Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2017-10-03, n. 201704586
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Pubblicato il 03/10/2017
N. 04586/2017REG.PROV.COLL.
N. 06011/2017 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6011 del 2017, proposto da:
Ministero della Difesa, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;
contro
Ettore Spano', rappresentato e difeso dall'avvocato A F T, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, viale delle Medaglie D'Oro, 266;
per la riforma
della sentenza breve del T.A.R. LAZIO - ROMA: SEZ. I BIS n. 00393/2017, resa tra le parti, concernente sanzione disciplinare
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di E S;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 21 settembre 2017 il Cons. O F e uditi per le parti gli avvocati M. Giannuzzi (avv. Stato) e A.F. Tartaglia;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. 1. Con l’appello in esame, il Ministero della Difesa impugna la sentenza 10 gennaio 2017 n. 393, con la quale il TAR per il Lazio, sez. I-bis, in accoglimento del ricorso proposto dal maresciallo dei Carabinieri E S, ha annullato il decreto del Ministero della difesa – Direzione generale per il personale militare 24 dicembre 2015 n. 561/1 – 3/2015, recante la sanzione di perdita del grado per rimozione per motivi disciplinari, la cessazione dal servizio permanente e l’iscrizione d’ufficio nel ruolo dei militari di truppa dell’Esercito Italiano, senza alcun grado.
La vicenda disciplinare dello Spanò trae origine da un procedimento penale avviato nei suoi confronti, con rinvio a giudizio del 27 ottobre 2004, per i reati di cui agli artt. 81, 317, 319, 494 c.p., poiché, con abuso dei poteri inerenti alla funzione aveva indotto più persone oggetto di verifiche amministrative da parte del NAS (dove era in servizio) a corrispondergli denaro ed altre utilità.
Lo Spanò veniva dapprima sospeso dal servizio in data 2 luglio 2004 e successivamente riammesso in data 9 marzo 2010.
Sul piano penale, vi è stata la condanna in I grado, con sentenza 16 marzo 2010, alla pena di anni cinque di reclusione con interdizione dai pubblici uffici, contestuale confisca di somme già oggetto di sequestro preventivo e condanna al risarcimento del danno.
Tuttavia, la Corte di Appello di Roma dichiarava la nullità di tale sentenza perché l’imputato, nel I grado di giudizio, era stato difeso da persona non iscritta nell’albo degli avvocati e, di conseguenza, restituiva gli atti al Tribunale di Roma.
Quest’ultimo, con sentenza 10 febbraio 2015 n. 1934, dichiarava non doversi procedere nei confronti dell’imputato per i reati ascrittigli per intervenuta estinzione per prescrizione, disponendo altresì la restituzione di quanto in sequestro.
Tale ultima sentenza era trasmessa in data 10 marzo 2015 al Nucleo Investigativo del Reparto Operativo dei Carabinieri di Roma.
Avviato quindi (20 giugno 2015), il procedimento disciplinare, la Commissione di disciplina concludeva statuendo che l’incolpato era “non meritevole di conservare il grado”.
Da ciò, il provvedimento disciplinare oggetto del ricorso instaurativo del giudizio di I grado.
1.2. La sentenza impugnata ha innanzi tutto ribaditi i principi secondo i quali:
- “sono termini perentori quelli fissati dal legislatore che statuiscono il tempo massimo entro cui il procedimento deve concludersi, mentre gli ulteriori termini volti a scandire le fasi interne al procedimento hanno funzione sollecitatoria”;
- il provvedimento di irrogazione della sanzione costituisce il termine di definizione del procedimento disciplinare, non assumendo a tal fine rilievo la successiva comunicazione all’interessato.
Tanto precisato, necessario a stabilire la tempestività (o meno) dell’emanazione del provvedimento disciplinare impugnato, la sentenza ha constatato:
- che la sentenza n. 1934/2015 è stata trasmessa “in copia integrale, compresa la dizione di irrevocabilità della stessa” in data 10 marzo 2015 al Nucleo Investigativo del Reparto operativo dei Carabinieri di Roma;
- che tale è, dunque, la data in cui la sentenza “è stata compiutamente partecipata alla p.a. . . . a nulla rilevando il reparto cui l’atto è stato trasmesso, atteso il principio di unicità dell’amministrazione anche con riferimento alle sedi distaccate”;- peraltro, il principio generale secondo il quale “ove l’amministrazione si ritenga non competente . . . ha l’obbligo di trasmettere l’istanza all’ufficio competente”, è applicabile anche nell’ipotesi di ufficio non competente, interno ad un’amministrazione, rispetto all’ufficio competente appartenente alla medesima amministrazione;
- pertanto - attesa l’intervenuta comunicazione in data 10 marzo 2015 e la conclusione del procedimento disciplinare determinatasi con l’adozione del provvedimento finale in data 24 dicembre 2015 – risulta superato il termine di 270 giorni per la definizione del procedimento disciplinare, decorrente dalla conoscenza integrale della sentenza da parte della P.A..
1.3. Avverso tale decisione vengono proposti i seguenti motivi di appello:
error in iudicando ;violazione e falsa applicazione art. 1392 d. lgs. n. 66/2010;ciò in quanto:
a) la sentenza impugnata ha fatto erroneamente decorrere il termine per la conclusione del procedimento disciplinare dal 10 marzo 2015, poiché la stessa veniva trasmessa con la dizione “per la destinazione di quanto sequestrato” ed era appunto inviata al Reparto operativo del Nucleo investigativo dei Carabinieri di Roma “in quanto custode ed organo di polizia giudiziaria incaricato della restituzione dei beni sequestrati”;
b) la copia trasmessa non è idonea a far decorrere il termine in quanto “non riproduce integralmente il testo della decisione”, di modo che “se ai fini del dissequestro è sufficiente la sola parte dispositiva della sentenza, per il corretto esercizio del potere disciplinare che postula la valutazione delle condotte emerse in sede penale, anche a tutela dell’incolpato, è indispensabile l’effettiva ed indubitabile piena cognizione della sentenza, che non poteva assolutamente realizzarsi mediante la trasmissione incompleta e disordinata degli atti da parte dell’Autorità Giudiziaria del 10 marzo 2015”;
c) impossibilità di individuare nella data del 10 marzo 2015 il dies a quo del termine di 270 giorni, si desume anche dal combinato disposto dell’art. 1392 d. lgs. n. 66/2010, con l’art. 154-ter Cpp. Infatti, poiché quest’ultimo prevede che la cancelleria del giudice che ha pronunciato la sentenza nei confronti di un dipendente di un’amministrazione pubblica “ne comunica il dispositivo all’amministrazione di appartenenza e, su richiesta di questa, trasmette copia integrale del provvedimento”, da ciò consegue che il termine non può che decorrere dall’acquisizione della copia integrale della sentenza (e nel caso di specie, ciò è avvenuto in data 18 maggio 2015).
1.4. Si è costituito in giudizio il maresciallo E S, che ha innanzi tutto concluso per il rigetto dell’appello, stante la sua infondatezza.
Ha, inoltre, proposto appello incidentale, deducendo (pagg. 25 – 44 memoria dep. il 1 settembre 2017):
violazione artt. 24 e 27 Cost.;violazione del diritto di difesa nel procedimento amministrativo e nel processo penale;violazione del principio di non colpevolezza;violazione art. 3 l. n. 241/1990;carenza, apoditticità ed illogicità della motivazione in ordine alla necessità di raggiungere la piena prova della colpevolezza dell’inquisito in assenza di una sentenza penale di condanna;mancanza di tale prova ed omessa motivazione sul punto nonché illogicità, incongruità ed irragionevolezza della stessa;eccesso di potere per difetto di istruttoria, omessa autonoma valutazione dei fatti;errore e/o carenza dei presupposti;violazione art. 9 l. n. 19/1990 e degli artt. 861, co. 1, lett. d), 865 e 8767 d. lgs. n. 66/2010;eccesso di potere per irragionevolezza, sproporzione, violazione del principio di gradualità delle sanzioni;ciò in quanto:
a1) l’ipotesi di reato formulata a carico del ricorrente non ha trovato alcuna conferma giudiziaria ed a fronte di ciò il “provvedimento di perdita del grado per rimozione è manifestamente carente, illogico ed apodittico nella motivazione non essendo in alcun modo evincibile dal testo del provvedimento impugnato, al di là di insufficienti e stereotipate clausole di stile, le ragioni per le quali si è ritenuto di dover adottare nei confronti del militare in questione la massima sanzione di stato”;
b1) l’istruttoria svolta in sede disciplinare “ha continuato ad ipotizzare, senza riuscire a provarla, la commissione da parte del militare dei reati contestatigli in sede penale”, per di più “trasgredendo le regole fondamentali del procedimento amministrativo volte alla tutela del contraddittorio procedimentale e del diritto di difesa” (diniego di visione del parere espresso dall’ufficiale inquirente;verbale della seduta della Commissione di disciplina del 6 novembre 2015, nonostante istanza di accesso agli atti);
c1) l’amministrazione ha del tutto ignorato sia di avere essa stessa riammesso in servizio il militare e di non averlo ulteriormente sospeso in via facoltativa, sia “le valutazioni caratteristiche eccellenti riportate sia prima che dopo la presunta commissione dei fatti addebitatigli”, in tal modo non valutando, ai fini di una “attenta graduazione sanzionatoria”, non solo la gravità del fatto ma anche la complessiva personalità del militare.
1.5. All’udienza in Camera di consiglio per la discussione della istanza cautelare, il Collegio, ritenuti sussistenti i presupposti di cui all’art. 60 Cpa, ha trattenuto la causa in decisione per il merito.
DIRITTO
2. L’appello è fondato e deve essere, pertanto, accolto.
2.1. Questa Sezione ha già avuto modo di occuparsi (Cons. Stato, sez. IV, 24 maggio 2013 n. 2827) dell’individuazione dell’ufficio, nell’ambito dell’amministrazione di appartenenza del militare, che – una volta ricevuta una copia integrale della sentenza penale – determina quel tipo di “conoscenza” idoneo a far decorrere il termine perentorio per la conclusione del procedimento disciplinare.
Giova innanzi tutto ricordare che l’art. 1392 d. lgs. n. 66/2010 (Codice dell’ordinamento militare), prevede che “il procedimento disciplinare di stato, a seguito di giudizio penale, deve essere instaurato con la contestazione degli addebiti all’incolpato, entro 90 giorni dalla data in cui l’amministrazione ha avuto conoscenza integrale della sentenza o del decreto penale irrevocabili, che lo concludono, ovvero del provvedimento di archiviazione” (comma 1). Il successivo comma 3 prevede che “il procedimento disciplinare di stato, instaurato a seguito di giudizio penale, deve concludersi entro 270 giorni dalla data in cui l’amministrazione ha avuto conoscenza integrale della sentenza o del decreto penale, divenuti irrevocabili, ovvero del provvedimento di archiviazione”.
La giurisprudenza richiamata (le conclusioni della quale il Collegio ritiene di confermare nella presente sede) - nell’escludere che l’amministrazione di appartenenza del militare da sottoporre a procedimento disciplinare possa identificarsi esclusivamente con il Comando del Corpo competente, per ragioni di residenza del militare, all’esame del giudicato penale ai fini dell’eventuale procedimento disciplinare – ha affermato che:
“il termine iniziale per l’esercizio dell’azione disciplinare, che, ai sensi dell’art. 1392 d. lgs. n. 66/2010, coincide con la data in cui l’amministrazione ha avuto conoscenza integrale della sentenza, più specificamente si identifica – in assenza di diversa disposizione di legge – con la data in cui un ufficio dell’amministrazione medesima (a ciò deputato) ha ricevuto cognizione dell’atto, essendo questo così pervenuto nella sfera di disponibilità della stessa”.
In sostanza:
- per un verso, si è escluso di poter individuare (restrittivamente) l’organo e/o ufficio dell’amministrazione cui è dalla norma riferita la integrale conoscenza nel solo organo titolare del potere disciplinare, poichè il riferimento all’amministrazione militare deve intendersi all’amministrazione nel suo complesso (si è a tal fine affermato che “una cosa è l’amministrazione quale soggetto complessivamente individuato;altra cosa è l’organo dell’amministrazione che – nell’ambito di questa e nel rispetto del principio di legalità – è competente all’esercizio di determinati poteri o tenuto a determinati comportamenti”);
- per altro verso, l’ufficio dell’amministrazione militare che riceve la copia integrale della sentenza, così determinandosi l’integrale conoscenza dell’amministrazione medesima, e, di conseguenza, il dies a quo del computo del termine complessivo del procedimento disciplinare, non può essere individuato in qualsivoglia ufficio, ma, più propriamente, in un ufficio “a ciò deputato”, quale può essere il comando di appartenenza del militare al momento della trasmissione della copia, ovvero (come nel caso esaminato dalla sentenza richiamata) il plesso dei Carabinieri presso l’ufficio giudiziario che ha pronunciato la sentenza.
Ed infatti, se non può ritenersi idoneo a far decorrere il termine il solo invio, o comunque, la ricezione della copia integrale della sentenza da parte dell’organo titolare del potere disciplinare - poiché, in tal modo, “per un verso si cadrebbe in una evidente incertezza in ordine alla identificazione del termine iniziale;per altro verso, si rimetterebbe alla medesima amministrazione, in dipendenza dei comportamenti da essa in concreto tenuti (afferenti alla trasmissione dell’atto all’ufficio o organo competenti), la definizione di tale termine” - allo stesso modo non può ritenersi idonea ad individuare il dies a quo la intervenuta ricezione della predetta sentenza da parte di un qualunque plesso dell’amministrazione militare, poiché, in tal modo, si determinerebbe una “incisione” non ragionevole sul termine riconosciuto all’amministrazione per la conclusione del procedimento.
Per le ragioni innanzi esposte, non può essere condivisa la ricostruzione dell’appellante ( sub lett. c) dell’esposizione in fatto), secondo la quale, poiché l’art. 154-ter c.p.p. prevede che la cancelleria del giudice che ha pronunciato la sentenza nei confronti di un dipendente di un’amministrazione pubblica “ne comunica il dispositivo all’amministrazione di appartenenza e, su richiesta di questa, trasmette copia integrale del provvedimento”, da ciò conseguirebbe che il termine non può che decorrere dall’acquisizione della copia integrale della sentenza, come da richiesta della medesima amministrazione.
Ed infatti, anche in questa ipotesi interpretativa, la decorrenza del termine perentorio per la conclusione del procedimento disciplinare sarebbe rimessa alla volontà dell’amministrazione, venendo meno quei profili di obiettività e certezza voluti dal legislatore a garanzia dell’incolpato.
2.2. Nel caso di specie, la copia della sentenza (della quale viene contestato, ma non comprovato, il difetto di integralità) è stata inviata dall’ufficio giudiziario (Tribunale di Roma) con la dizione “per la destinazione di quanto sequestrato”, al Reparto operativo del Nucleo investigativo dei Carabinieri di Roma;e ciò, come sostenuto dall’appellante, “in quanto custode ed organo di polizia giudiziaria incaricato della restituzione dei beni sequestrati”.
Alla luce di quanto innanzi esposto, consegue che la data del 10 marzo 2015 (di ricezione della copia della sentenza da parte del Reparto operativo del Nucleo investigativo dei Carabinieri di Roma) non può essere individuata come dies a quo ai fini della decorrenza del termine di 270 giorni per la conclusione del procedimento disciplinare.
E ciò in ragione della “eccentricità” del plesso dell’amministrazione militare destinataria della copia della sentenza, (con riferimento alla vicenda penale/disciplinare ovvero alla sede di svolgimento del servizio da parte del militare, utilizzato presso il Reparto territoriale CC di Aprilia: v. pag. 7 memoria), alla quale occorre aggiungere anche la finalità dell’invio, riferita alla restituzione di quanto sequestrato.
In definitiva, la copia della sentenza non è stata inviata ad un ufficio dell’amministrazione militare, tale da ritenersi deputato a riceverla, onde conseguire la “integrale conoscenza”, di cui all’art. 1392 d. lgs. n. 66/2010 e, dunque, rendere possibile l’individuazione del dies a quo per la decorrenza del termine di 270 giorni per la conclusione del procedimento disciplinare (la prova del superamento del quale incombe a chi eccepisce la tardività del provvedimento sanzionatorio emanato).
Per le ragioni esposte, l’appello deve essere accolto.
3. L’accoglimento dell’appello proposto dal Ministero della Difesa rende necessario l’esame dell’appello incidentale proposto.
Lo stesso è infondato e deve essere, pertanto, respinto.
Giova, innanzi tutto, ricordare che le valutazioni dei fatti costituenti illecito disciplinare e, una volta accertato tale illecito, la determinazione in concreto della sanzione da irrogare rientrano nella sfera di discrezionalità dell’amministrazione, sindacabile dal giudice amministrativo in sede di legittimità (oltre che per incompetenza dell’organo o specifica violazione di legge), solo per eccesso di potere per contraddittorietà e/o illogicità tra presupposto valutativo/argomentativo e determinazione in concreto, cui l’amministrazione è pervenuta, ovvero per palese irragionevolezza della sanzione irrogata.
Tali condizioni non ricorrono nel caso di specie, in quanto:
- per un verso, l’amministrazione ha posto a fondamento delle proprie valutazioni i fatti già oggetto del procedimento penale (e del precedente provvedimento di sospensione), non assumendo particolare rilievo, in sede disciplinare, l’esito del citato procedimento (conclusosi, peraltro, non già con una assoluzione con formula piena, bensì con la formula del non doversi procedere per intervenuta prescrizione);
- per altro verso, in disparte ogni considerazione in ordine alla possibilità di una ulteriore sospensione del militare dal servizio (oltre il termine dei cinque anni già decorso), la natura dei fatti contestati non appare tale da far considerare irragionevole la sanzione irrogata, pur a volere eventualmente considerare la complessiva personalità del militare e la sua ulteriore condotta nell’ambito del rapporto di servizio;
- per altro verso ancora, a fronte di quanto ora esposto, non possono assumere rilievo le eventuali prospettate violazioni procedimentali nelle quali sarebbe incorsa l’amministrazione, laddove essa non avrebbe consentito l’accesso del militare a due determinati atti, posto che (come si evince da quanto esposto a pag. 9 della memoria dep. il 1 settembre 2017), l’accesso è stato, in generale, consentito (ed uno dei due atti per i quali, secondo l’appellato, esso non sarebbe stato concesso, è il verbale della seduta conclusiva, di modo che non appare sussistere incisione del principio del contraddittorio);né si evince in qual modo la mancata conoscenza di detti atti avrebbe inciso sulla piena partecipazione procedimentale dell’incolpato.
4. Per tutte le ragioni esposte, l’appello del Ministero della Difesa deve essere accolto, mentre deve essere respinto l’appello incidentale proposto.
Da ciò consegue che, in riforma della sentenza impugnata, deve essere rigettato il ricorso instaurativo del giudizio di I grado.
Stante la natura delle questioni trattate, sussistono giusti motivi per compensare tra le parti spese ed onorari di giudizio.