Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2020-06-18, n. 202003903

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2020-06-18, n. 202003903
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202003903
Data del deposito : 18 giugno 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 18/06/2020

N. 03903/2020REG.PROV.COLL.

N. 05514/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5514 del 2019, proposto da
Asl Roma 4 (Già Azienda Usl Rm/F), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato S E M, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Vittorio Veneto 108;

contro

R C, rappresentato e difeso dall'avvocato L F, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Girolamo Da Carpi,1;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza) n. 12282/2018, resa tra le parti.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di R C;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 4 giugno 2020 il Cons. G V;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Il dott. R C partecipava all’avviso di mobilità del 30 settembre 1995 bandito dalla ASL Roma F per un posto di primario del laboratorio analisi di Civitavecchia e ne risultava vincitore. Al momento della domanda prestava servizio presso l’Ospedale di Ronciglione (VT).

L’Azienda sanitaria Roma invitava il ricorrente a prendere servizio in data 1° gennaio 1996.

Il ricorrente stesso chiedeva di poter posticipare la immissione in servizio al successivo 1° marzo 1996.

La ASL adottava invece provvedimento di decadenza che veniva impugnato dall’interessato dinanzi al TAR Lazio.

2.Il TAR, con sentenza n. 9618 del 2013, accoglieva il ricorso ed annullava il suddetto provvedimento di decadenza, ritenendo che “ la mobilità indetta ed espletata dall’Amministrazione resistente per il posto di primario di Laboratorio di Analisi dell’Ospedale di Civitavecchia trova la sua disciplina nell’art. 82 citato. In tale articolo non è prevista affatto la potestà della p.a. di dichiarare decaduto il vincitore della selezione indetta a seguito dell’avviso di mobilità in questione ”.

3. In seguito al passaggio in giudicato della predetta sentenza la parte ricorrente agiva nuovamente dinanzi al TAR per chiedere, ai sensi dell’art. 30 c.p.a., il ristoro integrale dei danni patiti.

4. Il TAR, da ultimo, accoglieva la domanda e condannava l’amministrazione al risarcimento, rimettendo alla ASL Roma F la formulazione di una proposta liquidatoria ai sensi dell'art. 34, comma 4, c.p.a. In particolare, per quanto concerne i criteri di liquidazione del danno, il TAR Lazio statuiva quanto segue:

Sul quantum risarcitorio, da limitare secondo la domanda di parte ricorrente al lucro cessante, ritiene poi il collegio di poter rimettere alla ASL Roma F la formulazione di una proposta risarcitoria ai sensi dell'art. 34, comma 4, c.p.a., in mancanza di specifica opposizione delle parti, fissando i criteri che seguono:

a) l’arco temporale considerato ai fini del calcolo dei minori importi ottenuti va dal 1° marzo 1996 (data in cui il ricorrente aveva chiesto di prendere servizio presso l’Ospedale di Civitavecchia) sino al momento in cui (nel 1999) è effettivamente transitato all’Ospedale di Viterbo;

b) su quest’arco temporale andranno calcolate le differenze retributive, sia per le voci fisse sia per quelle variabili, tra la retribuzione media dei primi cinque anni di servizio prestato presso l’Ospedale di Viterbo e quella in godimento, al 1° marzo 1996, presso la struttura di Ronciglione;

c) con riferimento alla retribuzione di risultato – la quale va corrisposta, secondo i canoni dell’ id quod plerumque accidit , nella misura in cui il ricorrente abbia costantemente raggiunto i propri obiettivi dirigenziali almeno nei primi cinque anni di servizio presso l’Ospedale di Viterbo – essa andrà commisurata, sempre in relazione all’arco temporale di cui alla lettera a), alla retribuzione media annuale ottenuta per tale voce nei medesimi primi cinque anni di servizio svolti a Viterbo;

d) ai fini dell’integrale risarcimento del danno, che costituisce debito di valore, occorre poi riconoscere al ricorrente, sulla somma sopra ricavata secondo gli indicati parametri, sia la rivalutazione monetaria secondo l’indice medio dei prezzi al consumo elaborato dall’Istat, che attualizza al momento della liquidazione il danno subito, sia gli interessi compensativi (determinati in via equitativa assumendo come parametro il tasso di interesse legale), calcolati sulla somma periodicamente rivalutata, volti a compensare la mancata disponibilità di tale somma fino al giorno della liquidazione del danno e con decorrenza dalla data di cristallizzazione del danno, da individuare nel giorno in cui la ASL Roma F si è rifiutata di far prendere servizio al ricorrente (1° marzo 1996), e sino alla data di pubblicazione della sentenza. Il tutto comprensivo, infine, degli interessi legali da calcolare sulla somma complessiva dal giorno della pubblicazione della sentenza — trattandosi di debito di valuta — e sino all’effettivo soddisfo (Cons. Stato, sez. V, 13 luglio 2017, n. 3448;
T.A.R. Napoli, sez. VIII, 3 ottobre 2017, n. 4611)
”;

5. Avverso la sentenza ha proposto appello l’ASL Roma 4, contestando sia l’ an che il q uantum debeatur .

5.1. Segnatamente, l’appellante deduce che il TAR, nel valutare l’elemento soggettivo a base della responsabilità aquiliana conseguente all’adozione del provvedimento poi annullato, avrebbe dovuto contestualizzare le ragioni che hanno giustificato lo stesso, rinvenibili nella necessità di porre rimedio ai continui ed immotivati comportamenti dilatori nell’assunzione di servizio da parte del Sig. C. Contrariamente a quanto statuito dai Giudici di prime cure, inoltre, nel caso di specie non potrebbe dirsi sussistente il cd “doppio rapporto di causalità”, poiché la mancata assunzione dell’incarico presso l’Ospedale di Civitavecchia da parte del Sig. C sarebbe stata, diretta conseguenza del comportamento tenuto dallo stesso, sia in fase prodromica all’adozione del provvedimento annullato - per aver omesso di porre in essere le azioni necessarie alla stipula del contratto di lavoro e per aver reiteratamente posposto la data di presa di servizio - sia in fase successiva all’adozione del citato provvedimento, avendo atteso 4 mesi per proporre ricorso giurisdizionale, avendo rinunciato all’istanza cautelare e atteso lungo tempo per presentare istanza di prelievo.

5.2. In ordine al quantum debeatur l’appellante deduce, in primis , che nel determinare ex art. 34, comma 4, c.p.a. i criteri di quantificazione dei danni asseritamente subiti dal Sig. C, il TAR di prime cure avrebbe “sopperito” alle carenze probatorie dell’azione risarcitoria avanzata dal medesimo.

5.3. Quanto poi ai singoli criteri l’appellante osserva:

a) con il primo criterio il primo giudice ha stabilito che “ l’arco temporale considerato ai fini del calcolo dei minori importi ottenuti va dal 1° marzo 1996 (data in cui il ricorrente aveva chiesto di prendere servizio presso l’Ospedale di Civitavecchia) sino al momento in cui (nel 1999) è effettivamente transitato all’Ospedale di Viterbo ”. Tale criterio sarebbe errato nella parte in cui non tiene in debita considerazione il fatto che solo in data 20.3.1996 il Sig. C ha inviato un telegramma con il quale asseriva di essere finalmente in grado di prendere il servizio presso l’Ospedale di Civitavecchia;

b) il secondo criterio prevede che “ su quest’arco temporale andranno calcolate le differenze retributive, sia per le voci fisse sia per quelle variabili, tra la retribuzione media dei primi cinque anni di servizio prestato presso l’Ospedale di Viterbo e quella in godimento, al 1° marzo 1996, presso la struttura di Ronciglione ”. Tale criterio risulterebbe all’evidenza errato perché: i) prende come parametro di valutazione le retribuzioni dell’Ospedale di Viterbo anziché quelle dell’Ospedale di Civitavecchia, dove il Sig. C avrebbe dovuto prendere servizio;
ii) prende a parametro di valutazione “le differenze retributive (….) tra la retribuzione media dei primi cinque anni di servizio prestato presso l’Ospedale di Viterbo (corrisposte al ricorrente nel quinquennio 1999 – 2004, quindi successivamente al triennio 1.3.1996-31.12.1998) e quella in godimento, al 1° marzo 1996, presso la struttura di Ronciglione ”, senza tuttavia considerare adeguatamente il fatto che da marzo 1996 al 31.12.2004 si sono succeduti ben 3 rinnovi contrattuali formati da 5 bienni economici con notevoli incrementi di retribuzioni e indennità.

c) il terzo criterio impone che “ con riferimento alla retribuzione di risultato – la quale va corrisposta, secondo i canoni dell’ id quod plerumque accidit , nella misura in cui il ricorrente abbia costantemente raggiunto i propri obiettivi dirigenziali almeno nei primi cinque anni di servizio presso l’Ospedale di Viterbo – essa andrà commisurata, sempre in relazione all’arco temporale di cui alla lettera a), alla retribuzione media annuale ottenuta per tale voce nei medesimi primi cinque anni di servizio svolti a Viterbo ”. Tale criterio risulterebbe errato, in quanto: i) dà per scontato che il dott. C avrebbe raggiunto i propri obiettivi dirigenziali anche presso l’Ospedale di Civitavecchia per il sol fatto che li ha conseguiti nell’Ospedale di Viterbo;
ii) individua non correttamente il dies a quo ;
iii) individua quale parametro di riferimento “la retribuzione media annuale ottenuta per tale voce nei medesimi primi cinque anni di servizio svolti a Viterbo ”, ricomprendendo modifiche e aumenti delle connesse voci salariali nel quinquennio 1999-2004 comunque successivo agli anni 1996-1998.

d) da ultimo, i criteri sarebbero errati laddove, oltre alla rivalutazione monetaria riconoscono anche “ gli interessi compensativi (determinati in via equitativa assumendo come parametro il tasso di interesse legale), atteso che tali interessi non sarebbero stati richiesti dal ricorrente, né a fortiori provati.

5.4. Sempre in ordine alla determinazione del quantum debeatur l’appellante osserva che sarebbe mancata la valutazione, in termini di riduzione del danno, del comportamento tenuto dal Sig. C sia in fase prodromica all’emanazione del provvedimento poi annullato, che in fase successiva (anche in sede processuale).

5.5. L’appellante produce, infine, documentazione attestante la retribuzione riconosciuta nel periodo 1.3.1996-31.12.1998 all’operatore sanitario che ha svolto il servizio da cui è decaduto il Sig. C, e ne chiede l’acquisizione in giudizio ex art. 104, co. 2, c.p.a.

6. Il dott. C, costituitosi in giudizio, ha chiesto la reiezione del gravame in quanto infondato. Quanto ai documenti dei quali l’appellante chiede l’ammissione, ne eccepisce l’inammissibilità trattandosi asseritamente di documenti che l’appellante avrebbe ben potuto produrre nel primo grado di giudizio, e comunque non indispensabili ai fini del decidere.

7. La causa è stata trattenuta in decisione all’udienza tenuta il 4 giugno 2020 con le modalità di cui all’art. 84 comma 5 del d.l. 18/2020 e 4 del d.l. 23/2020.

DIRITTO

1.Ritiene il Collegio che l’appello sia in parte fondato.

1.1. Non sono fondati i motivi con i quali l’appellante contesta l’ an debeatur . E’ senz’altro vero che il risarcimento del danno non è una conseguenza diretta e costante dell'annullamento giurisdizionale di un atto amministrativo, in quanto richiede la positiva verifica, oltre che della lesione del bene della vita al quale l'interesse legittimo effettivamente si collega, e che risulta meritevole di protezione alla stregua dell'ordinamento, anche del nesso causale tra l'illecito e il danno subito, nonché della sussistenza della colpa dell'amministrazione (da ultimo, ex plurimis Cons. Stato Sez III, 22 ottobre 2019, n. 7192). Quanto all’elemento soggettivo, da ultimo citato, l'illegittimità del provvedimento amministrativo, ove acclarata, costituisce solo uno degli indici presuntivi della colpevolezza, da considerare unitamente ad altri, quali il grado di chiarezza della normativa applicabile, la semplicità degli elementi di fatto, il carattere vincolato della statuizione amministrativa, l'ambito più o meno ampio della discrezionalità dell'amministrazione, sicché la responsabilità deve essere negata quando l'indagine conduce al riconoscimento dell'errore scusabile per la sussistenza di contrasti giudiziari, per l'incertezza del quadro normativo di riferimento o per la complessità della situazione di fatto (Cons. Stato, Sez. IV, 7 gennaio 2013, n. 23;
Sez. V, 31 luglio 2012, n. 4337, da ultimo Cons. Stato Sez. III, 4 marzo 2019, n. 1500).

1.2. Nel caso di specie, il TAR Lazio con sentenza n. 9618 del 2013 ha accolto il ricorso del dott. C e ha conseguentemente annullato il provvedimento di decadenza dello stesso dall’impiego presso il laboratorio di Civitavecchia, ritenendo che “ la mobilità indetta ed espletata dall’Amministrazione resistente per il posto di primario di Laboratorio di Analisi dell’Ospedale di Civitavecchia trova la sua disciplina nell’art. 82 citato. In tale articolo non è prevista affatto la potestà della p.a. di dichiarare decaduto il vincitore della selezione indetta a seguito dell’avviso di mobilità in questione ”.

1.3. Rileva il Collegio che lo scostamento del comportamento dal paradigma legale è profondo, e difettano, in assenza di prova, elementi che depongano per la scusabilità. Il giudice di prime cure ha ritenuto che l’amministrazione non abbia allegato “ circostanze tali da fare emergere una certa complessità dell’istruttoria o del fatto controverso, né tanto meno lacune di carattere normativo oppure contrasti ed oscillazioni di natura più strettamente giurisprudenziale: di qui la conclamata presenza dell’elemento soggettivo e dunque della colpa in capo alla PA. ”. Nell’appello l’amministrazione non compie nessun passo argomentativo ulteriore in tale direzione probatoria, ma si limita piuttosto a stigmatizzare il comportamento del ricorrente, e la sua reiterata indisponibilità a prendere possesso del nuovo impiego. Tuttavia questo è il tema del contenzioso già deciso. Siffatta, temporanea, indisponibilità non poteva, secondo il giudicato conseguente alla sentenza n. 9618 del 2013, giustificare la comminazione della decadenza dal nuovo impiego;
sicché insistere su tale aspetto per inferirne un concorso colposo assorbente dell’avente diritto significa contestare il decisum ormai irretrattabile.

1.4. Né può rinvenirsi un concorso di colpa nella circostanza che il ricorso giurisdizionale è stato a suo tempo presentato dopo la comunicazione ufficiale dell’atto, o che è stata presentata un’istanza di prelievo dopo una lunga parentesi temporale, atteso che: a) è pacifico che l’atto sia stato impugnato nei termini, e del resto la questione è coperta da giudicato;
b) non può seriamente pretendersi, in aggiunta alla domanda di tutela demolitoria, che il ricorrente debba altresì perseguire condotte processuali e modelli d’azione maggiormente “efficaci” rispetto a quanto strettamente previsto dalle norme di rito.

2. Sono invece fondate alcune delle censure svolte dall’amministrazione appellante in ordine al quantum debeatur .

2.1. Sul piano dei fatti è pacifico che il dott. C, quando ancora era in servizio presso l’Ospedale di Ronciglione (VT) risultò vincitore della procedura di mobilità indetta dalla Asl Roma 4 (all’epoca Azienda Usl n. 106 poi divenuta Rm F). Fu quindi invitato da quest’ultima a prendere servizio in data 1° gennaio 1996, ma richiese, per gravi motivi personali, di essere immesso in servizio a partire dal 1° marzo 1996. A causa di ciò con delibera n. 675 del 11.03.1996 l’Asl Roma 4 lo dichiarò decaduto dalla graduatoria.

Dunque, solo a partire da tale data, all’impedimento del dott. C, nelle more poi venuto meno, è subentrata l’impossibilità per causa imputabile all’amministrazione.

Ciò porta al parziale accoglimento delle contestazioni dell’appellante in ordine al dies a quo del periodo computabile ai fini del risarcimento: in riforma della sentenza gravata, esso deve intendersi l’11 marzo e non il 1° marzo.

2.2. Parimenti fondata è la censura che attiene all’individuazione dell’ospedale di Viterbo, quale struttura dalla quale mutuare i parametri per la determinazione delle differenze stipendiali. A prescindere da ogni valutazione circa l’equivalenza delle strutture di Civitavecchia (per la quale il dott. C è stato dichiarato vincitore) e Viterbo (ove qualche tempo dopo il medesimo ha preso servizio), il criterio di liquidazione del danno è irragionevole nella misura in cui oblitera, senza valide motivazioni, la sede di Civitavecchia, ossia quella ove il dott. C avrebbe preso servizio se non fosse intervenuto il provvedimento decadenziale.

2.3. Fondate sono anche le contestazioni sull’identificazione del “ quinquennio di servizio prestato presso l’Ospedale di Viterbo ”, quale intervallo temporale da utilizzare per la media delle differenze stipendiali. Il criterio, dettato in prime cure, comporta, come correttamente osservato dall’appellante, la ricomprensione di dinamiche salariali esterne al periodo in cui il danno si è prodotto. Maggiormente equo e aderente alla realtà è invece l’utilizzo, quale parametro, della dinamica stipendiale del dipendente che ha ricoperto, presso l’ospedale di Civitavecchia, il posto dal quale il dott. C è stato dichiarato decaduto. Quanto appena detto prescinde dall’utilizzo della documentazione prodotta in appello, e contestata, sotto il profilo dell’ammissibilità, dall’appellato. Trattasi di un criterio della cui ragionevolezza il Collegio è convinto, in relazione al quale non v’è bisogno di attingere ai dati concreti forniti a mezzo della documentazione in parola, che semmai potranno essere utilizzate in fase esecutiva.

2.4. Il parametro stipendiale indicato incide anche sulla retribuzione di risultato (computata dal primo giudice sul più ampio criterio della media quinquennale). Per il resto non può obliterarsi che trattasi di una posta risarcitoria relativa ad un danno non certo. Come correttamente osservato dall’amministrazione appellante, mentre v’è certezza circa le differenze stipendiali, la retribuzione di risultato dipende dal concreto raggiungimento degli obiettivi da parte del dipendente. Il conseguimento dei risultati presso l’ospedale di Viterbo negli anni successivi è certamente indice delle capacità e attitudini del dott. C, ma non è elemento idoneo fornire un prova certa. Siffatto danno dev’essere dunque liquidato, in via equitativa, come perdita di chance. In tale chiave appare equo fissare nel 50% la percentuale del premio spettante.

2.5. Le rimanenti censure svolte dall’appellante concernono il tema della prova. L’amministrazione ritiene in generale: a) che il ricorrente non abbia offerto alcuna prova del pregiudizio economico subito;
b) nello specifico che non sia stata fornita prova degli interessi compensativi.

2.6. La prima delle censure citate è infondata. Il ricorrente ha fornito tutti gli elementi di prova a sua disposizione, indicando i criteri oggettivi attraverso i quali quantificare il danno (diverso trattamento stipendiale rispetto a quello in godimento, in relazione alla diversa complessità delle strutture, etc.).

2.7. E’ invece fondata la seconda, avente ad oggetto gli interessi compensativi. Nell’obbligazione risarcitoria da fatto illecito, che costituisce tipico debito di valore, è possibile che la mera rivalutazione monetaria dell'importo liquidato in relazione all'epoca dell'illecito, ovvero la diretta liquidazione in valori monetari attuali, non valgano a reintegrare pienamente il creditore il quale va posto nella stessa condizione economica nella quale si sarebbe trovato se il pagamento fosse stato tempestivo. In tal caso, tuttavia, è onere del creditore provare, anche in base a criteri presuntivi, che la somma rivalutata sia inferiore a quella di cui avrebbe disposto, alla stessa data della sentenza, se il pagamento della somma originariamente dovuta fosse stato tempestivo. Tale effetto dipende prevalentemente, dal rapporto tra remuneratività media del denaro e tasso di svalutazione nel periodo in considerazione, essendo ovvio che in tutti i casi in cui il primo sia inferiore al secondo, un danno da ritardo non è normalmente configurabile. Ne consegue, per un verso che gli interessi cosiddetti compensativi costituiscono una mera modalità liquidatoria del danno da ritardo nei debiti di valore;
per altro verso che non sia configurabile alcun automatismo nel riconoscimento degli stessi (da ultimo, Cass. civ. Sez. III Ord., 13/07/2018, n. 18564).

Nel caso di specie, il ricorrente in primo grado non ha fornito alcuna prova sul punto, sicché la domanda (tra l’altro formulata non espressamente, ma comunque riconducibile alla richiesta di risarcimento del danno nella sua integralità) dev’essere respinta.

3. In conclusione l’appello è accolto nei limiti di cui sopra.

3.1. Per l’effetto i criteri risarcitori ex art. 34, comma 4, c.p.a. sono così riformulati:

a) l’arco temporale considerato ai fini del calcolo dei minori importi ottenuti, va dal 11 marzo 1996 (data del provvedimento di decadenza) sino al momento in cui (nel 1999) è effettivamente transitato all’Ospedale di Viterbo;

b) su quest’arco temporale andranno calcolate le differenze retributive, sia per le voci fisse sia per quelle variabili, tra la retribuzione l’Ospedale di Civitavecchia e quella in godimento dall’11marzo 1996 presso la struttura di Ronciglione;

c) con riferimento alla retribuzione di risultato essa andrà commisurata, sempre in relazione all’arco temporale di cui alla lettera a), alla retribuzione che sarebbe spettata presso l’Ospedale di Civitavecchia, e poi dimezzata nell’importo;

d) ai fini dell’integrale risarcimento del danno, che costituisce debito di valore, occorre poi riconoscere al ricorrente, sulla somma sopra ricavata secondo gli indicati parametri, la rivalutazione monetaria secondo l’indice medio dei prezzi al consumo elaborato dall’Istat, oltre interessi legali da calcolare sulla somma complessiva dal giorno della pubblicazione della sentenza sino all’effettivo soddisfo.

4. Avuto riguardo all’esito del giudizio e alla peculiarità delle questioni, il Collegio ritiene sussistano giusti motivi per compensare le spese del doppio grado di giudizio.

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