Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2013-06-12, n. 201303252

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2013-06-12, n. 201303252
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201303252
Data del deposito : 12 giugno 2013
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 05192/2012 REG.RIC.

N. 03252/2013REG.PROV.COLL.

N. 05192/2012 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5192 del 2012, proposto da:
Comitato "Per Sestri Levante", in persona del legale rappresentante in carica Z S, S G, G F S, rappresentati e difesi dagli avv. D G, F T, con domicilio eletto presso F T in Roma, largo Messico, 7;

contro

Comune di Sestri Levante, in persona del legale rappresentante in carica rappresentato e difeso dagli avv. G P, L C, con domicilio eletto presso G P in Roma, viale Giulio Cesare 14a/4;
Acciaieria Arvedi Spa, in persona del legale rappresentante in carica rappresentato e difeso dagli avv. L A, B Guareschi, Giovanni Acquarone, con domicilio eletto presso L A in Roma, via Nazionale, 200;
Orinvest Srl, Fondo "Sviluppo Edilizia Sostenibile" Gestito Dalla Società Namira Sgr Pa, in persona del legale rappresentante in carica rappresentati e difesi dagli avv. Piergiorgio Alberti, Riccardo Maoli, con domicilio eletto presso Piergiorgio Alberti in Roma, via G. Carducci, 4;
Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, U.T.G. - Prefettura di Genova, in persona dei rispettivi legali rappresentanti in carica, tutti rappresentati e difesi dalla Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, alla Via dei Portoghesi n. 12, sono ope legis domiciliati;
Regione Liguria;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. della LIGURIA – Sede di GENOVA - SEZIONE I n. 00754/2012, resa tra le parti, concernente revoca delibera consiliare con la quale e stato espresso l'assenso in ordine alla variante al piano particolareggiato di iniziativa pubblica costituente il programma riqualificazione urbana di aree ex fit


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Comune di Sestri Levante e di Acciaieria Arvedi Spa e di Orinvest Srl e di Fondo "Sviluppo Edilizia Sostenibile" Gestito Dalla Società Namira Sgr Pa e di Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e di U.T.G. - Prefettura di Genova;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 23 aprile 2013 il Consigliere Fabio Taormina e uditi per le parti gli avvocati Tedeschini, Pafundi, Cocchi, Acquarone, Mozzati, per delega dell'Avv. Alberti, e l'Avvocato dello Stato Lumetti;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con due distinti ricorsi introduttivi del giudizio di primo grado, riuniti dal Tar della Liguria era stato chiesto dalle società odierne appellate Orinvest S.r.l. - Namira S.G.R. P.A., ed Acciaieria Arvedi Spa, l’ annullamento della deliberazione del Consiglio comunale di Sestri Levante 12 aprile 2011 n. 31 avente ad oggetto revoca della delibera consiliare 29 ottobre 2010 n. 87 con cui era stata espresso l’assenso a norma dell’art. 58 l.r. 36/1997 in ordine alla variante al Piano Particolareggiato di iniziativa pubblica costituente il programma di riqualificazione urbana (PRU) relativo alle aree ex FIT nonché di tutti gli atti presupposti, connessi e conseguenti.

Era intervenuto in entrambi i ricorsi (con atto di intervento qualificato dal Tar come “principale”) l’odierna parte appellante principale (Comitato per Sestri Levante, Scartabelli Gian Franco, Z S, S G), interessata al procedimento in quanto soggetto promotore di un referendum.

Le due società originarie ricorrenti si dolevano dell’avvenuta revoca della delibera consiliare 29 ottobre 2010 n. 87 in quanto viziata da violazione di legge, anche con riguardo alle garanzie infraprocedimentali da adottare in sede di emanazione di atti di autotutela e di ritiro ed eccesso di potere e – a loro dire – unicamente determinata dall’avvenuta proposizione di un referendum.

L’interveniente aveva evidenziato che la revoca aveva comportato l’interruzione della procedura referendaria avviata (ed aveva promosso autonomo ricorso dolendosi di tale conseguenza – ricorso definito dal Tar con la autonoma decisione n. 664/2012 declinatoria della giurisdizione)

Il comune di Sestri Levante, odierno appellante incidentale si era costituito difendendo la legittimità del proprio operato.

Il primo giudice ha in via preliminare dichiarato inammissibile l’intervento spiegato dal Comitato per Sestri Levante in quanto “principale” e spiegante domande autonome, nuove, e volte a contrastare sia le difese del comune che quelle delle originarie ricorrenti (l’intervento del Comitato per Sestri Levante mirava nella sostanza ad evidenziare i vizi della delibera impugnata laddove questa disponeva l’interruzione del procedimento di consultazione referendaria e quindi in una prospettiva completamente differente da quella svolta dai ricorrenti principali).

Ha poi escluso la fondatezza della eccezione di difetto di legittimazione passiva (volta ad ottenere la inammissibilità del ricorso proposto dalla Arvedi) in quanto quest’ultima era stata espressamente qualificata dalla stessa difesa del Comune come soggetto coobbligato all’attuazione delle previsioni edificatorie ed urbanizzative di cui al Progetto di riqualificazione urbana del quale si discuteva.

Nel merito, ricostruita anche sotto il profilo cronologico la complessa vicenda fattuale per cui è causa, il TAR ha accolto con rilievo assorbente la censura dedotta dalla ricorrente Arvedi s.p.a. di violazione dell’art. 7 l. 241/90.

Ciò in quanto la comunicazione di avvio del procedimento (nota prot. 0008481 in data 25 marzo 2011) era stata ricevuta in data 8 aprile 2011 dalla Arvedi presso la sua sede in Milano via Donizetti n. 20. (doc. n. 3 prod. Comune di Sestri Levante 9.3.2012): detta nota concedeva un termine di giorni sette per eventualmente interloquire nel procedimento.

La deliberazione conclusiva del procedimento impugnata in giudizio era stata, invece, assunta in data 12 aprile 2011 prima del decorso del termine di interlocuzione procedimentale e senza che la originaria ricorrente avesse potuto concretamente interloquire nel procedimento.

Peraltro la esistenza di un report di invio a mezzo fax all’utenza telefonica n. 0372478357 non poteva costituire prova dell’avvenuta anticipata ricezione della comunicazione di avvio del procedimento, non risultando la positiva dimostrazione che il numero di fax corrispondesse né risultando che la ricorrente abbia autorizzato le comunicazioni a mezzo fax ( tanto che la comunicazione era stata successivamente inviata, e regolarmente pervenuta a mezzo di raccomandata con avviso di ricevimento).

A fronte della prospettazione della Arvedi che dava conto della ricezione della sola raccomandata, la produzione in giudizio del report della trasmissione a mezzo fax non appariva sufficiente a ritenere integrata la prova dell’avvenuta comunicazione dell’avvio di procedimento in data anteriore all’8 aprile 2011.

Ha quindi annullato la gravata delibera, assorbendo le altre censure e facendo presente espressamente che, ancorchè dovesse essere esclusa l’applicazione dell’art. 21 octies l. 241/90 atteso l’elevatissimo grado di discrezionalità che connota tale settore dell’attività amministrativa, si riteneva di assorbire le altre censure dedotte con il ricorso depositato dalla Arvedi e quelle del ricorso riunito per non precostituire un vincolo giudiziale allo svolgimento delle valutazioni dell’autorità amministrativa che avrebbe dovuto nuovamente pronunciarsi sulla questione alla luce degli apporti procedimentali eventualmente acquisiti.

La sentenza è stata avversata in via principale dagli originari intervenienti che hanno contestato la loro estromissione dal processo e la condanna alle spese pronunciata nei loro confronti (un sesto delle spese complessive sostenute dalle parti) sostenendo che il loro intervento dovesse qualificarsi qual “adesivo” e che quest’ultimo era soprattutto volto a far constare che pendeva ricorso (da essi proposto direttamente) avverso la medesima delibera (isolatamente deciso con la sentenza n. 644/2011) che sarebbe stato utile trattare congiuntamente ai due riuniti ricorsi poi decisi con la sentenza n. 754/2012 oggetto dell’odierno appello.

Il comune ha proposto un appello – qualificato come incidentale- volto a ribadire la inammissibilità del ricorso originariamente proposto dalla Arvedi e diretto a censurare nel merito la gravata decisione in quanto, da un canto, sussisteva la piena prova dell’avvenuta ricezione a mezzo fax della comunicazione di avvio del procedimento da parte della Arvedi (il che implicava la erroneità della sentenza)e, quanto alle ulteriori censure rimaste assorbite, l’azione amministrativa era del tutto immune da vizi.

Le originarie controinteressate rimaste soccombenti hanno depositato articolate memorie chiedendo la reiezione del gravame principale e di quello incidentale e riproponendo i motivi di primo grado rimasti assorbiti.

Tutte le parti processuali hanno depositato memorie e scritti difensivi facendo presente che il Comune aveva –successivamente al deposito della sentenza n. 754 gravata- emesso una nuova deliberazione, n. 43 del 25 luglio del 2012 con la quale aveva nuovamente revocato la delibera consiliare 29 ottobre 2010 n. 87 e che tale nuovo atto era stato gravato dalla Orinvest innanzi al Tar della Liguria (ricorso n. 151/2013).

La difesa erariale delle amministrazioni centrali intimate ha depositato una memoria chiedendo al Collegio di dichiarare il difetto di legittimazione passiva di queste ultime e la loro conseguente estromissione dal processo

Alla odierna pubblica udienza del 23 aprile 2013 la causa è stata posta in decisione dal Collegio.

DIRITTO


1.Va in primo luogo disposta la estromissione dal processo della Prefettura –Ufficio territoriale del Governo- di Genova e del Ministero per le Infrastrutture ed i Trasporti, palesemente privi di legittimazione passiva nell’ambito della presente controversia.

1.1.Ciò premesso, si ritiene in via preliminare di esporre l’ordine di trattazione delle tematiche devolute alla cognizione del Collegio e la reciproca interconnessione tra le impugazioni proposte soffermandosi sulle problematiche relative alla ammissibilità e procedibilità delle medesime.

1.2. L’appello “principale” proposto dalla originaria parte interveniente è tempestivo, ammissibile, e non risente di alcuna delle vicende successive portate all’attenzione del Collegio (id est: nuova deliberazione, n. 43 del 25 luglio del 2012 con la quale aveva nuovamente revocato la delibera consiliare 29 ottobre 2010 n. 87 ) e neppure dell’avvenuta emissione della decisione del Tar n. 644/2011 declinatoria della giurisdizione.

L’appellante principale tutela una propria posizione specifica assunta in sede processuale in primo grado, e censura la condanna alle spese: neppure si pone la problematica di una eventuale sopravvenuta carenza di interesse alla decisione (si veda Cons. Stato Sez. V, 21-07-1995, n. 1114: “nel giudizio amministrativo è inammissibile l'appello proposto dall'interveniente in primo grado, atteso che nel suddetto giudizio la legittimazione ad appellare spetta solo alle parti necessarie del giudizio di primo grado, intendendosi per tali quelle che ricevano dal provvedimento stesso vantaggi diretti ed immediati e non anche agli interventori, seppure "ad opponendum", i quali possono appellare la sentenza di primo grado soltanto nelle parti relative all'ammissibilità dell'intervento e alle spese”).

Detto appello quindi, afferente alla problematica dell’ammissibilità dell’intervento spiegato in giudizio in primo grado ed alla statuizione sulle spese resa dal primo giudice verrà pertanto esaminato nel merito prioritariamente.

1.2. 1.L’ appello del comune è stato correttamente qualificato come “incidentale”, ma esso è almeno in parte, incidentale “improprio” (si rammenta in proposito che la giurisprudenza – ex multis- Cons. Stato, sez. V, 15 febbraio 2010 n. 808;
sez. V, 29 marzo 2010 n. 1785 ha già avuto modo di precisare che, sotto la comune denominazione di "appello incidentale" convivono nel processo amministrativo due rimedi profondamente diversi per natura, finalità e regime giuridico:

- l'appello incidentale c.d. "proprio", in passato contemplato dall'art. 37, t.u. n. 1054 del 1924, che è un mezzo di impugnazione subordinato rispetto alla proposizione del ricorso principale e ha lo scopo principale di paralizzare l'azione "ex adverso" proposta, secondo la logica della c.d. "controimpugnazione" -ex art. 334 c.p.c.;
in questo caso, l'interesse ad impugnare trova giustificazione nella proposizione del gravame principale e risponde all'esigenza dell'appellato di conservare le utilità acquisite per effetto della sentenza di primo grado;
ed è per tali ragioni che l'appello incidentale "proprio" è di norma indirizzato nei confronti degli stessi capi di decisione investiti dall'appello principale -ovviamente, per motivi diversi da quelli dedotti dalla controparte- o da capi logicamente avvinti a questi ultimi da un nesso di dipendenza necessaria.

- l'appello incidentale c.d. "improprio", che è caratterizzato dal non essere diretto contro il medesimo capo della sentenza aggredito con l'appello principale, configurandosi come un autonomo gravame la cui natura incidentale discende unicamente dall'esser stato proposto dopo un precedente appello –principale- ;
l'incidentalità in questo caso è dunque l'effetto del principio di concentrazione delle impugnazioni sancito dall'art. 333 c.p.c., secondo la logica del "simultaneus processus" con la conseguenza che sussiste l'onere, per la parte proponente, di rispettare i medesimi termini di impugnazione previsti per quello principale-Cons. Stato, sez. V, 24 aprile 2009 n. 2588-).

Se con riguardo alle eccezioni avversanti l’ammissibilità dell’intervento e tendenti a contrastare l’appello principale,infatti esso è incidentale “proprio”, le restanti tematiche devolute (quelle cioè postulanti la legittimità della statuizione revocatoria adottata dal comune e –in tesi erroneamente- demolita dal Tar) configurano un interesse proprio ed autonomo (l’appello va quindi definito “improprio”).

1.2.2.Esso peraltro risulta tempestivamente proposto: ne consegue che, in ipotesi di reiezione dell’appello “principale” proposto dal Comitato conseguirebbe soltanto la improcedibilità delle censure contenute nell’appello incidentale del comune volte a contrastare la ammissibilità del detto intervento.

Rimarrebbero comunque da esaminare le restanti doglianze contenute nell’appello del comune e volte ad affermare la legittimità della statuizione revocatoria adottata e –in tesi erroneamente- demolita dal Tar: in ordine a queste ultime, comunque, ci si dovrà in via pregiudiziale interrogare sulla permanenza dell’interesse a ricorrere in relazione alla nuova deliberazione, n. 43 del 25 luglio del 2012 con la quale il Comune ha nuovamente revocato la delibera consiliare 29 ottobre 2010 n. 87.

1.2.3.E’ invece integralmente derivata la posizione delle originarie ricorrenti di primo grado: esse hanno contrastato sia l’appello principale del Comitato che quello incidentale del comune (riproponendo le censure veicolate in primo grado ed assorbite dal Tar).

La reiezione od improcedibilità del gravame principale e di quello incidentale renderebbe prive di residuo interesse le difese delle dette originarie ricorrenti ed odierne appellate e quindi, improcedibili i motivi incidentalmente riproposti.

2.Ciò premesso, passando ad interrogarsi sulla fondatezza dell’appello principale proposto dal Comitato, ritiene il Collegio che lo stesso sia palesemente inaccoglibile.

La semplice lettura dell’atto di intervento proposto in primo grado induce a concordare con la tesi del primo giudice.

Ivi infatti veniva veicolato un interesse “proprio” ed autonomo, del Comitato, volto ad avversare la conseguenza della delibera comunale (interruzione della procedura di consultazione referendaria avviata ) che, peraltro, la detta parte interveniente aveva provveduto ad impugnare autonomamente con separato ricorso.

La conseguenza che ne deriva, è che il detto atto di intervento era qualificabile “ad opponendum” rispetto alla tesi sostanziale sostenuta dalle originarie ricorrenti in primo grado (secondo cui la delibera di revoca era illegittima in quanto la variante, nel merito, costituiva atto amministrativo legittimo ed opportuno), in quanto sostenuto da un interesse oppositivo rispetto alla realizzazione del progetto che, invece, costituiva l’interesse principale delle ricorrenti di primo grado.

Ed era altresì qualificabile ad opponendum anche rispetto alla posizione del Comune, posto che gli atti gravati venivano criticati nella parte in cui avevano comportato l’interruzione della procedura referendaria.

Era, cioè, un intervento “principale” a tutti gli effetti, introduttivo di un interesse non direttamente coincidente con alcuna delle parti processuali.

Esso quindi esattamente è stato dichiarato inammissibile dal primo giudice, in ossequio all’orientamento giurisprudenziale consolidato secondo il quale (Cons. Stato Sez. V, 02-08-2011, n. 4557) nel giudizio amministrativo è, di norma, inammissibile l' intervento da parte del soggetto legittimato alla proposizione dei ricorso autonomo perché in contrasto con la regola secondo cui l'intervento ad adiuvandum o ad opponendum può essere proposto nel processo amministrativo solo da un soggetto titolare di una posizione giuridica collegata o dipendente da quella del ricorrente in via principale e non anche da un soggetto che sia portatore di un interesse che lo abilita a proporre ricorso in via principale.

2.1. Né dicasi che giustificazione autonoma dell’intervento proposto possa farsi coincidere (come argutamente sostenutosi nell’appello) con la volontà di fare riunire la trattazione del detto processo con l’altro pendente innanzi al Tar e poi culminato nella decisione declinatoria della giurisdizione n. 644/2011 (l’appello avversante detta ultima statuizione è stato scrutinato alla odierna adunanza camerale del 23 aprile 203).

In disparte la circostanza che analogo risultato sarebbe stato raggiungibile segnalando detta circostanza mercé deposito di una istanza di riunione nell’ambito del ricorso proposto dal Comitato e poi deciso con la sentenza n. 644/2011 la “giustificazione” dell’appellante principale sposta i termini della controversia senza incidere sulla circostanza di fondo: la richiesta di riunione infatti è facoltà processuale concessa alle parti che costituisce corollario della loro (positivamente riscontrata) legitimatio ad causam.

Il riscontro in ordine a quest’ultima precede - e non già consegue - all’esercizio di una facoltà processuale: esclusa la legittimazione sotto il profilo sostanziale non può sostenersi che essa sussista in quanto finalizzata all’esercizio di una facoltà che, invece, presuppone a monte il requisito dell’ammissibilità del petitum sotteso all’intervento.

2.2.Va pertanto respinto il primo caposaldo dell’appello e, quanto alla condanna alle spese (impugnabile anche dal soggetto estromesso e costituente censura autonoma) non ravvisa il Collegio motivo per discostarsi dal consolidato orientamento secondo il quale la decisione del giudice di merito in materia di spese processuali è censurabile in sede di legittimità, sotto il profilo della violazione di legge, soltanto quando le spese siano state poste, totalmente o parzialmente, a carico della parte totalmente vittoriosa;
non è invece sindacabile, neppure sotto il profilo del difetto di motivazione, l'esercizio del potere discrezionale del giudice di merito sull'opportunità di compensare, in tutto o in parte le spese medesime. Tali principi trovano applicazione non soltanto quando il giudice abbia emesso una pronuncia di merito, ma anche quando egli si sia limitato a dichiarare l'inammissibilità o l'improcedibilità dell'atto introduttivo del giudizio. Infatti, anche in tali ultimi casi sussiste una soccombenza, sia pure virtuale, di colui che ha agito con un atto dichiarato inammissibile o improcedibile che consente al giudice di compensare parzialmente o totalmente le spese, esercitando un suo potere discrezionale che, nel caso specifico considerato, ha come suo unico limite il divieto di condanna della parte vittoriosa e che si traduce in un provvedimento che rimane incensurabile in cassazione purché non illogicamente motivato. (Cassazione civile , sez. lav., 27 dicembre 1999, n. 14576)

Detto principio è stato più volte predicato dalla giurisprudenza amministrativa, che ha avuto modo di affermare che la statuizione del primo giudice sulle spese e sugli onorari di giudizio costituisca espressione di un ampio potere discrezionale, come tale insindacabile in sede di appello, fatta eccezione per l'ipotesi di condanna della parte totalmente vittoriosa, oppure per il caso che la statuizione sia manifestamente irrazionale o si riferisca al pagamento di somme palesemente inadeguate.” (Cons. Stato, sez. VI, 30 dicembre 2005, n. 7581).

Ciò non si è verificato nella fattispecie per cui è causa, dal che discende la reiezione anche di questa censura e la integrale conferma in parte qua dell’appellata decisione.

2.3.Come chiarito in premessa, ciò implica la improcedibilità (unicamente) delle doglianze articolate dal Comune nell’appello incidentale ed afferenti alla posizione processuale del Comitato.

3.Venendo quindi all’esame delle ulteriori censure proposte dal Comune, ivi è stata ribadita la inammissibilità del ricorso originariamente proposto dalla Arvedi e si è censurata nel merito la gravata decisione in quanto ivi si sarebbe obliato che sussisteva la piena prova dell’avvenuta ricezione a mezzo fax della comunicazione di avvio del procedimento da parte della Arvedi;
inoltre la decisione di primo grado sarebbe errata anche allorché ha accolto il riunito ricorso di primo grado proposto dalla Orinvest S.r.l. - Namira S.G.R. P.A., senza avvedersi che quest’ultima non aveva affatto proposto la censura favorevolmente scrutinata dal Tar.

3.1.Sebbene la nuova deliberazione revocatoria n. 43/2012 si sia fondata su una nuova istruttoria e ponderazione, non ritiene il Collegio che ciò determini la improcedibilità dell’appello proposto dal Comune (non foss’altro perché quest’ultimo, nella delibera predetta ha fatto presente di agire in ottemperanza alla sentenza del Tar e nelle more della decisione del proposto appello, il che, per costante giurisprudenza, impedisce la declaratoria di improcedibilità).

3.2.Il Collegio prenderà quindi in esame il merito dell’appello medesimo.

3.2.1.Esso non appare fondato.

3.2.2.Quanto alle – riproposte- ragioni sottese alla supposta inammissibilità del mezzo di primo grado della Arvedi, esse collidono platealmente con la circostanza che lo stesso comune aveva considerato quest’ultima coinvolta nel procedimento, indirizzandole le comunicazioni relative all’iter infraprocedimentale: in quanto dante causa, poi, la stessa era interessata all’esito della procedura avviata (non foss’altro in quanto in potenza possibile destinataria di azioni di rivalsa da parte delle alienatarie).

La doglianza va pertanto disattesa, apparendo per il resto condivisibile la tesi del Tar secondo cui, essendo la medesima coobbligata all’attuazione delle previsioni edificatorie ed urbanizzative di cui al Progetto di riqualificazione urbana di cui si discute, non era dubitabile la sua legittimazione al ricorso.

3.2.3. Nel merito - e come già in sintesi esposto nella parte in fatto - il Tar ha riscontrato un vizio infraprocedimentale assorbente nella condotta dell’amministrazione comunale che adottò la deliberazione conclusiva del procedimento gravata in data 12 aprile 2011 e quindi prima del decorso del termine di interlocuzione procedimentale (con missiva ricevuta in data 8 aprile 2011 era stata data alla Arvedi la comunicazione di avvio del procedimento ed ivi si concedeva un termine di giorni sette alla stessa per eventualmente interloquire nel procedimento). La deliberazione gravata, ad avviso del Tar, non poteva essere adottata prima del decorso del detto termine (e, quindi, del 16 aprile 2011).

Il Tar ha ritenuto irrilevante la difesa comunale secondo cui detta comunicazione era stata previamente inoltrata via fax, perché di tale inoltro (che avrebbe comportato la piena osservanza del termine di interlocuzione procedimentale asseritamente violato) non poteva tenersi conto (pur essendo stato prodotto il relativo report), sia perché non sussisteva la positiva dimostrazione che il numero di fax corrispondesse a quello della Arvedi, che in relazione alla circostanza che non risultava che quest’ultima avesse autorizzato le comunicazioni a mezzo fax.

Il Comune contesta dette argomentazioni (Cons. Stato Sez. V, 13-02-2013, n. 863: “in base alla normativa -d.p.r. 28 dicembre 2000, n. 445 il fax - in quanto mezzo ordinario di comunicazione di atti e documenti, anche in materia di procedure ad evidenza pubblica - art. 77 d.lgs. n. 163 del 2006 - Codice degli appalti - costituisce strumento idoneo a garantire con sufficiente certezza l'effettività della comunicazione e, quindi, a far decorrere i termini di impugnativa, senza che il soggetto che ha trasmesso il fax debba fornire ulteriore prova oltre quella risultante dal rapporto di trasmissione che indichi le regolari avvenute trasmissione e ricezione, gravando, invece, sul ricevente che assume la mancata ricezione fornirne la prova contraria.”).

3.2.4.Senonchè appare opportuno rimarcare, che –anche a considerare provate le affermazioni dell’amministrazione comunale – ugualmente il modus procedendi da questa adottato sarebbe nella sostanza contrario all’esatto dispiegarsi del contraddittorio infraprocedimentale.

In sostanza, l’amministrazione comunale avrebbe preteso di fare decorrere il termine assegnato a controparte per la produzione delle controdeduzioni dalla data di ricezione del fax (così “dimostrando” l’avvenuto rispetto di detto termine, contrariamente a quanto affermato dal Tar).

Senonchè, lo stesso comune ha qualificato la nota inoltrata via fax qual anticipazione di quella inoltrata per raccomandata, all’evidenza attribuendo effetti preganti a quest’ultima (effetti che, non potevano decorrere che dalla ricezione della medesima) e mera “anticipazione di cortesia” all’inoltro via fax.

Correttezza e buona fede, oltre che il rispetto sostanziale del principio di effettività del contraddittorio instaurato in primo grado, avrebbero pertanto imposto all’amministrazione comunale di computare il decorso del termine per presentare osservazioni a partire dalla data di ricezione della raccomandata, della quale (anche al di là delle intenzioni del comune medesimo) la nota via fax costituiva mero “preannuncio”.

Invero laddove il privato sia destinatario di una raccomandata “anticipata” via fax, è ben legittimo che ritenga detta anticipazione mera cortesia, ma che il termine di interlocuzione con l’amministrazione sia fatto decorrere dalla ricezione dell’atto inviato a mezzo della comunicazione che la stesa Amministrazione aveva considerato “principale”.

Ex post, peraltro, ciò è comprovato dalla circostanza che Arvedi ebbe poi effettivamente ad interloquire nel procedimento, presentando osservazioni, e che ciò è nuovamente avvenuto (si osserva per incidens) in seno al nuovo procedimento culminato nella citata “nuova” deliberazione n. 43 del 25 luglio 2012 (a dimostrazione dello stringente interesse di quest’ultima a partecipare al procedimento, e della volontà di fornire il proprio apporto infraprocedimentale.

L’approdo del primo giudice, anche sotto tal angolo visuale, appare corretto, sia pure con le correzioni motivazionali prima rese, il che implica la reiezione dell’appello sul punto con portata assorbente rispetto all’esame delle contrapposte argomentazioni in ordine alla legittimità – o meno- nel merito della revoca disposta dal comune.

3.2.5. Ed è appena il caso di precisare, infine, che il lapsus calami in cui è incorso il Tar laddove ha “accolto” anche il riunito ricorso di primo grado proposto dalla Orinvest S.r.l. - Namira S.G.R. P.A., senza avvedersi che quest’ultima non aveva affatto proposto la censura favorevolmente scrutinata dal Tar. (mentre ne avrebbe più correttamente dovuto dichiarare la sopravvenuta improcedibilità) non inficia la correttezza della statuizione demolitoria principale, che, per le chiarite ragioni, va confermata, con declaratoria di improcedibilità dei motivi di ricorso di primo grado rimasti assorbiti e riproposti dalle appellate.

4. Conclusivamente, l’appello principale del Comitato va respinto. L’appello incidentale del Comune deve essere parimenti disatteso, con conseguente conferma della gravata decisione, sia pure con le integrazioni motivazionali sinora rassegnate, mentre le censure incidentali riproposte dalle appellate devono essere dichiarate improcedibili.

5. La complessità fattuale ed in diritto delle questioni esaminate legittima l’integrale compensazione tra le parti delle spese processuali del grado.

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