Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2021-05-26, n. 202104069

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2021-05-26, n. 202104069
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202104069
Data del deposito : 26 maggio 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 26/05/2021

N. 04069/2021REG.PROV.COLL.

N. 00447/2018 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 447 del 2018, proposto da
FUORIMURO SERVIZI PORTALI E FERROVIARI S.R.L., INRAIL SPA, HUPAC SPA, SBB CARGO ITALIA S.R.L., TUA - UNICA ABBRUZZESE DI TRASPORTO SPA, RAIL TRACTION COMPANY SPA, CFI COMPAGNIA FERROVIARIA ITALIANA SPA, FERROTRAMVIARIA SPA, OCEANOGATE ITALIA SPA, CAPTRAIN ITALIA, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall’avvocato M G, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, corso Vittorio Emanuele II, n. 187;

contro

AUTORITÀ DI REGOLAZIONE DEI TRASPORTI, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

nei confronti

RETE FERROVIARIA ITALIANA SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Giuseppe Lo Pinto, Fabio Cintioli, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Fabio Cintioli in Roma, via Vittoria Colonna, n. 32;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte (Sezione Seconda) n. 1097 del 2017;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Autorità di Regolazione dei Trasporti e di Rete Ferroviaria Italiana s.p.a.;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 30 marzo 2021 il Cons. D S;

L’udienza si svolge ai sensi degli articoli 25 del decreto-legge 137 del 28 ottobre 2020 e 4 comma 1, decreto-legge 28 del 30 aprile 2020, attraverso videoconferenza con l’utilizzo di piattaforma “Microsoft Teams” come previsto della circolare n. 6305 del 13 marzo 2020 del Segretario Generale della Giustizia Amministrativa;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1.‒ Con il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado e successivi motivi aggiunti, le imprese appellanti (di seguito: “le Società”) ‒ esercenti in Italia, in base a licenza e relativo certificato di sicurezza, l’attività di trasporto ferroviario, anche internazionale, di merci ‒ hanno impugnato:

- la delibera n. 75 del 1 luglio 2016, con cui l’Autorità di regolazione dei trasporti (di seguito: l’Autorità) ha approvato le tariffe presentate da Rete Ferroviaria Italiana s.p.a. con la nota del 30 giugno 2016, le quali si applicano alle imprese ricorrenti dal 1 luglio 2016 per l’accesso ed utilizzo dell’infrastruttura ferroviaria (c.d. “Tariffe Pacchetto Minimo di Accesso” - PMdA);

- la Delibera n. 96/2015 del 13 novembre 2015, recante i “Criteri per la determinazione dei canoni di accesso ed utilizzo dell'infrastruttura ferroviaria”;

- la Delibera n. 28/2016 dell’8 marzo 2016, avente ad oggetto “Attuazione della delibera n. 96/2015 Differimento di termini ed altre misure”;

- la Delibera n. 31/2016 del 23 marzo 2016 avente ad oggetto “Attuazione della delibera n. 96/2015 Precisazioni”;

- la Delibera n. 62/2016 del 30 maggio 2016, avente ad oggetto “Differimento dei termini di attuazione delle misure 41 e 58 di cui all’Allegato 1 alla delibera n. 96/2015”;

- la Delibera n. 72/2016 del 27 giugno 2016, avente ad oggetto “Attuazione della delibera n. 96/2015 - modalità applicative e differimento dei termini”;

- il Prospetto Informativo della Rete PIR - 2018 Edizione dicembre 2016, di Rete Ferroviaria Italiana s.p.a.;

- la Delibera n. 140/2016, del 30 novembre 2016 e relativo Allegato A, avente ad oggetto “Indicazioni e prescrizioni relative al Prospetto Informativo della Rete 2018, presentato dal gestore della rete ferroviaria nazionale, R.F.I. S.p.A.”.

Le Società hanno sollevato in primo grado le seguenti censure:

i) difetto di competenza: l’ART avrebbe violato il sistema di competenze stabilito dall’art. 18 del d.lgs. n. 112 del 2015 che affida alla competenza del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze la determinazione dei coefficienti in di maggiorazione, spettando all’ART solo la verifica della sostenibilità e della corretta applicazione dei coefficienti di maggiorazione, i cui esiti vanno comunicati ai Ministeri competenti per le relative determinazioni;

ii) difetto di istruttoria con riferimento alla insostenibilità economica delle tariffe così determinate, rappresentata nel corso del procedimento dalle imprese ricorrenti e dalle associazioni di categoria;

iii) contraddittorietà tra atti: la proposta tariffaria PMdA 2016-2021 è stata presentata da Rete Ferroviaria Italiana s.p.a. (di seguito: “RFI”) all’Autorità il 30 giugno 2016 e, in pari data, respinta dall’Autorità, la quale però il giorno dopo ha approvato la medesima proposta RFI precedentemente respinta;

iv) violazione di legge: le tariffe approvate per il PMdA coprono i costi totali di RFI, in violazione del principio sancito dall’art. 17 del d.lgs. n. 112 del 2015, secondo cui i canoni in questione sono stabiliti al costo direttamente legato alla prestazione del servizio ferroviario, con l’aggiunta eventuale dei costi relativi alla scarsità di capacità e agli effetti ambientali causati dalla circolazione del treno, di cui ai commi 5 e 6;

v) difetto di istruttoria, con riferimento alle maggiorazioni tariffarie che hanno penalizzato le categorie dei trasporti diurni e dei trasporti internazionali, con effetti distorsivi sul mercato, senza alcuna giustificazione economica e senza un adeguato controllo preventivo di compatibilità;

vi) eccesso di potere: la delibera dell’Autorità n. 75 del 2016 è illegittima anche perché prevede un andamento tariffario crescente per il periodo 2016-2021, mentre la “Misura” 31 della delibera n. 96 del 2015 stabiliva che la tariffa media chilometrica non potesse superare quella vigente nel 2015, così fissando un valore Price cap invalicabile, che è stato invece immotivatamente disatteso in sede di attuazione del criterio;

vii) mancanza di un sistema di tariffazione basato su dati di costo certi e pertinenti: la contabilità regolatoria adottata da RFI e approvata da ART con la delibera n. 75 del 2016 non permette di individuare in modo certo gli effettivi costi concernente i servizi del PMdA, distinguendoli dagli altri.

2.‒ Il Tribunale Amministrativo Regionale del Piemonte, con sentenza n. 1097 del 2017 ha accolto, in parte, il motivo relativo al tasso di inflazione programmata per il 2016 e l’ultimo motivo relativo alla contabilità regolatoria.

3.‒ Avverso la predetta sentenza le Società hanno proposto appello, riproponendo i motivi di ricorso proposti in primo grado, sia pure adattati all’impianto motivazionale della sentenza gravata.

4.‒ Si sono costituite in giudizio l’Autorità e Rete ferroviaria italiana s.p.a., insistendo per il rigetto dell’appello.

5.‒ Con ordinanza 18 luglio 2019, n. 5037, la Sezione, previa riunione dei due appelli in quanto relativi alla medesima sentenza, ha disposto una verificazione, incaricando il Direttore del Dipartimento di Ingegneria dell’Ambiente, del Territorio e delle Infrastrutture del Politecnico di Torino, con facoltà di delega a docente esperto del settore scientifico disciplinare dei trasporti, di rispondere ai seguenti quesiti:

« Il verificatore dica se:

- in ragione del contesto di mercato in cui operano le imprese appellanti (considerando, ad esempio, la quota del trasporto ferroviario di merci rispetto ai volumi totali trattati sul territorio nazionale, la concorrenza del trasporto stradale non soggetto a pedaggio, i limiti infrastrutturali di modulo, di sagoma e di peso assiale, il grado di elasticità della domanda), le tariffe per l’accesso ed utilizzo dell’infrastruttura ferroviaria gestita da RFI, approvate con la delibera n. 75 del 1 luglio 2016, per il periodo 2016-2021, siano economicamente «sostenibili» da parte degli operatori professionali del settore (ai sensi dell’art. 18, comma 4, lettera a), del decreto legislativo n. 112 de 2015);

- gli aumenti così introdotti siano coerenti con i volumi di traffico attesi e con i nuovi investimenti;

- il tasso di inflazione programmato applicato dall’ART abbia consentito di aumentare le tariffe più dell’inflazione reale;

- le modulazioni notte/giorno e internazionale/nazionale siano correlati con i costi di RFI, e se determino effetti distorsivi della concorrenza »;

5.1.‒ Con successiva ordinanza 30 settembre 2019, n. 6513, il Collegio ‒ letta la comunicazione del 24 luglio 2019, con la quale il Rettore del Politecnico di Torino ha segnalato che, all’interno del Dipartimento di Ingegneria dell’Ambiente, del Territorio e delle Infrastrutture, «alcuni docenti hanno in passato effettuato attività di consulenza nei confronti di alcune delle società ricorrenti», aggiungendo altresì che il «Politecnico di Torino ha sottoscritto numerosi accordi con l’Autorità di Regolazione dei Trasporti, parte resistente dei ricorsi di cui trattasi, e in particolare, ha concesso in comodato d’uso fino al 2023 gli spazi presso cui l’Autorità opera» ‒ ha ritenuto necessario, per ragioni di opportunità, nominare quale nuovo verificatore il Direttore del Dipartimento di Ingegneria Civile e Ambientale del Politecnico di Milano (sempre con facoltà di delega a docente esperto del settore scientifico disciplinare dei trasporti).

5.2.‒ Con successive ordinanze 11 maggio 2020, n. 2945, e 13 novembre 2020, n. 7002, il Collegio ha accolto le richieste di proroga dei termini per il deposito della relazione conclusiva, formulata dal verificatore in ragione dello stato di emergenza pandemico dichiarato con la delibera del Consiglio dei Ministri del 31 gennaio 2020.

6.‒ All’udienza pubblica del giorno 30 marzo 2021, la causa è stata discussa ed è stata trattenuta per la decisione.

DIRITTO

1.‒ È utile premettere una sintetica ricognizione del quadro regolatorio di riferimento, per quanto strettamente necessario alla risoluzione del presente giudizio.

1.1.‒ In Italia, il settore ferroviario è stato per quasi un secolo sotto il controllo dell’Azienda autonoma Ferrovie dello Stato, costituita nel 1905 in seguito alla nazionalizzazione del settore.

Con la Direttiva del Consiglio delle Comunità Europee del 29 luglio 1991 relativa allo sviluppo delle ferrovie comunitarie (91/440/CEE) è stato avviato in Europa il processo di liberalizzazione del trasporto ferroviario, che si è andato definendo nel corso degli anni successivi (2011-2013) attraverso l’emanazione di direttive, regolamenti e comunicazioni raccolte nei cosiddetti quattro “pacchetti ferroviari”, attraverso i quali, si è inteso sviluppare il pieno potenziale del trasporto ferroviario, passeggeri e merci, introducendo la competitività tra le imprese, promuovendo l’affidabilità dei servizi offerti, riducendo le inefficienze delle gestioni governative, con l’obiettivo ultimo di spostare quote di domanda verso la ferrovia che rappresenta una modalità di trasporto più sostenibile, sicura e meno inquinante del trasporto stradale e del trasporto aereo.

Tale evoluzione, come noto, si colloca nel quadro dell’ampio processo di privatizzazione, aziendalizzazione (l’implementazione cioè di criteri gestori economico-aziendali) e liberalizzazione (mediante l’introduzione della forma di concorrenza più adatta allo specifico settore) che ha interessato la quasi totalità delle aziende pubbliche italiane, a partire dagli anni novanta del secolo scorso.

1.2.‒ Nel trasporto ferroviario, la leva della concorrenza (al fine di determinare un incremento dei servizi in termini di qualità ed anche una riduzione dei costi) trova un limite nel fatto che i sistemi ferroviari sono caratterizzati da economie di densità di traffico, con la conseguenza che, a parità di ogni altra condizione, un particolare livello di produzione su una certa linea può essere più economicamente realizzato da un singolo operatore ferroviario che non nel caso di operatori ferroviari multipli.

In presenza di una domanda di mercato troppo esigua per supportare un cospicuo numero di operatori, la forma di mercato più ricorrente risulta essere la concorrenza oligopolistica.

Ecco le ragioni per cui il processo di riforma è stato per lo più attuato mediante l’implementazione di modelli intermedi, come il c.d. “third party access”, dove un operatore integrato verticalmente con il gestore dell’infrastruttura viene costretto ad accettare sulla linea anche altri operatori.

Ai fini regolatori, va pure considerato che le imprese di trasporto ferroviario sono in competizione anche con altre modalità di trasporto, come quello aereo, privato automobilistico o tramite pullman o autobus (c.d. concorrenza intermodale).

1.3.‒ Il punto nodale della funzione di regolazione delle network industries (quali, per l’appunto, i trasporti in generale, e quelli ferroviari in particolare) concerne la rete. In presenza di infrastrutture non replicabili (dove cioè le condizioni di monopolio naturale rendono non economicamente conveniente la realizzazione di forme concorrenziali dirette nella produzione o nella gestione), la teoria economica della regolazione impone due tipi di correttivi:

i) quelli necessari a garantire l’uso efficiente della rete, attraverso dispositivi in grado di simulare pressioni concorrenziali, incentivando l’innovazione ed il contenimento dei costi;

ii) quelli finalizzati a garantire «l’uso comune della rete», in funzione della libera competizione degli operatori, attraverso l’adozione di meccanismi di «neutralità».

Quest’ultimo profilo, oggetto precipuo del presente contenzioso, è assai delicato: le modalità tecniche ed economiche della messa a disposizione dell’infrastruttura dal proprietario (e dal gestore) ai diversi operatori chiamati a erogare il servizio di trasporto ferroviario, e le relative modalità tecniche, è suscettibile di applicazioni differenziate, in grado di condizionare fortemente l’effettivo svolgersi della concorrenza.

1.4.‒ La liberalizzazione del mercato ferroviario italiano, a partire dal 2000, con l’apertura del mercato a nuovi operatori merci e passeggeri, è stata accompagnata dalla separazione, con conseguente scissione tra il gestore dell’infrastruttura (Rete ferroviaria italiana s.p.a.) e l’impresa ferroviaria (Trenitalia s.p.a.), le quali sono rimaste tuttavia sotto la proprietà e il controllo della società di partecipazione Ferrovie dello Stato Holding.

Alla separazione verticale la teoria economica ricollega vantaggi in termini di: trasparenza delle informazioni a disposizione del decisore politico;
specializzazione degli operatori;
sfruttamento di economie di scala;
neutralità dell’accesso;
maggiore concorrenza, con conseguente riduzione dei costi, maggiore innovazione e qualità.

1.5.‒ Rete ferroviaria italiana s.p.a. (di seguito: “RFI”) è il gestore dell’infrastruttura ferroviaria nazionale, in virtù dell’atto di concessione di cui al decreto-ministeriale 31 ottobre 2000 n. 138T ed è tenuta all’attuazione dei piani di potenziamento e di sviluppo dell’infrastruttura ferroviaria, approvati dal CIPE e descritti nel Contratto di Programma stipulato con il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. In quanto gestore dell’infrastruttura, RFI è soggetta al rispetto degli obblighi di legge sanciti con il d.lgs. n. 112/2015, che disciplina l’attuazione della direttiva n. 2012/34/UE e che, unitamente al già richiamato atto di concessione, individua il gestore dell’infrastruttura come il «soggetto incaricato, in particolare, della realizzazione, della gestione e della manutenzione dell'infrastruttura ferroviaria, compresa la gestione del traffico, il controllo-comando e il segnalamento».

Il gestore ha l’obbligo di garantire l’accesso e l’utilizzo equo e non discriminatorio dell’infrastruttura ferroviaria nazionale a favore delle singole imprese ferroviarie, a fronte della corresponsione di un “canone” la cui determinazione – ai sensi dell’art. 17, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 112 del 2015 – spetta al gestore stesso.

L’art. 37 del decreto-legge n. 201 del 2011 ha previsto, al comma 2, lettera i), che .l’Autorità di regolazione dei trasporti fosse competente a svolgere tutte le funzioni di organismo di regolazione di cui all’articolo 37 del decreto legislativo 8 luglio 2003, n. 188 (ad oggi ripreso nell’art. 37 del d.lgs. n. 112/2015), e, in particolare, «a definire i criteri per la determinazione dei pedaggi da parte del gestore dell’infrastruttura e i criteri di assegnazione delle tracce e della capacità e a vigilare sulla loro corretta applicazione da parte del gestore dell’infrastruttura».

1.6.‒ Nella regolazione dell’infrastruttura, la determinazione dei criteri di accesso e utilizzo dell’infrastruttura ferroviaria assume un rilievo centrale: da una parte, infatti, il pedaggio deve consentire al gestore dell’infrastruttura di coprire (in tutto o in parte) dei costi per la gestione, la manutenzione e lo sviluppo della rete;
d’altra parte, esso deve garantire un accesso equo e indiscriminato a tutte gli le imprese che volessero intraprendere un’iniziativa commerciale di offerta di servizi ferroviari (passeggeri e merci).

La normativa di riferimento che regola le modalità di individuazione del canone e stabilisce l’equilibrio di principi e regole tra i vari attori del settore del trasporto ferroviario fa riferimento principalmente alla Direttiva 2012/34/UE (“Recast”) ‒ direttiva che ha “rifuso e “riunito” in un unico atto la direttiva 91/440/CEE del Consiglio, del 29 luglio 1991, relativa allo sviluppo delle ferrovie comunitarie, la direttiva 95/18/CE del Consiglio, del 19 giugno 1995, relativa alle licenze delle imprese ferroviarie e la direttiva 2001/14/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2001, relativa alla ripartizione della capacità di infrastruttura ferroviaria e all’imposizione dei diritti per l’utilizzo dell’infrastruttura ferroviaria, introducendo, altresì, ulteriori modifiche alla disciplina europea dei trasporti ferroviari ‒, recepita in Italia con il d.lgs. n. 112 del 2015. Il Regolamento 2015/909, attuativo della direttiva, definisce invece le modalità di calcolo dei costi direttamente legati alla prestazione del servizio ferroviario. L’obiettivo del ‘recast’, è la creazione di un mercato unico ferroviario dell’Unione europea, che agevoli il trasporto ferroviario tra gli Stati membri dell’Unione europea, promuovendo lo sviluppo della competizione e la libera circolazione di persone e merci.

1.7.‒ Su queste basi, l’Autorità, con la delibera n. 96 del 13·novembre 2015, ha definito i principi e i criteri dei canoni di accesso all’infrastruttura ferroviaria (con la Delibera n. 70 del 31 ottobre 2014, l’Autorità era già intervenuta relativamente al pedaggio AV/AC).

Precedentemente, l’articolazione del pedaggio ed i livelli delle sue componenti erano stati stabiliti dal decreto del Ministero dei Trasporti n. 43T del 21 marzo 2000, successivamente modificato dal decreto ministeriale 18 agosto 2006.

Per quanto riguarda gli specifici contenuti del provvedimento, tale delibera definisce principi e criteri in materia di condizioni economiche di offerta, ivi compresi gli obblighi di contabilità regolatoria, per quanto riguarda:

i) il canone di accesso per l’utilizzo dell’infrastruttura ferroviaria nazionale, relativi ai servizi del c.d. “Pacchetto Minimo di Accesso” (di seguito: “PMdA”), come definito dall’art. 13, comma 1, del d.lgs. n. 112 del 2015;

ii) i canoni ed i corrispettivi dei Servizi afferenti all’infrastruttura ferroviaria nazionale, non ricompresi nel canone del PMdA, qualora soggetti a regolamentazione, ai sensi di quanto previsto dallo stesso d.lgs. n. 112 del 2015.

Il presente giudizio ha per oggetto i servizi costituenti il Pacchetto minimo di accesso (PMdA), i quali riguardano (ai sensi dell’art. 13 del d.lgs. n. 112 del 2015): a) il trattamento delle richieste di capacità di infrastruttura ferroviaria, ai fini della conclusione dei contratti di utilizzo dell’infrastruttura;
b) il diritto di utilizzo della capacità assegnata;
c) l’uso dell’infrastruttura ferroviaria, compresi scambi e raccordi;
d) il controllo e regolazione della circolazione dei treni, del segnalamento ed instradamento dei convogli, nonché della comunicazione di ogni informazione relativa alla circolazione;
e) l’uso del sistema di alimentazione elettrica per la corrente di trazione, ove disponibile;
f) tutte le altre informazioni necessarie per la realizzazione o la gestione del servizio per il quale è stata concessa la capacità.

1.8.‒ In Europa, per la determinazione del canone di accesso all’infrastruttura ferroviaria, in relazione anche alle differenti politiche di trasporto dei vari Stati Membri, si riscontrano due principali approcci: il marginal cost ed il full cost.

Il modello “a costo marginale” definisce il canone di accesso in modo tale che questo consenta di coprire i costi che il gestore sopporta per effetto di un’offerta addizionale di servizi: le imprese ferroviarie pagano per ciò che i propri treni “consumano” e non partecipano agli altri costi (“costi fissi”) pur sopportati dal gestore dell’infrastruttura, quali ad esempio i costi di sviluppo della rete, i costi amministrativi, etc. Tale modello di costing ha il vantaggio di tenere basso il canone per le imprese ferroviarie, aumentando la loro competitività, ma può creare un deficit di bilancio al gestore dell’infrastruttura che non riesce a coprire interamente i suoi costi con gli introiti derivanti dalle tariffe (con conseguente intervento dello Stato per riportare in pareggio il bilancio).

Il modello “a costo pieno” prevede invece un canone che consente di coprire tutti i costi del gestore dell’infrastruttura, senza la necessità di dipendere da sovvenzioni statali. Nei modelli di gestione delle reti ferroviarie, tuttavia, l’applicazione del full cost si scontra con l’introduzione di tariffe di accesso spesso eccessive per le imprese ferroviarie, che a loro volta si troverebbero costrette a ribaltare tali costi sulla domanda di trasporto ferroviario (passeggeri e merci), a discapito della concorrenza con altri modi e, in taluni casi, della qualità dei servizi offerti.

Esistono, poi, modelli intermedi: alcuni, partendo dal modello del costo marginale, aggiungono degli incrementi puntuali di canone (mark-up) legati, ad esempio, al recupero dei costi di realizzazione di un importante investimento (marginal cost plus);
altri, partendo dal modello a costo completo, scomputano alcuni elementi di costo diretti e fissi del gestore dell’infrastruttura (full cost minus).

Il modello italiano è del tipo Full Cost Minus, in base al quale il canone per il Pacchetto Minimo di Accesso (PMdA) è distinto nelle seguenti macro-componenti:

a) componente ‘A’, costruita in modo che i ricavi totali ad essa correlati consentano, ai sensi dell’art. 17, comma 4 del d.lgs. n. 112 del 2015, il recupero dei costi diretti, avendo come riferimento, in sede di prima applicazione, l’intera rete;

b) componente ‘B’, costruita in modo che i ricavi totali ad essa correlati siano tali da consentire, sommati alla componente A, il recupero dei costi totali al netto dei contributi statali previsti nei Contratti di Programma, delle entrate non rimborsabili da fonti pubbliche e private, nonché delle eccedenze da altre attività commerciali.

In merito alla componente ‘A’, i canoni di accesso all’infrastruttura sono stabiliti in relazione ai costi diretti legati al servizio, ossia a quelli legati all’usura dell’infrastruttura ferroviaria causata dalla circolazione dei treni.

In merito alla componente ‘B’, l’Autorità ha preceduto adottando il meccanismo di “coefficienti di maggiorazione” finalizzato ad incrementare il valore della componente ‘A’, precedentemente calcolata, in modo da pervenire ad un insieme di valori di maggiorazione differenziati per “segmenti” di domanda (ad esempio servizi nazionali o internazionali), per tipologia di rete (ad esempio rete alta velocità, corridoi principali, rete complementare) e per fascia oraria (ad esempio servizio diurno o servizio notturno).

La somma delle Componenti ‘A’ e ‘B’ deve essere tale da consentire complessivamente (una volta che ciascun valore sia applicato ai volumi di traffico ferroviario di ciascun segmento), il pieno recupero dei costi pertinenti del gestore dell’infrastruttura in condizioni di efficienza. Tale costo totale efficiente di cui alla Misura 6 della delibera dell’Autorità n. 96 del 2015, è in linea con l’esigenza di assicurare che l’esercizio dei servizi del PMdA sia in condizioni di efficienza e che non costituisca fonte di disequilibrio economico e finanziario del gestore dell’infrastruttura, e, al contempo, consente di evitare un utilizzo improprio dei canoni del PMdA, per finalità di copertura di costi inefficienti o non pertinenti (ad esempio la copertura di mancati introiti da altre fonti).

1.9.‒ Il nuovo sistema tariffario 2016-2021 proposto da RFI, è stato approvato dall’Autorità con la delibera n. 75 del 2016, e prevede che il pedaggio PMdA sia calcolato in base a tre sub-componenti additive, di cui alla componente ‘A’, legate all’usura dell’infrastruttura (dipendente dalla massa del convoglio e dalla velocità di percorrenza della tratta ferroviaria) e all’usura della linea di contatto elettrica dei treni per i servizi merci.

Tale componente base viene poi sommata alla componente ‘B’, ottenuta attraverso dei coefficienti maggiorazione della tariffa base in funzione di segmenti di mercato, che tengono conto anche della lunghezza del viaggio e della fascia oraria.

I coefficienti per il calcolo delle componenti ‘A’ e ‘B’ della tariffa sono contenuti nel Prospetto Informativo della Rete (PIR): quest’ultimo è il documento, predisposto dal gestore dell’infrastruttura secondo quanto previsto dall’art. 14, comma 2, del d.lgs. n. 112/2015, che «[…] descrive le caratteristiche dell’infrastruttura disponibile per le imprese ferroviarie e contiene informazioni sulle condizioni di accesso all’infrastruttura ferroviaria in questione. Il PIR, inoltre, contiene le informazioni sulle condizioni di accesso agli impianti di servizio connessi alla rete del gestore dell’infrastruttura e di fornitura dei relativi servizi […]». Dal 2021 si ricava, per i servizi merci, la segmentazione in: servizi notturni e diurni;
i servizi diurni sono suddivisi in internazionali e nazionali, infine, questi ultimi in “Base” e “Top” a seconda della lunghezza del viaggio.

1.10.‒ Al termine dell’ampia premessa, è possibile procedere allo scrutinio dei motivi di gravame.

2.‒ Con la prima censura, le Società eccepiscono il difetto di competenza dell’Autorità.

In sintesi, si afferma che: il sistema tariffario approvato dall’Autorità garantirebbe al Gestore non solo la copertura dei costi diretti del servizio ma anche di una quota parte dei costi totali, con applicazione di coefficienti di maggiorazione;
tuttavia, l’applicazione di questi ultimi, ai sensi dell’art. 18 del d.lgs. n. 112 del 2015, avrebbe imposto l’intervento del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze e non della sola Autorità, chiamata, a posteriori, a verificare in sede di attuazione la mera sostenibilità ed efficienza dell’applicazione dei coefficienti di maggiorazione così determinati. Da qui, l’illegittimità dell’intervento regolatorio effettuato dall’Autorità.

2.1.‒ Il motivo non può essere accolto alla luce di quanto già affermato da questa Sezione in altri giudizi analoghi, dove pure era stata eccepita l’incompetenza dell’Autorità ad applicare un “coefficiente di maggiorazione” finalizzato ad assicurare la remunerazione di tutti i costi totali efficienti connessi all’attività del Gestore dell’infrastruttura.

Il legislatore ha costruito un sistema in cui il pedaggio per l’accesso all’infrastruttura ferroviaria viene determinato dal Gestore, mentre l’Autorità definisce i criteri in applicazione dei quali il Gestore giunge alla quantificazione delle tariffe. Il potere di determinazione del canone, anche nella sua componente aggiuntiva rispetto alla copertura dei costi diretti, deve ritenersi previsto dall’art. 17, comma 1, d.lgs. n. 112 del 2015 già citato, secondo cui: «l’Autorità di regolazione dei trasporti, di cui all’articolo 37 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, definisce, fatta salva l’indipendenza del gestore dell'infrastruttura e tenendo conto dell’esigenza di assicurare l’equilibrio economico dello stesso, i criteri per la determinazione del canone per l’utilizzo dell’infrastruttura ferroviaria da parte del gestore dell’infrastruttura e dei corrispettivi dei servizi di cui all’articolo 13».

La prospettazione di parte appellante trascura i principi ai quali si deve ispirare il particolare settore che viene in discorso, caratterizzato, da un lato, dalla presenza di una risorsa non replicabile (la rete ferroviaria) ‒ che dà origine alla situazione di monopolio naturale ‒ sottoponendola ad uno speciale regime giuridico, che la rende disponibile alle imprese per l’esercizio della loro attività economica;
dall’altro, dalla peculiare relazione finanziaria tra lo Stato, che è proprietario della rete, e la principale impresa ferroviaria utilizzatrice della rete stessa.

In tale contesto, anche al fine di preservare l’indipendenza imprenditoriale del Gestore – principio ribadito dalla Corte di giustizia dell’Unione Europea, con sentenza 3 ottobre 2013, nella causa C 369/11 (secondo cui: «La Repubblica italiana, non garantendo l’indipendenza del Gestore dell’infrastruttura per la determinazione dei diritti di accesso all’infrastruttura e la ripartizione della capacità di infrastruttura ferroviaria, è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti ai sensi degli articoli 4, paragrafo 1, e 30, paragrafo 3, della direttiva 2001/14/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2001, relativa alla ripartizione della capacità di 39 infrastruttura ferroviaria e all’imposizione dei diritti per l’utilizzo dell’infrastruttura ferroviaria, come modificata dalla direttiva 2007/58/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 ottobre 2007») – assume un particolare significato la presenza di un’Autorità indipendente dal Governo e dagli operatori economici del settore, alla quale è affidato il compito di regolare ex ante i criteri di determinazione del canone di accesso all’infrastruttura (così le sentenze del Consiglio di Stato n. 4215 del 2020 e n. 4216 del 2020).

Posto che l’attuale livello di contribuzione statale, così come stabilito dal contratto di programma per la manutenzione, risulta coprire poco meno del 50% dei costi operativi, ammortamenti e remunerazione del capitale investito (sicché, per garantire l’equilibrio economico del Gestore, poco più del 50% dei costi, deve essere recuperato tramite il pedaggio) e che i costi diretti ammontano a circa il 16% dei costi totali, se l’Autorità potesse agire ‒ così come prospettato dalle Società appellanti ‒ solo su questa componente dei costi, la sua funzione risulterebbe del tutto residuale, in contrasto anche con l’ampia attribuzione di competenze di cui al comma 2, dell’art. 37, del decreto-legge n. 201 del 2011.

Appare dunque ineludibile una interpretazione conforme al diritto europeo (in base cioè al sistema istituito dalla direttiva 2001/14), secondo cui la competenza ministeriale di cui al citato art. 18 del d.lgs. n. 112 del 2015, lungi dall’essere intesa come potere ordinario di tariffazione, va configurata come funzione residuale e straordinaria, finalizzata alla copertura (ex post) di costi imprevisti derivanti da urgenti necessità di investimento mediante la maggiorazione del canone fissato dal gestore dell’infrastruttura.

3.‒ Vanno ora scrutinati i rilievi di natura sostanziale che le Società muovono alle delibere impugnate.

3.1.‒ È utile premettere che, anche nei giudizi di legittimità riguardanti decisioni connotate da discrezionalità, il giudice deve procedere al raffronto tra la realtà e la rappresentazione che di essa ne abbia fatto l’amministrazione, e non muoversi esclusivamente all’“interno” della rappresentazione della realtà descritta nel provvedimento impugnato.

Il nuovo codice di rito ha infatti inteso superare radicalmente l’antica impronta del “contenzioso amministrativo”, la cui istruzione verteva su prove esclusivamente precostituite ‒ ovvero su documenti che non si formavano innanzi al giudice nel processo in contraddittorio tra le parti, ma prima del processo nel momento stesso in cui il potere veniva tradotto in atto ‒, dotando il giudice di tutti i mezzi di prova necessari a realizzare un sistema rimediale “aperto” e conformato al bisogno differenziato di tutela dell’interesse evocato in giudizio. La «piena» giurisdizione del giudice amministrativo comporta che questi ha il potere di riformare in qualsiasi punto, in fatto come in diritto, la decisione resa dall’autorità amministrativa.

Anche nel sindacato sull’attività di regolazione, è ammessa una piena conoscenza del fatto e del percorso intellettivo e volitivo seguito del regolatore.

L’unico limite in cui si sostanzia l’intangibilità della valutazione amministrativa complessa è quella per cui, quando ad un certo problema tecnico ed opinabile (in particolare, la fase di c.d. “contestualizzazione” dei parametri giuridici indeterminati ed il loro raffronto con i fatti accertati) l’Autorità ha dato una determinata risposta, il giudice (sia pure all’esito di un controllo “intrinseco”, che si avvale cioè delle medesime conoscenze tecniche appartenenti alla scienza specialistica applicata dall’Amministrazione) non è chiamato, sempre e comunque, a sostituire la sua decisione a quella dell’Autorità, dovendosi piuttosto limitare a verificare se siffatta risposta rientri o meno nella ristretta gamma di risposte plausibili, ragionevoli e proporzionate (sul piano tecnico), che possono essere date a quel problema alla luce della tecnica, delle scienze rilevanti e di tutti gli elementi di fatto. Sul versante dell’infrastruttura ferroviaria, ad esempio, si pensi alla opinabilità tecnica ed economica di alcuni concetti come quello del “costo del servizio”, quale può essere valutato quale costo storico o corrente, pieno, incrementale o marginale, diretto o indiretto, fisso o variabile a breve o lungo termine.

Nel caso della regolazione economica, il controllo giurisdizionale “non sostitutivo” trova giustificazione in ragione di una specifica scelta di diritto sostanziale: quella per cui il legislatore, non essendo in grado di governare tutte le possibili reciproche interazioni tra i soggetti interessati e di graduare il valore reciproco dei vari interessi in conflitto, si limita a predisporre soltanto i congegni per il loro confronto dialettico, senza prefigurare un esito giuridicamente predeterminato. In tali casi, l’attività integrativa del precetto corrisponde ad una tecnica di governo attraverso la quale viene rimesso ai pubblici poteri di delineare in itinere l’interesse pubblico concreto che l’atto mira a soddisfare.

4.‒ Con una serie articolata di doglianze, da affrontare congiuntamente, si deduce la carenza dell’istruttoria condotta dall’Autorità, la quale: i) mancherebbe dell’analisi sulla sostenibilità economica delle tariffe;
ii) avrebbe approvato tariffe sovrastimate se rapportate agli attesi volumi di traffico e agli investimenti autofinanziati da RFI;
iii) avrebbe errato nell’individuazione del tasso di inflazione (le Società censurano la sentenza di primo grado, che ha parzialmente accolto la doglianza correggendo il tasso di inflazione programmato per l’anno 2016);
iv) avrebbe determinato un incremento delle tariffe oltre il limite del price cap proxy di cui alla Misura 31.

4.1.‒ Va premesso in termini generali che, all’esito di un articolato itinerario normativo ‒ dipanatosi nelle seguenti disposizioni: l’art. 12 della legge 23 dicembre 1992, n. 498;
gli artt. 1 e 2, commi 17 e 18, della legge 14 novembre 1995, n. 481;
l’art. 117 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267;
l’art. 165 del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 ‒ appare oramai sedimentata nell’ordinamento amministrativo una chiara direttrice regolativa: le tariffe dei servizi di interesse economico generale devono assicurare l’equilibrio economico-finanziario dell’investimento e della connessa gestione, quale che sia la metodologia concretamente applicata ( cfr . Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 6119 del 2019).

La strumentalità del sistema tariffario rispetto al conseguimento degli obiettivi di carattere economico-industriale impone l’integrale copertura dei costi di produzione del servizio, ivi compresi quelli di indiretta imputazione e quelli generali: quali ammortamenti, costi finanziari della raccolta e del servizio al debito, costi generali di governance, nonché i costi figurativi di remunerazione del capitale investito.

La determinazione delle modalità di copertura dei costi di produzione dei pubblici servizi costituisce uno degli aspetti di maggiore impatto sul piano della garanzia degli equilibri gestionali dell’impresa erogatrice. Se, infatti, non viene remunerata adeguatamente la funzione svolta dall’unità economica il servizio non è in grado di offrire alcuna garanzia di continuità e di sviluppo nel tempo.

Tali principi di fondo ricevono un diretto riscontro nella direttiva 2012/34/UE e precisamente:

a) ai sensi del considerando n. 14 “Il gestore dell’infrastruttura dovrebbe conseguire un equilibrio del conto profitti e perdite in un periodo ragionevole che, una volta fissato, può essere superato in circostanze eccezionali…”;

b) ai sensi del considerando n. 70 “Il livello generale di recupero dei costi attraverso l’imposizione dei canoni di utilizzo dell’infrastruttura incide sul livello dei contributi statali. Gli Stati membri possono prevedere diversi livelli di recupero generale dei costi. È opportuno tuttavia che ogni sistema di imposizione dei canoni di utilizzo dell’infrastruttura consenta un livello di traffico che sia in grado di pagare almeno il costo supplementare che impone come conseguenza del suo utilizzo della rete ferroviaria”.

c) l’art. 8, nel dettare la disciplina del finanziamento del gestore dell’infrastruttura, prevede, al par. 3, che “il gestore dell’infrastruttura adotta un piano commerciale comprendente i programmi di investimento e di finanziamento. Il piano ha lo scopo di garantire l’uso, la fornitura e lo sviluppo ottimali ed efficienti dell’infrastruttura assicurando al tempo stesso l’equilibrio finanziario e prevedendo i mezzi per conseguire tali obiettivi”.

c) il medesimo articolo 8, al par. 4, prevede che “Gli Stati membri assicurano che il conto profitti e perdite del gestore dell’infrastruttura, in condizioni normali di attività e nell’arco di un periodo ragionevole non superiore a cinque anni, presenti almeno un equilibrio tra, da un lato, il gettito dei canoni per l’utilizzo dell’infrastruttura, le eccedenze provenienti da altre attività commerciali, le entrate non rimborsabili da fonti private e i contributi statali, compresi, se del caso, i pagamenti anticipati concessi dallo Stato, e, dall’altro, i costi di infrastruttura”;

d) dalla stessa norma si ricava anche la possibilità che le imprese ferroviarie possano essere chiamate a contribuire integralmente alla copertura dei costi sostenuti dal gestore dell’infrastruttura, precisando che “fatto salvo l’eventuale obiettivo a lungo termine della copertura da parte dell’utilizzatore dei costi di infrastruttura per tutti i modi di trasporto sulla base di una concorrenza intermodale equa e non discriminatoria, quando il trasporto ferroviario è competitivo rispetto ad altri modi di trasporto, nell’ambito dei principi di imposizione dei canoni di cui agli articoli 31 e 32, uno Stato membro può imporre al gestore dell’infrastruttura di conseguire un equilibrio della contabilità senza contributi statali”.

La finalità di garantire l’equilibrio economico-finanziario del gestore è ribadita dal legislatore nazionale all’art. 37 del decreto-legge n. 201 del 2011, che ha istituito l’Autorità dei Trasporti, e ripresa anche all’interno del d.lgs. n. 112 del 2015, che ha trasposto nell’ordinamento italiano le specifiche disposizioni della direttiva n. 2012/34/UE, e di cui ha fatto corretta applicazione l’Autorità, come di seguito meglio precisato.

In particolare, l’art. 16 del d.lgs. n. 112/2015 prevede che «I conti del gestore dell’infrastruttura ferroviaria devono presentare, in condizioni normali di attività e nell'arco di un periodo ragionevole non superiore a cinque anni, almeno un equilibrio tra, da un lato, il gettito dei canoni per l’utilizzo dell’infrastruttura, i contributi statali definiti nei contratti di programma di cui all’articolo 15, le eccedenze provenienti da altre attività commerciali e le eventuali entrate non rimborsabili da fonti private e pubbliche, e, dall'altro, i costi di infrastruttura almeno nelle sue componenti di costi operativi, ammortamenti e remunerazione del capitale investito».

4.2.‒ Ancora in via preliminare, la valutazione delle censure di parte appellante non deve inoltre trascurare che il canone per l’utilizzo dell’infrastruttura ferroviaria ‒ in quanto, per legge, strettamente correlato ai costi di infrastruttura ‒ è per sua stessa natura soggetto a variazioni nel corso del tempo, non potendosi pretendere la cristallizzazione del relativo costo, trattandosi invece di una variabile insita della specifica attività imprenditoriale in questione, rispetto alla quale, per le ragioni già esposte, l’Autorità si è mostrata sensibile e della quale l’impresa ferroviaria deve inevitabilmente tenere conto nella proprie scelte aziendali (Consiglio di Stato, sentenza n. 4216 del 2020).

In altri termini, da un lato, non può sussistere un diritto dell’impresa alla “immodificabilità” del sistema tariffario (al riguardo, seppur in un ambito diverso, Consiglio di Stato n. 1768 del 2016, che richiama CGUE, 10 settembre 2009, C-201/08 ove viene affermato che “gli operatori economici non possono fare legittimamente affidamento sulla conservazione di una situazione esistente che può essere modificata nell’ambito del potere discrezionale delle autorità nazionali”);
dall’altro, deve ritenersi sussistente una legittima pretesa dell’impresa a che il passaggio tra i due regimi tariffari tenga conto degli effetti che ciò potenzialmente esplica sull’equilibrio finanziario della stessa, attraverso misure quali la previsione di un regime transitorio, tempistiche dilazionate nel tempo, ed eventuali oneri spalmati su più anni, come è avvenuto nel caso di specie.

Al riguardo, anche la giurisprudenza costituzionale, con particolare riferimento ad interventi peggiorativi valevoli solo per il futuro, ma incidenti su rapporti di durata già in essere, valuta la ragionevolezza del regime giuridico sopravvenuto, sulla base, oltre che della proporzionalità, della prevedibilità della modifica peggiorativa imposta (ex multis, Corte Costituzionale, 24 gennaio 2017, n.16;
Corte Costituzionale, 22 dicembre 2015, n. 274, che chiarisce come “in materia di rapporti di durata […] non si può discorrere di un affidamento legittimo nella loro immutabilità)”, valorizzando la previsione di norme “transitorie”, che consentano di rendere meno traumatico il passaggio dalla precedente normativa a quella nuova, permettendo ai soggetti interessati di adeguarsi allo jus superveniens senza subirne un pregiudizio eccessivo.

4.3.‒ Tanto premesso, le risultanze della verificazione ‒ le cui valutazioni, sviluppate con argomenti sintetici ma scientificamente rigorosi ‒ depongono nel senso dell’infondatezza di tutte le censure sollevate.

4.4.‒ Dal PIR 2021 si ricava, per i servizi merci, la segmentazione in: servizi notturni e diurni;
i servizi diurni sono suddivisi in internazionali e nazionali;
i servizi nazionali sono divisi in “Base” e “Top” a seconda della lunghezza del viaggio. Utilizzando i coefficienti riportati nel PIR 2021, si calcolano le tariffe unitarie del PMdA, espresse in Euro/km.

Tali tariffe variano significativamente a seconda del segmento di domanda: un treno internazionale è più caro di un treno nazionale e può arrivare a costare il doppio di un treno notturno. Inoltre, le tariffe sono crescenti in funzione del carico e della velocità del treno. L’incremento di tariffa rispetto alla massa del treno può arrivare fino al 60% per servizi notturni (vale a dire che un treno notturno di massa superiore a 1500 tonnellate ha un costo superiore del 60% rispetto ad un treno di massa compresa tra 0-500 tonnellate), fino al 50% per i servizi diurni “Base”, fino al 33% per i servizi diurni “Top” e fino al 28% dei servizi internazionali. Le variazioni di tariffa rispetto alla velocità del treno sono più contenute e variano tra il 2% e il 6%, così come le variazioni rispetto al tipo di trazione (diesel o elettrica) che variano tra l’1% e il 4%.

Utilizzando i valori unitari della tariffa del PIR 2021 per ciascun segmento di domanda, e i valori dei volumi di domanda, previsti da RFI all’anno 2021 e assunti dall’ART, si può calcolare l’Importo Medio Unitario (IMU) del pedaggio PMdA, che risulta pari a 2,32 Euro/treno-Km.

Dalla Tabella 7 della verificazione, si evince che tale importo è inferiore rispetto all’IMU approvato dall’Autorità con la delibera n.75/2016 ed anche rispetto al cap previsto dalla misura 31 della delibera n.96/2015, la quale prescrive che «la tariffa media chilometrica dell’insieme dei servizi merci non può essere superiore rispetto a quella vigente nell’anno 2015 per il medesimo insieme dei servizi».

Quest’ultimo è calcolato in funzione dei tassi annui previsti di inflazione (2016 1,0%;
2017 1,5%;
2018 1,5%;
2019 1,5%;
2020 1,5%;
2021 1,5%), che complessivamente forniscono un incremento cumulato al 2021 rispetto al 2015 pari all’8,8%, corrispondente ad un Cap IMU di 2,44 Euro/treno-Km.

4.5.‒ Le nuove tariffe del PMdA appaiono sostenibili per il mercato ferroviario merci e rispettano i margini di produttività conseguiti dalle imprese ferroviarie.

Infatti, considerando, per le imprese ferroviarie, un ricavo medio di 19 Euro/treno-Km ed un costo operativo medio di 13 Euro/treno-Km, una tariffa PMdA di 2,32 Euro/treno-Km incide rispettivamente per il 12% e per il 18%, percentuali che appaiono congrue ai fini della verifica di sostenibilità della tariffa e dell’impatto sui livelli di produttiva delle IF. A titolo di esempio, si consideri un servizio ferroviario merci su una relazione origine/destinazione (OD) di distanza tra i 400 e i 600 Km con una massa di circa 1000 tonnellate (corrispondente ad un treno con 14 carri e a singola trazione elettrica): sulla base della nuova tariffa (PIR2021) si stima un costo complessivo del treno compreso in un intervallo tra 4000 e 5500 euro, di cui quanto al PMdA tra 1000 e 1500 euro.

D’altra parte, ha osservato il verificatore, il valore della tariffa PMdA come sopra determinata è in linea con i valori del canone di accesso negli altri paesi Europei che hanno adottato un modello tariffario Full Cost Minus, vale a dire Germania e Belgio.

4.6.‒ La perizia ha inoltre accertato che, in tutti gli anni del periodo tariffario, l’inflazione prevista (approvata con la delibera dell’Autorità) è superiore all’inflazione programmata del Dipartimento del Tesoro del Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF).

L’incremento cumulato effettivo del tasso di inflazione programmato sulla base delle indicazioni del MEF risulta pari al 4,0%, che fornisce una tariffa PMdA al 2021 pari a 2,33 Euro/treno-Km all’incirca uguale a quella effettivamente applicata da RFI.

L’inflazione programmata (MEF) nel periodo 2016-2020 è risultata a sua volta maggiore all’indice nazionale dei prezzi al consumo, che fornisce l’indicazione dell’andamento dell’inflazione reale.

Il verificatore ha concluso quindi che l’importo medio unitario della tariffa PMdA applicata da RFI nel 2021 presenta un incremento rispetto al vecchio modello di calcolo della tariffa PMdA che, all’anno 2015, mediamente è stimato pari a circa 2,24 Euro/treno-km.

Tale incremento, che cumulato al 2021 risulta pari al 3,6%, è da mettersi in relazione al tasso di inflazione programmato dal MEF e risulta leggermente maggiore dell’inflazione reale cumulato che, dal 2015 al 2021, è pari al 2,7%.

Va sottolineato che adeguare un prezzo all’inflazione non significa incrementarlo, bensì esprimerlo a valori economici correnti. Coerentemente, con la delibera n. 72 del 27 giugno 2016, l’Autorità, al punto 2, ha disposto: «c) con riferimento ai cap di cui alla misura 31 dell’allegato 1 alla delibera n. 96/2015, ai fini della loro conformità al modello, tali valori sono da assumersi in termini reali e pertanto adeguati al tasso di inflazione programmata, onde assicurare la necessaria coerenza fra detti valori e l’Efficient Total Cost che, come previsto dalla stessa delibera 96/2015 alla misura 10, è a sua volta assoggettato ad analoghi meccanismi di adeguamento inflattivo».

L’affermazione delle Società appellanti secondo cui il tasso di inflazione andrebbe applicato esclusivamente ai costi variabili e non anche ai costi fissi è priva di basi economiche. Correttamente l’Autorità fa l’esempio dei costi del personale di struttura, rispetto ai quali i contratti collettivi di lavoro vengono periodicamente aggiornati sulla base dell’inflazione.

4.7.‒ Dall’istruttoria svolta è emerso che l’incremento di tariffa con l’entrata in vigore del nuovo sistema tariffario non può mettersi in relazione, né ai volumi di traffico effettivi (decrescenti nel tempo), né con l’andamento degli investimenti (stabili nel tempo), quanto piuttosto con il tasso di inflazione programmata nel periodo tariffario.

In particolare, negli anni in esame, le previsioni dei volumi di traffico merci (riportate in Tabella 8 per ciascun segmento di domanda) hanno sovrastimato i volumi effettivi. La sovrastima è stata del 7% nel 2018, del 4% nel 2019 e del 17%4 nel 2020.

In ragione di questo andamento dei traffici, la tariffa avrebbe dovuto subire degli aggiustamenti al ribasso rispetto all’andamento dei traffici previsti, e degli aggiustamenti al rialzo rispetto ai traffici effettivi per garantire l’equilibrio finanziario del Gestore dell’Infrastruttura.

Dall’analisi degli investimenti di RFI previsti nel Contratto di Programma 2017-2021, risulta che i fabbisogni finanziari tra il 2018 e il 2021 sono pressoché costanti per tutti i programmi di investimento.

Contrariamente a quanto sostenuto dalle Società appellanti, le nuove immobilizzazioni autofinanziate dal Gestore sono state documentate dall’Autorità ed ammontano a complessivi 4,5 miliardi di euro nel periodo tariffario 2016-2021). Tali investimenti determinano costi di capitale aggiuntivi in termini di ammortamenti e remunerazione del capitale.

4.8.‒ I coefficienti di maggiorazione per la tariffa del PMdA (di cui all’art. 18 del decreto legislativo n. 112 del 2015), riguardano i seguenti “binomi”:

i) servizio notturno/diurno: esiste una tariffa diversa (componente ‘B’) a seconda che il treno effettui una percorrenza chilometrica prevalentemente svolta in fascia diurna, vale a dire che più del 50% del percorso sia svolto tra le 06:00 e le 22:00, ovvero una percorrenza chilometrica prevalentemente svolta in fascia notturna, vale a dire che più del 50% del percorso sia svolto tra le 22:00 e le 06:00;

ii) servizio internazionale/nazionale: sono considerati treni merci internazionali i treni diurni aventi origine o destinazione in un impianto di confine.

Dalla nota di RFI, risulta una maggiorazione pari a circa il doppio del servizio diurno rispetto al servizio notturno, e pari a un terzo del servizio internazionale rispetto al servizio nazionale.

Dal Prospetto Informativo della Rete 2021, si desume, invece, una differenziazione del servizio per segmento di mercato ottenuta attraverso una diversa modulazione della componente ‘B’, dalla quale si può desumere che il coefficiente di maggiorazione del servizio diurno rispetto al notturno è pari a 1,56 e 1,1 rispettivamente per le tariffe diurne top e base, e il rapporto tra tariffa del servizio internazionale e quella del servizio nazionale e pari a 1,15 e 1,61 rispettivamente per le tariffe diurne top e base.

Nota il verificatore come, al di là delle differenze tra PIR e nota RFI, la modulazione di tariffe introdotta privilegia il servizio notturno rispetto al servizio diurno, e risponde alla logica di efficientare l’utilizzo della rete spostando quote di domanda (treni in transito sulla rete), dalle ore diurne in cui i binari sono utilizzati anche dal servizio passeggeri alle ore notturne.

La tesi delle appellanti, secondo cui tale modulazione delle tariffe sarebbe lesiva della concorrenza (in quanto la capacità della rete notturna non sarebbe in grado di soddisfare l’intera domanda di trasporto, e quindi le imprese, dovendo usufruire in parte del servizio diurno e in parte del servizio notturno, avrebbero delle inefficienze organizzative con un incremento dei costi operativi), è inverosimile.

Come affermato dal verificatore, la rete infrastrutturale è in grado di soddisfare la domanda ferroviaria merci tanto più nelle ore notturne, grazie alla ridotta frequenza dei servizi passeggeri, pur garantendo fasce temporali a disposizione del Gestore per la manutenzione ordinaria della rete.

Pertanto, le imprese ferroviarie se volessero, potrebbero riorganizzare il loro servizio per sfruttare le economie che derivano dai minori costi delle tracce notturne.

I coefficienti di maggiorazione per i servizi internazionali rispetto a quelli nazionali riflettono gli eventuali maggiori costi per i transiti nelle stazioni di confine, che il gestore dell’infrastruttura potrebbe sopportare in ragione delle procedure richieste dai transiti transfrontalieri, diverse da quelle che normalmente avvengono nelle stazioni e negli scali della rete ferroviaria nazionale. In particolare, per i servizi internazionali, alle tariffe si aggiungono i costi aggiuntivi per le stazioni di collegamento per le reti estere, che sono calcolati come somma di due componenti: i) una tariffa di accesso alle stazioni di collegamento reti, per i soli treni che iniziano o terminano il servizio nella stazione di collegamento, senza interessare il resto della rete;
ii) una tariffa di utilizzo da moltiplicare per i chilometri percorsi sulla tratta di confine.

Come si vede, la maggiorazione dei servizi internazionali rispetto ai servizi nazionali non appare correlata ad alcun maggior costo del gestore per i servizi internazionali.

Applicandosi questi costi additivi a tutte le imprese ferroviarie (italiane ed estere) che operano in un contesto di mercato europeo, essi non sono idonei a generare effetti distorsivi nella concorrenza.

4.9‒ In conclusione, dalla istruttoria svolta risulta che: le nuove tariffe del PMdA appaiono sostenibili per il mercato ferroviario merci e rispettano i margini di produttività conseguiti dalle imprese ferroviarie;
con l’entrata in vigore del nuovo sistema tariffario non sono stati riscontrati aumenti in termini reali rispetto alla tariffa precedente;
gli aumenti nominali (stimati da 2,24 a 2,32 euro/treno-km) non sono da ricondursi alla dinamica dei volumi di traffico attesi e dei nuovi investimenti del gestore dell’infrastruttura, bensì all’andamento dell’inflazione programmata che è risultata leggermente superiore all’inflazione reale, pari tra il 2015 e il 2021 a +3,6% rispetto all’inflazione reale di 2,7%;
le modulazioni della tariffa secondo i binomi notte/giorno e internazionale/nazionale, non determinano effetti distorsivi della concorrenza, e rispondono ad una logica di efficientamento dell’utilizzo della rete da parte del gestore.

5.‒ Con ulteriore motivo di appello, le Società lamentano il difetto di istruttoria da cui sarebbe affetta la delibera n. 75 del 2016, in quanto l’Autorità avrebbe respinto la proposta tariffaria presentata da RFI in data 30 giugno 2016 e avrebbe poi proceduto ad approvare la stessa proposta, considerata non emendabile, in data 1 luglio 2016, con la delibera n. 75/2016.

5.1.‒ Analoga censura è stata disattesa in giudizi analoghi da questa Sezione (con sentenza n. 4215 del 2020).

Invero, al riguardo, l’Autorità ha chiarito che la verifica è durata dal mese di febbraio a quello di luglio del 2016, attraverso una istruttoria bifasica: la prima fase, sulla verifica delle specifiche funzionali, iniziata nel febbraio e conclusa nel mese di marzo 2016;
la seconda fase, sull’approvazione definitiva del modello, iniziata nel mese di aprile e conclusa nel mese di luglio 2016.

Ciò in conformità alla misura n. 32 della delibera n. 96/2015. secondo cui: «Per consentire all’Autorità la possibilità di verifica e controllo dell’applicazione delle nuove tariffe, il GI dovrà predisporre, entro la data di presentazione della proposta tariffaria, un apposito modello di simulazione, le cui specifiche funzionali andranno preventivamente sottoposte all’approvazione dell’Autorità medesima (con almeno 30 giorni di anticipo rispetto al termine per la presentazione della proposta tariffaria) in modo da permettere la valutazione d’impatto dell’applicazione del nuovo sistema di pedaggio. Per la validazione delle specifiche funzionali del modello l’Autorità potrà avvalersi di soggetti terzi».

6.‒ In definitiva, l’appello deve essere respinto.

6.1.‒ La liquidazione delle spese di lite del secondo grado di giudizio segue la regola generale della soccombenza.

6.2.‒ Anche le spese di verificazione ‒ nella misura che sarà liquidata con separato decreto collegiale quando sarà depositata nota spese da parte del verificatore ‒ vanno definitivamente poste in capo alle Società appellanti, in solido tra loro.

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