo ai princìpi di diritto in questa sede espressi).
9. Conseguentemente, in parziale accoglimento del ricorso di primo grado, vanno annullati i provvedimenti con esso impugnati.
AGEA dovrà pertanto, in sede di riedizione del potere, applicare meccanismi di compensazione proporzionali, come stabilito dalla Corte di Giustizia.
L’effetto conformativo della presente sentenza è pertanto limitato, in diritto, ai due profili qui esaminati (legittimità della comunicazione in corso di annata dei quantitativi individuali;illegittimità di meccanismi di compensazione non proporzionali).
La domanda risarcitoria va allo stato respinta, posto che – in disparte il rilievo, inerente l’elemento soggettivo della fattispecie d’illecito, per cui l’accertamento dei provvedimenti ritenuti veicoli di lesione nel caso di specie consegue all’attuazione di una disposizione normativa di rango primario poi ritenuta confliggente con la normativa comunitaria - la presente pronuncia caducatoria implica, come segnalato, la riedizione del potere, all’esito della quale potrà apprezzarsi l’esistenza o meno della sussistenza di concreti profili di pregiudizio, anche in relazione all’effettiva spettanza del bene della vita.
Le spese del doppio grado di giudizio devono essere compensate sia in ragione della complessità della questione e del peculiare percorso processuale (nel cui ambito è risultato decisivo il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia);sia in considerazione del fatto che il ricorso in appello consta di n. 107 pagine, sicché la compensazione discende anche dall’applicazione del criterio di riparto delle spese di cui al combinato disposto degli artt. 3, comma 2, e 26, comma 1, del codice del processo amministrativo (Consiglio di Stato, sentenza n. 2852/2017), vigenti ed efficaci all’epoca dell’introduzione del giudizio (indipendentemente, pertanto, dalla sanzione, successivamente introdotta dall’art. 13 -ter delle norme di attuazione al c.p.a., della non utilizzabilità delle pagine eccedenti il limite massimo).