Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2024-03-19, n. 202402628

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2024-03-19, n. 202402628
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202402628
Data del deposito : 19 marzo 2024
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 19/03/2024

N. 02628/2024REG.PROV.COLL.

N. 02674/2023 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2674 del 2023, proposto da Intesa Sanpaolo s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli avvocati G G, A M, M M, V T, P P, con domicilio digitale come da PEC da registri di giustizia;

contro

Autorità garante della concorrenza e del mercato, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

nei confronti

Associazione movimento consumatori, Banca d’Italia, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore , non costituite in giudizio;

per la riforma

della sentenza del T.a.r. per il Lazio (sezione prima) n. 61 del 2023.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato;

Viste le memorie delle parti;

Visti gli atti tutti della causa;

Designato relatore il cons. G L G;

Uditi nell’udienza pubblica del 18 gennaio 2024, per le parti, l’avv. G G e l’avvocato dello Stato Gianna Galluzzo;

Rilevato in fatto e ritenuto in diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1.1.- Oggetto della domanda di annullamento veicolata con il ricorso di primo grado era la deliberazione dell’Autorità garante della concorrenza del mercato (di seguito « AGCM » o « Autorità ») datata 31 ottobre 2017 con la quale detta Autorità irrogava ad Intesa San Paolo s.p.a. (di seguito « ISP » o « Banca ») una sanzione pecuniaria di importo pari ad euro due milioni per asserita pratica commerciale scorretta discendente dalla pratica ivi indicata sub lett. « b ».

1.2.- Tale pratica sarebbe consistita nell’avere – successivamente alla modifica dell’art. 120, comma 2, del testo unico bancario (d. lgs. n. 385 del 1993) operata dall’art. 17- bis d.l. n.18 del 2016, convertito in l. n. 49 del 2016, disposizione, questa, che consente l’addebito in conto corrente degli interessi debitori solo previa autorizzazione – indotto la clientela a sottoscrivere l’autorizzazione preventiva attraverso l’invio ai consumatori, a partire da novembre 2016, di moduli « da rispedire sottoscritti per l’autorizzazione preventiva all’addebito in conto corrente degli interessi debitori a far data da quando essi sarebbero divenuti esigibili […] con conseguente conteggio di tali interessi come parte capitale ».

1.3.- Tutto ciò, in tesi di AGCM, « ricordando e sollecitando successivamente l’invio dell’autorizzazione, in particolare a coloro che avevano maturato interessi debitori e che non aveva ancora effettuato la scelta, i cc.dd. clienti prioritari, mediante DEM (direct e-mail marketing) […];
avvisi su ATM (sportelli Bancomat)
[…]» (cfr. pagg. 2, 3, del provvedimento impugnato).

2.- Il corredo motivazionale dell’impugnato provvedimento di AGCM era, in via di estrema sintesi, così articolato:

a) quanto alle ‘evidenze acquisite’ :

- diversi documenti interni alla Banca mostravano l’intendimento di mettere in atto « ogni possibile sforzo » (punto 47) per ottenere, « in ogni caso, il prima possibile » l’autorizzazione (cfr. pagg. 12 e 13 del provvedimento impugnato e documenti interni ivi menzionati), attraverso varie modalità (sistemi di alert diretti sui clienti su ATM, via e-mail) e, poi, anche con « ROL » e pop-up su internet banking ;

- allegati a diversi messaggi e-mail interni vi sarebbero stati documenti che indirizzavano le strutture verso una forte spinta alla acquisizione dell’autorizzazione dei correntisti all’addebito degli interessi in conto corrente;

- ad un tempo la Banca avrebbe formulato una proposta di modifica unilaterale ex articolo 118 del Testo unico bancario per rendere le clausole dei propri contratti conformi alla normativa sopravvenuta, come prescritto dall’articolo cinque comma due della delibera CICR;

- dalle comunicazioni sarebbe emersa la mancata chiara indicazione circa la determinazione del conteggio degli interessi sugli interessi debitori in caso di rilascio dell’autorizzazione all’addebito in conto corrente mentre sarebbe stato dato ampio risalto alle conseguenze negative derivanti dalla mancata autorizzazione in ipotesi di mancato pagamento degli interessi, ivi compresa la segnalazione alla centrale rischi di Banca d’Italia;

- il piano di comunicazione della banca avrebbe previsto l’invio di e-mail di marketing ai c.d. « clienti prioritari », categoria comprensiva di coloro i quali avessero maturato interessi debitori e non avessero ancora espresso la scelta circa l’autorizzazione all’addebito sul conto;

- sarebbero stati diramati, attraverso gli sportelli Bancomat, nuovi avvisi di richiamo delle comunicazioni cartacee e a mezzo « ROL »;
sarebbero stati diramati avvisi su internet banking ;

b) quanto alle valutazioni conclusive :

- la Banca avrebbe posto in essere una politica di forte spinta all’acquisizione dell’autorizzazione all’addebito in conto corrente nei confronti della clientela (pag. 35 del provvedimento impugnato);

- nelle comunicazioni trasmesse in forma cartacea ovvero tramite rendicontazione on-line non si evidenziava chiaramente l’effettuazione del conteggio degli interessi sugli interessi debitori in caso di rilascio dell’autorizzazione all’addebito in conto corrente e, al contrario, veniva dato ampio risalto alle conseguenze negative derivanti dal mancato consenso all’addebito in conto corrente qualora gli interessi non venissero pagati con modalità alternative e, in particolare, sarebbe stato richiamato il rischio di segnalazione alla centrale rischi della Banca d’Italia e nei sistemi di informazioni creditizie (pag. 35 del provvedimento impugnato);

- nelle comunicazioni sarebbe stata posta particolare attenzione nel non menzionare la parola anatocismo;

- le e-mail degli avvisi su ATM e internet banking attraverso pop-up avrebbero sollecitato la stampa, compilazione, firma e restituzione in filiale del modulo di acquisizione del consenso diniego all’addebito in conto corrente con « evidenze grafiche » e « toni assertivi » che non avrebbero reso edotto il consumatore delle conseguenze circa le possibili scelte consentita dalla nuova normativa, in particolare di quelle connesse all’applicazione di interessi anatocistici;

- tale strategia sarebbe stata sostenuta da azioni indirizzate alle strutture interne coinvolte finalizzate a condizionare la clientela nella scelta di fornire o meno il consenso, sfruttando la propria posizione di supremazia rispetto al consumatore dovuta alle asimmetrie informative a suo vantaggio facendo leva sulle possibili conseguenze negative.

1.4.- AGCM concludeva, quindi, nel senso che:

- se e vero che è legittima l’acquisizione dell’autorizzazione l’addebito in conto corrente da parte dei consumatori in quanto prevista nella nuova versione dell’articolo 120, comma 2, del Testo unico bancario, sarebbe altrettanto vero che ciò che rileverebbe ai fini della correttezza della pratica sarebbe la circostanza che, nell’acquisizione dei consensi, la Banca avrebbe adottato modalità volte ad esercitare una pressione nei confronti dei correntisti consumatori, rivelandosi, nel tempo, anche particolarmente insistente inducendo i consumatori medesimi ad assumere una scelta che altrimenti non avrebbero compiuto;

- la condotta posta in essere da ISP, nel caso di specie non avrebbe avuto, infatti, portata (solo) decisiva rispetto alla decisione commerciale dei correntisti sull’autorizzazione o meno all’addebito in conto corrente, ma avrebbe dato luogo ad una vera e propria coercizione idonea ad incutere timore negli stessi, ad esempio enfatizzando il rischio di segnalazioni nella centrale rischi di Banca d’Italia e nei sistemi di informazioni creditizie chiusa parentesi e a forzare la loro volontà (come evidenziato nelle pagg. 36 e 37 del provvedimento impugnato);

- la condotta della Banca avrebbe limitato la libertà di scelta del consumatore in quanto i moduli personalizzati inviati nelle varie sollecitazioni via e-mail , ATM e internet banking avrebbero indebitamente condizionato la scelta di rendere o meno l’autorizzazione all’addebito in conto corrente;

- la quantificazione della sanzione era stata determinata avuto riguardo alla gravità della condotta, legata al grado di diffusione della pratica, estesa alla clientela distribuita su tutto il territorio nazionale e alla specifica dimensione economica del professionista.

3.1.- Con il ricorso di primo grado, nel chiedere l’annullamento del provvedimento di AGCM, ISP deduceva i vizi così rubricati:

1) Eccesso di potere per travisamento dei fatti e per carenza di motivazione;
violazione dell'art. 20 del d.lgs. n. 206 del 2005, in combinato disposto con gli artt. 24 e 25 del medesimo d.lgs. Sosteneva ISP che:

- sarebbe stata erronea la qualificazione della propria condotta come pratica commerciale scorretta poiché la stessa sarebbe risultata conforme al parere della Banca d’Italia, in termini di « coerenza » con la nuova disciplina in tema di capitalizzazione;

- non potrebbe essere considerato – quello di ISP – comportamento contrario alla diligenza professionale poiché in linea con le indicazioni dell’Autorità di settore (e, in tal senso, il provvedimento di AGCM sarebbe sorretto da una motivazione difettosa allorché non spiegherebbe perché la condotta di ISP non sarebbe allineata a tali elementi di coerenza);

- nel caso di specie non ci si troverebbe al cospetto di una delle pratiche « in ogni caso » aggressive indicate nelle c.d. liste nere, con la conseguenza la sussistenza del requisito della « contrarietà alla diligenza professionale » avrebbe dovuto essere necessariamente accertato e provato;

- pur a fronte della disciplina sopravvenuta nel 2016 e « nonostante l’autorizzazione preventiva concessa dal cliente », ISP avrebbe omesso di esercitare la predetta autorizzazione (ciò che confermerebbe la massima diligenza e cautela apprestata, peraltro in data anteriore al procedimento sanzionatorio);

2) Violazione di legge (artt. 24, 25, e 26 d.lgs. n. 206 del 2005;
art. 3 l. n. 241 del 1990;
art. 97 Cost.);
eccesso di potere per travisamento dei fatti, difetto di istruttoria, illogicità e contraddittorietà. Evidenziava ISP che:

- l’addebito secondo cui la Banca avrebbe sollecitato « i consumatori alla autorizzazione preventiva all’addebito in conto », attraverso « moduli personalizzati e precompilati, da restituire sottoscritti » risulterebbe smentito per tabulas dal modello allegato a detta comunicazione, il quale, lungi dall’essere precompilato, avrebbe richiesto espressamente ai clienti di effettuare una scelta tra le due opzioni in gioco, contrassegnando il quadratino all’inizio della frase contente la scelta effettuata tra « autorizzare la Banca ad addebitare...» o « non autorizzare la Banca ad addebitare... », soluzioni che avrebbero avuto pari dignità, inidonee ad indurre il consumatore medio a ritenere a ritenere che « l’addebito in conto corrente degli interessi debitori fosse il modus operandi (…) ordinario »;

- gli ulteriori avvisi alla clientela, lungi dal fornire alcuna ulteriore informativa in merito alla disciplina sopravvenuta, avrebbero dato luogo ad un semplice e generale rinvio a quanto illustrato nella comunicazione (originaria) del novembre 2016 (detti avvisi avrebbero avuto, in tesi, finalità informative circa la possibilità di scelta tra due opzioni) e non sarebbero stati finalizzati ad indurre i clienti a rendere l’autorizzazione di cui trattasi;

- l’accertata erroneità dell’affermazione circa la somministrazione ai clienti di moduli precompilati senza possibilità di scelta tra due ipotesi alternative e la circostanza secondo cui i successivi avvisi avrebbero contenuto un mero rinvio alla comunicazione originaria, avrebbero eliso ogni presupposto per la contestazione con conseguente – obbligata – archiviazione del procedimento (la ricorrente censurava l’operato di AGCM anche perché frutto di una asserita commistione tra la situazione di ISP con quella di altri istituti di credito parimenti sanzionati ma, in presenza, in quei casi, di moduli effettivamente precompilati);

3) Violazione di legge (art. 14 l. n. 689 del 1981;
artt. 24, 25, e 26 d.lgs. n. 206 del 2005;
considerando 18 dir. n. 2005/29/CE;
artt. 3 e 10 l. n. 241 del 1990;
art. 97 Cost.);
eccesso di potere sotto vari profili. Censurava la Banca ricorrente che:

- AGCM avrebbe irritualmente modificato gli addebiti in corso di procedimento: mentre con la comunicazione di avvio avrebbe contestato l’invito e le sollecitazioni a fornire l’autorizzazione, nella delibera impugnata (e a partire dalle conclusioni dell’istruttoria) avrebbe – diversamente – contestato il contenuto informativo della comunicazione originaria e degli inviti successivi, perché essi avrebbero omesso di indicare le conseguenze negative dell’addebito in conto (o comunque avrebbero fornito un’informazione sbilanciata a favore di detta soluzione);

- tale asserita modifica degli addebiti avrebbe reso il provvedimento impugnato illegittimo per violazione dell’art. 14 l. n. 689 del 1981 e, più precisamente, per violazione – secondo quanto esposto – del principio, ivi cristallizzato, di correlazione tra fatto contestato e fatto assunto a base della sanzione irrogata: la contestazione così come modificata avrebbe potuto dar luogo, in tesi di parte ricorrente, ad una pratica qualificabile al più come « ingannevole » e non come « aggressiva » (e sulla relativa differenza la Banca si soffermava a pag. 20 del ricorso di primo grado);

- in ogni caso i nuovi addebiti non sarebbero stati idonei a configurare una pratica commerciale aggressiva sul rilievo che:

a) difetterebbe, nel caso di specie, l’elemento strutturale (coercizione o indebito condizionamento) considerato che: i) le comunicazioni inviate da ISP ai propri clienti e i successivi avvisi che ad esse rinviavano non avrebbero potuto ritenersi idonee a condizionare le scelte dei clienti (in presenza della possibilità di esprimere una scelta tra due diverse opzioni);
ii) i successivi avvisi avrebbero avuto un contenuto di mero rinvio alla originaria comunicazione;
iii) nessun intendimento coercitivo sarebbe stato posto in essere (che, in tesi di AGCM, discenderebbe dall’omessa chiara indicazione che si trattasse di anatocismo e dall’ampio risalto alle conseguenze negative da mancato consenso all’addebito);
iv) AGCM non avrebbe ricondotto l’operato della banca in nessuna delle ipotesi contemplate dagli artt. 25 e 26 d.lgs. n. 206 del 2005;
v) il termine anatocismo non sarebbe stato presente neppure nell’art. 120 Testo unico bancario e sarebbe stata evidenziata la circostanza del ricalcolo degli interessi (su interessi) nella comunicazione del 2016: una mera ambiguità informativa non avrebbe potuto, in tesi, dar luogo ad un indebito condizionamento;
vi) non vi sarebbe stata nessuna enfatizzazione comunicativa delle conseguenze negative da ‘mancata autorizzazione’;

b) difetterebbe, nel caso di specie, l’elemento funzionale (conseguenze sulla libertà di scelta dei consumatori), considerato che: i) se è vero che solo lo 0,11 % dei correntisti/consumatori aveva negato tale autorizzazione, sarebbe altrettanto vero, come sarebbe stato riconosciuto dalla stessa AGCM, che il 66,62% dei clienti destinatari delle comunicazioni incriminate non avrebbe effettuato nessuna scelta in merito all'autorizzazione;
ii) sarebbe ingiustificata l’affermazione secondo cui l’opzione autorizzatoria sarebbe stata quella meno favorevole al cliente;

- AGCM non avrebbe preso in considerazione le argomentazioni svolte da ISP in sede procedimentale;

4) in subordine, violazione di legge (artt. 10 e 16 l. n. 241 del 1990;
art. 6 Cedu;
art. 97 Cost.);
eccesso di potere per travisamento dei fatti e difetto di istruttoria. La mancata – tempestiva – acquisizione del parere della Banca d’Italia e di quello dell’AGCOM in una fase precedente alla conclusione dell’istruttoria, avrebbe precluso a ISP di prendere posizione sulle risultanze di detti pareri, conosciuti dopo l’adozione del provvedimento impugnato. La carenza di una previsione regolamentare circa il termine di acquisizione dei pareri sarebbe illegittima (congiuntamente al protocollo d’intesa tra Banca d’Italia e AGCM) anche per violazione dell’art. 6 CEDU, sul rilievo che la tempestiva conoscenza di detti pareri, in tesi di ISP, consentirebbe di conoscere tempestivamente natura e motivi dell’accusa e, ad un tempo, agevolerebbe le difese degli incolpati: ciò si manifesterebbe, vieppiù, nel caso di specie, poiché sussistevano addotte ragioni di censurabilità del contenuto dei due pareri;

5) in subordine, incompetenza dell’AGCM;
violazione considerando 10, art. 3, par. 4 e art. 5, par. 3, della direttiva n. 2005/29/CE. AGCM sarebbe stata priva di competenza ad emanare il provvedimento impugnato rientrando – secondo la prospettazione di parte – la questione controversa nella disciplina della trasparenza, regolamentata dal titolo VI del Testo unico bancario;

6) in via di ulteriore subordine: violazione di legge (art. 27 d.lgs. n. 206 del 2005;
art. 11 l. n. 689 del 1981;
artt. 10 e 3 l. n. 241 del 1990;
art. 97 Cost.);
violazione del principio di proporzionalità;
eccesso di potere per travisamento dei fatti e per difetto di istruttoria. La quantificazione della sanzione sarebbe sproporzionata a fronte della condotta della Banca, asseritamente rilevante ai fini dell’art. 11 l. n. 689 del 1981, e, segnatamente: i) avuto riguardo alla circostanza secondo cui AGCM avrebbe preso in considerazione il solo parametro del fatturato di ISP;
ii) avuto riguardo alla circostanza, segnalata in sede endoprocedimentale, secondo cui pur a fronte della disciplina sopravvenuta nel 2016, prudenzialmente ISP avrebbe continuato a non utilizzare i consensi raccolti per capitalizzare gli interessi addebitati sul conto corrente, rendendoli di conseguenza posta infruttifera di ulteriori interessi (così, in tesi, eliminando il pericolo di impatti pregiudizievoli per i consumatori).

3.2.- Con memoria di replica depositata in prossimità dell’udienza, ISP manifestava – tra l’altro – di non aver più interesse alla coltivazione del quinto motivo di ricorso.

4.- Con sentenza n. 61 del 2023, il T.a.r. per il Lazio, sezione I, rigettava il ricorso così articolando – per quanto qui di interesse e in via di estrema sintesi – il proprio iter argomentativo:

- « la disciplina regolamentare delle procedure istruttorie relative alle pratiche commerciali scorrette non prevede alcun termine perentorio per l’acquisizione dei pareri delle Autorità di regolazione, con la conseguenza che gli stessi ben possono essere ottenuti dopo la chiusura dell’istruttoria, prima dell’adozione del provvedimento finale, anche tenuto conto del fatto che tali atti hanno natura consultiva e non hanno efficacia vincolante per l’Autorità procedente »;
aggiungeva che « il contradditorio tra le parti deve formarsi (esclusivamente) sui fatti in ordine ai quali il procedimento è stato avviato, come in sintesi indicati nella comunicazione di avvio dello stesso;
e non anche, ulteriormente, sul contenuto del parere dell’organo consultivo chiamato ad intervenire nel procedimento (e se) entrambe le parti hanno avuto modo, nel corso del procedimento istruttorio, di addurre all’attenzione dell’Autorità le proprie difese e di controdedurre rispetto agli addebiti mossi (essendo esse state, comunque, poste concretamente nelle condizioni di esporre documentalmente le proprie argomentazioni), deve conclusivamente escludersi la fondatezza” delle censure di natura procedimentale (Consiglio di Stato, 16 marzo 2018, n. 1670)
»;

- quanto alla condotta della Banca:

a) essa si sarebbe attivata, anche attraverso « numerosi scambi interni volti ad individuare la modalità per ottenere il consenso, una volta constatato che non era possibile ritenerlo implicitamente formato (parr. 46-50 del provvedimento) » (il riferimento è ai documenti titolati « Progetto anatocismo » del 31 agosto 2016 e « Anatocismo, news Intranet, 23 nov. 2016 »);

b) essa non avrebbe « mai rappresentato la possibilità del conteggio degli interessi sugli interessi debitori derivante dalla scelta di addebitare questi ultimi sul conto »;

c) in altro documento interno del 19 novembre 2016, dal titolo « Anatocismo Riforma dell'articolo 120 del TUB e delibera

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