Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2018-01-25, n. 201800527

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2018-01-25, n. 201800527
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201800527
Data del deposito : 25 gennaio 2018
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 25/01/2018

N. 00527/2018REG.PROV.COLL.

N. 04337/2011 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4337 del 2011, proposto dal dottor:
G M, rappresentato e difeso dagli avvocati A M, L G, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. A M in Roma, via Filippo Nicolai, n. 70;
G M (erede di G M), rappresentato e difeso dagli avvocati L G, A M, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. L G in Roma, via Filippo Nicolai, n. 70;
G V (erede di G M), rappresentata e difesa dall'avvocato L G, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Filippo Nicolai, n. 70;

contro

Azienda sanitaria locale 3 “Genovese”, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avvocati Guido Francesco Romanelli, Mauro Casanova, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Guido Francesco Romanelli in Roma, via Cosseria, n. 5;
Regione Liguria, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avvocati Barbara Baroli, Orlando Sivieri, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Orlando Sivieri in Roma, via Cosseria, n. 5;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. LIGURIA - GENOVA: SEZIONE II n. 10631/2010, resa tra le parti, concernente inquadramento nella posizione di primario ospedaliero.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della ASL 3 e della Regione Liguria;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza smaltimento del giorno 11 gennaio 2018 il Cons. Ge Carlotti e uditi, per le parti, gli avvocati A M e Orlando Sivieri,;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1.) Giunge in decisione l’appello proposto dal dottor G M, contro l’Azienda sanitaria locale 3 Genovese (d’ora in poi: Asl), subentrata alla Usl n. 10 Genova e Valle Scrivia (nel prosieguo: Usl 10), e la Regione Liguria, per ottenere la riforma della sentenza, di estremi specificati in epigrafe, con la quale il T.a.r. per la Liguria ha respinto il ricorso, proposto in primo grado dall’odierno appellante, onde ottenere l’annullamento della deliberazione del Comitato di Gestione dell’11 novembre 1987, n. 1159/P, avente ad oggetto l’annullamento d’ufficio della precedente delibera n. 758/1984 (recante l’inquadramento dell’appellante nella posizione di primario ospedaliero), l’inquadramento del medesimo nella posizione di aiuto corresponsabile ospedaliero a decorrere dal 20 dicembre 1979 e il recupero di emolumenti arretrati, dal 20 dicembre 1979 al 31 ottobre 1987, per l’ammontare complessivo di £. 28.361.800 (pari, alla data del 1° marzo 2010, ad euro 56.057,84), nonché della nota della Regione Liguria del 20 ottobre 1987, prot. n. 100553/AP4.

2.) Si sono costituite, per resistere all’impugnazione, la Asl e la Regione Liguria, chiedendo il rigetto dell’appello. Con memoria, datata 12 dicembre 2017, la Asl ha ribadito le proprie difese.

3.) A seguito della morte dell’originario appellante, nel processo sono succeduti gli eredi universali, dottor G M e signora G V, rispettivamente figlio e moglie del dottor G M, i quali, con memoria datata 20 dicembre 2017, oltre a ribadire i motivi di appello, hanno segnalato di non aver avuto conoscenza della pendenza del presente giudizio e, dunque, di esser stati nell’impossibilità di valutare in modo adeguato se accettare, o no, l’eredità del loro congiunto con beneficio di inventario.

4.) All’udienza pubblica dell’11 gennaio 2018 la causa è stata trattenuta in decisione.

5.) Giova riferire in punto di fatto quanto segue. Il dottor G M rivestiva la qualifica di aiuto medico di ruolo ed era il responsabile del Servizio di audiologia e vestibologia dell’ospedale “Celesia” di Genova, poi confluito nella pregressa Usl 10, Servizio che, in virtù dell’autonomia rispetto alla Divisione di otorinolaringoiatria, era stato sì formalmente aggregato a quella Divisione, ma dotato di organico proprio. A causa di ciò il dottor M chiese che gli fosse riconosciuta la qualifica superiore e il Comitato di Gestione, vista anche la relazione del primario della Divisione di otorinolaringoiatria, lo aveva inquadrato nella posizione apicale, con decorrenza dal 20 dicembre 1979, ai sensi dell’art. 64 del d.P.R. n. 761/1979, giusta delibera del 12 dicembre 1984, n. 758;
a distanza di tre anni, tuttavia, con la delibera dell’11 novembre 1987, n. 1159/P, sulla base dei rilievi della Regione, il medesimo Comitato annullò d’ufficio la precedente delibera inquadramento, restituendo il dottor M alla posizione di aiuto e disponendo il recupero delle differenze retributive medio tempore corrispostegli.

6.) Avverso tale delibera di annullamento il dottor M propose ricorso al T.a.r. per la Liguria. L’impugnativa fu però respinta con la sentenza gravata, fondata sulle seguenti motivazioni:

- non sarebbe stato necessario, ai fini del rinnovato procedimento di valutazione della posizione del dottor M all’interno del ruolo regionale del personale sanitario, acquisire l’avviso della commissione consultiva prevista dall’art. 2 della legge regionale n. 22/1980 allora vigente, in quanto detta commissione consultiva era stata chiamata ad operare in Liguria al momento del reinquadramento del personale sanitario nei ruoli regionali, in attuazione di quanto previsto dal d.P.R. n. 761/1979;
sennonché, una volta compiuta tale operazione, la commissione avrebbe esaurito i suoi poteri;

- il riconoscimento dell’autonomia di una struttura organizzativa di un ente pubblico “aggregata” ad un’altra maggiore struttura dovrebbe discendere da un provvedimento avente carattere costitutivo (e non da un atto ricognitivo, qual era la delibera n. 758/1984) che operi ex nunc, con la conseguenza che correttamente il Comitato di Gestione, nell’annullare la precedente deliberazione, non avrebbe preso in considerazione la circostanza della asserita “autonomia sostanziale” del Servizio di audiologia e vestibologia del quale il dottor M era responsabile;
legittima sarebbe stata, pertanto, la nota regionale del 20 ottobre 1987, con la quale era stata segnalata alla Usl 10 l’illegittimità della “rivisitazione” della configurazione del Servizio di audiologia e vestibologia e del conseguente reinquadramento come primario del dottor M;

- la Usl 10 non avrebbe avuto il potere di disporre direttamente un nuovo inquadramento a favore del dottor M, poiché questo compito sarebbe stato di competenza della Regione, con la conseguenza che la delibera del Comitato di Gestione n. 1159/P dell’11 gennaio 1987, impugnata in primo grado, nemmeno avrebbe avuto la natura tipica di un annullamento d’ufficio, giacché il nuovo inquadramento non fu mai definito dagli uffici regionali e, pertanto, la Usl 10 non avrebbe dovuto motivare il provvedimento seguendo le regole stabilite per i provvedimenti in autotutela, non essendosi mai consolidato l’inquadramento del dottor M nella qualifica apicale;

- infine, non essendo stato mai definito l’ iter di inquadramento del dottor M nella posizione di primario, allora consequenzialmente non si sarebbe potuta ritenere maturata alcuna buona fede dell’appellante circa una definitiva spettanza del trattamento economico primariale.

7.) L’appello è affidato ai seguenti mezzi di gravame:

I.) erroneità della sentenza per contraddittorietà intrinseca e violazione dell’art. 2 della l.r. 5 maggio 1980, n. 22 e dell’art. 64 del d.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761 e tabelle di equiparazione allegate;
incompetenza;
eccesso di potere per difetto dei presupposti e di istruttoria: con tale motivo l’appellante ripropone, e chiede l’accoglimento, delle prime due censure del ricorso originario;
in particolare, si deduce la violazione dell’art. 2 della l.r. n. 22/1980, in quanto la nota regionale impugnata sarebbe stata adottata dall’Assessore regionale in assenza di una preventiva delibera della Giunta regionale;
il T.a.r. avrebbe contraddittoriamente affermato che il Servizio di audiologia e vestibologia era effettivamente un servizio autonomo, ma non avrebbe tratto da tale affermazione le dovute conseguenze con riguardo alla necessità di inquadrare il ricorrente come primario;

II.) erroneità e ingiustizia dell’appellata sentenza per violazione dei principi in materia di ripetizione di emolumenti economici;
eccesso di potere per erronea valutazione dei fatti e dei presupposti;
difetto di motivazione;
violazione di legge;
travisamento: il T.a.r. non avrebbe potuto assumere, a distanza di ventitré anni dai fatti, una decisione pregiudizievole per il dottor M, avendo Questi maturato, a seguito del decorso del tempo, un legittimo affidamento sulla spettanza dell’inquadramento come primario e del relativo trattamento retributivo;
il Tribunale, inoltre, non avrebbe tenuto conto della buona fede del dottor M nel percepire gli emolumenti in questione;
d’altra parte, anche il Primo Giudice, in sede cautelare, aveva ravvisato il fumus boni iuris dell’istanza cautelare;
infine, il T.a.r. non avrebbe tenuto conto del fatto che il dottor M ebbe comunque a svolgere, quand’anche in via di fatto, le funzioni corrispondenti a quelle di primario, sicché l’amministrazione non avrebbe potuto pretendere la restituzione di quanto percepito dall’appellante;

III.) invalidità della sentenza per difetto o erroneità della motivazione;
violazione dell’art. 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241: la ripetizione delle somme corrisposte dall’amministrazione al pubblico dipendente non sarebbe una conseguenza automatica dell’annullamento di un atto attributivo di un trattamento economico, ma sarebbe stata necessaria una ponderazione degli interessi coinvolti che tenga conto della buona fede del percipiente.

8.) Per una migliore intelligenza delle questioni sottoposte al vaglio del Collegio è utile far precedere alla successiva esposizione delle ragioni della decisione una succinta ricostruzione dei fatti e della normativa rilevanti nel caso in esame. A tal fine può attingersi alla narrativa recata nella costituzione della Regione Liguria, avendone il Collegio verificatane la correttezza.

Nel 1973 l'Ente Ospedaliero Ospedale “Celesia” di Genova, con deliberazione n. 265/1973, istituì il Servizio di audiologia e vestibologia, prevedendo il posto di “A aggregato” alla Divisione di Otorinolaringoiatria. Il dottor M rivestì presso tale Servizio la qualifica di A ospedaliero, dapprima per incarico e poi, nel 1975, in posizione di ruolo. Nel 1978 entrò in vigore la riforma sanitaria con cui fu istituito il Servizio sanitario nazionale (SSN). L'art. 47 della legge n. 833 /1978 stabilì che l’istituzione e la gestione dei nuovi ruoli del personale del SSN competeva alle regioni e la Regione Liguria provvide con la l.r. n. 22/1980. Il precedente d.P.R. n. 761 del 20 dicembre 1979, intitolato "Stato giuridico del personale del Servizio Sanitario Nazionale" diede attuazione alla delega legislativa in materia di personale, di cui al predetto art. 47, e introdusse qualifiche sostitutive del regime precedente, sulla base di apposite tabelle di equiparazione destinate a garantire, con finalità uniformatrici, che le diverse pregresse qualifiche esistenti presso i disciolti Enti Ospedalieri potessero confluire nelle nuove posizioni coniate dal d.P.R. n. 761/1979. Alla data di entrata in vigore del d.P.R. n. 761/1979 (20 dicembre 1979) il dottor M rivestiva la posizione di "A" e come tale la Regione Liguria lo inquadrò nel ruolo regionale del personale del SSN. Nel 1984, la Usl, subentrata all'Ente Ospedaliero “Celesia” adottò la delibera n. 758/1984 con cui, sulla base di una ricognizione di mero fatto circa l'autonomia del Servizio di audiologia e vestibologia rispetto alla Divisione di Otorinolaringoiatria, e in base al riscontro della preposizione del dottor M a quel Servizio, fece discendere l'automatica attribuzione, in capo al dottor M, della qualifica di Primario ospedaliero, in pretesa applicazione dell'art. 64 del d.P.R. n. 761/1979. A questo punto la Regione, nella qualità di ente responsabile dell’iscrizione nei ruoli del personale del SSN ai sensi dell’art. 2 della l.r. n.22/1980, con la nota del 20 ottobre 1987, n. 100553/AP4, segnalò alla Usl 10 la necessità di modificare, di propria iniziativa, il predetto inquadramento, giacché difforme rispetto a quello disposto dalla Regione stessa come A ospedaliero, avendo ritenuto carenti i requisiti richiesti dal d.P.R. n. 761/1979 per l’attribuzione al dottor M della qualifica di Primario ospedaliero. Più in dettaglio, fu segnalata la non preesistenza alla data del 20 dicembre 1979 della classificazione, della struttura ospedaliera a cui era preposto il dottor M, quale "Servizio Autonomo" e della formale attribuzione della qualifica di "A Capo" del Servizio Autonomo (qualifica soppressa a decorrere dalla data del 20 dicembre 1979) da parte del sanitario da inquadrarsi in posizione di Primario. Invero, soltanto coloro che nel regime pregresso, ossia prima del 20 dicembre 1979, avessero già posseduto la formale qualifica di “A dirigente" di Sezione Autonoma avrebbero potuto beneficiare (e solo al momento delle operazioni di primo inquadramento nei nuovi ruoli sanitari regionali), della qualifica apicale di Primario, ciò essendo consentito dalla tabella di equiparazione tra tali due figure allegata al d.P.R. n. 761/1979. Sennonché, alla data del 20 dicembre 1979, non esisteva un Servizio autonomo di audiologia e vestibologia presso la Usl 10 (poiché il Servizio di audiologia e vestibologia era un Servizio aggregato alla Divisione di Otorinolaringoiatria) e il dottor M non rivestiva la qualifica di "A dirigente di Sezione Autonoma " (dal momento che l’attribuzione formale all’appellante della qualifica di A dirigente del servizio di Audiologia fu disposta, per l’appunto, nel 1984, ossia dopo il 20 dicembre 1979). La Regione segnalò altresì che siffatta equiparazione era stata effettuata dalla Usl 10, ancorché priva di poteri al riguardo. In accoglimento dei rilievi regionali, la Usl 10, con deliberazione impugnata, annullò pertanto l'inquadramento in posizione apicale del dottor M, risalente al 1984, e chiese la restituzione delle differenze retributive nel frattempo corrisposte.

9.) Può, dunque, passarsi all’esame dei motivi di appello.

10.) Il primo motivo è infondato. Ed invero, siccome condivisibilmente statuito dal Tribunale nella sentenza appellata, la commissione consultiva di cui all’art. 2 della l.r. n. 22/1980 esaurì la sua funzione in relazione agli inquadramenti del personale sanitario nei ruoli regionali del SSN, in attuazione del d.P.R. n. 761/1979, ossia all’epoca della prima iscrizione nei predetti ruoli;
sicché, per i successivi provvedimenti in materia di inquadramento, non era previsto che detta commissione rendesse alcun parere. Invero, il suddetto art. 2 disponeva quanto segue: “ I ruoli regionali del personale del Servizio sanitario nazionale sono istituiti con deliberazione della Giunta regionale da emanarsi in conformità ai criteri e modalità contenuti nel D.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761 e nella presente legge. Con lo stesso provvedimento sono stabiliti criteri per la tenuta e le modalità organizzative di gestione di tali ruoli da parte della Regione.

La Giunta regionale con propria deliberazione iscrive altresì nei ruoli nominativi regionali del personale del Servizio sanitario nazionale, il personale proveniente dagli enti e dalle amministrazioni le cui funzioni sono trasferite ai Comuni per essere esercitate mediante le unità sanitarie locali.

L'iscrizione nei ruoli avviene sulla base di quanto stabilito dal citato D.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761.

Per i fini di cui al 2° comma del presente articolo ed in particolare per l'applicazione delle tabelle di equiparazione di cui all'allegato 2) del D.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761, è istituita una Commissione consultiva. La Commissione, nominata dalla Giunta regionale, è presieduta dall'Assessore alla Sanità ed Igiene o suo delegato ed è composta da funzionari regionali e da rappresentanti delle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative in campo nazionale delle categorie interessate.” . Ebbene, dalla piana lettura dell’ultimo comma della previsione, si desume che la Commissione consultiva (i cui pareri, secondo un indirizzo giurisprudenziale, nemmeno erano obbligatori: v. Cons. Stato, sez. IV, 2 ottobre 1989, n. 647) avesse competenza ad esercitare le sue funzioni soltanto per il raggiungimento dei fini di cui al secondo comma dello stesso art. 2, ossia unicamente per l’adozione delle deliberazioni giuntali di prima iscrizione nei ruoli nominativi regionali.

Spettava, inoltre, alla Giunta regionale, in base al ridetto art. 2, la competenza a iscrivere il dottor M nei ruoli e, conseguentemente, a disporne l’inquadramento e, del resto, in tal senso la Giunta provvide inquadrando il dottor M come “A”, provvedimento non impugnato dall’appellante. La Giunta regionale non modificò più tale inquadramento e, quindi, non era tenuta nel 1987 a deliberare alcunché;
ben poteva invece l’Assessore regionale alla sanità segnalare all’Usl 10 l’illegittimità dell’inquadramento disposto con la delibera n. 758/1984, anche in ragione dell’incompetenza della medesima Usl 10 a provvedere in tal senso. Non si ravvisa poi alcuna contraddittorietà nella motivazione che sorregge la sentenza gravata, posto che il T.a.r. non ha affatto affermato che il Servizio di audiologia e vestibologia fosse effettivamente un servizio autonomo: al contrario, il Tribunale ha statuito, a pag. 8 della sentenza, che la Usl 10 non avrebbe potuto attribuire al Servizio di audiologia e di vestibologia, in assenza di un provvedimento formale avente natura costitutiva (Cons. Stato, sez. V, 22 gennaio 1993, n. 139), la natura di Servizio autonomo in forza di un mero atto ricognitivo come la delibera n. 758/1984.

11.) Deve essere respinto anche il secondo motivo di appello poiché non sussiste alcuna contraddizione tra l’ordinanza di sospensione (concessa dal T.a.r.) e la sentenza di rigetto impugnata. Rientra, difatti, nella fisiologia processuale la possibilità che la decisione della controversia diverga dalla valutazione compiuta in sede cautelare;
sicché l’eventuale difformità tra le due pronunce non dà luogo ad alcuna invalidità della sentenza resa sul merito della lite e, anzi, la sentenza prevale sul provvedimento provvisorio e interinale, giacché quest’ultimo poggia su una mera delibazione e non anche su un sindacato pieno di tutte le questioni sottoposte al vaglio giurisdizionale. Inoltre non rileva l’affidamento riposto dal dottor M sulla legittimità della deliberazione della Usl 10 n. 758/1984 e, quindi, sulla spettanza del maggior trattamento retributivo percepito in forza di essa, posto che, secondo la consolidata giurisprudenza amministrativa, il recupero delle somme versate indebitamente costituisce un preciso obbligo per le pubbliche amministrazioni, prevalente su altri interessi contrapposti (sul punto, v., infra , il successivo paragrafo §. 12). Non risulta poi (e in ogni caso non è stato dimostrato dall’appellante) che il dottor M abbia effettivamente svolto, nel periodo in cui gli fu riconosciuta la qualifica di primario, mansioni diverse e superiori a quelle assolte in precedenza;
rileva, in contrario, la circostanza che la predetta delibera n. 758/1984 fu meramente ricognitiva della situazione di fatto del Servizio di audiologia e di vestibologia, ritenuto autonomo dalla Usl 10. Da ciò discende in via logica (e mancando la prova del contrario) la conclusione che il dottor M, nonostante il più elevato inquadramento ottenuto, continuò in realtà a svolgere di fatto la medesima attività lavorativa precedente. L’ultima considerazione è rilevante poiché il recupero disposto dall’amministrazione sanitaria non ha riguardato le somme che furono versate all’appellante per l’attività di “A”, ma la maggiore differenza per l’attività di primario del cui effettivo svolgimento, tuttavia, non vi è prova. Non può, dunque, trovare applicazione alla fattispecie l’art. 2126 c.c. (sul punto, v. anche infra il successivo paragrafo)

12.) Tenuto conto del richiamato obbligo delle amministrazioni pubbliche di recuperare le somme corrisposte per indebito oggettivo, va conseguentemente respinto anche il terzo mezzo di gravame, giacché – diversamente da quanto ritenuto dall’appellante – la ripetizione delle somme corrisposte dall’amministrazione al pubblico dipendente è, di regola, una conseguenza automatica dell’annullamento di un illegittimo atto attributivo di un trattamento economico, sicché a tal fine non vi è luogo ad alcuna valutazione comparativa di interessi. Difatti, la consolidata giurisprudenza di questo Consiglio in materia in materia di recupero di somme indebitamente erogate dalla pubblica amministrazione ai propri dipendenti (v., tra i molti precedenti, Cons. Stato, sez. III, 9 giugno 2014, nn. 2902 e 2903), è nel senso di ritenere che detto recupero abbia carattere di doverosità e che esso, privo di valenza provvedimentale, costituisca esercizio, ai sensi dell'art. 2033 c.c., di un vero e proprio diritto soggettivo a contenuto patrimoniale, al quale la pubblica amministrazione non può rinunciare, in quanto correlato al conseguimento di quelle finalità di pubblico interesse, cui sono istituzionalmente destinate le somme indebitamente erogate;
in tali ipotesi l'interesse pubblico è in re ipsa e nemmeno richiede specifica motivazione in quanto, a prescindere dal tempo trascorso, l'atto oggetto di recupero produce di per sé un danno per l'amministrazione, consistente nell'esborso di denaro pubblico senza titolo, ed un correlativo vantaggio ingiustificato per il dipendente. In questa prospettiva le situazioni di affidamento e di buona fede dei percipienti possono rilevare ai soli fini delle modalità con cui il recupero deve essere effettuato, in modo cioè da non incidere in maniera eccessivamente onerosa sulle esigenze di vita del dipendente (o, come nel caso di specie, dei suoi eredi).

Vero è che, nel caso richiamato da parte appellante (sez. VI, 27 ottobre 2014, n. 5315), questo Consiglio ha condivisibilmente affermato che i riferiti principi debbono essere comunque applicati avendo riguardo alle connotazioni, giuridiche e fattuali, delle singole fattispecie dedotte in giudizio, tenendo conto della natura degli importi di volta in volta richiesti in restituzione, delle cause dell'errore all’origine della corresponsione delle somme in contestazione, del lasso di tempo trascorso tra la data di corresponsione e quella di emanazione del provvedimento di recupero, dell'entità delle somme corrisposte in riferimento alle correlative finalità (v., in tal senso, anche Cons. Stato, sez. V, 13 aprile 2012, n. 2118). Sennonché anche la verifica condotta, nella fattispecie, alla stregua dei riferiti parametri, non conduce a un esito differente dal riconoscimento della doverosità del recupero, posto che questo fu disposto già nel 1987 (ossia, a distanza di circa tre anni dall’adozione dell’errata delibera n. 758/1984) e che l’entità delle somme è andata crescendo nel corso del tempo a causa della mancata restituzione protrattasi per oltre 30 anni.

In ogni caso non può obliterarsi che, nel settore sanitario, il riconoscimento delle differenze retributive a fronte dell’avvenuto svolgimento di mansioni superiori (a questo infatti mira la domanda dell’appellante) postulava la ricorrenza dei requisiti e presupposti normativi richiesti dall’art. 29 del d.P.R. n. 761 del 1979 e non l’astratta applicabilità dell’art. 2126 c.c. Il suddetto art. 29 recava, invero, una disciplina speciale a favore della retribuibilità delle mansioni superiori, diversamente da quanto avveniva per il rimanente personale del pubblico impiego. Sennonché tale retribuibilità, comunque prevista a fronte di situazioni eccezionali intrinsecamente connotate dalla temporaneità, era ammessa solo al ricorrere di plurime condizioni, ovvero:

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