Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2013-05-10, n. 201302557

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2013-05-10, n. 201302557
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201302557
Data del deposito : 10 maggio 2013
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 01559/2011 REG.RIC.

N. 02557/2013REG.PROV.COLL.

N. 01559/2011 REG.RIC.

N. 04281/2011 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1559 del 2011, proposto dall’Università degli studi di Padova, in persona del rettore in carica, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;

contro

M L, rappresentato e difeso dall’avvocato G A, con domicilio eletto presso lo studio del medesimo, in Roma, via G. Nicotera, 29;



sul ricorso numero di registro generale 4281 del 2011, proposto dall’Azienda ospedaliera di Padova, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Luigi Manzi e Maria Grazia Calì, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma, via Federico Confalonieri, 5;

contro

M L, rappresentato e difeso dall’avvocato G A, con domicilio eletto presso lo studio del medesimo in Roma, via G. Nicotera, 29;
Regione Veneto, non costituita nel presente grado di giudizio;

nei confronti di

Università degli studi di Padova, in persona del rettore in carica, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la riforma,

della sentenza del T.a.r. per il Veneto, Venezia, sezione I, n. 64/2011, resa tra le parti e concernente il collocamento fuori ruolo del prof. M L;


Visti i ricorsi in appello ed i relativi allegati, con tutti gli atti e documenti di causa.

Visti gli atti di costituzione di M L nei due giudizi.

Relatore, nell’udienza pubblica del giorno 12 marzo 2013, il Consigliere Bernhard Lageder e. uditi, per le parti, l’avvocato dello Stato Pucciariello e gli avvocati Allocca e Mazzeo, quest’ultimo per delega dell’avvocato Luigi Manzi.

Ritenuto e considerato, in fatto e diritto, quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1.1. Con la sentenza in epigrafe, il T.a.r. per il Veneto si pronunciava definitivamente sul ricorso n. 2821/2002 (notificato alle amministrazioni resistenti il 18 dicembre 2002), proposto da M L – professore associato confermato presso l’Università degli studi di Padova, titolare presso la facoltà di medicina e chirurgia, settore scientifico disciplinare MED/30, del corso di malattie dell’apparato visivo, nonché dirigente medico presso l’unità operativa assistenziale (u.o.a.) di clinica oculistica dell’Azienda ospedaliera di Padova, ove svolgeva, in regime di convenzione e quale medico universitario a tempo pieno, attività ambulatoriale autorizzata infra ed extra moenia – avverso i seguenti atti:

- il provvedimento rettorale n. 1837 del 4 settembre 2002, con il quale il ricorrente (nato il 21 giugno 1935) era stato collocato fuori ruolo (ai sensi dell’art. 2, comma 1, legge 7 agosto 1990 n. 239), con decorrenza dal 1° novembre 2002, per il compimento del 67° anno di età;

- la nota dell’11 novembre 2002, con cui l’Università degli studi di Padova aveva comunicato all’Azienda ospedaliera di Padova che il ricorrente era cessato dalla convenzione per effetto del collocamento fuori ruolo, come disposto con il provvedimento del 4 settembre 2002;

- la nota del 26 ottobre 2002, con la quale l’Azienda ospedaliera di Padova aveva revocato al ricorrente, con decorrenza dal 1° novembre 2002, l’autorizzazione all’esercizio dell’attività assistenziale;

- ogni atto connesso o presupposto e segnatamente il protocollo d’intesa del 5 novembre 2002, intercorso tra la Regione Veneto e l’Università di Padova, limitatamente all’art. 5- bis , qualora quest’ultimo fosse interpretato nel senso di consentire la cessazione dell’attività assistenziale al momento del collocamento fuori ruolo del docente.

1.2. Il T.a.r., in particolare, provvedeva come segue:

(i) respingeva le eccezioni preliminari di rito di tardività del ricorso introduttivo e di carenza di legittimazione passiva della Regione Veneto, sollevate dalle amministrazioni resistenti;

(ii) respingeva la censura di violazione dell’art. 15- nonies , d.lgs. 30 dicembre 1992 n. 502, mossa avverso il provvedimento di collocamento fuori ruolo;

(iii) affermava, invece, l’illegittimità della disposta cessazione dallo svolgimento delle ordinarie attività assistenziali, di cui alla nota del 26 ottobre 2002, alla luce della sentenza della Corte costituzionale 16 maggio 2001 n. 71, attesa l’assenza “ (…) di un protocollo d’intesa Regione/Università che disciplini concretamente, come prefigurato dall’art. 15- nonies del d.lgs. n. 502/92, le modalità ed i limiti per l’utilizzazione del personale medico universitario in campo assistenziale, in stretta correlazione con l’attività didattica e di ricerca che il personale medesimo continua a svolgere anche dopo il collocamento fuori ruolo (…) ” (v. così, testualmente, p. 10 dell’appellata sentenza), dichiarando di conseguenza il diritto del ricorrente allo svolgimento delle funzioni assistenziali dalla data del collocomento fuori ruolo e fino alla data di effettiva cessazione del rapporto d’impiego con l’università;

(iv) liquidava in favore del ricorrente, a titolo di risarcimento dei danni dallo stesso subìti in conseguenza dell’illegittima revoca dell’autorizzazione allo svolgimento dell’attività assistenziale (ravvisati nella correlativa diminuzione reddituale nell’anno accademico 2002/2003), l’importo di euro 26.040,82, oltre agli accessori di legge, con correlativa condanna, in solido tra di loro, dell’università e dell’azienda ospedaliera;

(v) dichiarava le spese di causa interamente compensate tra parti.

2.1. Avverso tale sentenza interponeva appello l’Università degli studi di Padova, con ricorso notificato all’originario ricorrente il 23-28 febbraio 2011 (e rubricato sub r.g. n. 1559/2011), riproponendo l’eccezione d’irricevibilità/inammissibilità del ricorso di primo grado, per tardiva impugnazione del decreto di collocamento a riposo e degli atti consequenziali, e deducendo l’erroneità e la contraddittorietà della motivazione della sentenza, basata su un’erronea ricostruzione/interpretazione del quadro normativo e della pronuncia della Corte costituzionale n. 71/2001, in quanto l’applicabilità della disciplina di cui all’art. 15- nonies , d.lgs. 30 dicembre 1992 n. 502, e ss.mm.ii., presupponeva la titolarità dell’insegnamento in capo ad un docente in ruolo, mentre non operava per i docenti collocati fuori ruolo per raggiunti limiti di età, quale l’originario ricorrente, attesa la diversità di status delle due figure.

L’università appellante contestava, inoltre, la natura provvedimentale della nota di comunicazione inviata dall’università all’azienda ospedaliera e rilevava che la cessazione degli incarichi assistenziali svolti dal prof. M era, ad ogni modo, stata disposta dell’azienda ospedaliera, a carico della quale venivano a gravare gli eventuali correlativi oneri economico-finanziari. L’università appellante chiedeva, dunque, previa sospensione della provvisoria esecutorietà dell’impugnata sentenza, il suo annullamento.

2.2. Con ordinanza n. 1214/2011 del 15 marzo 2011 (come integrata dall’ordinanza di correzione di errore materiale n. 2563/2011) veniva accolta l’istanza di sospensiva.

2.3. Nell’ambito del ricorso in appello in questione (n. 1559/2011) si costituiva l’appellato prof. M, con controricorso depositato il 5 agosto 2011, eccependo in via preliminare di rito la nullità della notificazione del ricorso in appello, per difetto di legittimazione del soggetto richiedente la notificazione (Università degli studi di Messina e M.i.u.r., giusta indicazione risultante dalla relata di notificazione predisposta dalla difesa erariale), nonché per violazione dell’art. 170, comma 3, cod. proc. civ., risultando la notificazione eseguita non già presso il domicilio eletto da esso appellato in primo grado (ossia, presso la Camera degli avvocati presso il T.a.r. per il Veneto), bensì presso la segreteria del T.a.r., con conseguente salvezza del termine per proporre appello incidentale (spiegato nell’ambito del separato ricorso in appello n. 4281/2011 – su cui v. infra , sub 3. – proposto avverso la medesima sentenza dall’Azienda ospedaliera di Padova). L’appellato eccepiva, inoltre, l’inammissibilità dell’appello per mancata notificazione all’Azienda ospedaliera di Padova, da considerare alla stregua di contraddittore necessario, contestandone, ad ogni modo, la fondatezza nel merito.

Lo stesso chiedeva, dunque, “ (…) disporsi la riunione del presente appello con quello rubricato al n. 4281/11 R.G. con salvezza dei termini per l’ammissibilità dell’appello incidentale ivi proposto (…) di cui si chiede l’accoglimento (…) ”, nonché la reiezione dell’appello proposto dall’università, per le esposte ragioni di rito e di merito.

2.4. Con comparsa depositata il 29 gennaio 2013, l’appellato si costituiva in giudizio con nuovo difensore.

3.1. Avverso la stessa sentenza interponeva separato appello l’Azienda ospedaliera di Padova – alla quale la sentenza era stata notificata, il 18 marzo 2011, su istanza dell’originario ricorrente – con ricorso notificato a quest’ultimo il 16-20 maggio 2011 (e rubricato sub r.g. n. 4281/2011), censurando l’erronea ricostruzione e la discutibile interpretazione della disciplina normativa quale risultante dall’intervento della Corte costituzionale (con la sopra citata sentenza n. 71/2001) e la conseguente erronea equiparazione del docente titolare d’insegnamento al docente collocato fuori ruolo, basata sull’erroneo “ (…) presupposto che l’attività didattica e di ricerca affidata al ricorrente all’atto del suo collocamento fuori ruolo necessitasse dell’espletamento di una attività assistenziale in misura pari a quella esercitata in piena attività di professore associato in ruolo (…) ” (così, testualmente, l’atto di appello).

L’appellante Azienda ospedaliera di Padova deduceva, inoltre, l’erronea condanna al risarcimento dei danni, per la quota della metà, essendo essa vincolata a dar esecuzione alla comunicazione di cessazione dalla convenzione per collocamento fuori ruolo, pervenuta dall’università, con conseguente inconfigurabilità di una qualsiasi propria responsabilità.

L’appellante lamentava, infine, la carenza di motivazione in punto di quantum debeatur , avendo il T.a.r. omesso di considerare l’eventuale aliunde perceptum , e chiedeva dunque l’annullamento della sentenza.

3.2. Nell’ambito di tale giudizio di gravame si costituiva l’appellato prof. M con “ controricorso con appello incidentale ”, notificato alle controparti il 22 luglio 2011 (data di spedizione) e depositato il 5 agosto 2011, con il quale contestava la fondatezza dell’avversario appello ed interponeva, a sua volta, appello incidentale diretto, in principalità, avverso la statuizione di rigetto dell’impugnativa del provvedimento di collocamento fuori ruolo e della correlativa domanda di riconoscimento del diritto a rimanere in ruolo fino al compimento del 68° di età, nonché, in subordine, avverso la limitazione del risarcimento dei danni al solo anno accademico 2002/2003, con illegittima esclusione dei successivi anni 2003/2004 e 2004/2005.

3.3. Anche nell’ambito del presente ricorso in appello, l’appellato prof. M, con comparsa depositata il 29 gennaio 2013, si costituiva con nuovo difensore.

4. Sebbene ritualmente evocata in giudizio, ometteva invece di costituirsi nel presente grado la Regione Veneto.

5. All’udienza pubblica del 12 marzo 2013 entrambe le cause venivano trattenute in decisione.

6. Premesso che i due ricorsi in appello, proposti avverso la medesima sentenza, a norma dell’art. 96, comma 1, cod. proc. amm., devono essere riuniti e decisi congiuntamente, si osserva che gli appelli principali sono infondati per le ragioni (di rito e di merito) esposte in seguito, mentre l’appello incidentale proposto dal prof. M è inammissibile.

6.1. Premesso che in ordine logico prioritario va affrontata la questione dell’inammissibilità dell’appello incidentale proposto dall’originario ricorrente nell’ambito del ricorso n. 4281/2011, poiché con il gravame incidentale è impugnato il capo della sentenza affermante la legittimità del collocamento fuori ruolo dell’originario ricorrente, a sua volta assurgente a questione preliminare di merito, si osserva che l’appello incidentale in esame dev’essere dichiarato inammissibile.

Infatti, l’appello incidentale è stato proposto ampiamente oltre il termine di sessanta giorni dal perfezionamento della notificazione, nei confronti dell’originario ricorrente, del primo ricorso in appello ( sub n. 1559/2011) proposto dall’università.

Si precisa, al riguardo, che, a fronte dell’identità e dell’inscindibilità del motivo centrale d’appello dedotto dall’università rispetto a quello dedotto dall’azienda ospedaliera (erronea affermazione del diritto del ricorrente allo svolgimento dell’attività assistenziale dopo il suo collocamento fuori ruolo), l’interesse all’appello incidentale deve ritenersi sorto sin dalla proposizione di quello principale proposto dall’università, con la conseguenza che l’appello separato proposto successivamente dall’azienda ospedaliera non era idoneo a riaprire il termine per la proposizione dell’impugnazione incidentale.

Né sono fondate le eccezioni di nullità della notificazione del ricorso in appello proposto dall’università, sollevate dall’originario ricorrente, in quanto:

- l’erronea indicazione della parte istante nella relata di notificazione non ne determina la nullità, qualora nel contesto dell’atto notificato sia indicato in modo non equivoco il soggetto che abbia richiesto o nel cui interesse sia stata eseguita detta notificazione (come nel caso di specie, dove nel ricorso in appello è indicato in modo chiaro ed univoco, quale soggetto appellante interessato alla notificazione, l’Università degli studi di Padova;
v. sul punto, in fattispecie analoghe, Cass. civ., sez. III, sent. 9 aprile 2001 n. 5262;
sez. V, sent. 26 gennaio 2005 n. 1574;
sez. I, sent. 6 maggio 2011 n. 10004);

- dall’avviso di accertamento, attestante l’eseguita notificazione a mezzo di servizio postale, risulta che la notificazione si era perfezionata il 28 febbraio 2011, presso la “ CAMERA AVV.TI PALAZZO DEL TAR ” (v. così, testualmente, la dizione apposta sull’avviso di ricevimento, in aggiunta all’indicazione dell’indirizzo del T.a.r. per il Veneto, Castello Campo della Fava, 5527 - 30122 Venezia), mediante consegna a mani dell’addetto al servizio “ Centralino ”), con conseguente rituale esecuzione della notificazione presso il domicilio eletto dal ricorrente in primo grado (v. procura a margine del ricorso introduttivo di primo grado, che in parte qua testualmente recita: “ Eleggo domicilio presso la Camera Avvocati c/o Palazzo del TAR-Veneto in Venezia, Campo della Fava ”).

Di fronte alla ritualità della notificazione del ricorso in appello proposto dall’università, perfezionatasi nei confronti dell’originario ricorrente il 28 febbraio 2011, l’appello incidentale avrebbe dovuto essere proposto entro i sessanta giorni successivi, mentre nella specie risulta essere stato proposto – nell’ambito del secondo giudizio d’appello, proposto dall’azienda ospedaliera – solo con atto notificato il 22 luglio 2011 (data di spedizione) alle controparti (Università degli studi di Padova, Azienda ospedaliera di Padova, Regione Veneto).

Destituita di fondamento è, altresì, l’eccezione d’inammissibilità del ricorso in appello n. 1559/2011, sollevata dall’appellato prof. M sotto il profilo della mancata notificazione nei confronti dell’Azienda ospedaliera di Padova, in quanto:

- l’art. 95, comma 2, cod. proc. amm., richiede, a pena d’inammissibilità, che l’impugnazione sia notificata ad almeno una delle parti interessate a contraddire (e non a tutte);

- in caso di mancata notificazione dell’appello a tutti i litisconsorti necessari, in causa inscindibile, lo strumento processuale per ovviare a tale mancanza è costituito dall’ordine giudiziale d’integrazione del contraddittorio nei confronti dei litisconsorti pretermessi, ai sensi del comma 3 del citato art. 95;

- nel caso di specie, ogni correlativa questione deve, comunque, ritenersi superata in esito alla riunione dei due ricorsi in appello, comportante la ricostituzione del contraddittorio tra tutti i litisconsorti.

Da quanto sopra conseguono, per un verso, l’ammissibilità e la ritualità della notificazione del ricorso in appello n. 1559/2011, proposto dall’Università degli studi di Padova, e, per altro verso, l’inammissibilità dell’appello incidentale proposto dall’originario ricorrente.

L’inammissibilità dell’impugnazione incidentale determina, poi, la formazione del giudicato endoprocessuale sulla statuizione sub 1.2.(ii), affermante la legittimità del collocamento fuori ruolo per raggiungimento del 67° anno di età.

Resta, altresì, esclusa la pretesa dell’appellante incidentale dell’estensione del risarcimento dei danni agli anni accademici 2003/2004 e 2004/2005.

6.2. Giova, inoltre, rimarcare che avverso la qualificazione della domanda proposta dall’originario ricorrente, “ (…) quale pretesa di accertamento del suo diritto allo svolgimento di funzioni assistenziali, negato appunto dall’Università di Padova e dall’Azienda ospedaliera di Padova (….) ”, anziché quale mera azione di natura impugnatoria, cui è pervenuto il T.a.r. (v. p. 6 dell’appellata sentenza), non risulta interposto uno specifico motivo d’appello, sicché anche tale capo della sentenza deve ritenersi coperto dal giudicato endoprocessuale ed ogni correlativa questione esula dai limiti oggettivi del devolutum .

6.3. Scendendo all’esame degli appelli principali, si osserva che inammissibile è il primo motivo dell’appello proposto dall’Università degli studi di Padova, con cui vengono riproposte le eccezioni d’irricevibilità/inammissibilità dell’avversario ricorso di primo grado, in quanto l’appellante si limita a riproporre le eccezioni, senza investire di censure specifiche le argomentazioni addotte dal T.a.r. a suffragio della statuizione di reiezione delle eccezioni medesime, in tal modo contravvenendo al requisito della specificità dei motivi d’appello, prescritto dall’art. 101, comma 1, cod. proc. amm..

Né tale mancanza di specificità dei motivi nell’atto d’impugnazione può essere supplita dalle argomentazioni difensive e dalle deduzioni contenute nelle successive memorie, segnando il contenuto del ricorso in appello, quale delineato dalla citata disposizione processuale, i limiti oggettivi del giudizio d’impugnazione e del materiale devoluto al giudice di secondo grado, insuscettibili di essere modificati nel corso del giudizio.

Gli altri motivi d’impugnazione proposti dalle appellanti principali, tra di loro connessi e da esaminare congiuntamente, sono infondati.

6.3.1. Va così disatteso il motivo d’impugnazione con cui entrambi gli appellanti principali censurano la statuizione sub 1.2.(iii), per l’erronea ricostruzione ed interpretazione della disciplina normativa, quale risultante dall’intervento della Corte costituzionale (di cui alla sentenza 16 marzo 2001 n. 71).

Secondo l’orientamento consolidato di questo Consiglio di Stato (v., per tutte, sez. VI, sent. 17 maggio 2004 n. 3183;
sent. 10 marzo 2004 n. 1214;
sent. 8 gennaio 2003 n. 26), da cui non v’è ragione di discostarsi, il collocamento fuori ruolo del personale medico universitario non interferisce sulle connesse attività assistenziali, nel senso che al docente universitario, collocato in posizione di fuori ruolo per raggiunti limiti di età, è consentito di continuare a svolgere, nell’ambito dell’attività accademica consentitagli, anche una qualche attività assistenziale.

Infatti, il quadro normativo di riferimento di cui agli artt. 13, 19, 24 e 102, d.P.R. 11 luglio 1980 n. 382, ed all’art. 15- nonies , d.lgs. 30 dicembre 1992 n. 502 - con particolare riguardo al contenuto della sentenza della Corte costituzionale 16 marzo 2001 n. 71, la quale aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 15- nonies , comma 2, d.lgs. 30 dicembre 1992 n. 502, aggiunto dall’art. 13, d.lgs. 19 giugno 1999 n. 229, nella parte in cui disponeva la cessazione del personale medico universitario di cui all’art. 102, d.P.R. 11 luglio 1980 n. 382, dallo svolgimento delle ordinarie attività assistenziali e dalla direzione delle strutture assistenziali, al raggiungimento dei limiti massimi di età ivi indicati, in assenza della stipulazione dei protocolli d’intesa tra università e regioni previsti dalla stessa norma, ai fini della disciplina delle modalità e dei limiti per l’utilizzazione di suddetto personale universitario per specifiche attività assistenziali, strettamente connesse all’attività didattica e di ricerca - deve interpretarsi nel senso che l’intrinseca compenetrazione, sussistente nell’ambito delle discipline mediche tra attività didattico-accademica ed attività pratico-assistenziale, comporti che, nell’ambito dell’insegnamento svolto dai professori collocati fuori ruolo, ai quali sia consentito l’ulteriore insegnamento (pur se diverso dal corso ufficiale), sia necessariamente consentito anche l’esercizio della connessa attività assistenziale.

La citata sentenza della Corte costituzionale ha, al riguardo, testualmente precisato: “ La disposizione relativa alla cessazione dell’attività assistenziale ordinaria al raggiungimento del previsto limite di età e quella riguardante le modalità di individuazione delle specifiche attività assistenziali da ritenersi strettamente connesse all’attività didattica e di ricerca – e da lasciarsi perciò affidate al personale docente pur dopo il superamento di detto limite di età – sono tuttavia tra loro prive di consequenzialità cronologica, nel senso che l’operatività della prima delle due disposizioni non è subordinata alla previa stipula dei protocolli d’intesa tra università e regioni. Con la conseguenza che (…) il destinatario del provvedimento di cessazione dallo svolgimento delle ordinarie attività assistenziali viene ad essere irragionevolmente privato della possibilità di svolgimento di qualsiasi, pur minima, attività assistenziale, con evidente ed ingiustificato pregiudizio per l’efficacia delle funzioni didattiche e di ricerca che al medesimo docente restano affidate. È, dunque, necessario, onde evitare siffatte conseguenze, che si pervenga alla stipula dei protocolli d’intesa prima che possa essere disposta la cessazione dei docenti interessati dalle ordinarie attività assistenziali ”.

Orbene, nel caso di specie, come puntualmente rilevato dal T.a.r., al momento del collocamento dell’originario ricorrente in posizione fuori ruolo e della disposta cessazione dalle ordinarie attività assistenziali (con effetto dal 1° novembre 2002) non erano ancora stati stipulati i protocolli d’intesa tra università e regione, risultando gli stessi adottati solo successivamente, il 5 novembre 2011, e rinviando i medesimi comunque ad un futuro accordo tra il direttore generale dell’azienda ospedaliera ed il rettore dell’università il compito di definire modalità e criteri per disciplinare la cessazione dalle attività assistenziali ordinarie del docente universitario.

In assenza di detti protocolli ed accordi, necessari a garantire lo svolgimento di una, sia pur limitata, attività assistenziale correlata all’attività didattica e di ricerca che l’originario ricorrente aveva continuato a svolgere dopo il suo collocamento fuori ruolo (v., al riguardo, i documenti dallo stesso prodotti in primo grado con nota depositata il 19 novembre 2010, con la precisazione che le appellanti principali, nei rispettivi ricorsi in appello, non hanno sollevato questione alcuna quanto alla ritualità della relativa produzione), correttamente gli impugnati provvedimenti sono stati dichiarati illegittimi, nella parte in cui considerano la decadenza dell’originario ricorrente dalla qualifica assistenziale, rivestita nell’ambito dell’azienda ospedaliera, quale automatica conseguenza del suo collocamento fuori ruolo, con il conseguente ed altrettanto corretto riconoscimento del diritto dell’interessato a continuare a svolgere l’attività assistenziale, dalla data del suo collocamento fuori ruolo e fino a quella di effettiva cessazione del rapporto d’impiego con l’università.

6.3.2. Prive di pregio sono, altresì, le doglianze, con cui le amministrazioni appellate si dolgono dell’affermazione della responsabilità solidale nei propri confronti, in quanto:

- gli atti ed i comportamenti lesivi del diritto dell’originario ricorrente alla continuazione dell’attività assistenziale sono stati posti in essere da entrambe le amministrazioni resistenti (università ed azienda ospedaliera);

- si verte in fattispecie di responsabilità contrattuale (rapporto d’impiego, regime di convenzionamento), incombendo pertanto alle parti inadempienti l’onere della prova quanto alla non imputabilità dell’inadempimento alla propria sfera di responsabilità (v. art. 1218, cod. civ.), nel caso di specie neppure minimamente assolto.

6.3.3. Va, infine, disattesa la censura mossa dall’azienda ospedaliera avverso la liquidazione dei danni sotto il profilo dell’asserita mancata considerazione dell’ aliunde perceptum , incombendo la relativa prova alla parte che sollevi l’eccezione e non avendo quest’ultima ottemperato a tale onere probatorio.

6.4. Per le esposte ragioni, gli appelli principali devono essere respinti, mentre quello incidentale dev’essere dichiarato inammissibile, con salvezza dell’impugnata sentenza.

7. Considerata la soccombenza reciproca, si ravvisano i presupposti di legge per dichiarare le spese del presente grado dei due giudizi riuniti interamente compensate tra tutte le parti.

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