Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2021-01-13, n. 202100421

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2021-01-13, n. 202100421
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202100421
Data del deposito : 13 gennaio 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 13/01/2021

N. 00421/2021REG.PROV.COLL.

N. 10328/2011 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 10328 del 2011, proposto dalla società Cooperativa edilizia “ Parco Verde ” S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall’avvocato G L, elettivamente domiciliata presso il suo studio in Roma, via Principessa Clotilde, n. 2,

contro

il Comune di Torre del Greco, in persona del Sindaco in carica pro tempore , rappresentato e difeso dall’avvocato G M, elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avvocato L N in Roma, alla via Sicilia, n. 50,

per la riforma

della sentenza del T.a.r. per la Campania, sede di Napoli (Sezione III), n. 3215 del 16 giugno 2011, resa inter partes , concernente una domanda di risarcimento danni conseguenti alla mancata realizzazione di unità immobiliari.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Torre del Greco;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 24 novembre 2020 (tenuta ai sensi dell’art. 84 del d.l. 17 marzo 2020, n. 18, convertito con l. 24 aprile 2020, n. 27, come modificato dall’art. 4 del d.l. 30 aprile 2020, n. 28, convertito con l. 25 giugno 2020, n. 70) il consigliere Giovanni Sabbato e udito, per la parte appellante, l’avvocato G L;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Con ricorso n. 6276 del 2009, proposto innanzi al T.a.r. per la Campania, sede di Napoli, la Società Cooperativa edilizia “ Parco Verde ” S.r.l. (di seguito la società) aveva chiesto il risarcimento danni conseguenti alla mancata realizzazione di unità immobiliari nell’ambito del piano di zona del Comune di Torre del Greco ai sensi della l. n. 167/1962 nonostante l’esclusione dalla relativa graduatoria (con le delibere di G.M. n.3485/88 e di Consiglio Comunale n.17/89) fosse stata annullata con sentenza del medesimo T.a.r. (Sezione III) n. 195 del 20 gennaio 2009 e la conseguente assegnazione del lotto n. 8 del piano di edilizia economica e popolare insistente su area di sua proprietà.

2. Lamentava, pertanto, il comportamento scorretto dell’Amministrazione comunale che non consentiva di edificare il lotto n. 8 anche dopo l’esito ad essa sfavorevole del giudizio innanzi al T.a.r. fino a quando, con l’intervento del Piano Territoriale Paesistico dell’Area del Vesuvio in Provincia di Napoli, approvato con decreto del 14 dicembre 1995, il progetto edilizio diveniva non più realizzabile.

3. Il T.a.r. adìto (Sezione III) ha respinto il ricorso evidenziando che:

- “ non appare sussistere nesso causale tra le delibere di G.M. n.3485/88 e di Consiglio Comunale n.17/89 ed il danno ingiusto asseritamente subìto da parte ricorrente, sia sotto l’aspetto della mancata edificazione del lotto n.8 che, a maggior ragione, sotto quello del deprezzamento del suolo per effetto dell’apposizione di vincolo di inedificabilità da parte del Ministero per i beni e le attività culturali del 14.12.1995 (con cui è stato approvato il PTP dell’Area del Vesuvio in Provincia di Napoli, con conseguente divieto di qualsiasi intervento edilizio nell’area in questione) ”;

- la società non si è attivata per pervenire alla stipula della convenzione dopo l’assegnazione del lotto n. 8 con le delibere di Giunta municipale n.1732 del 7 novembre 1991 e di Consiglio comunale n. 148 del 30 dicembre 1991 emesse in esecuzione di ordinanza cautelare del T.a.r., ed aventi il valore di eventi interruttivi del nesso causale;

- “ la richiesta risarcitoria oggetto del ricorso introduttivo è stata specificamente formulata con riferimento al danno derivante dai provvedimenti illegittimi del 1988 e del 1989, e non con riferimento al danno cagionato dal successivo comportamento omissivo tenuto dall’amministrazione ”.

4. Avverso tale pronuncia la società ha interposto appello, notificato il 12 dicembre 2011 e depositato il 27 dicembre 2011, lamentando, attraverso un unico complesso motivo di gravame (pagine 3-21), quanto di seguito sintetizzato:

I) avrebbe errato il T.a.r. nell’attribuire alle predette delibere l’effetto interruttivo del nesso causale in quanto non si tratta di fatti addebitabili al terzo o al danneggiato e comunque sono state emesse sulla base di pronunciamenti cautelari per loro natura interinale e provvisoria che non consente il raggiungimento del bene della vita;

II) il T.a.r., invece di escludere in toto il nesso causale, avrebbe potuto condannare al risarcimento escludendo o riducendo alcune voci o importi ovvero avrebbe potuto configurare il danno da ritardo;

II) il T.a.r. non avrebbe considerato la sussistenza degli elementi costitutivi dell’illecito a cominciare dalla colpa, stante la negligenza ed imperizia nell’applicare la disciplina di lex specialis da essa stessa predisposta;

III) si insiste pertanto per il risarcimento del danno nella misura complessiva di € 3.063.770,40 o altra da determinarsi a mezzo CTU.

5. L’appellante ha concluso chiedendo, in riforma dell’impugnata sentenza, l’accertamento del diritto al risarcimento del danno e la conseguente condanna dell’Amministrazione comunale.

6. In data 12 marzo 2013, il Comune di Torre del Greco si è costituito chiedendo il rigetto del ricorso.

7. In vista della trattazione nel merito del ricorso le parti hanno svolto difese scritte, anche in replica, insistendo per le rispettive conclusioni ed in particolare:

- ha rimarcato l’appellato che soltanto in data 3 giugno 1996 la società sollecitava al Comune la stipula della convenzione e che la riformulazione della graduatoria in favore della società appellante, non a caso intervenuta dopo due anni dai provvedimenti cautelari, era frutto della spontanea e approfondita rivalutazione della vicenda;

- ha evidenziato, invece, l’appellante che l’oggettiva impossibilità di dar corso alla sentenza, che aveva dichiarato l’illegittima pretermissione della Cooperativa dalla graduatoria, fa sì che il Comune di Torre del Greco debba essere condannato al risarcimento del danno.

8. La causa, chiamata per la discussione alla pubblica udienza, svoltasi con modalità da remoto, del 24 novembre 2020, è stata ivi trattenuta in decisione.

9. L’appello è infondato.

9.1 Come sopra esposto, l’odierno appellante insiste in questa sede per la condanna del Comune appellato al risarcimento del danno derivante dalla mancata realizzazione delle unità immobiliari del Piano di Zona, siccome addebitabile unicamente al comportamento dell’Amministrazione nonostante il pronunciamento favorevole del T.a.r. e la successiva formale assegnazione del lotto n. 8 del piano di edilizia economica e popolare.

La sentenza impugnata ha però evidenziato talune circostanze di fatto, che sono tali da denotare la grave inerzia della società nel perseguire il proprio interesse attraverso la stipula della convenzione con il Comune e la realizzazione dell’intervento in progetto.

Deve infatti rimarcarsi che la società ha conseguito, dopo i provvedimenti cautelari del T.a.r., la formale assegnazione in suo favore del lotto n. 8 a seguito della riformulazione della graduatoria e nonostante ciò non ha coltivato il suo interesse se non dopo l’intervento, con decreto del Ministero per i beni e le attività culturali del dicembre del 1995, della nuova disciplina paesaggistica che impediva la realizzazione del progettato intervento costruttivo. E’ parimenti significativo il fatto che, come evidenziato dal Comune appellato, soltanto con istanza dell’aprile 2008, la società ha chiesto la fissazione dell’udienza (peraltro dopo aver ricevuto la comunicazione dell’avviso di perenzione del 21 novembre 2007), così rimanendo inerte nonostante fossero decorsi circa vent’anni dal 9 maggio del 1989 (cui risale l’ordinanza cautelare in suo favore).

Ma alla soluzione della controversia occorre approdare anche alla luce della non condivisibilità delle considerazioni rese dall’appellante a sostegno delle proprie deduzioni non potendosi utilizzare in questa sede quelle nozioni di stampo penalistico che attengono alla individuazione dell’evento interruttivo del nesso causale per distinguerlo da quei comportamenti che possono integrare il recesso dal proposito criminoso comunque punibile ex art.56 c.p. Ciò che in effetti assume rilievo nel caso in esame è che i provvedimenti adottati all’esito del giudizio cautelare erano senz’altro in grado di soddisfare l’interesse della parte ricorrente imponendo all’Amministrazione, come avvenuto, la riattivazione del procedimento di assegnazione del lotto. Il mancato raggiungimento del bene della vita si deve, quindi, al comportamento inerte della stessa società che vanificava l’intervento in sede cautelare del giudice di prime cure. Del resto il T.a.r., nell’emettere l’ordinanza sospensiva non aveva stabilito la necessaria provvisorietà degli atti destinati dall’Amministrazione alla loro esecuzione, come accade nel caso delle controversie innescate dall’impugnativa di un provvedimento di esclusione dalla una procedura selettiva alle quali il ricorrente viene ammesso “ con riserva ”. Se è vero che il provvedimento cautelare ha per sua natura carattere provvisorio, oltre che strumentale rispetto al merito della controversia, è vero anche che, soprattutto negli ultimi anni, si è evidenziato sia in sede pretoria che dottrinale, come esso sia suscettibile di passare in giudicato e quindi di svolgere quella funzione satisfattiva dell’interesse di parte che rende sempre di più il provvedimento cautelare analogo alla sentenza di merito, e questo nell’ottica della ricaduta patologica della violazione o elusione del giudicato cautelare. La tesi secondo la quale gli atti sopravvenuti sarebbero in tal caso nulli opera infatti una almeno tendenziale assimilazione tra giudicato in senso tecnico e giudicato cautelare alla luce dell’art. 21 septies della l.n. 241/90 ed è una tesi che ha trovato avallo da parte di questo Consiglio. Partendo dalla considerazione che lo scopo della norma è quello di codificare il principio interpretativo secondo cui la nullità del provvedimento amministrativo si verifica solo in presenza di circostanze tipiche e determinate dalla legge, la quinta sezione (sentenza, 24 luglio 2007, n. 4136, punti 61-63) ha infatti ridisegnato la figura del cd. giudicato cautelare intesa come quella particolare “ stabilità processuale della decisione non più appellabile (modificabile solo attraverso lo strumento della revocazione, oppure in presenza di circostanze sopravvenute) ”. Ha poi osservato il Collegio che la pronuncia cautelare di primo grado e la sentenza del Tribunale non sospesa contengono un “ comando giurisdizionale ” che si impone inderogabilmente alle Amministrazioni destinatarie, con il solo limite delle sopravvenienze di fatto o di diritto. La questione è stata affrontata dalla Sezione al fine di stabilire il termine per l’impugnativa dei provvedimenti adottati dall’Amministrazione in contrasto con pronunce giurisdizionali di tal fatta, giungendo quindi a concludere che detto contrasto si traduce in una forma di patologia del provvedimento amministrativo certamente più grave della semplice annullabilità e che l’inquadramento nella categoria della nullità può essere affermato per ragioni di ordine sistematico oltre che testuale, costituiti dalla lettura estensiva del concetto di giudicato oltre che dalla attitudine della pronuncia del giudice a delimitare i confini delle attribuzioni concrete dell’Amministrazione.

Ne consegue che dopo che la società risultava vittoriosa nel giudizio cautelare, attesa la (almeno tendenziale) stabilità intrinseca del provvedimento sospensivo assunto dal Collegio teleologicamente orientato alla protezione della posizione giuridica azionata, ben avrebbe potuto coltivare il proprio interesse invocando la stipula della convenzione soprattutto dopo l’intervenuta riformulazione della graduatoria e la formale riassegnazione dell’area in suo favore, essendo decorsi ben quattro anni prima dell’intervento della nuova disciplina paesistica dall’effetto ostativo. Invece, le istanze che la società ha in tal senso avanzato al Comune, a decorrere dal 3 giugno 1996, sono tutte successive all’introduzione del vincolo quando ormai il progetto edilizio non era più realizzabile.

Tale comportamento consente di configurare quella condotta gravemente negligente che, ai sensi dell’art. 30 c.p.a., in combinato disposto con l’art. 1227 c.c., è in grado financo di escludere il nesso causale e pertanto di rendere l’azione risarcitoria non accoglibile.

Né l’appellante ha fornito circostanze fattuali in grado di chiarire per qual motivo l’assegnazione del lotto in suo favore non abbia avuto alcun séguito, nonostante il decorso di circa quattro anni prima dell’intervento della disciplina paesaggistica, limitandosi a formulare considerazioni astratte che attengono ai principi regolatori in materia di illecito e segnatamente di enucleazione della nozione di nesso di causalità utilizzabile. L’appellante per vero evidenzia che la sentenza n. 195 del 2009 della III Sezione del T.a.r. Napoli aveva respinto “ le eccezioni di improcedibilità sollevate dalle parti intimate (ossia, anche dal Comune di Torre del Greco), le quali avevano prospettato la cessazione della materia del contendere per aver il Comune rimosso la precedente graduatoria ”. Tale statuizione in rito, ormai passata in giudicato, non consentirebbe, a parere dell’appellante, di attribuire valore determinante alla delibera di G.M. n. 1732 del 7 novembre 1991, ratificata dal Consiglio comunale con delibera n. 148 del 30 dicembre 1991, con la quale veniva rettificata in suo favore la graduatoria, non avendo l’Amministrazione provveduto ad esercitare il potere di autotutela mediante l’annullamento dei provvedimenti impugnati.

In realtà, la statuizione in rito recata dalla sentenza del T.a.r. Napoli n. 195/2009 si pone su un piano differente da quello in cui si colloca la controversia in esame, dovendosi verificare nel caso in esame se il mancato raggiungimento del bene della vita cui aspirava la società si deve unicamente, o almeno in parte, all’illegittimità delle delibere annullate con la ridetta sentenza. Si è già evidenziato, infatti, che il quadro normativo che connota il giudizio risarcitorio innanzi al T.a.r. non solo non riconnette, in via automatica ed invariabile, il risarcimento del danno all’illegittimità del provvedimento, ma valorizza anche il comportamento del danneggiato, attribuendogli la valenza di fattore potenzialmente interruttivo del nesso causale.

Si osserva, infatti, per il primo aspetto, che “ il risarcimento del danno non è una conseguenza diretta e costante dell'annullamento giurisdizionale di un atto amministrativo, in quanto richiede la positiva verifica, oltre che della lesione del bene della vita al quale l’interesse legittimo effettivamente si collega, e che risulta meritevole di protezione alla stregua dell’ordinamento, anche del nesso causale tra l’illecito e il danno subito, nonché della sussistenza della colpa dell’amministrazione ” (cfr. Cons. Stato, sez. III, 18 giugno 2020, n. 3903).

Per il secondo, vale osservare la particolare latitudine applicativa dell’art. 1227 c.c. nel processo amministrativo che, in un’ottica ampliativa della sua originaria portata in ambito civilistico, consente al giudice non solo la riduzione del quantum risarcibile ma addirittura l’esclusione del risarcimento, come esattamente statuito dall’art. 30 c.p.a., a mente del quale il giudice “ esclude il risarcimento dei danni che si sarebbero potuti evitare usando l’ordinaria diligenza, anche attraverso l’esperimento degli strumenti di tutela previsti ”. E’ vero che si tratta di norma introdotta successivamente alla proposizione del ricorso di primo grado, ma l’Adunanza plenaria, con la sentenza n. 3 del 2011, ha chiarito che la regola della non risarcibilità dei danni evitabili con la diligente utilizzazione degli strumenti di tutela previsti dall’ordinamento, contenuta nell’art. 30 cit., è ricognitiva di principi già evincibili dall’art. 1227 del codice civile ed è quindi applicabile anche alle azioni risarcitorie proposte prima dell’entrata in vigore del codice del processo amministrativo. Da tali principi si evince che il danneggiato da atti amministrativi illegittimi è a sua volta gravato da un obbligo di cooperazione di tal che deve fare tutto quanto sia possibile (in quanto non eccedente la soglia del sacrificio significativo sopportabile anche dalla vittima di una condotta illecita alla stregua del canone di buona fede di cui all’art. 1175 c.c. e del principio di solidarietà di cui all’art. 2 Cost.) per eliminare o comunque ridurre le conseguenze dannose dell’operato illegittimo della p.A. affinché il danno di cui si invoca il risarcimento non sia frutto di comportamenti opportunistici che l’ordinamento non può suffragare. La condotta della società risulta sotto tal profilo gravemente carente sia sul piano processuale, per essersi mostrata disinteressata ad una celere definizione del giudizio impugnatorio nonostante l’esito favorevole della domanda cautelare, sia sul piano dei rapporti con il Comune, una volta conseguita la sospensione delle delibere impugnate ed, a fortiori , dopo le delibere correttive della graduatoria e l’assegnazione del lotto, non avendo assunto alcuna iniziativa per conseguire la sospirata stipula della convenzione nonostante il lungo tempo a disposizione prima dell’intervento della disciplina paesaggistica ostativa. A fronte di tale peculiare evoluzione della vicenda di causa, che denota gravi e rilevanti profili d’inerzia del danneggiato, questi non solo non ha fornito alcuna dimostrazione in giudizio (in esplicazione di un preciso onere della prova a suo carico), ma nemmeno ha addotto fattori esterni in grado di giustificare tale condotta. La società, se avesse assunto un comportamento invece collaborativo avrebbe potuto elidere del tutto, secondo un giudizio di causalità ipotetica, il danno lamentato e ciò assume autonomo rilievo ai sensi della regula juris coniata dall’art. 30, comma 3, c.p.a. secondo cui la tenuta, da parte del danneggiato, di una condotta, attiva od omissiva, contraria al principio di buona fede ed al parametro della diligenza, che consenta la produzione di danni che altrimenti sarebbero stati evitati secondo il canone della causalità civile imperniato sulla probabilità relativa, recide, in tutto (o in parte) il nesso casuale che, ai sensi dell’art. 1223 c.c., deve legare la condotta antigiuridica alle conseguenze dannose risarcibili. La potenzialità applicativa del canone di necessaria collaborazione del danneggiato è, del resto, il medesimo sia che si invochi il risarcimento per le conseguenze dannose di un provvedimento illegittimo sia che si pretenda il risarcimento del danno da ritardo.

L’insussistenza dei presupposti costitutivi dell’illecito, con particolare riferimento all’elemento causale, consente di reputare assorbite le argomentazioni spese dall’appellante nel senso della ricorrenza dell’elemento psicologico in capo all’Amministrazione e per quantificare il danno patito.

10. In conclusione, l’appello è infondato e deve essere respinto.

11. Sussistono nondimeno giusti motivi, stante l’assoluta particolarità della vicenda, per compensare le spese del presente grado di giudizio.

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