Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2018-05-16, n. 201802897
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Pubblicato il 16/05/2018
N. 02897/2018REG.PROV.COLL.
N. 00467/2015 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 467 del 2015, proposto da R. L e G C di R. L Colombo &C. s.r.l., in persona del legale rappresentante “
pro tempore
” (in seguito, società Colombo), rappresentata e difesa dagli avvocati F G S e A G, con domicilio eletto presso lo Studio dell’avv. F G S in Roma, via G. Paisiello, 55;
contro
il Comune di Gambolò (PV), in persona del legale rappresentante “
pro tempore
”, rappresentato e difeso dall'avvocato G F F, con domicilio eletto presso lo Studio dello stesso in Roma, via di Ripetta, 142;
nei confronti
l’Autorità nazionale anticorruzione (ANAC, già Autorità per la Vigilanza sui Contratti Pubblici di Lavori Servizi e Forniture -AVCP), in persona del legale rappresentante “
pro tempore
”, rappresentata e difesa dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliata “
ex lege
” in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Terza) n. 1 del 18 novembre 2014 – 7 gennaio 2015, resa tra le parti, con la quale è stato dichiarato in parte inammissibile e in parte improcedibile il ricorso introduttivo, ed è stato respinto il ricorso per motivi aggiunti, proposti:
- quanto al ricorso introduttivo, contro:
- la delibera della Giunta comunale di Gambolò (in seguito, DGC) n. 44 del 20 marzo 2013, e la proposta di delibera alla medesima allegata, comunicate alla società ricorrente con nota prot. n. 7617 del 28 marzo 2013, con cui è stato disposto l’annullamento d’ufficio della DGC n. 164 del 21 dicembre 2011, di rinegoziazione dei contratti in essere tra il Comune e la società ricorrente;
- la nota dell’AVCP n. 3651 in data 11 gennaio 2013;
- gli atti presupposti, connessi e/o conseguenti, ivi compresa la delibera del Consiglio dell’AVCP n. 98 del 21 novembre 2012;
e per la condanna dell’Amministrazione intimata al risarcimento dei danni;
- quanto al ricorso per motivi aggiunti, contro:
- la DGC di Gambolò n. 44 del 26 marzo 2014, e la proposta di delibera alla medesima allegata, comunicate alla società ricorrente con nota del 1° aprile 2014, con le quali è stato disposto l'annullamento d'ufficio, ai sensi dell'art.21 - nonies della l. n. 241 del 1990, della DGC n. 164 del 21 dicembre 2011 di rinegoziazione dei contratti in essere tra il Comune e la società ricorrente;e, ove occorra,
- la nota dell’AVCP n. 3651 in data 11 gennaio 2013 e la delibera dell’AVCP n. 98 del 21 novembre 2012;e per la condanna dell’Amministrazione intimata al risarcimento dei danni;
Visto il ricorso in appello, con i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Gambolò e dell’ANAC (già AVCP);
Vista l’ordinanza n. 1187 del 2015 con la quale la Sezione ha respinto l’istanza cautelare presentata dalla società appellante;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica dell’8 marzo 2018 il cons. M B e uditi per le parti gli avvocati A G per la società appellante, E P, per delega dell'avv. G F F, per il Comune di Gambolò e l’avvocato dello Stato Gabriella D’Avanzo per l’ANAC;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1.Viene in decisione il ricorso in appello con il quale la società Colombo ha impugnato la sentenza della III Sezione del TAR Lombardia – Milano, n. 1 del 2015, chiedendone la riforma.
Il giudice di primo grado, per ciò che in questo grado di appello più rileva, ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato dalla società Colombo contro la delibera dell’AVCP n. 98 del 2012 e ha respinto l’atto di motivi aggiunti proposto dalla società medesima avverso la DGC n. 44 del 2014 di annullamento d’ufficio della DGC n. 164 del 2011, di “rinegoziazione” dei rapporti in corso con la società medesima.
Va premessa una succinta ricostruzione della vicenda sulla quale si è innestata la controversia.
Dagli atti risulta che il Comune di Gambolò, nel 1998, affidava alla società Colombo, a seguito di licitazione privata, la concessione del servizio di accertamento e riscossione della TOSAP e dell’imposta sulla pubblicità e diritti sulle pubbliche affissioni, in forza di un contratto (rep. n. 4445) avente scadenza al 30 giugno 2004, poi rinnovato con DGC n. 144 del 18 dicembre 2003, e con contratto rep. n. 4636 del 12 febbraio 2004, sino al 30 giugno 2013.
Nell’anno 2004, con due distinte deliberazioni di Giunta - la n. 33 dell’11 marzo 2004 e la n. 217 del 23 dicembre 2004 - il Comune di Gambolò decideva di estendere il rapporto con la società Colombo affidando alla medesima, per un periodo di nove anni, con scadenza prevista al 30 giugno 2013, anche un incarico di collaborazione e consulenza per il controllo delle dichiarazioni ICI e per la predisposizione degli atti propedeutici all’accertamento e alla liquidazione della medesima imposta, e un incarico di collaborazione tributaria comprendente il supporto per l’istituzione di un servizio di sportello informativo per i cittadini, la predisposizione per l’invio ai contribuenti di una comunicazione contenente la situazione degli immobili come risultante dalla banca dati, con la possibilità per ciascuno di presentarsi allo sportello per eventuali richieste di rettifica, e per l’invio in allegato alla predetta comunicazione di un’informativa generale e dei bollettini per i pagamenti, il supporto al Comune nella fase di acquisizione e controllo dei versamenti e la cessione al Comune dei computer utilizzati alla scadenza del rapporto.
Entrambi i contratti, rep. n. 4643 e n. 4662, avevano scadenza prevista al 30 giugno 2013.
Circa 18 mesi prima di tale scadenza, il Comune, con DGC n. 164 del 21 dicembre 2011, approvava una proposta di rinegoziazione delle condizioni contrattuali dei rapporti in essere con la società Colombo che prevedeva, da una parte, una riduzione dei compensi spettanti all’appellante (a quanto consta, nella misura del 5 % circa), applicabile retroattivamente sin dal 1° gennaio 2011, e, dall’altra, a fronte del risparmio conseguito dal Comune, uno spostamento della data di scadenza di tutti e tre i contratti in corso al 31 dicembre 2022. Ciò, su istanza della ditta Colombo, motivata dall’esigenza di ottenere un riequilibrio delle condizioni contrattuali, ai sensi dell’art. 1, comma 7 bis, del d. l. n. 93 del 2008, comma inserito in sede di conversione dalla l. n. 126 del 2008, in base al quale “ I comuni che abbiano in corso di esecuzione rapporti di concessione del servizio di accertamento e riscossione dell’imposta comunale sugli immobili possono rinegoziare i contratti in essere, ai fini dell’accertamento e della riscossione di altre entrate, compatibilmente con la disciplina comunitaria in materia di prestazione di servizi” .
In data 25 gennaio 2012 venivano sottoscritti tra le parti tre nuovi contratti - rep. n. 4809, 4810 e 4811 – aventi scadenza al 31 dicembre 2022, le cui condizioni economiche venivano dichiarate applicabili a far tempo dall’1° gennaio 2011.
In seguito all’esposto presentato da alcuni consiglieri di minoranza del Comune di Gambolò all’AVCP, in cui venivano segnalate presunte violazioni alle norme vigenti in materia di contratti pubblici, l’Autorità avviava un’istruttoria e concludeva il procedimento con la deliberazione n. 98 adottata nell’Adunanza del 21 novembre 2011.
In tale deliberazione, l’Autorità affermava che “ le rinegoziazioni e i rinnovi operati dal Comune di Gambolò, che hanno determinato anche il conferimento di nuove funzioni alla società R. Colombo, appaiono eccedere quanto previsto dalle due norme derogatorie al Codice dei contratti (vale a dire l’art. 10, comma 2, della l. n. 448 del 2001 e l’art. comma 1, comma 7 bis, della l. n. 126 del 2008, di conversione del d. l. n. 93 del 2008) e si pongono in palese violazione con la necessità di evidenza pubblica per l’affidamento di appalti e concessioni”.
In particolare, l’AVCP premetteva che, in deroga al divieto di rinnovo o proroga dei contratti pubblici senza procedura di evidenza pubblica, in base all’art. 10, comma 2, della l. n. 448 del 2001, “ i comuni che abbiano in corso di esecuzione rapporti di concessione del servizio di accertamento e di riscossione dell'imposta comunale sulla pubblicità e dei diritti sulle pubbliche affissioni possono avvalersi, previa rinegoziazione dei contratti in essere, dei titolari dei medesimi rapporti anche per la riscossione di altre entrate comunali e per le relative attività propedeutiche, connesse o complementari ”, e che l’art. 1, comma 7 bis, del d. l. n. 93 del 2008, conv. con modifiche dalla l. n. 126 del 2008, prevedeva che “ i comuni che abbiano in corso di esecuzione rapporti di concessione del servizio di accertamento e riscossione dell'imposta comunale sugli immobili possono rinegoziare i contratti in essere, ai fini dell'accertamento e della riscossione di altre entrate, compatibilmente con la disciplina comunitaria in materia di prestazione di servizi ”.
L’Autorità rilevava che entrambe le norme hanno un evidente carattere transitorio, come si evince chiaramente dal richiamo ai “ contratti in corso di esecuzione ”.
Inoltre, la disposizione di cui al comma 7 bis introduceva una misura temporanea volta alla compensazione dei minori introiti derivanti, per i “ concessionari ” del servizio di riscossione dell’ICI, dall’esenzione prevista per l’abitazione principale.
La norma di cui al comma 7 bis veniva abrogata dal d. l. n. 201 del 2011, come convertito dalla l. n. 214 del 2011.
L’AVCP osservava che, per la rinegoziazione dei contratti in deroga alle procedure di evidenza pubblica, occorre che il soggetto beneficiario della deroga sia “ concessionario ” per le attività di riscossione e accertamento dell’ICI.
La società Colombo, tuttavia, “ non ha mai svolto il ruolo di concessionario per l’accertamento e la riscossione dell’ (ICI);per tale imposta ha ottenuto, tramite due contratti, l’affidamento di alcuni servizi accessori, senza che da queste attività derivassero i rischi specifici insiti nella concessione, né le relative forme di remunerazione” . Inoltre, in relazione alla finalità della misura temporanea di cui al citato comma 7 bis, la “rinegoziazione” “ serve esclusivamente a restaurare la perdita subita e non può costituire un modo surrettizio per effettuare affidamenti di servizi senza evidenza pubblica, ponendosi in caso contrario in contrasto con i principi comunitari in materia di prestazioni di servizi, esplicitati nell’art. 2 del d. lgs. n. 163 del 2006” . La possibilità di rinegoziazione vale poi esclusivamente per i contratti in essere e non può estendersi ai contratti sottoscritti successivamente alla modifica normativa. Difettano perciò i requisiti per l’esenzione dalla normativa generale sull’evidenza pubblica posto che l’affidataria non risulta avere subito conseguenze negative, in termini economici, dalla introduzione della normativa di riforma dell’ICI contenuta nel d. l. n. 93 del 2008. L’Autorità ritiene che le rinegoziazioni e i rinnovi operati dal Comune appaiano eccedere quanto previsto dalle due norme derogatorie al codice dei contratti, non essendo applicabile né la previsione di cui all’art. 10 della l. n. 448 del 2001, per la deroga al divieto di rinnovo, in quanto si tratta di una norma transitoria, per la quale la deroga si riferisce unicamente ai contratti in corso al momento della sua emanazione, e non a quelli stipulati successivamente; e non essendo inoltre applicabile il comma 7 bis , per la deroga al divieto di rinnovo, “ in quanto difetta in capo alla società… la natura di concessionario per le attività di riscossione e accertamento dell’ICI. Inoltre, non è stato dimostrato né che la società abbia subito perdite economiche dalle modifiche introdotte nel 2008 in merito a tale imposta, né tanto meno che tali perdite siano tali da giustificare un rinnovo per un periodo di nove anni e l’estensione a nuovi servizi rispetto a quelli originariamente affidati ”.
La società Colombo impugnava la delibera n. 98/2012 dell’AVCP dinanzi al TAR del Lazio.
Il Comune, con la DGC n. 44 del 2013, decideva di annullare in autotutela la DGC n. 164/2011.
La società Colombo proponeva motivi aggiunti avanti al TAR Lazio.
Per ragioni di (in)competenza territoriale la causa veniva riassunta davanti al TAR Lombardia.
L’istanza cautelare veniva accolta per non essere stato il provvedimento impugnato preceduto dalla comunicazione di avvio del procedimento.
Nelle more interveniva, tuttavia, una modifica normativa, in attuazione di obblighi comunitari, in seguito alla quale “ diveniva in prima istanza superfluo procedere all’autotutela nei termini sopra riportati ” (così, il Comune).
Infatti, la disposizione in base alla quale erano stati rinegoziati e prorogati nel tempo gli affidamenti in favore della società Colombo, ovvero il secondo comma dell’art. 10 della l. n. 448/2001, secondo cui “ i comuni che abbiano in corso di esecuzione rapporti di concessione del servizio di accertamento e di riscossione dell'imposta comunale sulla pubblicità e dei diritti sulle pubbliche affissioni possono avvalersi, previa rinegoziazione dei contratti in essere, dei titolari dei medesimi rapporti anche per la riscossione di altre entrate comunali e per le relative attività propedeutiche, connesse o complementari” , veniva abrogata dall’art. 10 della l. n. 97 del 2013 con cui si stabiliva inoltre che “ gli affidamenti del servizio di accertamento e riscossione di entrate comunali effettuati ai sensi dell'articolo 10, comma 2, della legge 28 dicembre 2001, n. 448, in essere alla data di entrata in vigore della presente legge, cessano l'ultimo giorno del terzo mese successivo alla data di entrata in vigore della presente legge, ferma restando la data di scadenza dei relativi contratti, laddove anteriore” .
In un primo momento l’Amministrazione - indipendentemente dagli esiti del precedente procedimento di autotutela il cui provvedimento finale era stato sospeso dal TAR – adottava un atto con il quale si prendeva atto della predetta abrogazione e della conseguente cessazione degli affidamenti al 31 dicembre 2013, con l’indizione di una nuova procedura a evidenza pubblica.
In data 12 novembre 2013 l’Amministrazione dava avvio al procedimento, che si concludeva con la DGC n. 154 del 29 novembre 2013, di presa d’atto atto della cessazione di tutti gli affidamenti in essere con la società Colombo a seguito dell’entrata in vigore della l. n. 97 del 2013.
Avverso tale atto, la società Colombo ricorreva dinanzi al TAR Lombardia (n.r.g. 2993/2013).
L’istanza cautelare veniva accolta.
L’Amministrazione riapriva il procedimento di annullamento in autotutela della DGC n. 164/2011 (di rinegoziazione, come detto, sino alla fine del 2022, della scadenza dei contratti in essere tra il Comune e la ditta Colombo stipulati senza preventiva procedura di gara).
L’Amministrazione comunale, previo rituale avviso di avvio del procedimento, emanava la DGC n. 44 del 2014, di annullamento d’ufficio della delibera di rinegoziazione n. 164/2011, integralmente sostitutiva della n. 44 del 2013, sospesa dal TAR in sede cautelare con ordinanza n. 766/2013.
Tale deliberazione veniva contestata dalla società Colombo, con motivi aggiunti, nell’ambito del ric. n.r.g. 1554/2013.
2.Detto ricorso è stato definito dal TAR con la sentenza in epigrafe.
Con essa, il giudice di primo grado:
-ha dichiarato inammissibile il ricorso nella parte relativa alla impugnazione degli atti dell’AVCP, “ attesa la loro natura non provvedimentale ”;
-ha dichiarato improcedibile il ricorso per sopravvenuta carenza di interesse nella parte che riguarda l’impugnazione della DGC n. 44 del 2013, essendo stata detta delibera “ sostituita integralmente ” con la DGC n. 44 del 2014, contestata con motivi aggiunti;
-ha respinto il ricorso per motivi aggiunti argomentando come segue:
-dopo avere rilevato preliminarmente che la figura del provvedimento amministrativo motivato “ per relationem ” è riconosciuta pacificamente dalla giurisprudenza amministrativa, si evidenzia che la DGC n. 44 del 2014 di annullamento in autotutela è corredata di una motivazione autonoma, che dà conto sia dell’ iter logico seguito dal Comune e sia dell’analisi delle ragioni di illegittimità poste in risalto con la delibera dell’AVCP n. 98 del 2012;
-per quanto riguarda la (il)legittimità della DGC n. 164/2011, nella fattispecie non trova applicazione la disposizione di cui al citato comma 7 bis , invocato dalla società ricorrente. Sul piano sia formale e sia sostanziale, la società Colombo difetta del requisito richiesto dalla norma, non essendo “ concessionaria ” del servizio di accertamento e riscossione dell’ICI, ma svolgendo soltanto “ un’attività di collaborazione e consulenza per il controllo delle dichiarazioni ICI e per la predisposizione degli atti propedeutici al recupero dell'evasione ed elusione della stessa imposta ”, dalla quale esula qualsiasi potere di accertamento e di riscossione;
-sul piano delle “ ragioni di interesse pubblico ” all’annullamento d’ufficio, come previsto dall’art. 21 – nonies della l. n. 241 del 1990, precisato in via preliminare che viene in discorso un provvedimento sorretto da una pluralità di ragioni giustificatrici tra loro indipendenti, tale interesse pubblico “ viene indicato con riferimento ai risparmi di spesa attesi dalla cessazione dei contratti in essere e, in secondo luogo, (con riguardo) all’opportunità di evitare azioni della magistratura contabile in relazione a profili di danno erariale…” ;
-il potere di annullamento risulta poi esercitato entro un “ termine ragionevole ”, a distanza di due anni e tre mesi circa dalla adozione della DGC del 2011 di rinegoziazione. Nella specie si è tenuto conto sia della durata dei contratti rinegoziati, che andavano a scadere il 31 dicembre 2022, e sia dell’affidamento della società ricorrente. Si tratta di un periodo di tempo “ comunque inferiore al termine di tre anni di cui all’art. 1, comma 136, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, norma che parte della giurisprudenza amministrativa ha ritenuto tradurre in un dato concreto il parametro indeterminato del “termine ragionevole” di cui all'art. 21 - nonies della legge 241/1990…”;
-nella motivazione della sentenza si soggiunge che nella specie non viene in questione alcuna “ violazione del principio di affidamento per lesione della posizione consolidata venutasi a creare da oltre due anni e mezzo” , e questo perché, ben prima della emanazione della DGC di annullamento d’ufficio n. 44/2014, sin dalla fine del 2012 – inizio del 2013, con la delibera dell’AVCP n. 98/2012 e la DGC n. 44/2013, le amministrazioni coinvolte nella problematica avevano dato prova di ritenere illegittima la DGC n. 164/2011;
-non viene in considerazione nemmeno la previsione di indennizzo invocata nel ricorso, contemplata solo per le ipotesi “ di revoca dei provvedimenti amministrativi ex art. 21-quinquies della legge 241/1990, e per le ipotesi di annullamento d’ufficio di cui al citato comma 136, fondate su «…ragioni di convenienza economico-finanziaria… » (sul punto, Cons. Stato, Sez. III, 10 dicembre 2014, n. 6065), diversamente dall’art. 21- nonies della legge 241/1990, su cui si fonda l’impugnata delibera 44/2014” ;
-la DGC n. 44/2014 dà conto degli interessi coinvolti, evidenziando che le ragioni di interesse pubblico all’annullamento d’ufficio prevalgono sull’interesse della società ricorrente “ al mantenimento degli affidamenti ottenuti per una durata esorbitante senza alcuna procedura ad evidenza pubblica in quanto gli affidamenti originari avevano scadenza al 30 giugno 2013 e, pertanto, successivamente a tale data, la medesima ha già goduto di un periodo di affidamento superiore rispetto a quello pattuito con il Comune e non può avanzare pretese di durata dell’affidamento per un periodo addirittura più che doppio rispetto a quello iniziale, peraltro in palese violazione del codice dei contratti, oltre che della disciplina dalla medesima invocata, per di più ora integralmente abrogata…” ;
-non si ravvisa alcun difetto di istruttoria o violazione procedimentale;
-dal rigetto della domanda annullatoria discende le reiezione della domanda di risarcimento del danno.
3. Nelle 40 pagine del ricorso in appello, la società Colombo ha impugnato la sentenza con un unico, articolato motivo, recante “ error in judicando ”, violazione e falsa applicazione dell’art. 21 - nonies della l. n. 241 del 1990 ed eccesso di potere sotto svariati profili. In sintesi, parte appellante ritiene che non ricorrano i requisiti prescritti dall’art. 21 – nonies della l. n. 241 del 1990, disposizione richiamata dal Comune, per giustificare l’adozione del provvedimento di annullamento d’ufficio impugnato in primo grado. Diversamente da quanto si afferma in sentenza, nella DGC n. 44 del 2014 mancherebbe una valutazione autonoma dei profili di illegittimità del provvedimento annullato. Il Comune avrebbe ripetuto in modo pedissequo quanto affermato dall’AVCP nella deliberazione n. 98/2012. Deliberazione dell’Autorità che, tra l’altro, a differenza di quanto si afferma in sentenza, avrebbe natura provvedimentale e attitudine lesiva rispetto alle posizioni giuridiche del privato. Si sottolinea inoltre che il Regolamento dell’AVCP in materia di attività di vigilanza e accertamenti ispettivi prevede in maniera esplicita, all’art. 4, che l’Autorità comunichi l’avvio dell’istruttoria non solo alle amministrazioni ma anche alle imprese interessate. Ancora, a differenza di quanto ritenuto dal TAR, nel caso in esame trova applicazione il citato comma 7 bis dell’art. 1 del d. l. n. 93 del 2008 dal momento che la società Colombo, al di là di definizioni formali, svolgerebbe attività di accertamento in materia di ICI e sarebbe qualificabile come “ soggetto concessionario ” del servizio di accertamento di quel tributo, espletando non prestazioni preliminari all’esercizio dei compiti di accertamento, ma attività di individuazione dei presupposti della imposta che si concretizzano nell’accertamento del tributo. Al riguardo, parte appellante richiede una verificazione tecnico – istruttoria che chiarisca le modalità di svolgimento del servizio. Il TAR, una volta esclusa, in modo erroneo, la qualifica di “ soggetto concessionario ” ICI in capo alla società, non ha esaminato le altre censure sollevate contro la deliberazione comunale n. 44/2014. In particolare, parte appellante difende la legittimità della DGC n. 164/2011 di rinegoziazione e proroga posto che la società Colombo avrebbe avuto diritto al riequilibrio delle condizioni contrattuali. Inoltre, sarebbe errato quanto affermato dal Comune nel provvedimento di annullamento in autotutela e, cioè, che mediante gara sarebbe stato possibile conseguire vantaggi economici ben più significativi, e questo perché gli aggi posti a base d’asta in un bando, del maggio 2014, per l’affidamento in concessione dell’ICP e della TOSAP, non sono quelli di cui ai contratti con la Colombo, ma sono più alti. Nemmeno può essere condiviso il passaggio ulteriore, della deliberazione in autotutela impugnata in primo grado, sulla asseritamente illegittima estensione, senza gara, alla società Colombo, di servizi inerenti al nuovo tributo IMU, estensione che, per l’Amministrazione, esulando completamente dagli affidamenti precedenti, avrebbe dovuto essere assegnata mediante una nuova procedura a evidenza pubblica. Ancora, circa l’interesse pubblico all’esercizio del potere di annullamento d’ufficio, con riguardo al quale il TAR considera corretta la motivazione connessa all’opportunità di evitare l’alea di eventuali successive azioni giurisdizionali dinanzi alla Corte dei conti, la motivazione medesima si basa sul presupposto, criticabile, della illegittimità della DGC n. 164/2011 di rinegoziazione, oltre a trattarsi di un’ipotesi incerta e aleatoria. Il Comune non ha sofferto alcun danno erariale per effetto della rinegoziazione;anzi, in conseguenza della medesima si è procurato un indubbio risparmio. E’ errato dunque ritenere, come fa il Comune, con l’avallo del TAR, che dall’annullamento in via di autotutela possano discendere risparmi di spesa. Tra l’altro il Comune non dimostra di poter svolgere quello stesso servizio, attraverso l’utilizzo di personale interno, a un costo minore di quello attuale e garantendo i medesimi incassi attuali. Ciò si ripercuote sulla legittimità del provvedimento di annullamento d’ufficio, sotto i profili dell’insufficiente istruttoria e motivazione. Con l’appello si afferma che il costo per il Comune derivante dalla internalizzazione del servizio di accertamento e riscossione dell’ICI/IMU sarà pari a quello oggi sostenuto per compensare la società Colombo. I presunti risparmi di gestione, derivanti dalla cessazione dei contratti in essere, sui quali si fonderebbe l’interesse pubblico richiamato dal Comune a sostegno del provvedimento di annullamento d’ufficio si rivelano insussistenti. Circa l’esercizio del potere di autotutela “ entro un termine ragionevole ”, con l’appello si sostiene che, diversamente da quanto si afferma in sentenza, non è corretto assumere come parametro di riferimento il termine dei tre anni di cui all’art. 1, comma 136, della l. n. 311 del 2004, posto che il Comune, nella DGC n. 44/2014, ha richiamato, utilizzandola, la disposizione di cui all’art. 21 – nonies della l. n. 241 del 1990. Inoltre, la ragionevolezza del termine va esaminata in relazione alla esistenza di posizioni consolidate in capo ai destinatari del provvedimento favorevole (illegittimo), di un affidamento legittimo in capo ai medesimi e degli interessi dei destinatari stessi. Nel caso in esame, dato che l’attività alla Colombo è stata assegnata nel 2011, la società ricorrente e odierna appellante vanta una posizione consolidata e un “ affidamento legittimo nella sicurezza giuridica del rapporto ” – corollario dei principi di buona fede e di certezza del diritto - in ordine all’esercizio delle attività oggetto della rinegoziazione. Nel provvedimento impugnato in primo grado manca, poi, una motivazione adeguata in ordine alle ragioni che, alla luce della comparazione dell’interesse pubblico con il contrapposto interesse dei destinatari, rispetto all’atto da rimuovere, “ giustifichino l’esercizio del potere di autotutela. Inoltre, a fronte dell’eccessivo sacrificio richiesto alla parte privata, non è previsto alcun indennizzo per la cessazione anticipata del contratto ”. Sub 2) – “ richiesta di risarcimento dei danni ” (da pag. 37 ric. app.), l’appellante ha chiesto la condanna del Comune al risarcimento del danno ingiusto derivante dall’illegittimo esercizio dell’azione amministrativa, avendo, la società, effettuato investimenti di personale e risorse in vista della gestione dei servizi fino al 2022.
Il Comune si è costituito per resistere.
Con ordinanza n. 1187 del 2015 la Sezione ha respinto l’istanza cautelare della Colombo, con spese della fase cautelare a carico della società, non sembrando a un primo esame che “ l’odierna appellante potesse invocare l’applicazione delle disposizioni in tema di rinegoziazione di cui all’art. 1, comma 7 – bis, del d. l. n. 93 del 2008” .
In prossimità dell’udienza di discussione, le parti si sono scambiate memorie e repliche.
In particolare, la società appellante, sulla domanda di risarcimento del danno, ha puntualizzato che permane un interesse alla tutela sia in forma specifica che per equivalente.
All’udienza dell’8 marzo 2018 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
4. L’appello è infondato e va respinto.
La sentenza non merita le critiche che le sono state rivolte e va confermata, con le precisazioni e le integrazioni motivazionali che seguiranno.
4.1. In primo luogo, come rilevato in sentenza e, ancora prima, dal TAR del Lazio, nella fase cautelare, con l’ordinanza n. 5718 del 2013, occorre osservare che le deliberazioni dell’AVCP hanno “ valore di circolare interpretativa e (sono) quindi prive del carattere di provvedimento lesivo degli interessi della società” , sicché va considerato inammissibile il ricorso giurisdizionale proposto direttamente contro una deliberazione dell’ (ex) AVCP, adottata ai sensi dell’art. 6, comma 7, del d. lgs. n. 109 del 2006 (già, art. 4 della l. n. 109 del 1994) con la quale l’Autorità, nell’esercitare i poteri di vigilanza sul rispetto della disciplina legislativa e regolamentare in materia di contratti pubblici, abbia ritenuto che un provvedimento amministrativo di un ente locale di rinegoziazione e proroga, ai sensi dell’art. 1, comma 7 bis, del d. l. n. 93 del 2008, conv. con modifiche in l. n. 126 del 2008, di rapporti con una società, compiuta senza ricorrere a procedura di evidenza pubblica, non sia conforme alle previsioni del codice dei contratti pubblici, con conseguente comunicazione della delibera stessa all’ente locale affinché lo stesso indichi “ le eventuali iniziative che intenda adottare al riguardo ”.
Del resto, alla ( ex ) AVCP (oggi, ANAC), erano (e sono tuttora) attribuiti compiti di vigilanza sulla corretta applicazione della disciplina, legislativa e regolamentare, in materia di contratti pubblici (e, dunque, anche in ordine alla corretta applicazione della disciplina derogatoria prevista, con riguardo al caso di specie, dall’art. 1, comma 7 bis, del d. l. n. 93 del 2008).
Come giustamente osserva la difesa dell’Autorità, tale ricostruzione è coerente con il concetto di “vigilanza”, che implica un rapporto organizzatorio diverso rispetto al rapporto gerarchico, e che va inteso come potere strumentale al corretto esercizio della funzione, ponendosi come indirizzo alle attività della cui esecuzione si tratta.
Del resto, con riferimento al caso in esame è esatto che nessun effetto costitutivo è ricollegabile alla deliberazione n. 98/2012 impugnata, posto che, come si ricava dal tenore letterale della medesima, essa non contiene alcun precetto volto a modificare in via autoritativa la realtà giuridica sulla quale la decisione viene a innestarsi.
L’Autorità, avendo riscontrato, a seguito dell’esercizio dei suoi poteri di vigilanza, l’esistenza di difformità dalle previsioni del codice dei contrati pubblici, si è limitata a segnalare la circostanza all’Amministrazione locale, senza annullare i relativi atti, non avendone i poteri, ma sollecitando l’eventuale esercizio dei poteri di autotutela, agendo così nel rispetto dell’autonomia dell’Ente locale.
Soltanto con l’annullamento d’ufficio della DGC n. 164/2011 di “rinegoziazione”, quindi, si è prodotta, in capo alla società Colombo, la lesione immediata e diretta della posizione giuridica tutelata.
Il carattere non direttamente lesivo della deliberazione dell’AVCP n. 98/2012 esime quindi il Collegio dal prendere posizione sul profilo di censura attinente alla necessità di comunicare l’avvio del procedimento anche alla società Colombo, quale “ impresa interessata ”.
Non pare inutile soggiungere che anche la giurisprudenza amministrativa, formatasi, è vero, nella vigenza dell’art. 4 della l. n. 109 del 1994, ma utilizzabile anche nel vigore dell’art. 6 del d. lgs. n. 163 del 2006, ha avuto occasione di affermare che l'Autorità non è dotata di poteri di supremazia gerarchica nei confronti delle amministrazioni aggiudicatrici, statali o locali, così da potersi ipotizzare un potere di annullamento per vizi di legittimità dei provvedimenti da queste adottati in tema di affidamento di contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, potendo solo vigilare sul corretto esercizio della funzione pubblica in questa materia, segnalando le irregolarità eventualmente riscontrate agli organi di controllo e, sussistendone i presupposti, all'autorità giurisdizionale competente e alla procura generale della Corte dei conti (Cons. Stato, sez. IV, n. 5317/2006, p. II, alle cui argomentazioni e conclusioni, anche sulla natura non provvedimentale delle delibere dell’Autorità, in quel caso in tema di affidamento di incarico di progettazione per lavori, si fa rinvio ai sensi degli articoli 60, 74 e 88, comma 2, lett. d) del c.p.a. ).
In modo condivisibile, pertanto, è stato osservato in sentenza e, ancora prima, nella fase cautelare del giudizio di primo grado, che la lesione degli interessi della società discende dall’adozione della DGC n. 44 del 2014 con la quale il Comune, dopo averle valutate in modo autonomo, ha recepito e fatto proprie le considerazioni giuridiche svolte dall’AVCP nella delibera n. 98/2012.
4.2. Sulla dedotta mancanza di una valutazione autonoma dei profili di illegittimità della deliberazione “base” n. 164/2011 di rinegoziazione e proroga, e sulla “ ripetizione pedissequa ”, nella impugnata DGC n. 44/2014, delle considerazioni contenute nella delibera dell’AVCP n. 98/2012, il Collegio rileva che, a prescindere dal fatto che la motivazione del provvedimento amministrativo può risultare anche da un diverso atto dell’Amministrazione, richiamato nel provvedimento medesimo (c. d. motivazione “ per relationem ” – cfr. art. 3 della l. n. 241 del 1990;in giurisprudenza, sull’ammissibilità della motivazione “ per relationem” , si rinvia, “ ex multis ”, a Cons. Stato, IV, n. 944 del 2010, e ivi rif.), dall’esame della DGC n. 44/2014, impugnata in primo grado, emerge l’esposizione di una motivazione che racchiude sia considerazioni relative alla illegittimità, di suo, della DGC n. 164/2011, e sia ragioni di interesse pubblico (arg. ex art. 21 – nonies della l. n. 241 del 1990) indicate a sostegno della decisione assunta in via di autotutela.
In particolare, l’avere condiviso e fatto proprie le considerazioni giuridiche espresse dall’AVCP con la delibera n. 98/2012 non significa che il Comune non abbia compiuto una verifica autonoma e indipendente di (il)legittimità, in un “contesto procedimentale” autonomo rispetto al “procedimento di vigilanza”, di esclusiva competenza dell’AVCP, di cui all’art. 6 del d. lgs. n. 163 del 2006, aggiungendo ulteriori autonome valutazioni in punto di “interesse pubblico”.
Il tutto, come si dirà anche più avanti, entro un “ termine ragionevole ” dall’adozione della DGC n. 164/2011.
In maniera corretta, dunque, il giudice di primo grado ha osservato che la impugnata delibera di Giunta n. 44 del 2014 risulta corredata di una motivazione autonoma, “ che dà conto sia dell’iter logico seguito dal Comune resistente, sia dell’analisi delle ragioni di illegittimità poste in luce dalla citata delibera 98/2012 dell'AVCP” .
4.3. Anche le argomentazioni dell’appellante sulla qualificazione della società Colombo come “ soggetto concessionario ” del servizio di accertamento dell’ICI, dal che discenderebbe l’applicabilità dell’art. 1, comma 7 bis, del d. l. n. 93 del 2008, conv. con mod. nella l. n. 126 del 2008, secondo cui “ i comuni che abbiano in corso di esecuzione rapporti di concessione del servizio di accertamento e riscossione dell'imposta comunale sugli immobili possono rinegoziare i contratti in essere, ai fini dell'accertamento e della riscossione di altre entrate, compatibilmente con la disciplina comunitaria in materia di prestazione di servizi” , disposizione abrogata dal d. l. n. 201 del 2011, come convertito dalla l. n. 214 del 2011, ma applicabile alla fattispecie controversa in base al principio “ tempus regit actum ”, pur suggestive, non colgono nel segno.
A questo proposito, è corretta e va confermata la posizione assunta da questa Sezione nel procedimento cautelare, con l’ordinanza n. 1187 del 2015.
In via preliminare, pare il caso di rilevare cha la disposizione sulla rinegoziazione dei contratti, di cui al menzionato comma 7 bis, ha carattere eccezionale in quanto deroga al divieto di rinnovo di cui all’art. 10, comma 2, della l. n. 448 del 2001, sicché, trattandosi di disposizione eccezionale, o derogatoria, essa è di stretta interpretazione.
Ciò posto, dall’esame degli atti (cfr. DGC n. 164/2011 e contratto relativo all’ICI) emerge, sul piano formale, che il servizio prestato dalla società Colombo viene qualificato come “ attività di collaborazione e consulenza per il controllo delle dichiarazioni ICI e per la predisposizione degli atti propedeutici al recupero dell’evasione ed elusione della imposta stessa” , in ciò distinguendosi, sempre sotto il profilo letterale, dal rapporto di concessione TOSAP, affidato alla società medesima.
Le espressioni impiegate sono inequivoche e si pongono in contrasto con la tesi sostenuta dall’appellante.
Sotto l’aspetto sostanziale, da un lato, il servizio di accertamento e di riscossione dell’ICI è sempre rimasto in capo al Comune;sono rimaste in capo al Comune le funzioni di controllo e di responsabilità finali sulle attività di accertamento e di riscossione;dall’altro, l’Amministrazione municipale, relativamente all’ICI, si è avvalsa della collaborazione della società Colombo con riguardo ad attività preliminari, preparatorie e propedeutiche, non implicanti in nessun caso maneggio di pubblico denaro, fermi restando, come rilevato, in capo al Comune, il potere di accertamento del tributo e, in definitiva, la gestione complessiva del servizio (e senza, con ciò, voler sminuire la rilevanza delle attività, pur sempre di supporto, demandate alla società).
Concludendo sul punto, nella sentenza impugnata si osserva in modo corretto che sul piano sia formale e letterale e sia sostanziale, la società Colombo difetta del requisito richiesto dal citato comma 7 bis , non potendo essere qualificata come “ concessionaria ” del servizio di accertamento e riscossione dell’ICI, ma svolgendo soltanto “ un’attività di collaborazione e consulenza per il controllo delle dichiarazioni ICI e per la predisposizione degli atti propedeutici al recupero dell'evasione ed elusione della stessa imposta” , dalla quale esula qualsiasi potere di accertamento e di riscossione: dal che, la estraneità della fattispecie, rispetto all’ambito di applicazione della disposizione di cui al comma 7 bis in tema di rinegoziazione dei contratti;e la resistenza dell’impugnata DGC n. 44/2014 alla censura di non conformità a legge, dato che, nel caso “de quo”, effettivamente non vi erano i presupposti normativamente prescritti per la deroga al divieto di rinnovo.
Per le ragioni esposte sopra il Collegio ritiene di non disporre verificazione tecnica sulle modalità di svolgimento dell’attività “ de qua ”.
4.4. Nonostante il carattere risolutivo delle considerazioni esposte sopra, ai fini della verifica di illegittimità, ai sensi dell’art. 21 – octies , comma 1, della l. n. 241 del 1990, del provvedimento “base” n. 164/2011, neppure risulta persuasiva la difesa della legittimità della DGC n. 164/2011 compiuta dalla società appellante, sol che si presti attenzione non soltanto, come detto, al contrasto tra la decisione municipale adottata nel 2011 e il codice dei contratti pubblici di cui al d. lgs. n. 163 del 2006, che impone procedure di evidenza pubblica per l’affidamento di servizi quali quello “ de quo ”, ma anche alla circostanza che la società Colombo, in sede di rinegoziazione, aveva ottenuto dall’Amministrazione la proroga degli affidamenti, senza gara, per “ una durata esorbitante ”, oltre nove anni, vale a dire dal luglio del 2013 al dicembre del 2022 (senza trascurare di tener presente che già in origine l’attività di “ collaborazione e consulenza ” ICI non era stata preceduta da gara pubblica).
In questo contesto, invero peculiare e anomalo, nel quale la società Colombo pretende di “ vedersi raddoppiata la durata degli affidamenti in deroga ”, perdono rilievo le puntualizzazioni svolte con l’appello sugli aggi indicati dal Comune a base d’asta, nel 2014, per l’affidamento in concessione dell’ICP e della TOSAP (anche a prescindere dalle considerazioni tecnico – economiche formulate, a confutazione, dalla difesa del Comune).
4.5. Spostando adesso l’attenzione sulle critiche, riepilogate sopra, al p. 3., rivolte con l’appello - alle statuizioni della sentenza e - al “segmento” motivazionale relativo alla esistenza di un interesse pubblico all’esercizio del potere di annullamento d’ufficio, questo Collegio, al di là delle difficoltà oggettive e della complessità, in presenza di variabili non sempre evidenti, dei calcoli diretti a individuare i costi effettivi dell’internalizzazione delle attività in discussione (al riguardo, appellante e appellata argomentano e concludono in modi opposti), nel considerare tuttavia plausibile il riferimento comunale ai risparmi di spesa derivanti dall’internalizzazione delle attività, reputa sufficiente e risolutivo il riferimento, compiuto dalla autorità emanante, e avallato in sentenza, alla esigenza di evitare l’alea di azioni giurisdizionali di responsabilità dinanzi alla Corte dei conti. Infatti, diversamente da quanto ritiene la società appellante, nel contesto in esame, la possibilità di azioni giurisdizionali davanti dinanzi alla Corte dei conti appare, presumibilmente, tutt’altro che incerta o aleatoria, anche e specialmente a fronte di una deliberazione dell’AVCP, la n. 98 del 2012, assai critica, sotto profili molteplici, nei confronti della DGC n. 164 del 2011, oggetto di autotutela da parte del Comune, e in una situazione nella quale, come l’appellata non manca di sottolineare, l’Amministrazione municipale, in forza dei contratti annullati per effetto della deliberazione impugnata in primo grado, avrebbe finito per sopportare esborsi significativi, in nove anni, senza alcuna procedura di gara, anche in relazione alla attività, accessoria all’accertamento e alla riscossione dell’ICI, che il regolamento comunale consente di espletare in economia avvalendosi di personale dell’Ente locale.
Bene quindi in sentenza si considera sufficiente e attendibile, e idoneo a sorreggere la DGC n. 44 del 2014, di annullamento d’ufficio della precedente delibera n. 164/2011, in ordine alla sussistenza delle ragioni di interesse pubblico, il riferimento all’opportunità di evitare azioni della Corte dei conti “ in relazione a profili di danno erariale ”.
4.6. Sulla ragionevolezza, o meno, del termine entro il quale è intervenuto l’atto di annullamento d’ufficio;indipendentemente dall’applicabilità, al caso in questione, del “ parametro temporale triennale ” di cui alla disposizione speciale, o specificativa, contenuta nell’art. 1, comma 136, della l. n. 311 del 2004, e “ancorando” l’esame del profilo di censura al criterio del “ termine ragionevole ” di cui all’art. 21 – nonies della l. n. 241 del 1990, è corretta e va condivisa la statuizione della sentenza impugnata con la quale si ritiene non irragionevole il periodo di tempo, di circa due anni e quattro mesi, intercorso tra la DGC n. 164/2011 e l’esercizio del potere di autotutela, avuto riguardo:
- alla durata, assai “protratta”, dei contratti rinegoziati, la scadenza dei quali era (stata) prevista per il 31 dicembre del 2022;e
- al fatto che, in realtà, sin dal marzo del 2013, vale a dire a distanza di poco più di un anno dalla data dell’adozione della delibera di rinegoziazione e proroga, e comunque prima della “ scadenza naturale ” del 30 giugno 2013 e prima che il rinnovo divenisse operante (ma, in realtà, prima ancora, con la delibera dell’AVCP del novembre 2012, resa nota alla ditta Colombo in data 20 dicembre 2012), l’Amministrazione aveva “ dato prova – come si osserva in sentenza - di ritenere illegittima la delibera 164/2011 ”.
Risulta dunque inappropriato, e non adattabile alla fattispecie odierna, il riferimento compiuto dalla società appellante a un “ affidamento legittimo nella sicurezza giuridica del rapporto ”.
Alla luce delle considerazioni esposte sopra, occorre concludere rilevando, con la sentenza impugnata, che il provvedimento di annullamento in via di autotutela è stato preceduto da una istruttoria congrua e risulta sorretto da una motivazione adeguata, anche in ordine alla comparazione tra l’interesse pubblico all’annullamento d’ufficio e l’interesse contrapposto del privato inizialmente avvantaggiato dal provvedimento oggetto dell’esercizio del potere di autotutela, tenuto presente anche il fatto che il citato art. 21 nonies , attraverso l’uso dell’espressione “ tenendo conto degli interessi dei destinatari ”, richiama una mera valutazione dell’interesse del privato e non una vera e propria ponderazione tra i due tipi di interessi, che restano distinti.
E’ appena il caso di soggiungere, con il giudice di primo grado, che la previsione di indennizzo a fronte del sacrificio richiesto riguarda le ipotesi di revoca di provvedimenti amministrativi cui all’art. 21 – quinquies della l. n. 241 del 1990, e che dal rigetto dell’azione di annullamento discende la reiezione della domanda risarcitoria.
In conclusione, l’appello va respinto e la sentenza impugnata confermata.
Nonostante l’esito del giudizio, taluni elementi di complessità della controversia sono tali da giustificare la compensazione integrale delle spese del grado del giudizio tra le parti.