Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2020-09-01, n. 202005336
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Pubblicato il 01/09/2020
N. 05336/2020REG.PROV.COLL.
N. 08206/2019 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8206 del 2019, proposto dai signori M G e G I, rappresentati e difesi dagli avvocati F L e C B, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato F L in Roma, via G. P. da Palestrina, n. 47;
contro
il Ministero della Giustizia, in persona del Ministro
pro tempore
, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, con domicilio eletto
ex lege
in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
nei confronti
il signor Angelo Domenico Barresi, non costituito in giudizio;
per la riforma
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della Giustizia;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 2 luglio 2020 – svoltasi in videoconferenza ai sensi dell’art. 84, commi 5 e 6, del decreto legge n. 18 del 2020, convertito nella legge n. 27 del 2020 - il Cons. Roberto Caponigro e uditi per le parti l’avvocato F L e l'avvocato dello Stato Federica Varrone, che partecipano alla discussione orale ai sensi dell'art. 4 del decreto legge n. 28 del 2020;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Il Tar per il Lazio, Sede di Roma, Prima Sezione, con la sentenza n. 7866 in data 18 giugno 2019, ha respinto il ricorso proposto dia signori M G e G I per l’annullamento dell’avviso riportante “esito delle prove preselettive” e degli esiti stessi, per la partecipazione alle successive prove concorsuali, relativo al concorso pubblico, per titoli ed esami, a n. 800 posti di assistente giudiziario, pubblicato sul sito istituzionale del Ministero della Giustizia in data 7 giugno 2017, nonché del relativo bando di concorso pubblico e, specificamente, dell’art. 8, rubricato “prove preselettive”, ed in particolare del comma che recita “saranno ammessi alle prove scritte i candidati classificatisi, in base al punteggio tra i primi 3.200 (4 volte i posti a concorso), nonché i candidati che abbiano riportato lo stesso punteggio del concorrente classificato all’ultimo posto utile”.
In particolare, i ricorrenti espongono che, pur avendo ottenuto un punteggio superiore a quello espressamente richiesto dal bando per superare le prove scritte, sono stati esclusi dal prosieguo della selezione concorsuale per effetto del criterio quantitativo contingentato di ammissione alle prove scritte, da cui è di fatto scaturito il c.d. “doppio sbarramento”.
Il ricorso in appello è articolato nelle seguenti doglianze:
Sulla cessata materia del contendere: violazione e falsa applicazione dell’art. 34, comma 5, c.p.a.;irragionevolezza, illogicità e violazione del legittimo affidamento.
La posizione giuridica degli appellanti si sarebbe consolidata per effetto del positivo superamento delle prove concorsuali, a seguito dell’ammissione con riserva, con conseguente cessata materia del contendere.
Il c.d. principio dell’assorbimento, espressamente previsto dall’art. 4, comma 2 bis, del d.l. n. 115 del 2005 per alcune ipotesi peculiari di procedure abilitative, avrebbe radici ben più risalenti di matrice giurisprudenziale.
La soluzione sarebbe stata adottata anche in materia di ammissione con riserva alle prove concorsuali, dopo il mancato superamento di quelle preselettive, in ragione del fatto che il giudizio positivo conseguito dal candidato all’esito delle prove selettive, sostenute per effetto dell’ammissione in fase cautelare, assorbirebbe quello precedente negativo, costituito dal mancato superamento della prova selettiva.
Il principio dell’assorbimento sarebbe trasponibile nella materia concorsuale nei casi in cui l’accertamento svolto dalla p.a. (prima negativo, poi positivo), si sovrapporrebbe in relazione al medesimo aspetto, vale a dire l’idoneità e la capacità del candidato.
In sostanza, occorrerebbe distinguere la situazione in cui versa il candidato ammesso con riserva a sostenere le prove selettive a fronte di una esclusione fondata sulla mancanza dei titoli o dei requisiti (ipotesi sub a), da quella in cui versa il candidato ammesso a sostenere le prove di concorso a seguito di una determinazione negativa relativa alle prove preselettive (ipotesi sub b).
Nell’ipotesi sub a), il superamento delle prove concorsuali non potrebbe contenere la precedente determinazione negativa, in quanto la prova di esame non è sostitutiva dei titoli o dei requisiti, mentre, nell’ipotesi sub b), il positivo superamento delle prove di concorso non potrebbe qualificarsi come “atto dovuto” in ottemperanza alla misura cautelare pronunciata dal giudice, ma configurerebbe un rinnovato ed automatico esercizio della potestà di accertamento tecnico sostitutivo, sovrapponendosi in relazione al medesimo aspetto dell’idoneità del candidato, a quello precedente di segno opposto.
Pertanto, nella fattispecie in esame, in cui non è in discussione il possesso dei titoli o dei requisiti o di altre illegittimità di diversa matrice, l’ammissione con riserva determinerebbe, in caso di proficuo superamento delle prove di concorso, il consolidamento della posizione sostanziale, essendosi dimostrati gli appellanti, che hanno superato le prove scritte ed orali del concorso, muniti delle capacità e competenze richieste ai fini dell’utile collocazione in graduatoria.
L’esigenza di accertamento delle suddette capacità è affidata alle prove concorsuali, mentre quelle preselettive sarebbero previste al solo fine di sfoltire la platea degli aspiranti per esigenze di economicità e speditezza dell’azione amministrativa.
Violazione e falsa applicazione dell’art. 7 d.P.R. n. 487 del 1994 nonché degli artt. 35 e 70 d.lgs. n. 165 del 2001;violazione e falsa applicazione delle previsioni del bando. Illogicità ed ingiustizia. Violazione dei principi di parità di trattamento e di buona amministrazione.
La previsione di cui all’art. 8 del bando, nella parte relativa alla quantità dei concorrenti da scrutinare, presenterebbe profili di illegittimità, soprattutto in ordine al contingentamento ex ante , che genererebbe di fatto una soglia di sbarramento avulsa dal numero dei candidati che hanno presentato domanda di partecipazione al concorso o che hanno depositato l’elaborato relativo alle prove preselettive.
Il criterio meramente quantitativo introdotto sarebbe avulso dalle esigenze tipiche delle procedure concorsuali, vale a dire dalla verifica della capacità dei candidati.
Nella preselezione, peraltro, sarebbe stato privilegiato esclusivamente lo studio mnemonico, relativamente agli elementi di diritto pubblico e diritto amministrativo, mentre sarebbe stata trascurata la somministrazione di quesiti basati su ragionamento logico, deduttivo e numerico.
Non sarebbe convincente l’argomento del Tar, secondo cui la normativa specifica, prevista dall’art. 7, comma 1, lett. a) e 2 bis d.P.R. n. 487 del 1994 non sarebbe applicabile, in quanto concerne l’individuazione di una soglia minima di punteggio per le sole prove di concorso.
Il Ministero della Giustizia ha analiticamente contestato la fondatezza delle argomentazioni dedotte, concludendo per l’inammissibilità o, comunque, per il rigetto del gravame.
Gli appellanti hanno depositato altre memorie a sostegno delle proprie difese.
All’udienza del 2 luglio 2020 – svoltasi in videoconferenza ai sensi dell’art. 84, commi 5 e 6, del decreto legge n. 18 del 2020, convertito nella legge n. 27 del 2020 – la causa è stata trattenuta per la decisione.
2. L’appello è infondato e va di conseguenza respinto.
2.1. Il Ministero della Giustizia, con decreto del Direttore Generale del personale e della formazione del 18 novembre 2016, ha indetto un concorso pubblico, per titoli ed esami, a n. 800 posti a tempo indeterminato per il profilo professionale di Assistente giudiziario, area funzionale II, fascia economica F2.
L’art. 8, comma 1, del bando di concorso, rubricato “prova preselettiva”, ha previsto la facoltà per l’Amministrazione “di far precedere le prove di esame da una prova preselettiva, qualora le domande di partecipazione siano superiori a cinque volte il numero dei posti banditi”.
Il successivo comma 10 del detto art. 8, per l’ipotesi di svolgimento della prova preselettiva, ha stabilito che “saranno ammessi alle prove scritte i candidati classificatisi, in base al punteggio, tra i primi 3.200 (4 volte i posti a concorso), nonché i candidati che abbiano riportato lo stesso punteggio del concorrente classificato all’ultimo posto utile”.
Gli odierni appellanti, svoltasi la prova preselettiva, non sono stati ammessi alle prove selettive di cui all’art. 6 del bando, alle quali sono stati ammessi soltanto i candidati che hanno totalizzato il punteggio di 50/50, pari a 3.200 concorrenti (4 volte i posti a concorso) nonché i cc.dd. pari merito, per un totale di 8.501 ammessi (l’Amministrazione, nella propria memoria, ha precisato che, di questi, 6.231 candidati sono provenienti dalla fase preselettiva, mentre 2.270 candidati sono stati ammessi direttamente alla fase selettiva, in quanto invalidi di grado superiore all’80%, ai sensi dell’art. 20, comma 2-bis, della legge n. 104 del 1992).
Questa Sezione, con ordinanza n. 3899 del 2017, in riforma dell’ordinanza del Tar, ha accolto l’istanza cautelare proposta dagli interessati, nei limiti della loro ammissione con riserva alle ulteriori fasi del concorso, “con l’esclusione di qualunque eventuale effetto ulteriore di costituzione del rapporto nel caso di conclusione favorevole della procedura selettiva, ove intervenuta prima della definizione del presente giudizio”.
A seguito dello svolgimento delle prove, alle quali sono stati ammessi con riserva, gli interessati sono stati ritenuti idonei, ma l’Amministrazione non ha inserito gli stessi in graduatoria, atteso che, in ragione della pronuncia cautelare, nessun ulteriore effetto sarebbe potuto derivare dalla loro ammissione allo svolgimento delle prove selettive.
2.2. Con il primo motivo di impugnativa, gli appellanti hanno dedotto l’erroneità della sentenza di primo grado, essendo intervenuta la cessata materia del contendere.
La prospettazione non può essere condivisa.
Il provvedimento cautelare è ontologicamente caratterizzato dalla strumentalità e dalla interinalità.
L’interinalità, in particolare, è la naturale provvisorietà della misura cautelare, destinata a perdere ogni effetto con la definizione del giudizio, qualunque sia la tipologia di sentenza adottata e cioè sia che si tratti di una sentenza di merito, ivi compresa la declaratoria di cessazione della materia del contendere, sia che si tratti di una sentenza in rito, come quella di improcedibilità.
Peraltro, nel caso in cui l’Amministrazione, con un nuovo atto, sia pure a seguito di una pronuncia cautelare, ma non in mera esecuzione di quest’ultima, provvede nuovamente sul rapporto, può determinarsi la cessata materia del contendere, ove l’ulteriore provvedimento sia satisfattivo della pretesa azionata in giudizio, ovvero, in caso contrario, può determinarsi l’improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse.
Diversamente, ove il nuovo atto sia posto in essere in mera esecuzione di un’ordinanza cautelare, non potrà essere dichiarata la cessata materia del contendere, non essendo riconducibile il nuovo atto alla volontà dell’Amministrazione e dovranno essere esaminati i motivi di impugnativa proposti avverso i provvedimenti impugnati.
Nel caso di specie, non sussiste alcun dubbio che l’Amministrazione abbia ammesso con riserva gli interessati alle prove selettive sulla base del dictum cautelare di questa Sezione che, peraltro, ha espressamente escluso “qualunque eventuale effetto ulteriore di costituzione del rapporto nel caso di conclusione favorevole della procedura selettiva, ove intervenuta prima della definizione del presente giudizio”.
Ne consegue che, sulla base dei principi generali del processo amministrativo, all’esito favorevole delle prove selettive sostenute dagli ammessi con riserva non può conseguire alcuna declaratoria di cessata materia del contendere.
Né, nel caso di specie, può trovare applicazione il c.d. principio dell’assorbimento positivizzato dall’art. 4, comma 2-bis, del decreto legge 30 giugno 2005 n. 115, secondo cui “conseguono ad ogni effetto l’abilitazione professionale o il titolo per il quale concorrono i candidati, in possesso dei titoli per partecipare al concorso, che abbiano superato le prove d’esame scritte ed orali previste dal bando, anche se l’ammissione alle medesime o la ripetizione della valutazione da parte della commissione sia stata operata a seguito di provvedimenti giurisdizionali o di autotutela”.
La disposizione impugnata ha lo scopo di evitare che il superamento delle prove di un esame di abilitazione venga reso inutile dalle vicende processuali successive al provvedimento, con il quale un giudice o la stessa amministrazione, in via di autotutela, abbiano disposto l'ammissione alle prove di esame o la ripetizione della valutazione.
La disposizione, in tal modo, ha esteso agli esami di abilitazione professionale un principio già elaborato dalla giurisprudenza amministrativa per gli esami di maturità.
La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 108 del 2009, nel disattendere la sollevata questione di legittimità costituzionale, ha posto in rilievo che la disposizione, come già evidenziato dalla giurisprudenza amministrativa, non si applica ai concorsi pubblici, ma solo agli esami di abilitazione, atteso che questi ultimi sono volti ad accertare l'idoneità dei candidati a svolgere una determinata attività professionale ed accertata questa idoneità, tale attività deve potersi liberamente esplicare.
L'accertamento deve essere compiuto da un organo imparziale e dotato di adeguate competenze e, mentre è necessario che l'accertamento vi sia, non è decisivo che esso abbia luogo nel corso dell'ordinario procedimento amministrativo di esame o a seguito di un provvedimento giurisdizionale o di autotutela amministrativa, sicché la disposizione impugnata evita che gli effetti di un simile accertamento, già compiuto, vengano travolti dal risultato del processo, eventualmente avviato in conseguenza della conclusione negativa di un precedente accertamento.
Sul primo accertamento negativo, in definitiva, la legge fa prevalere quello successivo, avente esito positivo;si tratta di una scelta operata dal legislatore in sede di bilanciamento di interessi contrapposti.
La disciplina di cui all’art. 5, comma 2.bis, del decreto legge n. 115 del 2005, convertito nella legge n. 168 del 2016, quindi, trova applicazione per le prove idoneative, ma non può trovare applicazione per i concorsi pubblici.
Infatti, mentre nelle procedure idoneative, non esiste alcun confronto competitivo tra i candidati, potendo in teoria ognuno di essi conseguire il bene della vita al quale aspira, nelle procedure concorsuali, il bene della vita è scarso, nel senso che sono attribuibili un numero di beni inferiore al numero degli aspiranti, con la conseguente necessità di non alterare la par condicio tra i concorrenti.
La par condicio , infatti, sarebbe lesa sia ove, attraverso l’applicazione della norma, verrebbe preferito, in assenza di un giudizio di merito, il candidato originariamente non ammesso rispetto ad altri sin dall’origine ammessi e “scavalcati” dal primo, con evidente compromissione del diritto di difesa dei controinteressati, sia anche ove, come nel caso di specie, pur ipotizzando che i posti a concorso siano “capienti”, possa conseguire il superamento del concorso, con conseguente cessazione della materia del contendere, colui che non abbia superato una fase della procedura, in assenza di una statuizione che riconosca l’illegittimità di tale non ammissione.
In altri termini, la arguta prospettazione degli appellanti, che distinguono tra la situazione in cui versa il candidato ammesso con riserva a sostenere le prove selettive a fronte di una esclusione fondata sulla mancanza dei titoli o dei requisiti e quella in cui versa il candidato ammesso a sostenere le prove di concorso a seguito di una determinazione negativa relativa alle prove preselettive, non può essere condivisa, in quanto, sebbene esposta in modo approfondito, non supera il rilievo che, mentre nelle prove idoneative il candidato ha superato in sede di riesame proprio le prove per le quali era stato ritenuto in origine non idoneo, nella fattispecie in esame, il superamento delle prove selettive non fa venire meno il dato che gli interessati, alla prova preselettiva, hanno ottenuto un punteggio non sufficiente per l’ammissione, condizione (l’aver ottenuto un punteggio utile) che finisce con il costituire un vero e proprio “requisito” di ammissione alle prove selettive.
In sostanza, seguendo la tesi proposta, si avrebbe che solo per i due odierni appellanti la prova preselettiva diverrebbe priva di rilievo, tanto da essere considerata tamquam non esset perché assorbita dalle successive valutazioni alle prove selettive, mentre per tutti gli altri candidati, come da corretta applicazione del bando di concorso, la prova preselettiva ha assunto decisivo rilievo, determinandone la ammissione o la non ammissione alle prove selettive.
La sentenza dell’Adunanza Plenaria, in ordine alla possibilità di sanatoria introdotta dall’art. 4, comma 2-bis, della legge n. 168/2005, ha evidenziato che essa deve ritenersi ammessa soltanto per le varie ipotesi di procedimenti finalizzati alla verifica della idoneità dei partecipanti allo svolgimento di una professione il cui esercizio risulti regolamentato nell'ordinamento interno, ma non riservato ad un numero chiuso di professionisti, mentre va esclusa per le selezioni di stampo concorsuale per il conferimento di posti a numero limitato e, d’altra parte, il citato art. 4, comma 2-bis, riguardante gli esami per il conseguimento di una abilitazione professionale, ha natura eccezionale e non è suscettibile di applicazione analogica ( Cons. St., VI, 21 maggio 2013, n. 2727).
2.3. L’appello, quindi, deve essere esaminato con riguardo alle censure di merito.
2.4. Le doglianze di merito non sono persuasive.
In primo luogo, occorre evidenziare che l’art. 7, comma 1, del d.P.R. n. 487 del 1994 disciplina esclusivamente le prove selettive, indicando che conseguono l’ammissione al colloquio i candidati che abbiano riportato in ciascuna prova scritta una votazione di almeno 21/30 o equivalente, mentre non assume alcun rilievo per le prove preselettive che possono essere discrezionalmente previste dall’Amministrazione ai sensi del comma 2-bis dello stesso art. 7, aggiunto dall’art. 7 del d.P.R. n. 693 del 1996, secondo cui le prove di esame possono essere precedute da forme di preselezione.
La preselezione, pertanto, può essere prevista dall’Amministrazione che indice il concorso al fine di “sfoltire” il numero dei partecipanti e, quindi, di rendere, per quanto possibile, più rapida ed efficace la procedura concorsuale, tanto più in concorsi che, come quello in esame, fanno registrare un enorme numero di domande di partecipazione (76.830 candidati).
L’art. 8 del bando, peraltro, non ha introdotto una doppia soglia di sbarramento, ma un’unica soglia, disponendo l’ammissione alle prove selettive di un numero di candidati pari a quattro volte i posti a concorso e dei candidati che abbiano riportato lo stesso punteggio del concorrente classificatosi all’ultimo posto utile, sicché la circostanza che l’ammissione alle prove selettive abbia di fatto postulato il conseguimento di un punteggio pari a 50/50 costituisce un dato meramente occasionale e non prevedibile.
Tale disciplina, laddove ha previsto l’ammissione di un numero di candidati come innanzi descritto, anziché stabilire l’ammissione sulla base di un punteggio minimo predeterminato, costituisce esercizio di discrezionalità tecnica non abnorme, in quanto plausibile, seppure opinabile, ed è coerente con la richiamata finalità di assicurare lo svolgimento delle procedure concorsuale in un tempo ragionevole.
D’altra parte, l’ammissione alle prove selettive di 8.501 candidati a fronte degli 800 posti messi a concorso depone a favore della ragionevolezza della previsione del bando, che non può dirsi viziato né per violazione di legge, né per figure sintomatiche dell’eccesso di potere.
Infine, la circostanza che la prova selettiva sia stata svolta, ai sensi dell’art. 8, comma 2 del bando di concorso, sulle materie costituite da elementi di diritto pubblico ed elementi di diritto amministrativo, non è indice di alcun profilo di illogicità dell’azione amministrativa, trattandosi di materie senz’altro pertinenti all’oggetto del concorso.
3. L’assoluta peculiarità della fattispecie consente di compensare eccezionalmente le spese del giudizio.