Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2019-08-26, n. 201905884
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Pubblicato il 26/08/2019
N. 05884/2019REG.PROV.COLL.
N. 00297/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 297 del 2013, proposto da
D D N, rappresentata e difesa dagli avvocati C S, Emanuele D'Alterio, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. G T in Roma, piazza S. Bernardo 101;
contro
Ministero per i Beni e Le Attivita' Culturali, Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Napoli e Pompei, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
nei confronti
Comune di Giugliano in Campania, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Riccardo Marone, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per la riforma
della sentenza breve del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania (Sezione Settima) n. 03645/2012, resa tra le parti, concernente diniego nulla osta archeologico ai fini del rilascio di permesso di costruire in sanatoria.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero per i Beni e Le Attivita' Culturali e della Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Napoli e Pompei e del Comune di Giugliano in Campania;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 6 giugno 2019 il Cons. F M e uditi per le parti gli avvocati Emanuele D'Alterio, Tozzi in dichiarata sostituzione dell'avv. Riccardo Marone e l'avvocato dello Stato Paola de Nuntis;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, iscritto al n. 5989/2009 RG, la signora D N Dionisia impugnava il provvedimento di diniego di nulla osta archeologico prot. n. 32533 del 14-7-2009, adottato dalla Soprintendenza Archeologica di Napoli e Pompei.
La relativa istanza era stata avanzata ai fini della definizione del procedimento di condono edilizio, ex lege n. 47 del 1985, relativo a due unità abitative dalla stessa abusivamente realizzate nell’anno 1981 sul terreno di proprietà, sito alla via Circumvallazione Esterna n. 63 (in catasto al foglio 55/c, p.lla 1593).
La predetta lamentava: la violazione delle garanzie partecipative in quanto non le era stato inviato l’avviso di avvio del procedimento e non aveva mai ricevuto il preavviso di rigetto di cui alla nota prot. n. 3165 del 24-1-2009;la violazione dell’articolo 3 della legge n. 241 del 1990, in quanto la motivazione del diniego soprintendentizio era irragionevole e totalmente carente;la violazione e la falsa applicazione degli articoli 32 e 33 della legge n. 47/85, rilevando che sull’area di proprietà – “ dichiarata di interesse archeologico e sottoposta a vincolo di inedificazione ” con D.M. del 7-6-1995 - il vincolo di cui alla legge n. 1089 del 1939 era stato imposto successivamente alla realizzazione dei manufatti, onde lo stesso, ai sensi del citato articolo 33, non poteva avere rilievo preclusivo alla sanatoria, trattandosi di vincolo sopravvenuto.
Con sentenza n. 3645/12 del 30-7-2012, resa in forma semplificata ai sensi dell’articolo 60 del c.p.a., il Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania (Sezione Settima), respingeva il ricorso, ritenendo l’infondatezza delle censure proposte.
Nella premessa che trattavasi di sito sottoposto a vincolo archeologico, il giudice di primo grado evidenziava che il vincolo sopravvenuto, pur escludendo la valenza preclusiva assoluta di cui all’articolo 33 della legge n. 47/85, imponeva comunque una valutazione di compatibilità ai sensi dell’articolo 32 della menzionata legge.
Rilevava che, sotto tale profilo, la determinazione negativa della Soprintendenza era adeguatamente motivata, aggiungendo che, in relazione alla sostanziale inedificabilità dell’area, i dedotti vizi procedimentali – comunque in fatto non sussistenti – non potevano condurre all’auspicato annullamento, in relazione alla loro dequotazione.
Avverso la prefata sentenza di rigetto la signora D N ha proposto appello, deducendone l’erroneità e chiedendone l’integrale riforma, con il conseguente accoglimento del ricorso di primo grado.
Ha proposto i seguenti motivi di appello: 1) Error in iudicando – violazione e falsa applicazione degli artt. 32 e 33 della legge n. 47/1985 – eccesso di potere – difetto di motivazione;2) Error in iudicando- violazione dell’articolo 3 della legge n. 241/1990;3) Error in iudicando – violazione degli artt. 7, 8, 9 10 e 10 bis della legge n. 241 del 1990.
Si sono costituiti in giudizio il Ministero intimato ed il Comune di Giugliano in Campania, deducendo l’inammissibilità dell’appello e, nel merito, la sua infondatezza.
Parte appellante ha depositato relazione tecnica.
La causa è stata discussa e trattenuta per la decisione all’udienza del 6 giugno 2019.
DIRITTO
Con il primo articolato motivo di appello la signora D D N lamenta: Error in iudicando – violazione e falsa applicazione degli artt. 32 e 33 della legge n. 47/85 – eccesso di potere e difetto di motivazione.
Ella premette che l’abuso è stato realizzato nel 1981, mentre il vincolo richiamato dalla Soprintendenza – con il quale l’area di proprietà “ venne dichiarata di interesse archeologico e sottoposta a vincolo di inedificazione ” - è stato imposto, ai sensi della legge n. 1089 del 1939, successivamente alla realizzazione dello stesso, con d.m. 7-6-1995.
Sotto un primo profilo, evidenzia che la Soprintendenza individua solo nel richiamato vincolo di cui al d.m. del 7-6-1995 il motivo ostativo al rilascio del nulla-osta, senza alcun accenno al vincolo (H1- Zona Archeologica) impresso dal PRG del Comune di Giugliano.
Il Tribunale Amministrativo, invece, afferma che la sottoposizione al vincolo archeologico derivi proprio dalle richiamate previsioni dello strumento urbanistico generale, attuando in tal modo una inammissibile integrazione della motivazione del provvedimento impugnato, con conseguente erroneità della sentenza.
La doglianza non merita favorevole considerazione.
La gravata sentenza rileva che “ La ricorrente ha costruito due unità abitative distinte su di una parte del territorio del Comune di Giugliano ove, al momento della valutazione di compatibilità delle stesse in ordine alla eventuale sanatoria condonistica, emerge in tutta evidenza che trattasi di sito sottoposto a vincolo archeologico. Come è documentato in atti, in particolare, il terreno de quo ricade in zona H/1 “zona archeologica” del “vigente piano regolatore generale” adottato in data 29-10-1983 ”.
Osserva il Collegio che solo una lettura parziale della sentenza porta a ritenere che il giudice di primo grado abbia fondato la propria statuizione sul vincolo posto dal PRG e non anche su quello impresso dal d.m. del 7-6-1995.
Invero, l’inciso, di carattere generale, “ emerge in tutta evidenza che trattasi di sito sottoposto a vincolo archeologico ” ed il riferimento al vincolo dello strumento urbanistico “ in particolare ”, denotano che il Tribunale non ha rilevato la sola presenza del vincolo di derivazione comunale, ma anche e soprattutto di quello di origine ministeriale.
Tanto è dimostrato dal successivo costrutto motivazionale della pronuncia, laddove si evidenzia che “ Nella presente fattispecie, l’amministrazione ha diligentemente argomentato sul rilievo preclusivo del vincolo, affermando (testualmente) che “L’immobile ricade in una vasta area, di eccezionale interesse archeologico, sottoposta a vincolo diretto con D.M. del 7-6-1995,…corrispondente ai settori settentrionale e orientale dell’abitato dell’antica colonia romana… ”.
Da quanto sopra risulta evidente che il rigetto del ricorso è stato basato su di una valutazione di legittimità del provvedimento soprintendentizio impugnato, in quanto fondato sulla circostanza dell’esistenza sull’area di insistenza degli immobili della ricorrente del vincolo diretto posto dal richiamato provvedimento ministeriale.
L’indicazione della destinazione impresa dallo strumento urbanistico risulta, dunque, effettuata per sottolineare che trattasi di area sottoposta a vincolo archeologico, ma non anche per affermare, alla stregua di tale specifico vincolo, le legittimità del provvedimento impugnato;conclusione quest’ultima alla quale il Tribunale giunge dando espressa rilevanza alle argomentazioni del provvedimento soprintendentizio, le quali trovano il loro presupposto nel vincolo ministeriale, che viene espressamente richiamato dal giudice di primo grado.
Deve, inoltre, osservarsi, a confutazione della censura proposta ed in disparte l’assorbente considerazione di cui innanzi, che il richiamo contenuto in sentenza al vincolo posto dal PRG non deriva da una autonoma iniziativa del giudice di primo grado, ma trova riscontro in deduzioni spese dalla stessa ricorrente nell’atto introduttivo del giudizio.
Si legge, invero, nel terzo motivo del ricorso di primo grado, che “ E’ noto infatti che i vincoli imposti da strumenti urbanistici a tutela di interessi archeologico-paesaggistici, ai sensi dell’art. 33 della citata normativa, assumono rilievo preclusivo alla sanatoria delle opere abusive di cui al precedente art. 31 che si pongono in contrasto con gli stessi, soltanto ove siano stati imposti prima dell’esecuzione delle opere suddette ”, aggiungendosi che “ Oltretutto la costruzione de qua risulta realizzata anche antecedentemente al vincolo di inedificabilità (H1 zona Archeologica) imposto dal Comune di Giugliano in Campania (Na) con l’ancora vigente Piano Regolatore Generale adottato con delibera n. 87 del 29-10-1983 (cfr. certificato di destinazione urbanistica) ”.
Il riferimento operato dalla sentenza al vincolo posto dalla strumento urbanistico non si pone, pertanto, anche sotto tale profilo, quale integrazione motivazionale del provvedimento impugnato, ma si giustifica in relazione a specifiche ragioni di censura avanzate da parte ricorrente, le quali a tale tipologia di vincolo avevano fatto riferimento assumendone l’inoperatività.
Può a questo punto procedersi all’ulteriore esame del primo motivo di appello.
La signora D N sottolinea che nel ricorso di primo grado ella aveva dedotto che il vincolo introdotto dal d.m. 7-6-1995 non poteva trovare applicazione in via retroattiva, ai sensi dell’articolo 33 della legge n. 47/1985, operando il divieto di edificazione solo per i vincoli “ imposti prima dell’esecuzione delle opere ”.
Lamenta, quindi, che il giudice di prime cure erroneamente aveva ritenuto che, in presenza di tale fattispecie, la Soprintendenza sarebbe comunque tenuta ad esprimere il parere, tenendo conto del vincolo postumo, ai sensi dell’articolo 32 della legge n. 47/1985.
Evidenzia in proposito che, anche per l’articolo 32, rilevano esclusivamente i vincoli imposti prima dell’abuso, come si ricaverebbe dalla locuzione “ immobili sottoposti ” di cui al primo comma e come esplicitamente indicato dal comma 2 (“ aree vincolate dopo la loro esecuzione ”).
La censura non merita favorevole considerazione, per le ragioni che di seguito si espongono.
L’articolo 33 della legge n. 47/85, rubricato “ Opere non suscettibili di sanatoria ”, dispone, al comma 1, che “ Le opere di cui all’art. 31 non sono suscettibili di sanatoria quando siano in contrasto con i seguenti vincoli, qualora questi comportino inedificabilità e siano stati imposti prima della esecuzione delle opere stesse: a) vincoli imposti da leggi statali e regionali nonché dagli strumenti urbanistici a tutela di interessi storici, artistici, architettonici , archeologici, paesistici, ambientali, idrogeologici;…. ”.
Il secondo comma del citato articolo prevede che “ Sono, altresì, escluse dalla sanatoria le opere realizzate su edifici ed immobili assoggettati alla tutela della l. 1° giugno 1939, n. 1089 e che non siano compatibili con la tutela medesima ”.
Osserva il Collegio che la preclusione al condono in fattispecie in cui il vincolo sia stato imposto “ prima della esecuzione delle opere stesse ” viene prevista per il caso di “ vincoli imposti da leggi statali e regionali nonché dagli strumenti urbanistici ”.
Nella vicenda in esame non si è di fronte ad un vincolo imposto da leggi statali, regionali ovvero da strumenti urbanistici a tutela di interessi archeologici.
Invero, vi è un vincolo diretto, a tutela di interessi archeologici, imposto con il decreto ministeriale del 7-6-1995.
In esso, invero, si legge quanto segue.
“ Vista la legge 01.06.1939, n. 1089 sulla tutela delle cose di interesse artistico o storico;
Visto il D.L.vo 03.02.1993, n. 29 e successive modifiche;
Considerato che nel Comune di Giugliano in Campania (Na), tutta la zona emergente a sud e ad est dell’area emergente dal Foro di Liternum, distinta in catasto al Fg. 55/C, corrispondente agli immobili di cui all’elenco allegato, coincide con una parte dell’abitato dell’antica colonia, ivi compreso il tratto dell’antica via Domitiana che da sud dava accesso alla città, come dimostrato dall’ubicazione dell’anfiteatro e della necropoli e come di recente confermato dai risultati di un’indagine esplorativa condotta in una parte di detta zona;
Tenuto conto che l’area emergente del Foro di Liternum e quelle inesplorate che si estendono a nord, a ovest e in parte a sud dello stesso furono sottoposte a vincolo archeologico ai sensi della legge n. 1089/1939 partt. 1 e 3 con D.M. del 23.10-1951 (p.lle 12 e 22 del vecchio Fg. 35) e con D.M. del 6.10-1958 (p.lle 10, 13, 23, 24 del vecchio Fg.35);
Ritenuto che gli immobili che ricadono in tutte le zone suddette, in quanto corrispondenti all’area della colonia romana di Liternum, sono di interesse particolarmente importante ai sensi della citata legge per i motivi illustrati nella allegata relazione tecnico-scientifica;
Visti gli artt. 1, 3 e 4 della legge 1.6.1939, n. 1089;
DECRETA
Art. 1: Gli immobili indicati nell’allegato elenco, così come individuati nelle premesse e descritti nelle unite planimetrie catastali e relazione tecnico scientifica, sono dichiarati di interesse particolarmente importante ai sensi della citata legge e vengono pertanto sottoposti a tutte le disposizioni contenute nella legge stessa…… ”.
Da quanto sopra risulta, dunque, che il vincolo imposto sulle aree di proprietà della signora D N, su cui insistono le costruzioni oggetto della domanda di condono, ed in relazione al quale è stato adottato l’atto soprintendentizio oggetto della presente controversia, non origina da una legge né da uno strumento urbanistico, bensì da una determinazione provvedimentale dell’autorità ministeriale, adottata ai sensi della citata legge n. 1089 del 1939.
Di conseguenza, non risulta applicabile il primo comma dell’articolo 33 della legge n. 47/85, ma il secondo comma dello stesso, il quale non prevede, ai fini della sua applicazione, alcuna distinzione tra opere eseguite prima della imposizione del vincolo ed opere eseguite successivamente e si connota per una valutazione dell’amministrazione che attiene solo alla portata del vincolo ( recita la disposizione : “ e che non siano compatibili con la tutela medesima” ) e non alla compatibilità concreta fra opera realizzata e valore tutelato dal vincolo ( in modo non inderogabile ).
Vi è, dunque, nella previsione normativa una peculiare e rafforzata tutela dei beni vincolati ai sensi della legge n. 1089 del 1939, in esito ad una valutazione legislativa della particolare rilevanza dell’interesse pubblico sotteso a tale tipologia di vincolo, la quale giustifica che quest’ultimo rilevi nella sua originaria portata e connotazione, ai fini della condonabilità delle opere, anche se imposto in epoca successiva, escludendo la sanatoria nel caso in cui l’opera non risulti compatibile con la tutela medesima.
L’applicazione del comma 2 dell’articolo 33 della legge n. 47/85 esclude, dunque, che nella fattispecie in esame non dovesse tenersi conto del vincolo imposto successivamente alla realizzazione delle opere.
Rileva, peraltro, la Sezione che alla medesima conclusione si giunge comunque anche volendo ritenere che il richiamato comma 2 dell’articolo 33 non deroghi alla regola contenuta nel comma 1, in base alla quale vi è incondonabilità delle opere solo qualora esse siano in contrasto con vincoli di inedificabilità imposti prima della esecuzione delle stesse.
La sopravvenienza del vincolo, invero, non esclude la rilevanza di esso, ma ne impone una valutazione non più in termini di inedificabilità assoluta, ma relativa (cfr. Cons. Stato, IV, 4-5-2012, n. 2576).
Ed, invero, la giurisprudenza (cfr. Cons. Stato, VI, 21-7-2017 n. 3603;VI, 12-11-2014, n.5549;VI, 6-5-2013, n. 2409) ha chiarito, quanto ai vincoli di inedificabilità assoluta, che, se è vero che alla stregua dell’articolo 33 della legge n. 47/85 il vincolo di inedificabilità assoluta non può operare in modo retroattivo, tuttavia non si può considerare inesistente per il solo fatto che sia sopravvenuto all’edificazione (ciò che paradossalmente porterebbe a ritenere senz’altro sanabili gli interventi, i quali fruirebbero di un regime più favorevole di quello riservato agli abusi interessati da vincoli sopravvenuti di inedificabilità relativa);pertanto, se il vincolo di inedificabilità assoluta sopravvenuto non può considerarsi sic et simpliciter inesistente, ne discende che gli va applicato lo stesso regime della previsione generale di cui all’articolo 32, comma 1, che subordina il rilascio della concessione in sanatoria per le opere su aree sottoposte a vincolo al parere dell’autorità preposta alla tutela del vincolo medesimo ( si veda sul punto anche Cons. Stato, A.P., 22-7-1999, n. 20).
Dunque, anche per tale via il vincolo di cui al D.M. del 7-6-2015 assume rilevanza, conseguendone l’infondatezza della censura con la quale si assume che lo stesso non impedirebbe il condono dei manufatti in quanto imposto in epoca successiva alla loro realizzazione.
Né può ricevere positiva considerazione l’argomento dell’appellante secondo il quale anche per la fattispecie disciplinata dall’articolo 32 della legge n. 47/85 non troverebbe applicazione il vincolo sopravvenuto.
Va, invero, evidenziato che la giurisprudenza ha affermato che la disposizione di cui all’articolo 32 della legge n. 47/1985, nel prevedere la necessità del parere dell’amministrazione preposta alla tutela del vincolo ai fini del rilascio delle concessioni in sanatoria, non reca alcuna deroga ai principi generali e pertanto deve essere interpretata nel senso che l’obbligo di pronuncia dell’autorità preposta sussiste in relazione all’esistenza del vincolo al momento in cui deve essere valutata la domanda di sanatoria, a prescindere dall’epoca in cui il vincolo sia stato introdotto. Ciò in quanto tale valutazione corrisponde all’esigenza di vagliare l’attuale compatibilità con il vincolo dei manufatti realizzati abusivamente (cfr. Cons. Stato, A.P., 22-7-1999, n. 20;IV, 19-3-2014, n. 1338;VI, 5-3-2018, n.1387;VI, 14-6-2018, n.3658).
Non può, di conseguenza, essere condivisa l’argomentazione di parte appellante secondo cui, nel valutare la domanda di condono, l’amministrazione dovrebbe in via esclusiva tener conto della situazione esistente al momento di presentazione della stessa;né ha rilievo la circostanza che il vincolo di cui al citato decreto ministeriale sia intervenuto a distanza di 15 anni dalla proposizione della domanda di condono.
Vale in proposito richiamare le considerazioni svolte dall’Adunanza Plenaria nella richiamata decisione n. 20 del 1999, affermandosi che “ Quanto alla preoccupazione che siffatta soluzione esporrebbe il singolo caso, in violazione del principio di certezza del diritto e di non disparità di trattamento, alla variabile alea dei tempi di decisione dell’istanza, si osserva, per un verso, che addurre inconvenienti non è un buon argomento ermeneutico e, per altro verso, che, ad ogni modo, l’ordinamento appresta idonei strumenti di sollecitazione e, se del caso, di sostituzione dell’Amministrazione inerte ”.
Sulla base delle considerazioni tutte sopra svolte, pertanto, il primo motivo di appello deve essere respinto in quanto infondato.
Con il secondo motivo di appello la signora D N lamenta: Error in iudicando e violazione dell’articolo 3 della legge n. 241 del 1990.
Deduce che la sentenza di primo grado avrebbe erroneamente ritenuto che il provvedimento soprintendentizio contenesse elementi sufficienti a supportare la determinazione reiettiva.
Rileva che risulta difficile comprendere come, in presenza di un tessuto urbano antico “irreparabilmente compromesso”, possa essere sostenuta l’incompatibilità della permanenza delle due unità abitative di essa appellante, la cui rimozione non comporterebbe alcuna utilità.
Deduce ancora che le affermazioni della Soprintendenza sono fondate su presunzioni non essendo stati effettuati saggi o esplorazioni sull’area interessata dalle costruzioni;evidenziando, altresì, che le considerazioni dell’organo ministeriale trovano smentita nella circostanza che nella zona è stato approvato un progetto di valorizzazione dell’area di L iternum , la cui realizzazione non è stata assolutamente condizionata dalla presenza dell’immobile di essa appellante.
Il motivo di appello non può trovare accoglimento.
Deve in primo luogo essere evidenziato che nella “ Relazione tecnico-scientifica ”, costituente parte integrante del decreto 7-6-1995 impositivo del vincolo diretto sulle aree di proprietà dell’appellante, si legge quanto segue.
“…una recente indagine esplorativa finalizzata alla formulazione di un parere di competenza ha evidenziato cospicui resti archeologici relativi ad un quartiere nella zona sud-occidentale dell’abitato non lontano dalla cosiddetta Foce Vecchia, zona per la quale è già stata avanzata proposta di vincolo, dove sono verosimilmente da ubicare il bacino e le strutture portuali della città. I risultati di questa indagine, unitamente alla documentazione di archivio, provano che l’area posta a sud del Foro, delimitata ad ovest dalla Foce del lago e ad est dall’attuale strada statale Domitiana e ad est dalla Strada Provinciale Circumvallazione Esterna, corrisponde a gran parte dell’antica città… ”.
Orbene, il provvedimento soprintendentizio impugnato risulta coerente con le ragioni di tutela sottese al vincolo, ove se ne legga l’articolata motivazione, che dà conto dell’eccezionale interesse archeologico delle aree ed esplicita le ragioni per le quali le costruzioni non risultano con lo stesso compatibili.
Si afferma che l’immobile ricade in un’area corrispondente ai settori settentrionale ed orientale dell’abitato di Liternum , ciò evincendosi “ da considerazioni di ordine topografico che scaturiscono dalla vicinanza con il Foro e come inconfutabilmente dimostrato sia dalle ampie conoscenze acquisite sul sito a seguito di scavi archeologici sia soprattutto da quanto sulla zona e sull’area dell’immobile risulta agli atti di questo Ufficio ”.
Si rileva, pertanto, che “ l’immobile abusivo, in uno alle altre costruzioni vicine non regolarmente assentite, interferisca e interrompa la continuità di un palinsesto archeologico costituito dall’abitato di una città antica con i suoi monumenti, le sue strade, le sue abitazioni che, negli spazi rimasti liberi dall’edificazione e indisturbati, risultano essersi perfettamente conservati e leggibili nella loro stratificazione. Gli interventi eseguiti abusivamente, impedendo l’esame delle relazioni esistenti tra i vari elementi antichi diffusamente presenti, hanno irreparabilmente compromesso, al di là delle distruzioni ampiamente attestate, la lettura del tessuto urbano antico nella sua unitarietà e la comprensione dei valori che connotano il contesto storico-archeologico, particolarmente elevati…Pertanto l’immobile in questione risulta incompatibile con la tutela stessa e in contrasto con le caratteristiche archeologiche dell’area… ”.
La motivazione resa si palesa sufficiente e non affetta da profili di illogicità o irragionevolezza, fondandosi sulla compromissione, da parte della costruzione realizzata, della possibilità di lettura del tessuto urbano antico, impedendo la stessa l’esame delle relazioni esistenti tra i vari elementi antichi presenti nell’area.
Non vale, inoltre, a fondare l’illegittimità del provvedimento impugnato la considerazione che la costruzione ricada in un tessuto urbano antico già compromesso, atteso che la richiamata compromissione costituisce vieppiù ragione di tutela dei valori protetti dal vincolo, attraverso la eliminazione, ove possibile, degli elementi di disturbo con lo stesso incompatibili.
Neppure merita pregio la doglianza con la quale si assume che la valutazione di incompatibilità resa dalla Soprintendenza sarebbe fondata su presunzioni, in quanto non sarebbero stati effettuati saggi ed esplorazioni nell’area interessata dagli immobili per cui è causa.
Va in primo luogo rilevato che il provvedimento impugnato dà comunque conto di elementi, diversi dalla effettuazione di scavi sulla specifica area, dai quali ricava che l’immobile è ricompreso nella zona corrispondente all’antico abitato della colonia di Liternum (considerazioni di ordine topografico relative alla vicinanza con il Foro, conoscenze acquisite sul sito a seguito di scavi, risultanze degli atti di ufficio).
Di poi, si osserva che il rilievo relativo alla mancata effettuazione di scavi costituisce censura che andava proposta nei confronti del provvedimento di vincolo, al fine di dimostrare l’illegittima apposizione dello stesso sull’area di proprietà per carente istruttoria ovvero per l’inesistenza di un interesse archeologico della stessa.
Invero, una volta che l’area risulti essere stata dichiarata di interesse particolarmente importante con provvedimento rimasto inoppugnato, la valenza preclusiva del vincolo opera per la ritenuta esistenza di un interesse archeologico da tutelare, senza che possano dedursi, in sede di successiva verifica di incompatibilità con lo stesso di una costruzione realizzata, carenze istruttorie o elementi che tale esistenza contestino.
Da ultimo, si rileva che la doglianza è stata proposta per la prima volta in appello, non risultando tale profilo di illegittimità trattato nel ricorso di primo grado.
Nè la legittimità dell’atto soprintendentizio impugnato risulta inficiata dalla riferita circostanza – supportata da relazione tecnico-descrittiva depositata in data 9 maggio 2019 – della avvenuta realizzazione di un progetto di valorizzazione dell’area di Liternum , il quale non risulta essere stato in alcun modo condizionato dalla presenza dell’immobile dell’appellante.
Valga in proposito osservare che i suddetti lavori sono stati realizzati su aree libere e che il fatto che lo scavo eseguito su via Scipione l’Africano non evidenzi ( per quanto si evince dalla documentazione fotografica allegata) la presenza di emergenze archeologiche non esclude che l’area di insistenza degli immobili della ricorrente o quelle ad essa adiacenti corrispondano a settori dell’abitato dell’antica colonia romana, così come ritenuto dal provvedimento di vincolo rimasto inoppugnato.
Deve, infine, essere evidenziato che la suddetta relazione riferisce che “ i fabbricati oggetto di perizia tecnica distano dall’ingresso del parco archeologico “Liternum” oltre settanta metri ”.
Trattasi di una distanza invero esigua, la quale supporta il rilievo della corrispondenza dell’area all’antico abitato di Liternum e conferma la bontà della motivazione resa dal provvedimento oggetto della presente controversia, secondo cui l’immobile interferisce e interrompe la continuità del palinsesto archeologico e compromette la lettura del tessuto urbano antico impedendo l’esame delle relazioni esistenti tra i vari elementi antichi diffusamente presenti.
Con il terzo motivo di appello la signora D N lamenta: Error in iudicando – violazione degli articoli 7, 8, 9 10 e 10 bis della legge n. 241 del 1990.
Deduce che il Tribunale Amministrativo avrebbe erroneamente respinto i motivi con i quali era stata censurata la mancata preventiva interlocuzione tra il privato e la pubblica amministrazione.
Evidenzia, in particolare, che ella non aveva mai ricevuto la nota n. 3165 del 24-1-2009, recante il preavviso di rigetto e, dunque, non era stata posta in condizione di dedurre in ordine alle palesate ragioni ostative.
La censura non merita accoglimento.
Rileva in primo luogo il Collegio che nella specie non era dovuto, da parte dell’Amministrazione, l’avviso di avvio del procedimento.
Il procedimento per il rilascio della concessione edilizia in sanatoria si configura quale procedimento ad istanza di parte, avviato dal privato, per il quale non è richiesto il suddetto adempimento procedimentale (cfr. Cons. Stato, IV, 24-3-2016, n.1215;V, 24-7-2014, n. 3928).
Nella specie, poi, anche il subprocedimento concernente il rilascio del nulla osta da parte della Soprintendenza è stato avviato dal privato, come dimostrato dalla “ Domanda di rilascio del nulla osta archeologico ” datata 16-7-2008, presentata dalla signora D N alla Soprintendenza Archeologica di Napoli e Pompei.
Quanto al preavviso di rigetto ex articolo 10 bis della legge n. 241/1990, osserva il Collegio che dalla documentazione prodotta dall’Amministrazione e non fatta oggetto di specifica contestazione da parte della ricorrente emerge che l’adempimento è stato posto in essere e che la raccomandata in proposito inviata all’interessata non è stata ritirata ed è stata restituita al mittente dopo il periodo di “compiuta giacenza”.
In ogni caso, in disparte quanto sopra rilevato, l’omissione del preavviso di rigetto non può condurre all’annullamento del provvedimento impugnato, in applicazione dell’articolo 21 octies della legge n. 241 del 1990.
Tale norma dispone, al comma 2, che “ non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. Il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell’avvio del procedimento qualora l’amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato ”.
Orbene, risulta dimostrato in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso dalla verifica di incompatibilità in concreto operata dalla Soprintendenza.
Depongono in tal senso la rilevata operatività del vincolo pur nella natura sopravvenuta dello stesso, la evidente incompatibilità con esso di una costruzione realizzata in area di interesse archeologico e non strumentale alle esigenze di salvaguardia e valorizzazione della stessa, l’irrilevanza di una situazione di compromissione dell’area.
Deve, inoltre, essere evidenziato che nel ricorso di primo grado la signora di Nardo, nell’esplicitazione del motivo inerente la mancata partecipazione procedimentale, non specifica quali concreti apporti avrebbe potuto dare ove questa fosse stata assicurata né indica concreti elementi che avrebbero potuto condurre ad una determinazione diversa della Soprintendenza. Nell’atto di appello, poi, si limita ad affermare che ella avrebbe potuto “ chiarire gli equivoci in ordine alla natura dei vincoli de quo ”.
Orbene, in tale situazione deve ritenersi che gli apporti e gli argomenti a sostegno delle proprie ragioni ( che il privato avrebbe potuto introdurre nel procedimento) siano individuabili nei rilievi di natura sostanziale spesi nel ricorso introduttivo e nell’atto di appello a fondamento delle censure dedotte.
Di essi, come sopra argomentato, è stata acclarata l’infondatezza;con la conseguenza che anche per tale via deve essere ritenuto che il provvedimento soprintendentizio sulla domanda di nulla osta non avrebbe potuto avere contenuto diverso rispetto a quello in concreto adottato.
Anche il terzo motivo di appello è, dunque, infondato.
Sulla base delle argomentazioni tutte sopra svolte, pertanto, l’appello deve essere rigettato, con conseguente conferma della statuizione reiettiva della sentenza di primo grado, sia pure con le specificazioni motivazionali più sopra rese.
Le spese seguono la soccombenza nei confronti del Ministero e si liquidano come da dispositivo, potendo invece essere compensate nei confronti del Comune di Giugliano in Campania, non attenendo l’impugnativa a provvedimenti da quest’ultimo emanati.