Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2013-09-04, n. 201304409

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2013-09-04, n. 201304409
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201304409
Data del deposito : 4 settembre 2013
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 11061/2001 REG.RIC.

N. 04409/2013REG.PROV.COLL.

N. 11061/2001 REG.RIC.

N. 11635/2001 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 11061 del 2001, proposto da:
Mccesi P, rappresentato e difeso dall'avv. A C, con domicilio eletto presso Luigi Medugno in Roma, via Panama 58;



contro

M S, A C, A A, C R, B M, M M, rappresentati e difesi dall'avv. P N, con domicilio eletto presso Costanza Acciai in Roma, piazza del Fante 2;



nei confronti di

Comune di Apiro; Associazione Avi Marche;



sul ricorso numero di registro generale 11635 del 2001, proposto da:
Comune di Apiro, rappresentato e difeso dagli avv. Ranieri Felici e Sergio Del Vecchio, con domicilio eletto presso quest’ultimo in Roma, viale Giulio Cesare 71;



contro

M S, A C, A A, C R, B M e M M, rappresentati e difesi dall'avv. P N, con domicilio eletto presso Costanza Acciai in Roma, piazza del Fante n. 2;
Associazione Avi Marche, rappresentata e difesa dall'avv. Giovanni Ranci, con domicilio eletto presso Elio Vitale in Roma, viale Mazzini 6;



nei confronti di

Mccesi P;



per la riforma

quanto ad entrambi i ricorsi:

della sentenza del T.a.r. Marche - Ancona n. 00958/2001, resa tra le parti, concernente concessione edilizia per lavori di costruzione capannone avicolo


Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 30 aprile 2013 il Cons. Fabio Franconiero e uditi per le parti gli avvocati Calzolaio e Giammaria su delega dell’avv. Niccolaini;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.




FATTO e DIRITTO

1. Il presente giudizio trae origine dall’impugnativa proposta davanti al TAR Marche dagli odierni appellati, tutti residenti in frazione San Isidoro del Comune di Apiro, avverso la concessione edilizia (datata 15 dicembre 1998, n. 64) rilasciata a P Mcesi, per effettuare lavori di costruzione in tale località di un capannone con struttura prefabbricata in acciaio destinato all’allevamento avicolo.

2. Il TAR ha accolto l’impugnativa, reputando tale provvedimento illegittimo per plurime ragioni, e cioè:

- per contrasto con lo strumento urbanistico vigente, dato da una variante del 1984 al programma di fabbricazione comunale, vietante la realizzazione di industrie “nocive” al di fuori della zona appositamente prevista dallo strumento urbanistico vigente, diversa da quella su cui l’intervento è stato assentito, la cui destinazione agricola è incompatibile con tale tipologia di insediamento; ciò sul presupposto che l’allevamento avicolo è qualificabile come industria insalubre di prima classe ai sensi dell’art. 216 t.u. leggi sanitarie di cui al r.d. n. 1265/1943 e nell’elenco contenuto nel D.M. 5 settembre 1994, n. 1, lett. c), e dunque rientrante nella previsione urbanistica in questione;

- per violazione della l. reg. n. 13/1990 (“Norme edilizie per il territorio agricolo”), in ragione della mancanza del presupposto, necessario per la realizzazione di attività industriali in zone agricole, del collegamento funzionale tra il capannone assentito e la conduzione del fondo, trattandosi di allevamento intensivo qualificabile come allevamento industriale nocivo;

- per mancato rispetto della distanza minima del capannone dal centro abitato di San Isidoro, consistente in 200 metri, contro i 500 imposti dall’art.9, comma 2, lett. b), l. reg. n. 13/1990 citata.

3. La sentenza è appellata tanto dal Comune di Apiro quanto dal controinteressato Mccesi.

3.1 L’amministrazione deduce che:

- il concetto di industria nociva fatto proprio dalla variante al programma di fabbricazione non coincide con quello di industria insalubre di cui al r.d. n. 1265/1934, ma, come si evince dalla pertinente norma tecnica di attuazione introdotta con la predetta variante (art. 33-b), “fa riferimento esclusivo alle industrie pericolose in concreto” , e cioè a quelle dai cui processi lavorativi si sprigionano emissioni inquinanti, a tale ipotesi non potendo ricondursi l’allevamento avicolo in contestazione;

- non sussiste alcuna violazione della legge regionale regolante l’attività edificatoria in zone agricole del 1990, visto che quello oggetto del presente giudizio, oltre ad essere funzionale all’attività di allevamento a carattere non industriale, è comunque qualificabile come ampliamento, assentibile in zona agricola ai sensi dell’art. 3, comma 3 della citata l. reg. n. 13/1990, in quanto Mccesi è già titolare nel medesimo complesso di altro capannone impiegato a scopo di allevamento avicolo, mentre la tesi fatta propria dal giudice di primo grado conduce a configurare un vincolo di inedificabilità assoluta non ricavabile dal testo unico delle leggi sanitarie né dalla predetta legge regionale;

- il TAR ha errato nel qualificare il capannone oggetto della concessione edilizia impugnata come insediamento industriale ai sensi della ridetta l. reg. n. 13/1990, attraverso l’integrazione del parametro, previsto dall’art. 9, comma 4, consistente nel rapporto peso del bestiame allevato/superficie previsto dalla richiamata legislazione nazionale (l. n. 319/1976 “Norme per la tutela delle acque dall'inquinamento”), con l’ulteriore criterio del collegamento funzionale tra l’attività di allevamento e la conduzione del fondo, elaborato dalla Cassazione in materie estranee a quella dell’edilizia, nonché facendo sul punto proprie le risultanze della consulenza tecnica di parte ricorrente; quindi disattendendo il parere dell’Asl che ha escluso qualsiasi pericolosità in concreto dell’allevamento;

- parimenti erronea è la statuizione di accoglimento della censura concernente l’asserito mancato rispetto delle distanze legali, attesa, da un lato, la genericità con la quale la stessa è stata dedotta, ossia senza specificazione della fonte normativa violata, e dall’altro per avere considerato la frazione di San Isidoro un centro abitato, trattandosi invece di nucleo costituito da poche case sparse.

3.2 Il secondo formula i seguenti motivi, qui di seguito sintetizzati:

- irricevibilità del ricorso, disconosciuta dal TAR, sul rilievo che i lavori di costruzione del capannone sono iniziati il 3 maggio 1999, a fronte di una proposizione dell’impugnativa avvenuta solo il 6 novembre successivo, benché i ricorrenti fossero consapevoli sin dall’origine della natura e delle caratteristiche dell’intervento edilizio ed aderendo, nel merito, alle censure dell’amministrazione appellante;

- ultrapetizione, accolto per avere ritenuto non edificabile in zona agricola il capannone di cui alla concessione edilizia impugnata, pur non avendo i ricorrenti formulato una simile censura, essendosi questi ultimi limitati ad assumerne il carattere di industria insalubre ai sensi del t.u. leggi sanitarie;

- erroneità nel merito della sentenza di primo grado, per avere qualificato come industriale e nocivo l’allevamento progettato, laddove lo stesso, in ragione del rapporto peso/superficie di cui alla l. n. 319/1976 avrebbe dovuto essere qualificato come ampliamento dell’attività di allevamento zootecnico già esercitata; per averne quindi sostenuto l’inedificabilità in zona agricola; per avere dato credito alla perizia di controparte e per avere introdotto il criterio del collegamento con il fondo agricolo;

- erronea applicazione dell’art. 33-b N.T.A. del programma di fabbricazione;

- erroneo mancato rilievo del parere favorevole dell’Asl;

- inammissibilità per genericità del motivo concernente il mancato rispetto delle distanze legali, nondimeno accolto dal giudice di primo grado ed infondatezza dello stesso, a causa dell’inesistenza di un centro abitato.

4. Si sono costituiti i ricorrenti in primo grado per resistere agli appelli, nonché l’Associazione Avi Marche, interveniente ad oppponendum in primo grado, la quale invece aderisce alle conclusioni delle parti appellanti.

5. Così riassunte le prospettazioni delle parti costituite in giudizio, preliminarmente va disposta la riunione degli appelli in virtù del disposto dell’art. 96 cod. proc. amm., in quanto promossi avverso la medesima sentenza.

6. Nell’ordine delle questioni dedotte dalle due parti appellanti ha evidentemente carattere prioritario l’eccezione di irricevibilità del ricorso di primo grado riproposta da Mccesi, il quale pretende di fare decorrere il termine per impugnare la concessione edilizia in proprio favore dalla data di avvio dei lavori.

6.1 Nel respingerla, il TAR ha correttamente applicato il costante indirizzo della giurisprudenza amministrativa in materia di termine per l’impugnazione di titoli edilizi da parte dei controinteressati, tradizionalmente individuato nel momento in cui può dirsi insorta in questi ultimi la “consapevolezza dell’esistenza delle violazioni della disciplina urbanistica derivanti dal progetto” . Più precisamente, secondo quanto ancora di recente ribadito da questo Consiglio di Stato (sez. IV, 5 aprile 2013 n. 1904; 26 marzo 2013, n. 1699; 15 febbraio 2013, n. 922; 30 gennaio 2013, n. 608; sez. V, 16 aprile 2013, n. 2107), in linea con l’insegnamento dell’Adunanza plenaria (sentenza 29 luglio 2011, n. 15, § 6.3), tale termine coincide di regola, quando cioè non si deduca l’inedificabilità assoluta, con l’ultimazione dei lavori o

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