Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2024-08-28, n. 202407285

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2024-08-28, n. 202407285
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202407285
Data del deposito : 28 agosto 2024
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 28/08/2024

N. 07285/2024REG.PROV.COLL.

N. 08149/2023 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8149 del 2023, proposto da
Comune di Forio, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dall'avvocato G D M, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia;

contro

G I, C I, D I, M I, rappresentati e difesi dall'avvocato B A, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania, Sez. II, n. 4754 del 2023, resa tra le parti;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di I G, C, D e M, contenente anche appello incidentale;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 26 marzo 2024 il Cons. Stefano Fantini e udito per gli appellati l’avvocato Aleni;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1.-Il Comune di Forio ha interposto appello nei confronti della sentenza 3 agosto 2023, n. 4754 del Tribunale amministrativo regionale della Campania, sez. II, che ha accolto il ricorso dei signori I G, C, D e M finalizzato all’ottemperanza del decreto ingiuntivo reso dal Tribunale di Napoli 4 gennaio 1993, n. 26 (per un importo corrispondente ad euro 206.987,05, oltre interessi dal 4 gennaio 1993) e della sentenza del Tribunale di Napoli 25 marzo 1995, n. 3088 (confermata dalla Corte d’Appello di Napoli con sentenza 13 giugno 1997, n. 1610), con condanna del Comune appellante al pagamento di un importo corrispondente ad euro 225.283, 17, oltre interessi.

I signori I G, C, D e M hanno proposto ricorso in qualità di eredi di I A, che aveva eseguito dei lavori per il Comune di Forio e si era trovato costretto ad agire in giudizio per ottenere il pagamento degli importi dovuti quali corrispettivi;
nelle more di tali procedimenti, è intervenuta la deliberazione n. 174 in data 28 novembre 1991 recante dichiarazione dello stato di dissesto finanziario dello stesso Comune.

Il decreto ingiuntivo non opposto riguardava un importo corrispondente ad euro 206.987,05, oltre interessi dal 4 gennaio 1993;
tale credito veniva ammesso allo stato passivo e sono stati pagati, in due tranche , complessivi euro 338.786,18.

La sentenza del Tribunale di Napoli recava una condanna del Comune al pagamento di complessive lire 2.977.554.860, oltre interessi dal 15 maggio 1981;
per tale titolo sono stati erogati euro 1.537.778 in due tranche .

Con delibera n. 278 del 9 agosto 2006 della Commissione straordinaria di liquidazione è stato approvato il rendiconto di gestione della liquidazione, chiudendo tutte le pretese creditorie maturate.

Con il ricorso in primo grado i signori I G, C, D e M, come esposto, hanno adito il Tribunale amministrativo regionale della Campania per chiedere l’ottemperanza dei titoli predetti, nell’assunto che non erano stati pagati gli inerenti interessi legali.

2. - La sentenza appellata, disattese le plurime eccezioni preliminari di inammissibilità, ha accolto il ricorso, nei limiti della prescrizione decennale, ordinando all’amministrazione il pagamento del complessivo importo di euro 225.283,17, risultante dalla sommatoria di euro 54.296,48 (interessi sulle somme liquidate nel decreto ingiuntivo e spese di lite), di euro 191.147,88 (interessi sulle somme liquidate nella sentenza), nonché di euro 4.935,67 (spese legali, maggiorate di interessi), accogliendo l’eccezione di parziale compensazione con riguardo al controcredito del Comune dell’importo di euro 25.096,86.

3.- Con il ricorso in appello il Comune di Forio ha dedotto l’erroneità della sentenza impugnata, proponendo undici motivi finalizzati a censurare vizi formali, la violazione del giudicato, a riproporre l’eccezione di prescrizione quinquennale ed a contestare il calcolo degli interessi contenuto nella sentenza.

4. - Si sono costituiti in resistenza i signori I G, C, D e M controdeducendo e chiedendo la reiezione del ricorso in appello ed esperendo al contempo appello incidentale con riguardo alla statuizione di accoglimento dell’eccezione di compensazione parziale del debito.

5. – Nella camera di consiglio del 26 marzo 2024 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1.-Il primo motivo deduce la violazione dell’art. 114, comma 2, cod. proc. amm., lamentando la mancata produzione, da parte degli appellati, della copia autentica dei titoli azionati in sede di ottemperanza e della certificazione della loro irrevocabilità per effetto del passaggio in giudicato;
in particolare, non sarebbero visionabili il decreto ingiuntivo, la sentenza del Tribunale di Napoli, come pure la lettera interruttiva della prescrizione;
conseguentemente, il ricorso avrebbe dovuto essere dichiarato improcedibile e/o inammissibile.

Il motivo è infondato.

Invero, gli atti contestati e rilevanti (dei quali è stata chiesta l’ottemperanza in primo grado) sono visibili tra la documentazione prodotta nel ricorso di primo grado. In particolare, aprendo con “ adobe acrobat ” il file denominato “Ricorso”, depositato in data 9 giugno 2021, risultano visibili, tra gli allegati, cliccando sul simbolo della graffetta, sia il decreto ingiuntivo, che la sentenza del Tribunale di Napoli. Seguendo questo percorso di apertura del documento non compare dal sistema la locuzione “nessun contenuto trovato” e non può pertanto postularsi un errore di sistema. In ogni caso, ferma la necessarietà della produzione in giudizio del provvedimento di cui si chiede l’ottemperanza, a mente dell’art. 114, comma 2, cod. proc. amm., non può ritenersi configurabile la violazione del diritto di difesa, trattandosi di atti conosciuti dall’amministrazione, e in relazione ai quali non è stata svolta alcuna eccezione di ordine sostanziale.

2. – Quanto ora esposto induce a disattendere anche il secondo motivo di gravame, con cui il Comune di Forio critica la sentenza per violazione dell’art. 73 cod. proc. amm., nell’assunto che il primo giudice avrebbe fondato la sua decisione su documenti depositati solamente in data 27 giugno 2023, a fronte dell’udienza camerale fissata per il 6 luglio 2023.

Si è infatti già chiarito che detti documenti sono stati depositati unitamente al ricorso, in data 9 giugno 2021 e poi ridepositati il 27 giugno 2023.

3. – Il terzo motivo deduce che erroneamente la sentenza ha considerato valida l’attestazione di conformità dei titoli effettuata dal difensore, in violazione di quanto prescritto dagli artt. 16, 16- bis e 16- undecies del d.l. n. 179 del 2012, nell’assunto che non poteva essere attestata la conformità e autenticità dei titoli, non essendo gli stessi contenuti in fascicoli informatici, sì da rendersi necessaria l’attestazione della cancelleria del giudice che li ha emessi.

Il motivo non sembra meritevole di positiva valutazione, in quanto, a norma dell’art. 196- nonies delle disp. att. cod. proc. civ., in caso di deposito telematico di copia nativa analogica del provvedimento impugnato è necessaria l’attestazione di conformità da parte dell’avvocato. La norma è in vigore dal 18 ottobre 2022, ma i titoli sono stati nuovamente depositati il 27 giugno 2023.

4. – Il quarto motivo deduce poi la violazione dell’art. 2909 cod. civ., eccependo l’inammissibilità del ricorso di primo grado in ragione del giudicato asseritamente formatosi sulla corresponsione degli interessi con la sentenza del Tribunale di Napoli, sezione di Ischia, n. 541 del 2011 (divenuta definitiva a seguito della reiezione dell’appello da parte della Corte di Appello di Napoli con sentenza n. 3439 del 2015), di rigetto della domanda a titolo di interessi per prescrizione rispetto a quelli liquidati dal Commissario del dissesto in data 21 giugno 2006, alla chiusura del procedimento di dissesto.

Il motivo è infondato.

Ed infatti nei confronti della sentenza n. 541 del 2011 (che, in accoglimento dell’opposizione proposta dal Comune, aveva revocato il decreto ingiuntivo n. 90 del 2007 ritenendo sussistente la prescrizione del credito), è stato proposto appello;
la Corte, con la sentenza n. 3439 del 2015, ha rigettato l’appello, confermando dunque il dispositivo, ma con diversa motivazione, e cioè per violazione del principio del ne bis in idem , in quanto la domanda di condanna del Comune di Forio per il pagamento degli interessi avanzata con il ricorso per decreto ingiuntivo revocato era già coperta da altri titoli passati in giudicato;
deve dunque ritenersi che non si sia formato un giudicato sulla prescrizione del credito.

Né appare fondato l’assunto secondo cui avrebbe dovuto essere impugnata la deliberazione della Commissione liquidatoria n. 278 del 9 agosto 2006, di approvazione del rendiconto di liquidazione, la quale non ha riconosciuto gli interessi, in coerenza con la disciplina sul dissesto dell’ente locale, di cui all’art. 21 del d.l. n. 8 del 1993, secondo cui i debiti insoluti alla data della dichiarazione di dissesto non producono interessi o rivalutazione. Resta inteso che si tratta di una disciplina dal carattere meramente sospensivo, che non preclude all’interessato, una volta esaurita la gestione straordinaria con la cessazione della fase di dissesto, di riattivare la procedura per la corresponsione delle poste stesse nei confronti dell’ente risanato (Cons. Stato, V, 28 maggio 2009, n. 3261).

5. – Il quinto motivo eccepisce poi la violazione del giudicato formatosi sulla sentenza del Tribunale amministrativo regionale della Campania, sez. VIII, 1 aprile 2021, n. 2221 che ha dichiarato inammissibile il ricorso per l’ottemperanza degli odierni appellati per carenza di legittimazione ad agire, non avendo provato la loro qualità di eredi di I A. Il Comune appellante critica la statuizione di primo grado che ha qualificato la sentenza n. 2221 del 2021 come sentenza di rito, inidonea a costituire un giudicato sostanziale, assumendo che la stessa contiene in realtà una valutazione di merito circa la titolarità del diritto azionato (non avendo i ricorrenti dimostrato di avere accettato l’eredità del de cuius ;
tale dimostrazione è stata invece data nel presente giudizio mediante produzione dell’atto notarile).

Il motivo, seppure problematico, è infondato.

Occorre muovere dal presupposto che, di regola, le sentenze di mero rito non sono suscettibili di dare vita al giudicato sostanziale;
la forza del giudicato assiste infatti solamente le pronunce a contenuto decisorio di merito, vale a dire quelle che statuiscono in ordine all’esistenza delle posizioni soggettive tutelate e dedotte in giudizio, e non anche le statuizioni di carattere processuale, che producono effetti limitati al rapporto processuale (in termini Cons. Stato, III, 11 dicembre 2023, n. 10676;
IV, 16 giugno 2015, n. 2978;
III, 1 agosto 2014, n. 4067).

Peraltro, le sentenze che contengono un accertamento negativo sui presupposti processuali ovvero sulle condizioni dell’azione possono comportare la formazione del giudicato ai sensi dell’art. 2909 cod. civ., e dunque effetti eteroprocessuali sulle situazioni sostanziali delle parti (Cons. Stato, III, 2 febbraio 2012, n. 602).

Astrattamente, dunque, una sentenza di rito che accerta l’assenza delle condizioni dell’azione (nel caso di specie, per carenza di legittimazione al ricorso, non avendo i ricorrenti provato la loro qualità di eredi di I A), potrebbe anche assumere l’attitudine di proiettare i propri effetti al di fuori del processo.

Occorre però tenere conto che nel caso di specie la sentenza di inammissibilità ha riguardato l’azione di ottemperanza, e non già un’azione di annullamento;
è noto che l’azione di ottemperanza al giudicato si prescrive in dieci anni, con la conseguenza che un’eventuale pronuncia di inammissibilità della stessa consente comunque la sua riproposizione entro detto termine (Cons. Stato, III, 28 ottobre 2013, n. 5162).

Non si potrebbe invece ritenere ammissibile, ostandovi in questo caso il generale principio del ne bis in idem , la riproposizione di un ricorso per l’ottemperanza conclusosi con una sentenza “di merito” con cui si stabilisca che l’operato dell’amministrazione successivo al passaggio in giudicato non ha concretato profili di inottemperanza nei confronti del decisum di cui alla sentenza stessa.

6. - Il sesto mezzo deduce che l’azione di ottemperanza avrebbe dovuto essere dichiarata inammissibile in quanto esperita nei confronti di un provvedimento non costituente titolo esecutivo;
il riferimento è alla sentenza del Tribunale di Napoli n. 3088 del 1995, che è stata sostituita dalla sentenza della Corte di Appello di Napoli n. 1610 del 1997 (in virtù del c.d. effetto sostitutivo della sentenza d’appello), ragione per cui la sentenza appellata si sarebbe pronunciata oltre la domanda proposta, in violazione dell’art. 112 cod. proc. civ.

Il motivo è infondato.

Occorre in effetti considerare che la sentenza di appello ha l’efficacia di sostituire quella di primo grado, tanto nel caso di riforma che in quello di conferma della stessa (come nel caso di specie, per l’effetto della reiezione dell’appello del Comune di Forio e dell’appello del sig. I A). L’effetto sostitutivo della sentenza di appello comporta che, ove l’esecuzione non sia iniziata, essa dovrà intraprendersi sulla base della sentenza di secondo grado (Cass., III, 13 gennaio 2018, n. 29021).

Ciò premesso, deve considerarsi però che il ricorso di primo grado è stato proposto, oltre che per l’esecuzione del decreto ingiuntivo n. 26 del 4 gennaio 1993, anche per l’esecuzione “ della sentenza del Tribunale civile di Napoli n. 3088 del 08.02/25.03.1995, rinotificata in data 7.4.2016, munita di formula esecutiva in data 23.3.2016, passata in giudicato essendo stata definita con sentenza della Corte di appello di Napoli n. 1610 del 4.6/13.6.1997, giusta certificazione dell’Ufficio cronologico del Tribunale di Napoli del 28.11.2016 ”.

Tale locuzione sembra in qualche misura coerente con il raggiungimento dello scopo, e tale da escludere la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ.

7. – Con il settimo motivo si lamenta poi la mancata notificazione all’amministrazione dei titoli in forma esecutiva ai sensi dell’art. 471 cod. proc. civ.

Il motivo è infondato.

Secondo la giurisprudenza prevalente, la procedibilità del giudizio di ottemperanza è condizionata a tre requisiti : a) che il titolo esecutivo esista e sia perfetto;
b) che vi sia prova che questo titolo sia stato portato a conoscenza dell’amministrazione e da esso acquisito in forma autentica;
c) che sia provato che l’amministrazione ha ricevuto la domanda volta ad ottenere l’esecuzione del provvedimento giudiziale ed è rimasta inerte. Ove sussistano detti requisiti, il giudizio di ottemperanza può essere promosso decorso il termine dilatorio di 120 giorni dalla conoscenza del titolo previsto dall’art. 14 del d.l. n. 669 del 1996 (Cons. Stato, IV, 21 febbraio 2024, n. 1742;
IV, 28 luglio 2023, n. 7401;
CGA Sicilia, 18 febbraio 2022, n. 219), senza che occorra la formale notifica del titolo in forma esecutiva.

Nel caso di specie, comunque, il decreto ingiuntivo n. 26 del 1993 è stato rinotificato munito di formula esecutiva il 25 marzo 2016;
la sentenza del Tribunale di Napoli n. 3088 del 1995 è stata rinotificata munita di formula esecutiva il 7 aprile 2016;
la sentenza della Corte di Appello di Napoli n. 1610 del 1997 è stata notificata il 23 dicembre 2020 munita dell’attestazione del passaggio in giudicato.

8. - Con l’ottavo motivo si critica poi la statuizione di primo grado che ha ritenuto applicabile la prescrizione decennale, nell’assunto che ogni rata annuale degli interessi sia soggetta alla prescrizione quinquennale ai sensi dell’art. 2948 n. 4 cod. civ.;
inoltre deduce che non vi sia agli atti, quale atto interruttivo della prescrizione, la intimazione di pagamento in data 19 settembre 2016, peraltro tardiva rispetto alla chiusura del dissesto, avvenuta con deliberazione del 19 agosto 2006 (con conseguente prescrizione degli interessi maturati sino al 19 settembre);
ove poi l’atto interruttivo risalga al 19 settembre 2006, non vi sarebbe prova della sua esistenza e del suo deposito.

Anche il nono motivo, che, per connessione tematica, può essere esaminato congiuntamente all’ottavo, critica l’applicazione del regime della prescrizione decennale, ritenendo che per il pagamento dei soli interessi debba farsi riferimento all’art. 2948 n. 4 cod. civ.

I motivi sono infondati.

La prescrizione degli interessi derivanti da sentenza passata in giudicato deve ritenersi decennale, in applicazione dell’ actio iudicati di cui all’art. 2953 cod. civ. (in termini Cass., III, 3 dicembre 1996, n. 10805;
Cass., VI, 1 ottobre 2020, n. 20955).

Quanto all’interruzione della prescrizione, gli atti che sono stati considerati rilevanti dalla sentenza appellata sono, essenzialmente, la raccomandata a mani del 19 settembre 2006, protocollata in pari data, e la notifica dell’atto di precetto in data 15 settembre 2016.

Risulta conseguentemente condivisibile la enucleazione degli importi dovuti contenuta nel paragrafo 8 della sentenza di primo grado.

9. – Tale conclusione resiste anche alla contestazione degli importi, come calcolata nella sentenza, sviluppata con il decimo motivo di appello;
con detta censura si deduce che la determinazione degli importi è stata effettuata dal primo giudice senza avvalersi di un consulente contabile;
risulterebbe dunque erroneo il computo degli interessi relativi al decreto ingiuntivo n. 26 del 4 gennaio 1993 (con una eccedenza di euro 8.749).

Occorre infatti considerare che una contestazione del dato contabile così specifica avrebbe dovuto essere accompagnata da un approfondimento, magari sostenuto da una relazione tecnica di parte, in modo tale da dimostrare con evidenza l’erroneità della decisione di primo grado ed indurre il Collegio a disporre un incombente istruttorio.

Anche tale motivo va dunque disatteso.

10. – L’undicesimo motivo contesta poi che la sentenza impugnata abbia riconosciuto l’importo di euro 4.935,67 comprensivo di interessi sulle spese legali relative alla sentenza n. 3088 del 1995 del Tribunale di Napoli;
ciò nell’assunto che con la delibera n. 2016 del 2005 siano state interamente pagate le spese legali di cui alla predetta sentenza con gli interessi.

Il motivo non sembra dotato di evidenza probatoria e va dunque respinto.

Ed invero il mandato di pagamento n. 2016 del 22 agosto 2005 liquida all’avvocato Giancarlo Violante euro 18.549,71 con riferimento alla sentenza del Tribunale amministrativo regionale della Campania n. 9146 del 2005. Non può dunque ritenersi erronea la statuizione di primo grado che ha rilevato come le « somme liquidate con il mandato di pagamento del 2016 si riferiscano ad altra pronuncia e la Corte d’appello, nel confermare la sentenza, non ha inciso sul regolamento delle spese di lite del primo grado ».

11. – Procedendo infine alla disamina dell’appello incidentale proposto dai signori I, va detto anzitutto che si tratta di un appello incidentale improprio od autonomo, avendo ad oggetto un capo della sentenza sul quale erano rimasti soccombenti, diverso da quello censurato con l’appello principale (è stata gravata infatti la statuizione che ha accolto l’eccezione di compensazione parziale), e dunque sorretto da un interesse che non dipende dall’impugnativa principale;
ne consegue che allo stesso si applica il regime dell’appello principale (Cons. Stato, V, 14 gennaio 2022, n. 258).

In tale prospettiva, l’appello incidentale risulta tardivo;
a fronte di una sentenza notificata in data 30 agosto 2023 (circostanza incontestata tra le parti), non è stato rispettato il termine dimidiato dei trenta giorni che si applica, a mente dell’art. 87, comma 3, cod. proc. amm., ai procedimenti da trattare in camera di consiglio (tra cui rientra anche il giudizio di ottemperanza ex art. 87, comma 2, lett. d, dello stesso testo normativo).

12. – In conclusione, alla stregua di quanto esposto, l’appello principale va respinto, mentre va dichiarato irricevibile quello incidentale.

La soccombenza reciproca e la particolare complessità della controversia integrano le ragioni che per legge consentono la compensazione tra le parti delle spese di giudizio.

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