Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2019-07-19, n. 201905089

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2019-07-19, n. 201905089
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201905089
Data del deposito : 19 luglio 2019
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 19/07/2019

N. 05089/2019REG.PROV.COLL.

N. 02759/2017 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2759 del 2017, proposto dai signori:
B C e M C, rappresentati e difesi dall'avvocato R V, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato A A in Roma, via degli Avignonesi, 5;

contro

i signori D C e L F, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'avvocato Luigi Maria D'Angiolella, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato S C in Roma, via Giovanni Antonelli, 49;
il Comune di Montella, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dall'avvocato A S, con domicilio eletto presso lo Studio Placidi S.r.l. in Roma, via Cosseria, 2;

per la riforma,

previa adozione di misure cautelari

della sentenza del TAR Campania, sezione staccata di Salerno, sezione II, 22 febbraio 2017 n.289 che ha pronunciato sul ricorso n.318/2014, proposto per l’annullamento del provvedimento 6 dicembre 2013 prot. n. 18102 e pratica n. 24/2013, conosciuto in data imprecisata, con il quale il Responsabile del Settore edilizia privata del Comune di Montella, sulla domanda presentata da Bruno, Marco e Francesco Cianciulli quali comproprietari del fabbricato situato a Montella, via dei Caduti, sul terreno distinto al catasto al foglio 30 particella 293, ha rilasciato permesso di costruire a sanatoria ai sensi dell’art. 38 del T.U. 6 giugno 2001 n.380 per le opere eseguite in eccedenza rispetto a quelle realizzabili;
ha applicato ai sensi dello stesso art. 38 la sanzione pecuniaria pari al valore delle opere stesse ed ha rilasciato permesso di costruire per il completamento del fabbricato;

e di ogni atto presupposto, connesso o consequenziale;

In particolare, la sentenza ha accolto il ricorso ai sensi di cui in motivazione ed ha condannato i controinteressati Bruno, Marco e Francesco Cianciulli alla demolizione del primo piano dell’edificio predetto secondo le indicazioni del consulente tecnico dell’ufficio;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di D C e L F e del Comune di Montella;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 4 luglio 2019 il Cons. F G S e uditi per le parti gli avvocati R V, Luigi Maria D'Angiolella e A S;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

I controinteressati appellanti -assieme ad un terzo soggetto, verosimilmente un congiunto, rimasto però estraneo a questo grado del processo- sono comproprietari di un terreno che si trova a Montella, in via dei Caduti, ed è distinto al catasto al foglio 30 particella 293, e su questo terreno hanno incominciato a costruire un fabbricato a due piani, con struttura in cemento armato, assentito con i permessi di costruire 18 febbraio 2010 p.e. 140/2009 e 16 maggio 2012 p.e. 3/2012, quest’ultimo di variante in corso d’opera (i permessi sono citati con i loro esatti estremi nel provvedimento impugnato, doc. 23 in I grado ricorrenti appellati;
per le caratteristiche tecniche della costruzione, si veda poi per tutte la relazione istruttoria del Comune depositata il giorno 22 ottobre 2018).

Sollecitato da due vicini, ovvero dai ricorrenti appellati, che sono a loro volta comproprietari di un immobile confinante con il terreno predetto (ricorso di I grado p. 2;
il punto è pacifico in causa), il Comune ha compiuto una serie di verifiche sui titoli edilizi citati, e all’esito di una complessa istruttoria, i cui dettagli in questa sede non rilevano, ha accertato che con essi erano state assentite una volumetria ed una superficie maggiori di quanto consentito dagli indici di fabbricabilità vigenti.

Per tale ragione, il Comune ha adottato il provvedimento 25 gennaio 2013 prot. n.1681, con il quale ha pronunciato la decadenza dei predetti permessi di costruire ai sensi dell’art. 14 del Regolamento edilizio comunale, ovvero per esser stati gli stessi ottenuti “sulla base di una rappresentazione, negli elaborati di presupposto… non rispondente alla realtà in quanto la situazione urbanistica ed edilizia della zona di intervento non corrispondeva a quanto rappresentato negli atti presentati dai richiedenti”, appunto perché, in sintesi, erano state autorizzate una volumetria ed una superficie superiori a quanto il lotto consentiva (doc. 11 in I grado ricorrenti appellati, provvedimento citato).

Contro il provvedimento 25 gennaio 2013 appena descritto, gli interessati, ovvero gli appellanti in questo giudizio, hanno a suo tempo proposto impugnazione davanti al TAR competente, instaurando il giudizio n.647/2013 R.G. TAR Campania Salerno;
parallelamente però si sono attivati presso il Comune per ottenere la sanatoria dell’abuso, e in particolare hanno presentato la domanda 15 aprile 2013, volta ad ottenere in sintesi la fiscalizzazione dell’abuso ai sensi dell’art. 38 del T.U. 6 giugno 2001 n.380, oltre che l’assenso a proseguire i lavori (doc. 13 in I grado ricorrenti appellati).

All’esito di quest’ultima istanza, hanno quindi ottenuto il provvedimento 6 dicembre 2013 di cui meglio in epigrafe, con il quale hanno ottenuto contestualmente il rilascio del permesso di costruire a sanatoria appunto ai sensi dell’art. 38 del T.U. 380/2001 per le opere eseguite in eccedenza., contro il pagamento di una sanzione pecuniaria pari al valore delle opere stesse, nonché il permesso di costruire per il completamento del fabbricato (doc. 23 in I grado ricorrenti appellati, provvedimento indicato).

Per completezza, si aggiunge che il procedimento di impugnazione del provvedimento 25 gennaio 2013, n.647/2013 TAR Campania Salerno, era di conseguenza abbandonato (nel registro elettronico, risulta pendente a sospensiva rinunciata e senza che alcuna udienza sia fissata).

I vicini che avevano, come si è detto, segnalato le irregolarità della pratica hanno quindi impugnato il predetto provvedimento di sanatoria 6 dicembre 2013 avanti il TAR territoriale, con ricorso fondato su tre motivi:

- con il primo di essi, hanno dedotto violazione, ovvero falsa applicazione dell’art. 38 del T.U. 380/2001, nel senso che a loro avviso l’unico provvedimento adottabile nel caso di specie sarebbe stato la rimessione in pristino. Hanno infatti contestato che sussistessero nel caso di specie i presupposti per accordare la sanatoria per fiscalizzazione dell’abuso, evidenziando che a loro parere il Comune non aveva motivato sul punto;

- con il secondo motivo, hanno dedotto la violazione degli artt. 33 e 9 delle Norme tecniche di attuazione – NTA del Piano regolatore generale – PRG comunale, nonché il travisamento del fatto e sostenuto che la costruzione dei controinteressati non si sarebbe potuta sanare né con riguardo alle NTA citate, relative in sintesi al calcolo delle volumetrie assentibili, né in base alle norme sulle distanze legali, dato che sarebbe stata realizzata a distanza non regolare dai confini della loro proprietà;

- con il terzo motivo, hanno poi dedotto eccesso di potere per asserita contraddittorietà dei contenuti del provvedimento 6 dicembre 2013 impugnato. Lo stesso, come risulta a semplice lettura, è stato emesso tenute presenti “le risultanze istruttorie dei responsabili dei servizi n.3 e n.5” dalle quali sarebbe risultata l’applicabilità dell’art. 33 NTA quanto al calcolo dei volumi e dell’art. 38 T.U. 380/2001 quanto alla sanatoria (doc. 23 in I grado ricorrenti appellanti, cit.). A dire dei ricorrenti appellati, però, le relazioni citate sarebbero state in senso contrario (doc. 16 in I grado ricorrenti appellati).

Con la sentenza meglio indicata in epigrafe, il TAR ha accolto il ricorso e condannato i controinteressati appellanti alla demolizione del primo piano dell’edificio per cui è causa secondo le indicazioni della consulenza tecnica d’ufficio disposta in corso di causa. In motivazione, ha respinto il primo motivo di ricorso, ritenendo applicabile al caso di specie la sanatoria di cui all’art. 38 T.U. 380/2001;
ha però recepito i risultati della citata consulenza tecnica d’ufficio, disposta in corso di causa, accolto il ricorso stesso nella parte in cui ha lamentato la violazione della normativa urbanistica e ordinato la demolizione parziale di cui si è detto, ritenuta dal consulente tecnicamente possibile senza pregiudicare il resto della costruzione.

Due dei controinteressati proprietari dell’immobile hanno proposto impugnazione contro questa sentenza, con appello che contiene i seguenti quattro motivi:

- con il primo di essi (pp. 11-14 dell’atto) sostengono, in sintesi, che la sentenza impugnata sarebbe contraddittoria. A loro dire, il giudice di primo grado avrebbe dapprima aderito all’interpretazione sostanzialista dell’art. 38 T.U. 380/2001 prevalente in giurisprudenza, che lo considera applicabile in ogni caso di impossibilità di procedere a rimessione in pristino, indipendentemente dal tipo di vizio, formale o sostanziale, che ha caratterizzato la procedura;
tuttavia nel prosieguo, anziché valutare se il Comune avesse motivato in maniera adeguata sulla impossibilità di demolizione, avrebbe, appunto in modo contraddittorio, aderito alle conclusioni del CTU, considerato l’opera parzialmente abusiva e ritenuto che essa potesse invece essere ricondotta alla legalità attraverso la demolizione del primo piano del fabbricato, senza particolare pregiudizio per la parte conforme. I controinteressati appellanti sostengono invece che la struttura del fabbricato, realizzata in cemento armato, non consentirebbe la demolizione della parte abusiva senza pregiudizio della parte regolare e che la scelta di disporre la fiscalizzazione dell’abuso sarebbe stata ampiamente motivata e supportata anche da una verifica tecnica;

- con il secondo motivo (pp. 14-20 dell’atto.) deducono che la sentenza sarebbe ulteriormente errata. Il Giudice di I grado avrebbe recepito le conclusioni del CTU senza motivare in alcun modo sulle argomentazioni contrarie da loro sollevate. Insistono quindi sul fatto che la demolizione di una parte della struttura pregiudicherebbe la staticità del fabbricato e la parte del manufatto eseguita in conformità;

- con il terzo motivo ( pp. 20-23 dell’atto) deducono che la sentenza sarebbe errata sotto un profilo ulteriore, sempre collegato alle condivise conclusioni del CTU il quale, nel ricalcolare l'area, non avrebbe preso in considerazione la planimetria allegata al permesso di costruire n. 24/2013 in sanatoria impugnato, ovvero al permesso 24/2013, ma avrebbe utilizzato una planimetria diversa, quella allegata al permesso di costruire n. 140/2009, annullato dal Comune con l’atto 25 gennaio 2013 di cui si è detto, con quello che a loro avviso è un errore di metodo;

- con il quarto motivo (pp. 23-24 dell’atto) deducono infine violazione dell'art. 196 c.p.c. perché il Giudice di primo grado avrebbe implicitamente respinto senza motivazione la loro richiesta di rinnovazione della CTU. Nell’ambito dello stesso motivo, ascrivendolo implicitamente alle asserite manchevolezze della CTU criticano inoltre la sentenza impugnata per avere determinato il volume realizzato in misura maggiore di quello assentibile in complessivi mc 145, mentre il dato reale sarebbe di soli mc 114,20, e per avere rinviato alle indicazioni del CTU, in realtà inesistenti, per le modalità di eseguire la demolizione del primo piano.

Si sono costituiti i ricorrenti appellati, con atto 18 aprile e memoria 15 maggio 2017, nonché il Comune, con atto 8 maggio 2017, ed hanno chiesto i primi che l’appello sia respinto ed il secondo che l’appello sia accolto;
i ricorrenti appellati, con atto depositato il giorno 16 maggio 2017 hanno inoltre proposto ricorso incidentale, sulla base di due motivi:

- con il primo di essi, criticano la sentenza impugnata per aver ritenuto, in base alla CTU, l’immobile abusivo soltanto in parte e non invece per intero. A loro dire, il permesso in sanatoria n. 24/2013 sarebbe stato assentito sulla base di calcoli errati: in sintesi, la particella 293 avrebbe già interamente utilizzato la sua potenzialità edificatoria in occasione del rilascio al dante causa degli appellanti principali della concessione edilizia n. 51/1976, la quale, pur riguardando la sola particella confinante, la 294, sarebbe stata ottenuta proprio grazie all’utilizzo anche del potenziale urbanistico anche della particella 293. I controinteressati appellanti avrebbero quindi realizzato una volumetria non consentita dai parametri dell’allora vigente PRG;

- con il secondo motivo, deducono il mancato rispetto delle distanze tra fabbricati relativamente all’immobile di loro proprietà, circostanza non considerata dal Giudice di I grado la quale renderebbe di per sé illegittimo l’atto impugnato, e comporterebbe la riforma della sentenza, che sul punto nulla dice.

Con ordinanza 19 maggio 2017 n.2171, la Sezione accoglieva la domanda cautelare ritenendo sussistere il periculum;
fissava poi la pubblica udienza del giorno 10 maggio 2018 per la decisione di merito.

In vista di tale udienza, i ricorrenti appellati, il Comune e i controinteressati appellanti depositavano rispettivamente le memorie 6 aprile 2018 per tutti e le repliche 17 aprile 2018 per i primi due e 18 aprile 2018 per gli ultimi, nelle quali ribadivano le rispettive posizioni.

All’esito, con l’ordinanza 6 agosto 2018 n.4823, la Sezione ha ritenuto la priorità logica della trattazione dell’appello incidentale, ed ha quindi disposto istruttoria richiedendo al Comune di depositare una relazione, nella quale chiarire in maniera sintetica e documentata il percorso attraverso il quale, a seguito del citato provvedimento di decadenza 25 gennaio 2013, esso è pervenuto a rilasciare il permesso di costruire in sanatoria poi impugnato, tenuto conto delle modalità di intervento previste per la zona BC di cui si tratta nell’art. 33 delle NTA del PRG.

Il Comune ha depositato la relazione richiesta il giorno 23 maggio 2019.

Con memorie 31 maggio 2019 per i ricorrenti appellati e il Comune e 3 giugno 2019 per i controinteressati appellanti, e con repliche 11 giugno, 12 giugno e 13 giugno 2019 nell’ordine, le parti hanno ancora ribadito le loro posizioni.

All’udienza del giorno 4 luglio 2019, la Sezione ha infine trattenuto il ricorso in decisione.

DIRITTO

1. L’appello principale è fondato per quanto di ragione, del pari l’appello incidentale, il tutto per le ragioni che seguono.

2. Assumono priorità logica e vanno quindi trattati per primi in modo congiunto il primo motivo dell’appello principale e il primo motivo dell’appello incidentale, i quali prospettano, sotto le diverse angolazioni derivanti dall’interesse contrapposto delle parti, la medesima questione, ovvero stabilire se nel caso di specie sussistano i presupposti per applicare l’art. 38 del T.U. 380/2001, e se il provvedimento ne dia adeguato conto. In tal senso, come si anticipa, è parzialmente fondato il primo motivo di appello principale, del pari è fondato per quanto di ragione il primo motivo di appello incidentale.

2.1 Come si ricorda per chiarezza, l’art. 38 comma 1 del T.U. 380/2001 dispone che “ In caso di annullamento del permesso, qualora non sia possibile, in base a motivata valutazione, la rimozione dei vizi delle procedure amministrative o la restituzione in pristino, il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale applica una sanzione pecuniaria pari al valore venale delle opere o loro parti abusivamente eseguite, valutato dall'agenzia del territorio, anche sulla base di accordi stipulati tra quest'ultima e l'amministrazione comunale. La valutazione dell'agenzia è notificata all’interessato dal dirigente o dal responsabile dell’ufficio e diviene definitiva decorsi i termini di impugnativa ”. La norma prevede la cd fiscalizzazione dell’abuso che, come correttamente ritenuto dal Giudice di I grado, si applica indipendentemente dal tipo di vizio che ha caratterizzato la procedura, ovvero nel caso di vizi sia formali che sostanziali: in tal senso l’indirizzo prevalente, espresso fra le altre da C.d.S. sez. VI 28 novembre 2018 n.6753, che dà l’affermazione per implicita, ed espressamente da C.d.S. sez. IV 17 settembre 2012 n.4923. E’ infatti vero che l’espressione “ vizi delle procedure amministrative ” contenuta nel comma sopra riportato allude a vizi di carattere formale;
si tratta però di una soltanto delle ipotesi in cui la sanatoria è ammessa. La norma infatti ne contiene un’altra, messa su un piano di parità, che è quella in cui non sia possibile la “rimessione in pristino ”, ipotesi che ha riguardo anzitutto ad una problematica tecnico ingegneristica, e quindi prescinde dal tipo di vizio cui si sia di fronte. In definitiva, l’autorità comunale è tenuta a rimuovere eventuali vizi di carattere formale, ma ove ciò non sia possibile, perché i vizi sono inemendabili o sono di altra natura, prima di ordinare la rimessione in pristino deve valutare se essa sia possibile o no. In tal senso, la citata C.d.S. 6753/2018, secondo la quale anzi in questo caso si è di fronte ad una norma di favore per il privato, che ha costruito in base ad un titolo che esisteva, e quindi nel valutare l’impossibilità va considerato rilevante non solo il caso di mera impossibilità o grave difficoltà tecnica, ma anche quello ove si riconoscano ragioni di equità o al limite anche di opportunità.

2.2 Il Collegio non ignora l’esistenza di un orientamento di segno contrario, secondo il quale l’art. 38 T.U. 380/2001 si applicherebbe esclusivamente ai vizi formali. In tal senso è ad esempio la sentenza della Sezione 9 maggio 2016 n.1861, la quale richiama un orientamento conforme della Corte costituzionale, contenuto nella sentenza 7 giugno 2010 n.209, che dichiarò l’incostituzionalità di talune norme di legge della provincia autonoma di Bolzano, dichiaratamente interpretative, le quali avevano inteso stabilire in modo espresso l’applicabilità della sanatoria in esame anche al caso di vizi sostanziali. Nella sentenza 209/2010, effettivamente la Corte motiva la propria decisione sul presupposto che non si tratti di norma interpretativa, perché l’art. 38 alluderebbe appunto ai soli vizi formali;
peraltro essa arriva a tale conclusione non attraverso un percorso argomentativo proprio, ma accettando come diritto vivente l’interpretazione in tal senso all’epoca scelta da questo Giudice, interpretazione che in seguito si è ritenuto di superare con le sentenze citate.

2.3 Ciò posto, il primo motivo di appello principale è da accogliere limitatamente alla parte in cui osserva che il Giudice di I grado, arrivato alla conclusione di cui sopra, avrebbe dovuto coerentemente proseguire il proprio ragionamento chiedendosi se il provvedimento impugnato desse adeguato conto della sussistenza di tutti i presupposti per applicare la sanatoria richiesti dall’art. 38. Così nel caso di specie non è avvenuto, in primo luogo perché una motivazione su tali presupposti nel provvedimento non esiste. L’art. 38 citato richiede infatti in primo luogo una “ motivata valutazione ” sulla impossibilità di rimettere in pristino, che come si è visto può essere fondata su ragioni tecniche o anche di equità od opportunità;
richiede poi in aggiunta una motivazione ulteriore sul valore venale delle opere, motivazione che ovviamente non può ridursi alla semplice indicazione di un prezzo. Tutto ciò nel provvedimento impugnato manca completamente, come si rileva a contrario a semplice lettura della relazione 23 maggio 2019 del Comune di cui in narrativa, la quale dà conto di considerazioni asseritamente ampie ed approfondite svolte dall’ente prima di emanare il provvedimento. Si tratta però all’evidenza di una motivazione postuma, che non è in alcun modo valutabile nel merito in questa sede, al di là del rilievo formale per cui essa ha un estensione ben più ampia di quella del provvedimento impugnato, dai contenuti molto sintetici.

Va altresì accolto per quanto di ragione l’appello incidentale ove censura la sentenza per contraddittorietà, censura la CTU, la quale ha proposto conclusioni riservate nella sostanza all’amministrazione, ed evidenzia la necessità di valutare attentamente come il dato certo del superamento della potenzialità edificatoria del sito consenta di sanare l’abuso solo ove la demolizione risulti impossibile o sommamente difficoltosa per grave difficoltà tecnica, la quale andrebbe spiegata e motivata in modo analitico, e non può essere affermata apoditticamente.

Non discende tuttavia da ciò la necessità indefettibile della demolizione totale come si dirà di seguito, senza che l’amministrazione abbia rinnovato a fondo e motivatamente le sue valutazioni.

2.4 Non possono quindi essere accolti, per ragioni opposte, le residue parti del primo motivo di appello principale e del primo motivo di appello incidentale, i quali sostengono che il Giudice di I grado avrebbe errato nel disporre la demolizione parziale, secondo la parte appellante principale perché nessuna demolizione si sarebbe dovuta ordinare, e secondo la parte appellante incidentale, all’opposto, perché si sarebbe dovuto demolire tutto. Si tratta di valutazioni la cui congruità non può essere esaminata in questa sede, perché tale esame presupporrebbe qualcosa che manca, ovvero una motivazione esplicita e congrua sulla sanabilità o non sanabilità dell’abuso così come realizzato.

3. Per ragioni analoghe, vanno dichiarati assorbiti i residui motivi sia dell’appello principale, sia dell’appello incidentale, i quali scendono nel merito della fattispecie, ovvero affermano o contestano la sanabilità dell’abuso con riguardo ad aspetti particolari e concreti della costruzione. Si tratta di valutazioni che, anche in questo caso, presuppongono una motivazione espressa sulla possibilità o impossibilità di accordare la sanatoria, e se fossero sindacate in questa sede si tradurrebbero in una pronuncia su poteri amministrativi non ancora esercitati, che a questo Giudice non è consentita dall’art. 34 comma 2 prima parte c.p.a.

4. In conclusione, la sentenza di I grado va riformata nel senso di accogliere il ricorso con diversa motivazione: il provvedimento impugnato va annullato in sintesi perché non motivato quanto alla sussistenza in concreto dei presupposti dell’applicabilità dell’art.38 alla fattispecie considerata, fermo che in astratto l’applicabilità sussiste, perché non preclusa dal tipo di vizio riscontrato. Nel riesaminare l’affare, quindi, l’amministrazione dovrà esprimersi attraverso una corretta e completa istruttoria, di cui dovrà dar conto in motivazione, sulla sussistenza o insussistenza di tali presupposti di applicazione.

5. La particolare complessità della controversia è giusto motivo per compensare le spese.

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