Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2020-11-13, n. 202007008
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Pubblicato il 13/11/2020
N. 07008/2020REG.PROV.COLL.
N. 05617/2011 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5617 del 2011, proposto dal signor G A, in proprio e nella qualità di erede del signor M A, rappresentato e difeso dall’avvocato V B B, elettivamente domiciliato presso il suo studio in Roma, via A. Papa, n. 21,
contro
Roma Capitale, in persona del Sindaco in carica
pro tempore
, rappresentata e difesa dagli avvocati A M, R M e A C, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia,
nei confronti
della signora E C, non costituitasi in giudizio,
per la riforma
della sentenza del T.a.r. per il Lazio, sede di Roma (Sezione II ter ), n. 26074 del 15 luglio 2010, resa inter partes , concernente lo sgombero di opere abusive e immissione in possesso.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Roma Capitale;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore, nell’udienza pubblica del giorno 6 ottobre 2020, il consigliere Giovanni Sabbato;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Con ricorso n. 11746 del 1994, proposto innanzi al T.a.r. per il Lazio, sede di Roma, i signori G A e M A avevano chiesto l’annullamento della disposizione del Comune di Roma, in data 30 aprile 1994, con la quale era stata disposta la trascrizione di tale provvedimento presso i registri immobiliari, nonché l’immissione in possesso dell’Amministrazione comunale in relazione ad un manufatto in muratura di mt. 1,80 x 2,00, edificato abusivamente, già oggetto di ordinanza di demolizione del 1° luglio 1992 rimasta inottemperata.
2. A sostegno dell’impugnativa i ricorrenti avevano dedotto che il precedente ordine demolitorio non era stato correttamente notificato e che comunque il piccolo manufatto, destinato a ripostiglio, era stato spontaneamente demolito già nel marzo 1992.
3. Costituitasi l’Amministrazione comunale al fine di resistere, nonché intervenuta ad adiuvandum la signora E C nella veste di comproprietaria, il Tribunale adìto (Sezione II ter ), dopo aver accolto la domanda di sospensione del provvedimento impugnato (ordinanza n. 3149 del 15 dicembre 1994), ha cosi deciso il gravame al suo esame:
- ha respinto l’eccezione di inammissibilità del ricorso;
- ha respinto il ricorso, reputando infondate tutte le censure sollevate;
- ha compensato le spese di lite.
4. In particolare, il Tribunale ha ritenuto che:
- “ l’Amministrazione ha prodotto in giudizio copia delle attestazioni di avvenuta notifica a cura del messo comunale del provvedimento n. 19704 del 1° luglio 1992 ad entrambi i ricorrenti;
- “la difesa dell’Amministrazione ha prodotto documentazione fotografica relativa all’avvenuto sopralluogo in data 14.04.2010 presso l’immobile abusivo, a cura della Polizia Municipale, da cui si evince che la demolizione spontanea è stata soltanto parziale, permanendo ancora la copertura del manufatto abusivo ”.
5. Avverso tale pronuncia il signor G A, anche in qualità di erede del signor M A – nelle more deceduto – ha interposto appello, notificato il 27 giugno 2011 e depositato il 4 luglio 2011, lamentando, attraverso quattro motivi di gravame (pagine 5-9) coi quali ha reiterato i motivi di primo grado ritenuti non adeguatamente vagliati, quanto di seguito sintetizzato:
I) il Tribunale non si sarebbe avveduto che il provvedimento impugnato, così come la precedente ordinanza demolitoria, non era stato mai notificato alla comproprietaria signora C;
II) il Tribunale avrebbe errato nel ritenere che il manufatto non è stato già spontaneamente demolito essendo residuata, all’esito di tali operazioni, soltanto una tettoia in quanto tale priva di rilevanza urbanistica;
III) il Tribunale non avrebbe altresì considerato che è mancato il passaggio provvedimentale necessario al fine di formalmente accertare l’inottemperanza all’ordine demolitorio;
IV) il Tribunale non si sarebbe espresso in ordine alla doglianza relativa alla eccessiva e sproporzionata ampiezza dell’area da acquisire, ben 10 volte quella interessata dall’intervento edilizio sanzionato.
6. L’appellante ha concluso chiedendo, in riforma dell’impugnata sentenza, l’accoglimento del ricorso di primo grado e quindi l’annullamento sia del provvedimento di acquisizione che di quello presupposto.
7. In data 19 luglio 2011, Roma Capitale si è costituita in giudizio, con la successiva presentazione di memoria difensiva, chiedendo il rigetto del ricorso.
8. Con ordinanza cautelare n. 4128 del 27 settembre 2011, la domanda di sospensione degli effetti dell’impugnata sentenza è stata respinta con la seguente motivazione: “ Considerato che nella fattispecie non sussistono profili che, ad un sommario esame proprio della fase cautelare, inducono alla previsione di un esito favorevole del ricorso in appello, tenuto conto che la notificazione dell’ingiunzione a demolire risulta effettuata e che la demolizione è stata eseguita solo in parte ”.
9. In vista della trattazione nel merito del ricorso le parti non hanno svolto difese scritte.
10. La causa, chiamata per la discussione alla pubblica udienza del 6 ottobre 2020, è stata ivi trattenuta in decisione.
11. Ritiene il Collegio che l’appello sia infondato e sia pertanto da respingere.
12. Come esposto in narrativa, col primo mezzo l’appellante deduce che l’ordinanza demolitoria del 1° luglio 1992 (nonché la stessa ordinanza acquisitiva) non era stata notificata alla signora C, ancorché la notifica fosse necessaria in considerazione della sua condizione di comproprietaria del manufatto abusivo.
12.1. E’ vero che, per pacifica giurisprudenza, affinché un bene immobile abusivo possa formare legittimamente oggetto dell’ulteriore sanzione costituita dall’acquisizione gratuita al patrimonio comunale ai sensi dell’art. 31 del d.P.R. n. 380/2001, occorre che il presupposto ordine di demolizione sia stato notificato a tutti i proprietari, al pari anche del provvedimento acquisitivo, ciò perché risponde ad ovvi principi di tutela del diritto di difesa e di partecipazione procedimentale il non riconoscere idoneità fondativa dell’irrogazione della sanzione dell’acquisizione al patrimonio comunale all’inottemperanza all’ingiunzione di demolizione da parte dei proprietari che di quest’ultima non abbiano ricevuto regolare notifica, e perché, con la sanzione dell’acquisizione, si viene a pregiudicare definitivamente il soggetto già titolare del diritto di proprietà sui beni confiscati (cioè il fabbricato e le aree circostanti, nella misura indicata dalla legge), per cui necessariamente tale provvedimento ablatorio, a contenuto sanzionatorio, deve essere notificato al proprietario inciso e, se i proprietari siano più di uno, esso deve essere notificato a tutti, atteso che non sarebbe possibile una spoliazione solo pro quota (cfr., ex multis , Cons. giust. amm. sic., 27 giugno 2016, n. 642, e diffusissima giurisprudenza di primo grado). Ed è vero anche che, nel caso di specie, il Comune non ha smentito l’omessa notifica dell’ordine di demolizione alla sig.ra C, quale coniuge dell’appellante e comproprietaria del manufatto interessato dagli abusi, e che nel ricorso di primo grado tale circostanza era stata lamentata (unitamente a quella, della quale il T.a.r. ha ravvisato la non veridicità, dell’omessa notifica anche ai due ricorrenti). Osserva il Collegio che tale mancanza sarebbe in grado di refluire sulla legittimità dell’atto acquisitivo, alla luce del consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui “ Perché un bene immobile abusivo possa legittimamente essere oggetto dell’ulteriore sanzione costituita dall’acquisizione gratuita al patrimonio comunale ai sensi dell’art. 31, d.P.R. n. 380 del 2001, occorre che il presupposto ordine di demolizione sia stato notificato a tutti i comproprietari, al pari anche del provvedimento acquisitivo. È evidente che indirizzare il provvedimento monitorio anche al comproprietario dell'immobile costituisce una garanzia per lo stesso, visto che quest'ultimo potrà attivarsi per ottenere la demolizione delle opere abusive al fine di non vedersi spogliato della proprietà dell’area in caso di inottemperanza ai sensi dell’art. 31, comma 3, d.P.R. n. 380/2001 ” (cfr. T.a.r. Napoli, sez. VIII, 14 novembre 2019, n. 5359).
Diversamente opinando, si finirebbe infatti per mettere il contitolare nelle condizioni di subire a sua insaputa la confisca del bene e dell’area di sedime. Ne consegue che il soggetto nel cui interesse è prevista detta comunicazione può legittimamente censurare la relativa omissione che assume un valore sostanziale e non meramente procedimentale o processuale;ciò in ragione della funzione assolta dall’istituto consistente nell'esigenza di portare a conoscenza dell'atto il suo destinatario o
12.2. Tuttavia, il motivo articolato dall’appellante con riferimento a tale mancata notifica risulta gravato da causa di inammissibilità per difetto di interesse, come da eccezione sollevata dal Comune sul rilievo che la suddetta comproprietaria non si è mai ritualmente doluta dell’omissione, limitandosi a un intervento ad adiuvandum in primo grado, e che pertanto, avendo essa prestato acquiescenza al vizio de quo , l’odierno appellante non aveva interesse a dedurlo neanche in primo grado. Invero, la mancata formale notificazione dell’ingiunzione di demolizione dell’opera edilizia abusivamente realizzata a tutti i comproprietari della stessa non costituisce vizio di legittimità dell’atto, che rimane quindi valido ed efficace, in quanto la notificazione costituisce una condizione legale di efficacia dell’ordinanza demolitoria (trattandosi di atto recettizio impositivo di obblighi ai sensi dell’art. 21 bis , l. n. 241 del 1990), vale a dire un presupposto di operatività dell’atto nei confronti dei suoi diretti destinatari, con la conseguenza che la relativa omissione è censurabile esclusivamente dal soggetto nel cui interesse la comunicazione stessa è posta. Tanto in ragione della funzione assolta dall’istituto, consistente nell’esigenza di portare a conoscenza dell’atto del suo destinatario, onde ottenere la sua personale e soggettiva collaborazione necessaria per il conseguimento del fine. Ne consegue che alcun pregiudizio può discendere in capo a chi ha ricevuto ritualmente la notificazione dell’atto per effetto della mancata notifica del provvedimento agli altri comproprietari del bene.
13. Risultano altresì infondati gli ulteriori motivi d’appello, dovendosi rilevare:
- quanto all’intervenuta demolizione parziale del manufatto abusivo, non negata dallo stesso appellante, che, una volta che all’ordine di demolizione non sia stata data piena e integrale esecuzione, l’acquisizione al patrimonio comunale è un effetto automatico e indefettibile, senza che vi sia spazio per valutazioni discrezionali circa la rilevanza e l’incidenza della porzione non demolita (questioni che, semmai, avrebbero dovuto essere sollevate in sede di impugnazione dell’ordine di demolizione);
- che, ad ogni modo, una tettoia (in tavolato con copertura in tegole), quale manufatto che sarebbe residuato dall’intervento di demolizione, è da considerare senz’altro rilevante sul piano urbanistico, come confermato di recente dalla Sezione (sentenza, 25 maggio 2020, n. 3329) secondo cui “ La nozione di costruzione si configura in presenza di opere che comportino la trasformazione urbanistico-edilizia del territorio, con perdurante modifica dello stato dei luoghi. In altri termini non è necessario che l'alterazione dello status quo ante dell'assetto urbano avvenga mediante realizzazione di opere murarie: le opere preordinate a soddisfare esigenze non precarie sotto il profilo funzionale, incidenti sul tessuto urbanistico ed edilizio, a prescindere dal materiale impiegato – sia esso metallo, laminato di plastica, legno o altro materiale – sono subordinate al rilascio del titolo edilizio. L'avvenuta realizzazione senza permesso di costruire della tettoia sorretta da pilastrini in ferro, per caratteristiche funzionali e dimensionali determina una significativa e permanente alterazione dello stato dei luoghi, e comporta l'applicazione delle sanzioni previste dagli artt. 31 e ss. d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380) ;
- nemmeno rileva la circostanza, evidenziata dall’appellante (pagina 7 del gravame), circa l’intervenuta integrale demolizione del manufatto in epoca successiva alla pronuncia di primo grado, trattandosi di ottemperanza all’ordinanza demolitoria ormai tardiva rispetto al termine di 90 giorni di cui all’art. 7 della l. n. 47/85 e pertanto ad effetto acquisitivo automatico già prodottosi.
14. Con i motivi sub III) e IV) l’appellante deduce il mancato accertamento dell’inottemperanza e l’ “ eccessiva e sproporzionata ” (cfr. pagina 9 dell’appello) ampiezza dell’area oggetto di acquisizione, censura di cui peraltro lamenta il mancato esame da parte del T.a.r. Trattasi di rilievi però inammissibili in quanto intesi a far valere censure non proposte in primo grado, in violazione del divieto di cui all’art. 104, comma 1, c.p.a. laddove prevede che “ Nel giudizio di appello non possono essere proposte nuove domande, fermo quanto previsto dall’articolo 34, comma 3, né nuove eccezioni non rilevabili d’ufficio ”.
14.1. Essi sono comunque infondati, in quanto:
- come confermato di recente dalla Sezione, “ L’accertamento dell’inottemperanza all'ingiunzione di demolizione è normativamente configurato alla stregua di un atto ad efficacia meramente dichiarativa, che si limita a formalizzare l’effetto (acquisizione gratuita del bene al patrimonio comunale) già verificatosi alla scadenza del termine assegnato con l’ingiunzione stessa;l’acquisizione gratuita al patrimonio comunale delle opere edilizie abusivamente realizzate è infatti una misura di carattere sanzionatorio che consegue automaticamente all’inottemperanza dell'ordine di demolizione;ne consegue, data la natura dichiarativa dell’accertamento dell’inottemperanza, che la mancata indicazione dell’area nel provvedimento di demolizione può comunque essere colmata con l’indicazione della stessa nel successivo procedimento di acquisizione ” (cfr. Cons. Stato, sez. II, 24 luglio 2020, n. 4725);
- se è vero, come ammette lo stesso appellante, che l’acquisizione dell’area di sedime (per mq. 36) è stata disposta, con atto prot. n. 362/94, dall’Amministrazione nel rispetto del limite di possibile sua estensione (pari al decuplo della superficie realizzata, nel caso di specie di mq. 3,6), secondo il moltiplicatore contemplato dalla norma invocata (art. 7, comma 3, l. n. 47/85 ora art. 31, comma 3, d.P.R. n. 380/2001)), il raggiungimento di tale soglia non può essere considerato ex se sintomatico del vizio denunciato di eccessiva o sproporzionata ampiezza della superficie acquisita.
15. In conclusione, l’appello in esame è infondato e deve essere respinto.
16. Sussistono nondimeno giusti motivi per compensare le spese del presente grado di giudizio.