Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2022-12-12, n. 202210845

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2022-12-12, n. 202210845
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202210845
Data del deposito : 12 dicembre 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 12/12/2022

N. 10845/2022REG.PROV.COLL.

N. 07232/2017 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7232 del 2017, proposto da
F S, rappresentato e difeso dagli avvocati L A e R A, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato L G in Roma, via Filippo Nicolai, n. 70;

contro

Ministero della Giustizia, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliato in via digitale come da pubblici registri e domicilio fisico in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Dipartimento Amministrazione Penitenziaria, non costituito in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte, Sezione Prima, n. 468/2017, resa tra le parti;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero della Giustizia;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 11 ottobre 2022 il Cons. Fabrizio D'Alessandri e uditi per l’appellato l'Avvocato dello Stato Antonio Grumetto e considerati presenti gli avvocati L A e R A per la parte appellante, che hanno chiesto il passaggio in decisione senza discussione;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Parte appellante impugna la sentenza segnata in epigrafe, che ha respinto il suo ricorso per l’annullamento del provvedimento del Ministero della Giustizia GDAP-2000 n. 0056970 del 13 febbraio 2014 recante il diniego di richiesta di applicazione dei benefici previsti dall’art. 1, comma 260, lettera b), della legge 23 dicembre 2005, n. 266.

In punto di fatto deve ricordarsi che l’appellante è stata dirigente superiore nel ruolo del personale amministrativo dell'Amministrazione penitenziaria a far data dall’1 gennaio 1999, inquadrata nella nuova carriera dirigenziale penitenziaria di cui alla L. 154/2005 con la qualifica di Dirigente penitenziario, con riconosciuta idoneità a ricoprire incarichi superiori a decorrere dal 18 marzo 2006, è stata posta in quiescenza con provvedimento del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria nr.

GDAP

0446068-2010 del 2 novembre 2010.

Con tale provvedimento l’Amministrazione penitenziaria ha disposto il pensionamento della ricorrente con effetto retroattivo al 2 dicembre 2009, data coincidente con il riconoscimento della non idoneità al servizio per gravi motivi di salute da parte della commissione medica ospedaliera di Torino.

Con istanza del 26 aprile 2010 l’appellante ha chiesto a fini pensionistici l’applicazione dei benefici previsti dalla legge 23 dicembre 2005, n. 266 art. 1, comma 260, lettera b) che, a decorrere dal 1° gennaio 2006, attribuisce “ai dirigenti superiori della Polizia di Stato con almeno cinque anni di anzianità nella qualifica, la promozione alla qualifica di dirigente generale di pubblica sicurezza, a decorrere dal giorno precedente la cessazione dal servizio”.

L’Amministrazione con provvedimento GDAP -2000 n. 0056970 del 13 febbraio 2014 ha rigettato l’istanza con la seguente motivazione: “In relazione alla richiesta avanzata dalla S.V. con istanza in data 4 ottobre 2013, si comunica che questo Generale Ufficio, dopo attenta valutazione della stessa e della normativa vigente sull’avanzamento, non può accogliere l’istanza di cui innanzi.

A tale riguardo, si rappresenta che l’art. 3 del decreto legislativo 15 febbraio 2006, n. 63 “Ordinamento della carriera dirigenziale penitenziaria a cura della legge 27 luglio 2005, n. 154”, ha previsto solamente la qualifica di “dirigente penitenziario;
all’apice i ruoli convergono nella qualifica unitaria di dirigente generale. Di fatto la norma, ha soppresso il ruolo dei dirigenti superiori, tant’è che la S.V., con decreto 28 giugno 2006, vistato dall’Ufficio Centrale del Bilancio il 16 ottobre 2006, è stata inquadrata, ai sensi dell’art. 26, comma 3, del decreto legislativo 15 febbraio 2006, n. 67, nella nuova carriera dirigenziale con la qualifica di “dirigente di istituto penitenziario” e riconosciuta idonea a ricoprire gli incarichi superiori a decorrere dal 18 marzo 2006”.

Detto provvedimento è stato impugnato innanzi al T.A.R. del Piemonte (R.G. 554/2014) che con la sentenza 11 aprile 2017, n. 468 ha respinto il ricorso.

In particolare il Tribunale, dopo aver dato conto di un precedente giurisprudenziale favorevole alla tesi dell’appellante (T.A.R. Campania Napoli, Sez. IV n. 2050/2016), ha tuttavia aderito un precedente di segno opposto (T.A.R. Campania Napoli Sez. VII, n. 2247/2015), ancorchè più risalente, che aveva ritenuto inapplicabile il beneficio.

L’interessata ha impugnato la sentenza formulando i seguenti rubricati motivi di ricorso:

1) Erroneità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 1, comma 260, lettera b), della legge 23 dicembre 2005. Violazione dell’art. 40 della legge 15 dicembre 1990, n. 395. Violazione degli artt. 2 e 4 della legge 27 luglio 2005, n. 154 nonché degli artt. 26, 27 e 28 del decreto legislativo 15 febbraio 2006, n. 63. Violazione della Circolare del Ministero della Giustizia 13 giugno 2007

GDAP

0188490;

2) Erroneità della sentenza per violazione dell’art. 1, comma 260, lettera b) della legge 23 dicembre 2005 in relazione alla violazione dell’art. 26, comma 3 del D.Lgs. n. 63/2006;

3) Erroneità della sentenza per violazione dei principi di uguaglianza.

Si è costituita in giudizio l’Amministrazione appellata resistendo al ricorso e depositando una memoria difensiva.

L’appellante ha depositato memoria di replica.

Con ordinanza del 4/4/2022, n. 2476 sono stati disposti “i seguenti adempimenti istruttori:

a) vorrà la parte privata perimetrare più specificamente il proprio interesse ad agire, con particolare riguardo ai suoi riflessi morali e patrimoniali;

b) vorrà il Ministero della giustizia:

- b.1) dedurre e/o controdedurre sul profilo sub a);

- b.2) rappresentare e documentare il contenuto dei provvedimenti adottati per analoghe richieste presentate da ex colleghi dell’appellante;

- b.3) specificare se l’inserimento dei dirigenti nella “tabella A” sia stato sempre considerato elemento indefettibile per il conferimento degli incarichi di dirigenza generale e simmetricamente se da siffatto inserimento sia sempre derivata un’effettiva adibizione dei dirigenti interessati a mansioni di carattere generale, chiarendo, all’occorrenza, se tale conseguenza sia stata automatica ovvero sia stata preceduta da un’ulteriore valutazione dei titoli, della carriera e delle peculiari competenze di tali soggetti”.

In data 16 giugno 2022 uno dei codifensori dell’appellante ha depositato in giudizio un atto di rinuncia al mandato difensivo.

Sia l’Amministrazione appellata che la parte appellante hanno ottemperato all’ordinanza istruttoria, con depositi rispettivamente del 14.6.2022 e 1.7.2022.

All’udienza pubblica dell’11.10.2022 l’appello è stato trattenuto in decisione

DIRITTO

1) In via preliminare si rileva come a seguito dell’istruttoria espletata la parte appellante abbia affermato l’esistenza di un concreto interesse alla decisione del ricorso, avente asseritamente dei riflessi anche economici, con l’eventuale riconoscimento di un aumento retributivo pensionabile, oltre che un interesse morale;
mentre l’Amministrazione non ha ben precisato i termini di possibile assenza di interesse ad agire e la rilevanza economica della questione.

E’ tuttavia indubitabile l’esistenza di un interesse quantomeno morale da parte dell’appellante al fine della decisione dell’appello, tale da rientrare nei canoni previsti dall’art. 100 c.p.c.

2) Nel merito l’appello si rivela fondato.

In via preliminare il Collegio osserva che il comma 260 dell'art. 1, della L. 23 dicembre 2005, n. 266 - abrogato dal comma 258 dell'art. 1, L. 23 dicembre 2014, n. 190, a decorrere dal 1 gennaio 2015 - prevedeva alla lettera b) che spettasse "ai dirigenti superiori della Polizia di Stato con almeno cinque anni di anzianità nella qualifica, la promozione alla qualifica di dirigente generale di pubblica sicurezza, a decorrere dal giorno precedente la cessazione dal servizio".

Nello specifico il suddetto comma 260, lett.b), consentiva l'attribuzione del trattamento economico di cui alla L. n. 869 del 1982 secondo le seguenti modalità di calcolo:

a) stipendio in godimento al 31 dicembre 2011;

b) stipendio immediatamente superiore quale Dirigente Generale livello C cl.3;

c) maggiorazione del 50% dell'anzianità di servizio effettivamente prestato nella qualifica di provenienza;

d) differenza tra stipendio come sopra calcolato e lo stipendio immediatamente inferiore.

La questione controversa risulti dibattuta nella giurisprudenza di primo grado, in quanto la sentenza del T.A.R. Campania Napoli, Sez. VII, n. 2247/2015 e quella oggetto di impugnativa in questa sede sostengono la tesi negativa dell’amministrazione, mentre la sentenza del T.A.R. Campania, Sez. IV, n. 2050/2016 e la più recente T.A.R. Lazio Roma, Sez. I quater , n. 715/2019, confortano la tesi dell’appellante.

Il Collegio ritiene condivisibili le argomentazioni dell’appellante, che sostiene di avere diritto all'applicazione dell’anzidetta disposizione, vigente alla data del suo collocamento a riposo, in quanto sin dall’1 gennaio 1999 godeva della qualifica di Dirigente Superiore del ruolo amministrativo dell'Amministrazione Penitenziaria, del tutto equiparabile a quella di Dirigente Superiore della Polizia di Stato, richiesta dalla disposizione in esame ai fini del riconoscimento del beneficio di cui trattasi.

Invero, pur non ignorandosi che la diversa tesi sostenuta dall'amministrazione, motivatamente recepita nella sentenza gravata - secondo cui dall'entrata in vigore della riforma della dirigenza penitenziaria sarebbe venuta meno la stessa qualifica di dirigente superiore – deve aderirsi alla ricostruzione normativa secondo cui è applicabile al caso di specie il beneficio di cui alla L. 23 dicembre 2005, n. 266 (legge finanziaria 2006), la quale al comma 260 dell'art. 1 stabiliva, alla lett. b), che - a decorrere dal 1º gennaio 2006 - ai dirigenti superiori della Polizia di Stato con almeno cinque anni di anzianità nella qualifica, venisse attribuita la promozione alla qualifica di dirigente generale di pubblica sicurezza, a decorrere dal giorno precedente la cessazione dal servizio.

Tale beneficio, a detta dell'Amministrazione, non spetterebbe all’appellante e in generale ai dirigenti dell'Amministrazione penitenziaria, in quanto dal 2006 sarebbe stato soppresso il ruolo dei dirigenti superiori, esistente in passato, ma non riconfermato a seguito della nuova disciplina di cui al D.Lgs. n. 63 del 2006 (Ordinamento della carriera dirigenziale penitenziaria), emanato in attuazione della delega di cui alla L. 27 luglio 2005, n. 154.

Al riguardo è vero che il sistema dato dalla L. n. 154 del 2005 e dal successivo decreto delegato 63/2006 riconosce un sistema dirigenziale della Polizia penitenziaria articolato su due livelli, quello di dirigente generale e quello di dirigente penitenziario "semplice";
è tuttavia altrettanto vero che il legislatore ha enucleato una sorta di sottogruppo, costituito dai dirigenti "idonei a ricoprire incarichi superiori", che presentano uno status diverso dai dirigenti normali.

Si tratta di una categoria distinta e delimitata quanto alla dotazione organica, preposta alla direzione specifica degli istituti penitenziari o degli istituti psichiatrici giudiziari più importanti d'Italia, come risulta dalla tabella A allegata al D.Lgs. n. 63 del 2006.

L'accesso a tale categoria avviene in base a una vera e propria valutazione comparativa, come se si trattasse di un passaggio di livello.

Infatti il comma 1 dell'art. 7 del D.Lgs. n. 63 del 2006 stabilisce che "il conferimento degli incarichi superiori, quali previsti nella tabella A, nel limite dei posti in organico, avviene mediante valutazione comparativa alla quale sono ammessi i dirigenti penitenziari con almeno nove anni e sei mesi di effettivo servizio senza demerito dall'ingresso in carriera."

Il comma 2 del medesimo articolo stabilisce a sua volta le categorie dei titoli di servizio ammesse a valutazione, con riferimento a una serie di parametri ivi stabiliti.

L'art. 8 poi attribuisce ai soli dirigenti con incarichi superiori (e comunque solo a coloro che abbiano avuto incarichi di particolare rilevanza) la possibilità di passaggio al livello apicale di dirigente superiore.

L'art. 9, al comma 1, nell'individuare i posti di funzione, distingue dirigenti penitenziari (semplici) da dirigenti con incarichi superiori.

Il comma 3 dell'art. 26 stabilisce a sua volta che "il personale già inquadrato nella qualifica di dirigente superiore dell'Amministrazione, è inquadrato nella nuova carriera con la qualifica di dirigente penitenziario, secondo l'ordine di ruolo, nel rispettivo ruolo professionale, ed è riconosciuto idoneo a ricoprire gli incarichi superiori di cui alla tabella A."

Anche l’appellante ha beneficiato di tale trattamento in quanto, già dirigente superiore dell'Amministrazione penitenziaria, conseguendo l'inquadramento di cui al citato terzo comma dell'art. 26.

Dal quadro normativo illustrato si evince l’esistenza di una categoria assimilabile a tutti gli effetti alla ex categoria dei dirigenti superiori, diversa solo quanto al nome.

In altri termini nel passaggio al nuovo sistema della dirigenza penitenziaria introdotto dal d.lgs. n. 63/2006, caratterizzato a regime dall’esistenza di due qualifiche soltanto (essendosi prevista all’art. 3 l’istituzione di tre ruoli di dirigente penitenziario che all’apice convergono nella qualifica unitaria di dirigente generale), il legislatore delegato è intervenuto con una disposizione transitoria per regolare le situazioni giuridiche pendenti di coloro che erano in possesso della qualifica di dirigente superiore, non più contemplata nel nuovo assetto ordinamentale della dirigenza penitenziaria, al fine di temperare l’impatto della riforma nei loro confronti.

La previsione del comma 3 dell’art. 26 del d.lgs. n. 63/2006 secondo cui “il personale già inquadrato nella qualifica di dirigente superiore dell’Amministrazione, è inquadrato nella nuova carriera con la qualifica di dirigente penitenziario, secondo l’ordine di ruolo, nel rispettivo ruolo professionale, ed è riconosciuto idoneo a ricoprire gli incarichi superiori di cui alla tabella A”, costituisce norma apposita di carattere contingente, destinata a regolare un numero finito e determinabile di casi esistenti, intesa ad assicurare agli ex dirigenti superiori uno status più elevato di quello spettante di norma ai dirigenti penitenziari pur senza formalmente perpetuarne la qualifica.

Conferendo loro per legge quell’idoneità a ricoprire gli incarichi superiori che altrimenti ne avrebbe postulato la partecipazione alla valutazione comparativa dei dirigenti penitenziari con almeno nove anni e sei mesi di effettivo servizio senza demerito dall’ingresso in carriera prevista dall’art. 7 del più volte citato d.lgs. 63/2006 e affidata a una commissione di valutazione apposita, essi sono stati resi destinatari di una disciplina precipua che ne ha differenziato giuridicamente la posizione rispetto a quella di tutti gli altri dirigenti penitenziari, indipendentemente dal fatto che poi in concreto quegli incarichi siano stati affidati loro.

In questi termini si può convenire che gli ex dirigenti superiori dell’amministrazione penitenziaria divenuti ope legis dirigenti idonei a ricoprire incarichi superiori costituiscano un sottogruppo di dirigenti penitenziari muniti di uno status diverso dai dirigenti penitenziari “normali”, per l’effetto di concludere per la perdurante applicabilità in loro favore del beneficio della c.d. promozione alla vigilia di cui all’art. 1, co. 260, lett. b), della l. 27 dicembre 2005, n. 266, e quindi per riconoscere il diritto dell’appellante, in virtù di tale disposizione, al conseguimento della qualifica funzionale superiore (ai soli fini giuridici, per quanto appresso si dirà), che costituisce il petitum sostanziale della domanda proposta col ricorso di primo grado.

D'altra parte, diversamente opinando, con la riforma della dirigenza penitenziaria tutti i dirigenti superiori in servizio sarebbero stati vittima di una improbabile "degradazione" ex lege, che al contrario non vi è stata né sotto il profilo economico, né sotto quello delle funzioni esercitate e della carriera.

Da ciò deriva che la motivazione posta alla base del provvedimento di diniego impugnato, inerente alla soppressione del ruolo dei dirigenti superiori, si rivela illegittima.

3) La conclusione non trova ostacolo nel fatto che il collocamento a riposo dell’appellante è avvenuto durante il periodo di vigenza del blocco contrattuale perché la legislazione speciale sul blocco non ha impedito le progressioni di carriera.

Tuttavia l’ormai costante giurisprudenza di questo Consiglio riconosce legittima la promozione alla qualifica di dirigente generale con decorrenza dal giorno precedente il collocamento a riposo ai soli fini giuridici e senza effetti con riferimento al trattamento pensionistico e di fine servizio in virtù della disposizione generale contenuta nell’art. 9, comma 21, del citato d.l. n. 78 del 2010 che, nell’ambito degli interventi per il contenimento della spesa pubblica, ha previsto il blocco degli effetti economici conseguenti agli avanzamenti di carriera con la dichiarata finalità di sterilizzare tali effetti nei rapporti in corso per contingenti esigenze di finanza pubblica e per il contenimento del disavanzo di bilancio e salvaguardia del suo equilibrio (Cons Stato, sez. II, 23 giugno 2022, n. 5178, con richiamo alle precedenti sentenze della sez. IV nn. 6516, 4144, 3952, 3835, 3833, 3464, 2687 e 2315 del 2020;
quest’ultima riassume alcuni fondamentali snodi delle considerazioni svolte dalla Corte Costituzionale, nella sentenza n. 200 del 2018, sulle conseguenze del contenimento della retribuzione sulla base di calcolo della contribuzione previdenziale e, quindi, sull’ipotesi della progressione in carriera e della cessazione dal servizio nel periodo di blocco: «il contenimento della retribuzione nel quadriennio suddetto ha comportato, come conseguenza, che la retribuzione calcolata con il criterio limitativo è stata anche la base di calcolo della contribuzione previdenziale ed è quella rilevante al fine della quantificazione del trattamento pensionistico, sia nel generalizzato sistema contributivo, sia in quello residuale ancora retributivo;
mentre, il differenziale tra la retribuzione percepita - perché “spettante” in ragione del criterio limitativo - e quella che altrimenti sarebbe stata percepita dal pubblico dipendente, ove tale criterio non fosse stato applicabile, rappresenta una quota di retribuzione virtuale non rilevante ai fini pensionistici, perché non spettante né percepita, salvo eccezioni espressamente previste dallo stesso art. 9, comma 1 e comma 22, non ricorrenti nella fattispecie»;
e ancora: «una volta sterilizzate ex lege, per effetto dell’art. 9, le retribuzioni in caso di progressioni in carriera nel quadriennio, la retribuzione utile ai fini previdenziali è quella risultante dall’applicazione di tale regola limitativa, senza che a tal fine rilevi il momento del collocamento in quiescenza, se nel corso del quadriennio o successivamente alla sua scadenza, perché la ricaduta sul piano del rapporto previdenziale è generalizzata»).

4) Per le suesposte ragioni l’appello dev’essere accolto e con esso, in conseguente riforma della sentenza appellata, il ricorso di primo grado, nei termini suindicati.

In considerazione del fatto che la questione di diritto esaminata trova per la prima volta composizione in sede di appello dopo aver formato oggetto di contrastanti soluzioni nella giurisprudenza di primo grado, si ravvisano i presupposti per compensare interamente tra le parti le spese del doppio grado del giudizio.

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