Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2021-05-21, n. 202103976
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Pubblicato il 21/05/2021
N. 03976/2021REG.PROV.COLL.
N. 03568/2020 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3568 del 2020, proposto da
-OMISSIS-, rappresentati e difesi dall'avvocato M G T, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Ministero della Salute, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliato ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Regione Emilia Romagna, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati M R R V, R B, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio M R R V in Roma, piazza Grazioli 5;
nei confronti
-OMISSIS-non costituiti in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia Romagna (Sezione Prima) n. -OMISSIS-, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero della Salute e della Regione Emilia Romagna;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 30 marzo 2021 il Cons. Raffaello Sestini e uditi per le parti l’avvocato R B;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1 - Con sei distinti ricorsi, riuniti in primo grado ai fini della decisione per connessione c.d. impropria per identità di questioni giuridiche, gli odierni appellanti hanno impugnato i provvedimenti con i quali la Regione Emilia Romagna ha escluso gli stessi dalle graduatorie regionali dei medici di medicina generale, essendo tutti accomunati dalla circostanza di avere ottenuto un titolo abilitativo all’esercizio della professione di medico all’estero riconosciuto in Italia dopo la data del 31.12.1994.
2 – In particolare i ricorrenti, aspiranti medici di medicina generale in convenzione con le Ausl, ottenuto il riconoscimento in Italia della laurea conseguita all’estero, presentavano istanza ai fini dell’inserimento nelle graduatorie regionali previste dall’Accordo Collettivo Nazionale per la disciplina dei rapporti con i medici di medicina generale del 23 marzo 2005.
3 - L’art. 15 dell’ACN 23 marzo 2005 impone a tutti gli aspiranti medici generici, di conseguire l’iscrizione nelle graduatorie predisposte annualmente a livello regionale, la quale è subordinata al possesso del requisito “ dell'attestato di formazione in medicina generale, o titolo equipollente, come previsto dai decreti legislativi 8 agosto 1991, n. 256, 17 agosto 1999 n. 368 e 8 luglio 2003 n. 277 ”.
4 - Per via di un’errata interpretazione della copiosissima normativa in materia, fino alla nota del Ministero Salute DGPROF n. -OMISSIS-, la Regione riteneva che il predetto requisito fosse in possesso dei ricorrenti che quindi venivano iscritti nelle graduatorie.
5 - Successivamente all’iscrizione, uno dei ricorrenti in primo grado presentava istanza al Ministero della Salute per il “ rilascio del certificato attestante il possesso del diritto acquisito ad esercitare in Italia l’attività professionale in qualità di Medico di medicina generale ”. Il Ministero decideva di non rilasciare il certificato richiesto in quanto non riteneva che il medico fosse in possesso di tale diritto, contestando il possesso di uno dei requisiti necessari per l’inserimento nelle graduatorie regionali. E di questo informava varie Amministrazioni, tra cui la Regione Emilia Romagna.
6 - La Regione, ricevuta tale nota, provvedeva a verificare la posizione di tutti i medici iscritti nelle graduatorie per la medicina generale e, rilevata la presenza nelle stesse di altri medici nella medesima posizione, con determina n. 17145 del 23 dicembre 2013 rettificava le graduatorie regionali di settore valevoli per il 2013, escludendo gli appellanti che, non avendo conseguito nemmeno in epoca successiva il requisito mancante, non sono stati neppure inseriti nelle successive graduatorie degli anni 2014 - 2019.
7 - Gli stessi hanno quindi proposto autonomi ricorsi al TAR, che li ha riuniti e respinti, ai fini dell’annullamento delle determinazioni del Responsabile del Servizio Assistenza Distrettuale Medicina Generale della Regione Emilia Romagna Prot. n. -OMISSIS-, di esclusione dei ricorrenti dalle graduatorie di settore della medicina generale valevoli per il 2013, 2014, 2015, 2016, 2017, 2018 e 2019, in quanto "privi dell'attestato di formazione in medicina generale o titolo equipollente di cui al D. Lgs. n. 368/1999;
delle note di rigetto delle istanze di riesame delle predette esclusioni;della nota del Ministero della Salute DGPROF N. -OMISSIS-.
8 - Con i predetti ricorsi è stato chiesto l'annullamento dei provvedimenti impugnati, come sopra riportati, deducendo l'illegittimità dei medesimi per illegittimità derivata dalla non condivisibile interpretazione espressa dalla impugnata nota ministeriale del 15.11.2013;per violazione ed errata applicazione dell'art. 30 D.lgs 368/99;degli art. 49 e 50 del DPR 394/99;del D.lgs n 206 del 9.11.2007;della direttiva 2005/36/Ce del Parlamento Europeo e del Consiglio del 7 settembre 2005, relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali;della legge 6 agosto 2013, n. 96;nonché per eccesso di potere, sotto i profili della carenza di istruttoria, errata individuazione dei presupposti di fatto e di diritto, travisamento, carenza e contraddittorietà di motivazione, violazione dei principi di buona amministrazione di cui agli artt. 3 e 97 della Costituzione, ingiustizia manifesta.
8 – Con la sentenza appellata il TAR per l’Emilia Romagna, dopo aver accolto la domanda di estromissione del Ministero della salute, ha riunito e respinto i ricorsi avendo, in sintesi, escluso che sia possibile esercitare in Italia la professione di medico di medicina generale senza aver prima superato il corso triennale abilitante, nel caso di un medico chirurgo che abbia ottenuto la laurea in medicina e chirurgia in uno Stato extraeuropeo prima del 31 dicembre 1994 ma di cui ha richiesto ed ottenuto il riconoscimento in Italia in data successiva al 31 dicembre 1994.
9 – Gli odierni appellanti hanno impugnato la predetta sentenza deducendo i seguenti motivi di impugnazione.
9.1 – “ I. Erroneità e contraddittorietà della motivazione della sentenza nella parte in cui ha disposto l'estromissione del Ministero della Salute.”
Si afferma che la sentenza appellata ha accolto la richiesta di estromissione dal giudizio formulata del Ministero della Salute, senza tener conto di quanto risultante dagli atti impugnati, né di quanto evidenziato dai ricorrenti nelle pagine 1 e 2 della memoria del 15 ottobre 2019 in replica alla comparsa di costituzione in giudizio del predetto Ministero..
Infatti il Tar, proseguono gli appellanti, ha ritenuto accogliibile la richiesta in tale senso formulata dalla controparte, affermando che la impugnata nota ministeriale del 15.11.2013 (alla quale, come ricordato in premessa, ha fatto seguito l'adozione di tutti i successivi atti regionali impugnati) “ non ha carattere provvedimentale essendo una mera richiesta di chiarimenti nella quale è espresso un parere giuridico ”;dando tuttavia contestualmente atto, nel seguito della motivazione, del ruolo prescrittivo o vincolante di tale nota, con la considerazione che “ E' evidente che se la Regione non si fosse adeguata all'interpretazione della normativa data dal Ministero, espungendo i ricorrenti dalla graduatoria regionale ove erano stati iscritti fino ad allora, il Ministero avrebbe assunto un provvedimento amministrativo per ripristinare la legalità;essendosi la Regione adeguata, è stata sufficiente la mera richiesta di chiarimenti .”
La motivazione della sentenza risulterebbe pertanto contraddittoria.
9.2 – “ II. Erroneità della sentenza per errata interpretazione ed applicazione del D.lgs 256/1991, della Direttiva n. 86/457/CEE, degli artt. 3, 37 e 60 comma 3, del D .Lgs n. 206/2007;illegittimità derivata dalla illegittimità della impugnata nota del Ministero della Salute Prot. GPROF/7/.h.a.
7.4/2013/928 del 15.11.2013. Erroneità della sentenza per carenza di motivazione ed errata individuazione dei presupposti di fatto e di diritto” .
Si afferma che la decisione appellata non ha tenuto del fatto che contrariamente a quanto affermato dalla impugnata nota del Ministero della Salute del 15.11.2013, il comma 1 dell'art. 37 del D. Lgs. n. 206/2007 stabilisce che “ hanno altresì diritto ad esercitare l'attività professionale in qualità di medico di medicina generale i medici chirurghi abilitati all'esercizio professionale entro il 31 dicembre 1994” e tale beneficio non può essere “implicitamente“ riservato ai soli cittadini italiani, avendo l'art. 60 del D.lgs n. 206/2007 esteso l'applicabilità del medesimo D.lgs, e quindi del predetto beneficio, anche ai medici extracomunitari.
La sentenza appellata avrebbe acriticamente condiviso il predetto orientamento, senza in alcun modo pronunciare su quanto sottolineato dai ricorrenti nelle memorie conclusive depositate in replica alle tesi ministeriali, circa il fatto che il predetto art. 60 ha chiaramente stabilito che il riferimento ai D.lgs 27 11 gennaio 1992, n. 115, e al D.lgs 2 maggio 1994, n. 319, contenuto nel secondo comma dell'art. 49 del DPR n. 392 del 1999 (relativo al procedimento di riconoscimento dei titoli extra-comunitari), deve intendersi fatto al titolo III del medesimo D.lgs n. 206 del 2007.
Risulterebbero pertanto manifestamente errate le parti della sentenza in cui è stato affermato che “ nessuno dei ricorrenti al 31.12.1994 possedeva il requisito appena indicato per poter fruire della salvaguardia dei diritti acquisiti ”;e che “ Per i medici cittadini extracomunitari si è ritenuto ( non si specifica da chi né con quale norma! ) di estendere la possibilità di beneficiare dei diritti acquisiti qualora fossero in possesso dei requisiti di laurea ed abilitazione conseguiti in Italia anche attraverso il riconoscimento della laurea conseguita all'estero entro la data del 31.12.1994.
Pertanto l'aver conseguito i ricorrenti la laurea in medicina in altro paese prima del 1994 non li abilita a rientrare nella disciplina appena richiamata.”
La motivazione sopra riportata risulterebbe errata sia per errata valutazione degli effetti del decreto ministeriale di riconoscimento del titolo (che non conferisce certo alcuna abilitazione);sia del già ricordato art. 60 del D.lgs n. 206/2007, comportante l'applicabilità del titolo III dei benefici in esso previsti anche ai medici extracomunitari, a prescindere dalla data del riconoscimento del titolo abilitante. Il predetto art. 60 ha infatti abrogato l'art. 13 del d lgs. 27.1.1992, n. 15, disponendo che il riferimento ai D.lgs 27 gennaio 1992, n. 115, e al D.lgs 2 maggio 1994, n. 319, contenuto nel secondo comma dell'art. 49 del DPR n. 392 del 1999 (relativo al procedimento di riconoscimento dei titoli extra-comunitari), deve intendersi fatto al titolo III del medesimo D.lgs n. 206 del 2007. L'art. 3 del predetto D.lgs, intitolato “effetti del riconoscimento”, stabilisce inoltre che il “ riconoscimento delle qualifiche professionali operano ai sensi del presente decreto legislativo permette di accedere, se in possesso dei requisiti specificamente previsti, alla professione corrispondente per la quale i soggetti di cui all'art. 2, comma 1, sono qualificati, nello Stato membro di origine o di esercitarla alle stesse condizioni previste dall'ordinamento italiano ”.
Il Consiglio di Stato con sentenza n. 340 del 26.01.2015, avrebbe a propria volta già esplicitamente confermato l'applicabilità ai cittadini stranieri in possesso di titolo professionale conseguito in un Paese non UE, delle norme di cui al titolo III del sopra citato D. LGS n. 206/2007, (con conseguente applicabilità del beneficio in esso previsto dall'art. 37, compreso nel titolo III, anche ai medici abilitati in paesi extracomunitari entro il 31.12.1994).
La sentenza impugnata risulterebbe quindi fondata su errata individuazione dei presupposti e altresì viziata da carenza di motivazione, non avendo inoltre tenuto conto del fatto che l'art. 37 del D.lgs. n. 206/2007 richiede letteralmente soltanto il conseguimento dell'abilitazione, e non anche del riconoscimento della medesima entro il 31.12.1994.
9.3 – “ III. Erroneità della motivazione della sentenza nella parte in cui ha confermato la tesi della efficacia ex nunc anziché ex tunc dei decreti di riconoscimento del titolo abilitante alla professione medica, richiamando la sentenza di codesto Ecc.mo Cons. di Stato n. 1648/2010. Violazione di legge, per violazione dell'art. 3 del Decreto legislativo n. 368/99, della Direttiva n. 2005/36/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 7/9/2005, relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali;violazione dell'art. 2 del DPR 7.8.2012 n. 237;degli artt. 12 e 14 delle disposizioni sulla legge in generale .
Si afferma che la tesi su cui è fondata la sopra evidenziata parte della motivazione delle sentenza è priva di fondamento, derivando da una errata individuazione dei presupposti di fatto e di diritto, ed in primo luogo della Direttiva Comunitaria 2005/36/CEE del 7.9.2005 e delle norme attuative della medesima, oltre che del procedimento e del contenuto del decreto ministeriale di riconoscimento del titolo di medico abilitante conseguito in paese extra-comunitario.
L' efficacia dichiarativa di tali decreti risulterebbe in primo luogo evidente dall' art. 3 del D.lgs n. 206 del 9.11.2007, attuativo della Direttiva CEE, intitolato “ effetti del riconoscimento” , che stabilisce che “ il riconoscimento delle qualifiche professionali operato ai sensi del presente decreto legislativo permette di accedere, se in possesso dei requisiti specificamente previsti, alla professione corrispondente ”. Al contrario la sentenza, muovendo dai predetti errati presupposti e dalla mancata considerazione delle modifiche normative al procedimento di riconoscimento dei titoli introdotto dall'art. 60 del d, lgs. n. 206/32007, avrebbe erroneamente motivato la decisione aderendo in toto ad orientamento giurisprudenziale datato e certamente superato della evidenziate sopravvenute modifiche dei presupposti di diritto.
Gli appellanti evidenziano ancora la non condivisibilità della parte della sentenza in cui risulta affermato che “ quanto alla disciplina in materia di immigrazione il riferimento allo art.9 comma 12 lettera b) d. lgs. 251/2007 e' incongruo perché non è stata operata alcuna discriminazione in danno di un residente comunitario .” Viceversa, l'esclusione in via di interpretazione “implicita” dei ricorrenti dalle graduatorie, solo perché non cittadini italiani, o non in possesso di decreto di riconoscimento dello Stato italiano entro il 31.12.1994, risulterebbe in contrasto con il predetto art. 9 comma 12 del medesimo decreto legislativo, che stabilisce che i titolari del permesso di soggiorno CEE per soggiornanti di lungo periodo (come erano all'epoca del primo ricorso la Dott.ssa -OMISSIS-) hanno diritto di svolgere nel territorio dello stato ogni attività lavorativa subordinata ed autonoma, salvo quelle che la legge espressamente riserva al cittadino o vieta allo straniero .
Si evidenzia infine la carenza di motivazione della sentenza appellata sulla rilevata violazione dell'art. 2 DPR 7.82012 n. 237, che al comma 4 stabilisce che sono in ogni caso vietate limitazioni discriminatorie anche indirette all'accesso ed al servizio della professione, fondate sulla nazionalità del professionista.
9.4 – “ IV - Erroneità e carenza di motivazione della sentenza appellata nella parte relativa all'asserito corretto esercizio del potere di autotutela. Illegittimità dei provvedimenti impugnati per difetto o carenza di motivazione, errata individuazione dei presupposti e violazione degli artt 7, 10 e. 21 nonies della l. 241/90”.
Si afferma la mancata considerazione, da parte del TAR, della carenza di motivazione sia della determinazione n. 15963 del 18.12.2012 (doc. n. 18 depositato contestualmente a tale ricorso), di asserita “rettifica” delle graduatorie regionali, sia delle successive impugnate note di rigetto delle istanze di riesame delle esclusioni disposte dalle graduatorie provvisorie.
Infatti la sentenza appellata ha (si sostiene, erroneamente) affermato che “ La nota del Ministero relativa al Dott -OMISSIS- ha fornito l'occasione alla Regione Emilia-Romagna per correggere un'erronea interpretazione del complesso corpus normativo che regola la possibilità per medici extracomunitari di esercitare nel nostro paese la funzione di medico di medicina regionale ” travisando anzitutto il carattere dubitativo ed interrogativo della impugnata nota del Ministero della salute del 15.11.2013, risultando altresì non conferente l’affermazione secondo cui “ Il potere è stato esercitato circa un mese dopo che la nota ministeriale era giunta a conoscenza della Regione ” nel corso del 2012, a fronte del consolidato affidamento dei ricorrenti inseriti in graduatoria regionale già dagli anni 2006/2007. Neppure sarebbe condivisibile la parte di motivazione che ha ritenuto la cancellazione dei ricorrenti un atto dovuto, con conseguente non necessità della comunicazione dell'avvio del procedimento, e che ha ritenuto non sussistere alcun difetto di motivazione, poiché ” l'esclusione è sempre stata accompagnata dalla specificazione del motivo cioè della mancanza dell'attestato di formazione in medicina generale o titolo equipollente di cui
al D.lgs n. 368/99 ”, non consentendo tale “specificazione di comprendere il motivo per cui il titolo di abilitazione dei ricorrenti, conseguito dai medesimi entro il 31.12.1994, come richiesto dall'art. 37 dal D.lgs n. 206/2007, dovesse ritenersi non idoneo all'inserimento nelle graduatorie regionali, nonostante l'intervenuto riconoscimento ministeriale.
Risulterebbe quindi fondata su errate valutazione anche la conclusiva affermazione secondo cui “Per le stesse ragioni il Collegio ritiene integrati tutti i requisiti che un atto di autotutela deve contenere dal momento che, in una materia come quella dei requisiti per esercitare una specializzazione medica, il ripristino della legalità è un interesse pubblico in re ipsa senza bisogno di una diffusa motivazione, l'annullamento è stato assolutamente tempestivo rispetto al momento in cui è emersa l'erroneità dell'interpretazione fino ad allora data dalla Regione e l'affidamento dei ricorrenti circa i presupposti per la permanenza nelle graduatorie non può che soccombere rispetto all'interesse pubblico suindicato. ” non sussistendo, viceversa, idonee ragioni giuridiche né di pubblico interesse che costringessero la Regione a escludere urgentemente i ricorrenti dalle graduatorie regionali in cui erano stati già in precedenza inseriti, mentre tutti i ricorrenti, già iscritti nelle medesime graduatorie, avevano successivamente positivamente svolto numerosi incarichi di sostituzione, sino alla impugnata esclusione disposta per il 2104.
10 – Si sono costituiti in giudizio il Ministero della salute, solo per chiedere la propria estromissione, e la Regione Emilia Romagna, che ha viceversa ampiamente difeso la legittimità del proprio operato e, do converso, l’inammissibilità e infondatezza del gravame. Le parti hanno poi ulteriormente messo a punto le rispettive difese mediante un nutrito scambio di memorie.
11 – Ai fini della decisione il Collegio considera quanto segue.
11.1 – Quanto al primo motivo d’appello, concernente la disposta estromissione del Ministero della Salute, le pur suggestive tesi ivi sostenute non possono essere ulteriormente approfondite dal Collegio, in quanto lo stesso risulta inammissibile, essendo stata la nota ministeriale DGPROF n. -OMISSIS- impugnata con il solo ricorso n.r.g. 262/14, e non avendo in tal caso il ricorrente di primo grado proposto appello. Di conseguenza il primo motivo di appello è inammissibile, essendo sufficiente, per tale aspetto, la correzione di errore materiale disciplinata dall’art. 86 c.p.a.
11.2 – Il secondo ed il terzo motivo di appello possono essere esaminati congiuntamente, vertendo entrambi sulla errata ricostruzione che il giudice di primo grado avrebbe compiuto circa la disciplina nazionale ed euro-unitaria applicabile alla fattispecie in esame.
11.3 – Al riguardo, considera il Collegio che la direttiva n. 86/457/CEE del 15 settembre 1986 (recepita in Italia dal d.lgs. n. 256/91 e del D.M. 300 del 29 dicembre 1994) ha subordinato l’esercizio dell’attività di medico di medicina generale al possesso del diploma di specializzazione specifico in medicina generale a partire dal 1 gennaio 1995. Il suo recepimento, ha in sostanza modificato il regime previgente in Italia, introducendo come regola generale un percorso formativo specifico, di durata triennale, al superamento del quale si ottiene il diploma di specializzazione in medicina generale, che all’epoca dei fatti era l’unico titolo abilitante per l’iscrizione nelle graduatorie regionali.
Alla regola generale sono state previste alcune eccezioni, sostanzialmente in “regime transitorio”, a tutela dei medici che avevano già acquisito il diritto ad esercitare il ruolo di medico di medicina generale in convenzione, in base al meccanismo precedente.
Tra queste vi è quella, di interesse per il presente giudizio, in base alla quale conservano il diritto di esercitare l’attività di medico di medicina generale in convenzione tutti i medici che al 31 dicembre 1994 (il giorno precedente a quello dell’entrata in vigore dell’obbligo) lo avessero già acquisito sulla base delle norme allora vigenti.
La tesi di parte ricorrente è che la norma di diritto europeo sia “universale”, ossia applicabile a tutti, cittadini europei e non, laureati in Europa e non;che chiunque nel mondo si sia laureato in medicina e chirurgia, e in base all’ordinamento nel quale si è laureato abbia acquisito un titolo idoneo all’esercizio di funzioni di medico di medicina generale prima del 31 dicembre 1994 abbia diritto in base alla normativa europea di esercitare in Italia.
11.4 – Al contrario, così come evidenziato dalla Regione intimata, l’art. 7, comma 2, della direttiva 86/457/CE, riferisce i c.d. diritti acquisiti soltanto ai medici cittadini di un altro Stato membro o che avessero ottenuto un diploma in un altro Stato membro, riferendosi l’art. 7, comma 2, soltanto ai “ medici che godono di tale diritto al 31 dicembre 1994 ai sensi della direttiva 75/362/CEE ” che, a propria volta, ha introdotto l’equipollenza dei titoli in Europa e si applica soltanto ai cittadini europei che abbiano ottenuto un titolo in uno Stato membro ( art. 2: “Ogni Stato membro riconosce i diplomi, i certificati e gli altri titoli rilasciati ai cittadini degli Stati membri dagli altri Stati membri conformemente all' articolo 1 della direttiva 75/363/CEE ed enunciati all' articolo 3, attribuendo loro, sul proprio territorio, lo stesso effetto dei diplomi, certificati ed altri titoli da esso rilasciati per quanto concerne l'accesso alle attività non salariate del medico ed al loro esercizio ”).
11.5 – A propria volta l’art. 37 del d.lgs. n. 206/07 non può essere interpretato secondo un criterio teleologico e sistematico, nell’incertezza della formulazione letterale, come idoneo a consentire, dopo il 31 dicembre 1994, l’automatico riconoscimento del titolo rilasciato da uno Stato extraeuropeo pur in mancanza della prescritta specializzazione, previsto dalla norma solo per i cittadini europei che abbiano conseguito in uno Stato membro un titolo incluso tra quelli di cui all’Allegato V del medesimo d.lgs. n. 206/07.
11.6 - Il quarto motivo d’appello si fonda sull’affermata efficacia dichiarativa del decreto di riconoscimento delle lauree conseguite all’estero e, quindi, sostiene che il predetto decreto dispieghi i suoi effetti ex tunc , al contrario di quanto ritenuto dal Ministero della Salute.
11.7 - Al riguardo, considera il Collegio che il Consiglio di Stato si è già pronunciato su di una vicenda analoga a quella di cui è causa riferita alla Regione Piemonte, nella quale il ricorrente aveva conseguito la laurea in medicina e chirurgia presso l’università di Ankara nel 1992, aveva ottenuto il riconoscimento del titolo in Italia (mediante decreto del Ministero della Salute, in data 20 aprile 2001), aveva ottenuto l’iscrizione alle graduatorie regionali della Regione Piemonte (valevoli per l’anno 2003) senza aver conseguito alcun diploma di specializzazione in medicina generale, in virtù di un’erronea interpretazione della copiosissima normativa. Il ricorso dell’interessato veniva respinto con sentenza del TAR per il Piemonte, Sez. II, n. -OMISSIS-, “sul rilievo che il beneficio dei diritti acquisiti possa essere riconosciuto solo in caso di conseguimento di abilitazione professionale in data anteriore al 31.12.94, assumendo a tal fine rilievo la data di riconoscimento del titolo in Italia”. In sede di appello, questo Consiglio di Stato confermava la correttezza della motivazione per l’esclusione dalla graduatoria affermando che l’iscrizione non è consentita a chi “ non è in possesso alla data del 31.12.1994 né di abilitazione ed iscrizione all'Albo in Italia, né di uno dei diplomi equipollenti” ed in particolare a chi “solo a partire dal 2001 (…) ha ottenuto il riconoscimento del titolo in Italia ”, in quanto “ il riconoscimento dei titoli professionali concerne l'ipotesi in cui l'interessato risulti già abilitato all'esercizio di una professione in un certo Stato ed intenda ottenere nel territorio italiano analoga abilitazione (Cons. St. Sez. VI, 31.1.2007, n. 376). A quest'ultima non può essere quindi riconosciuta efficacia retroattiva. Secondo quanto stabilito dall'art. 13 del D.Lgs. 27.1.1992 n. 115, richiamato dall'art. 49, c. 2 d.P.R. n. 394/99, il decreto di riconoscimento "attribuisce" (quindi, con efficacia costitutiva) al beneficiario il diritto di accedere alla professione e di esercitarla, nel rispetto delle condizioni richieste ai cittadini italiani, diverse dal possesso della formazione e delle qualifiche professionali. È solo con il rilascio del decreto di riconoscimento e con la successiva iscrizione all'albo professionale […] che il beneficiario può considerarsi abilitato all'esercizio dell'attività medica. Della normativa transitoria non si ritiene, peraltro, possibile una estensione oltre i limiti prescritti dalla disciplina comunitaria , conformemente alla cui finalità deve essere interpretato il diritto nazionale (nella specifica materia, cfr. Cons. St. Sez. IV, 15.3.2000, n. 1407). Né alcuna disparità di trattamento tra cittadini comunitari può rilevarsi nella fattispecie” (Cons. St., Sez. V, n. 1648 del 22 marzo 2010). Spetta, quindi, al competente Ministero della Salute il compito di verificare l'attitudine del titolo conseguito dallo straniero all'estero all'esercizio dell'attività sanitaria. Tale compito comporta una prudente valutazione, di natura tecnico-discrezionale, sull'idoneità del titolo conseguito all'estero a fornire un grado di preparazione culturale e tecnica adeguato e almeno corrispondente alla preparazione richiesta dall'ordinamento nazionale ed a quello comunitario per l'esercizio della professione sanitaria ” (Cons. Stato, Sez. III, n. 340 del 26 gennaio 2015,).
A giudizio del Collegio non si palesano al riguardo ragioni tali da consentire un discostamento dai precedenti giurisdizionali sopra citati.
11.8 – Quanto, infine, alla dedotta violazione delle disposizioni di cui alla l. n. 241/1990, concernenti i limiti degli interventi in autotutela ed il diritto di partecipazione degli interessati al procedimento, rileva il Collegio che, alla stregua delle pregresse considerazioni, la mancanza di un titolo ritenuto necessario, dalla normativa nazionale e euro-unitaria applicabile pro tempore, ai fini della tutela della salute dei pazienti imponeva alla Regione, non ricorrendo le tassative previsioni transitorie di esclusione, di intervenire in via d’urgenza e vincolata alla stregua del superiore interesse alla tutela del diritto alal salute sancito dall’art. 32 Cost come diritto fondamentale di ogni singolo paziente, salva ogni eventuale ulteriore considerazione de jure condendo, circa la effettiva idoneità di filtri d’ingresso limitanti l’esercizio delle professioni mediche e quindi l’ampiezza della relativa offerta a tutela dei pazienti, non rilevante, pro tempore, ai fini della fattispecie considerata.
12 – Conclusivamente, l’appello non può trovare accoglimento. Tuttavia, la non univocità della disciplina e delle ragioni sottese alla controversia giustificano la compensazione fra le parti delle spese del presente grado di giudizio.