Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2011-06-30, n. 201103913

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2011-06-30, n. 201103913
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201103913
Data del deposito : 30 giugno 2011
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 05632/2009 REG.RIC.

N. 03913/2011REG.PROV.COLL.

N. 05632/2009 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5632 del 2009, proposto da Union Power s.r.l., Azienda agricola San Giuseppe s.r.l., Artedil s.r.l., ciascuna società in persona del legale rappresentante pro tempore, tutti rappresentati e difesi dagli avvocati M C L e L T, con domicilio eletto presso la prima in Roma, via Cola di Rienzo n. 271;

contro

Regione Lombardia, in persona del presidente pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati A F e A S, con domicilio eletto presso l’avvocato E Q in Roma, via Nicolò Porpora, 16;

nei confronti di

Ministero dello sviluppo economico, in persona del Ministro pro tempore , non costituito;
Comune di Valle Lomellina, in persona del sindaco pro tempore, non costituito;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo della Lombardia, sezione IV, n. 1310 del 16 febbraio 2009.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio della regione Lombardia;

Viste le memorie difensive dell’appellante (in data 10 e 22 maggio 2011) e della regione Lombardia (in data 11 e 22 maggio 2011);

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 14 giugno 2011 il consigliere V P e uditi per le parti gli avvocati Lenoci e Quici su delega dell’avvocato Folloni;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. A conclusione di una ponderosa ed esaustiva istruttoria, con delibera della giunta regionale della Lombardia – n. 5259 del 2 agosto 2007 -:

a) è stato formulato, ai sensi dell’art. 6, l. n. 349 del 1986, parere negativo in ordine alla compatibilità ambientale del progetto di costruzione di una nuova centrale termoelettrica da 400 Mw, nel comune di Parona, elaborato nel 2003 dalla Union Power s.p.a., dall’Azienda agricola San Giuseppe s.r.l. e dalla Artedil s.r.l. (in prosieguo società Union);

b) è stata negata, ai sensi dell’art. 1, d.l. n. 7 del 2002, convertito con modificazioni dalla l. n. 55 del 2002, l’intesa per la realizzazione del progetto, stante la sua incongruenza con i criteri ed obbiettivi della programmazione energetica regionale, e, in particolare, con il Programma energetico regionale (P.e.r.) approvato con delibera della giunta regionale n. 12467 del 21 marzo 2003.

2. Avverso la delibera n. 5259 del 2007 ed il presupposto P.e.r., la società Union è insorta davanti al T.a.r. della Lombardia articolando, in un unico complesso motivo di gravame, una pluralità di censure.

3. L’impugnata sentenza – T.a.r. della Lombardia sez. V, n. 1310 del 16 febbraio 2009, non notificata – ha respinto, compiutamente e con dovizia di argomenti, tutte le doglianze.

In estrema sintesi, la sentenza:

a) ha riscontrato l’esaustività della motivazione (e della presupposta istruttoria), della delibera n. 5259, sostenuta da due autonome ragioni argomentative, relative, da un lato, alla incompatibilità del progetto con le linee strategiche contenute nel P.e.r. e nel suo strumento attuativo e di aggiornamento (ovvero il piano d’azione per l’energia – P.a.e. – approvato con delibera della giunta regionale n. 4916 del 15 giugno 2007, pubblicata nel B.U.R.L. n. 34 del 20 agosto 2007);
dall’altro, all’insussistenza dei presupposti di fattibilità ambientale del progetto.

b) ha respinto tutte le censure formulate nei confronti del P.e.r.;

c) ha compensato le spese di lite.

3. Con ricorso notificato il 4 luglio 2009, e depositato il successivo 16 luglio, la società Union ha interposto appello avverso la su menzionata sentenza.

In particolare, la società:

a) con il primo e decimo motivo (pagine 5 – 8 e 34 – 37 del gravame), ha formulato per la prima volta domanda di risarcimento di tutti i danni asseritamente ricollegabili ai provvedimenti illegittimi emanati dalla regione nonché al contegno gravemente colpevole di quest’ultima che, solo durante il corso del giudizio di primo grado, avrebbe reso nota l’esistenza dello strumento attuativo del P.e.r. (ovvero il P.a.e. del 2007) e di altri rilevanti provvedimenti che, dimostrando la volontà politica della regione di limitare nel proprio territorio la costruzione di nuovi centrali termoelettriche, avrebbero reso sostanzialmente impossibile la realizzazione della centrale anche all’esito di un eventuale annullamento giurisdizionale della delibera n. 5259 del 2007;

b) con i restanti motivi (pagine 8 – 34), ha reiterato criticamente le originarie censure ed articolato nuovi profili di invalidità degli atti impugnati, anche sub specie di nullità degli stessi (alcune di queste nuove doglianze sono state sviluppate nella memoria conclusionale del 10 maggio 2011).

4. Si è costituita la regione Lombardia deducendo l’inammissibilità e l'infondatezza del gravame in fatto e diritto.

5. La causa è passata in decisione all’udienza pubblica del 14 giugno 2011, previa indicazione alle parti, ai sensi dell’art. 73, co. 3, c.p.a., della possibile applicazione della norma sancita dall’art. 1, co. 552, della l. 30 dicembre 2004, n. 311.

6. L’appello è irricevibile.

6.1. A mente dell’art. 1, comma 552, l. n. 311 del 2004 cit. – abrogato dal numero 30) del comma 1 dell’art. 4 dell’allegato 4 al codice del processo amministrativo -: <<Le controversie aventi ad oggetto le procedure ed i provvedimenti in materia di impianti di generazione di energia elettrica di cui al decreto legge 7 febbraio 2002, n. 7, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 aprile 2002, n. 55, e le relative questioni risarcitorie sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Alle controversie di cui al presente comma si applicano le disposizioni di cui all'articolo 23-bis della legge 6 dicembre 1971, n. 1034 >>.

A sua volta, e per quanto di interesse ai fini della presente controversia, l’art. 23- bis, co. 7, cit., applicabile ratione temporis, stabilisce che <<Il termine per la proposizione dell’appello avverso la sentenza del tribunale amministrativo regionale …è di ….centoventi giorni dalla pubblicazione della sentenza.>>.

6.3. Nel caso di specie è pacifico che:

a) gli atti impugnati in primo grado hanno ad oggetto le procedure per la costruzione di una centrale termoelettrica di potenza superiore a 300 Mw (ai sensi dell’art. 1, co. 1, del d.l. n. 7 del 2002 cit.);

b) l’appello è stato notificato ben oltre il termine di centoventi giorni dalla pubblicazione dell’impugnata sentenza;

c) non sussistono le condizioni applicative della norma sancita dall’art. 37, c.p.a., come rigorosamente interpretata dall’adunanza plenaria di questo Consiglio (2 dicembre 2010, n. 3, cui si rinvia a mente dell’art.88, co. 2, lett. d), c.p.a.).

6.4. Per completezza la sezione rileva che:

a) la norma sancita dall’art. 1, co. 552, l. n. 311 cit., è stata sostanzialmente riprodotta dal nuovo codice del processo amministrativo (inapplicabile ratione temporis ):

I) all’art. 119, co. 1, lett. l), (relativamente al rito speciale ed ai connessi termini abbreviati, ma per le centrali termoelettriche di potenza superiore a 400 Mw);

II) all’art. 133, co. 1, lett. o), (relativamente alla previsione della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo);

b) il termine lungo per l’impugnazione delle sentenze aventi ad oggetto le procedure in materia di impianti di energia elettrica, è stato ulteriormente ridotto e portato a tre mesi in base al combinato disposto degli artt. 92, co. 3, e 119, co. 2, c.p.a.

7. L’appello è inammissibile sotto ulteriori autonomi aspetti che la sezione deve esaminare avendo la difesa della società insistito (con le memorie difensive e di replica, rispettivamente in data 10 e 22 maggio 2011), nelle tesi:

a) della immediata ed autonoma proponibilità della domanda risarcitoria direttamente in sede di appello a mente dell’art. 104 c.p.a. (invero genericamente richiamato);

b) dell’applicabilità, al caso di specie, dell’articolo 34, co. 3, c.p.a.;

c) della configurabilità di una legittima ipotesi di emendatio libelli (pagina 3 della memoria di replica in data 22 maggio 2011).

7.1. In primo luogo deve richiamarsi il consolidato indirizzo giurisprudenziale, formatosi sul previgente quadro normativo (applicabile ratione temporis ), secondo cui, nel giudizio amministrativo di legittimità, il thema decidendum in appello è delimitato dalle censure articolate in prime cure, non potendosi tenere conto dei profili nuovi sollevati per la prima volta in sede di impugnazione, in spregio al divieto dei nova sancito dall’art. 345, co. 1, c.p.c e, a fortiori , in sede di memoria conclusionale avendo quest’ultima valore puramente illustrativo (cfr. ex plurimis sez. V, 29 marzo 2011, n. 1925;
sez. V, 24 aprile 2009, n. 2588, ad. plen. 19 dicembre 1983, n. 26, cui si rinvia a mente dell’88, co. 2, lett. d), c.p.a.).

7.2. Assodata l’inapplicabilità, ratione temporis, del codice del processo amministrativo, la sezione evidenzia che anche la nuova disciplina da questo sancita non consente di accogliere la tesi prospettata dalla società appellante.

Il nuovo codice, infatti, ha recepito il divieto di ius novorum in relazione a nuove domande, nuove eccezioni e nuove prove con alcuni temperamenti (che non ricorrono nel caso di specie come meglio si dirà in prosieguo).

Non possono anzitutto essere proposte nuove domande per la prima volta in appello e, segnatamente, motivi nuovi di ricorso (art. 104, co. 1).

Sono previste tuttavia tre deroghe, di cui una tratta dal processo civile (art. 345, co. 1, c.p.c.), e altre due specifiche per l’appello nel processo amministrativo.

7.2.1. Viene anzitutto fatto salvo il caso dell’art. 34, co. 3, c.p.a. a tenore del quale quando nel corso del giudizio l’annullamento del provvedimento impugnato non risulta più utile per il ricorrente, il giudice accerta l’illegittimità dell’atto se sussiste l’interesse a fini risarcitori;
si tratta di un temperamento specifico per il processo amministrativo, innovativamente introdotto dal c.p.a., di cui non vi era traccia nel sistema previgente.

La portata dell’eccezione al divieto di domande nuove, fatta dall’art. 104, co. 1, c.p.a., mediante richiamo all’art. 34, co. 3, è da intendersi nel senso che la domanda di accertamento dell’illegittimità in funzione dell’interesse risarcitorio (indispensabile atteso che il giudice non può pronunciarsi ex officio ritenendo compresa la richiesta di accertamento in quella di annullamento), formulata per la prima volta in appello, non costituisce domanda nuova inammissibile, rispetto all’originaria domanda di annullamento, se nelle more tra giudizio di primo grado e di appello, è venuto meno l’interesse all’annullamento dell’atto, ma residua l’interesse al riscontro della sua illegittimità.

7.2.1.1. L’applicazione di tale norma, nel caso di specie, è chiaramente inconferente, perché:

a) i danni derivanti dal cattivo esercizio della funzione pubblica risalgono ai provvedimenti impugnati in prime cure (non ritirati in sede di autotutela), la cui domanda di annullamento assorbe quella di accertamento ex art. 34, co. 3, cit.;

b) nessuna formale richiesta di declaratoria di improcedibilità del ricorso di primo grado è stata formulata dalle parti;

c) a mente della norma sancita dall’art. 30, co. 3, c.p.a., come rigorosamente interpretata dall’adunanza plenaria di questo Consiglio (23 marzo 2011, n. 3, cui si rinvia a mente dell’88, co. 2, lett. d), c.p.a.), è onere del soggetto danneggiato esperire i mezzi di tutela previsti dall’ordinamento per evitare i danni discendenti dal cattivo esercizio della funzione pubblica, se del caso impugnando tempestivamente i provvedimenti lesivi;
sicché, una volta intervenuta, come nel caso di specie, la decadenza dall’azione di annullamento, per omessa impugnazione (anche attraverso motivi aggiunti), degli atti lesivi sopravvenuti nel corso del giudizio di primo grado, non può invocarsi strumentalmente il potere del giudice di accertare l’illegittimità degli stessi a fini risarcitori.

7.2.2. La seconda eccezione è costituita dalle domande aventi ad oggetto accessori e danni maturati dopo la sentenza di primo grado;
si tratta, sostanzialmente, degli interessi e della rivalutazione monetaria maturati dopo la sentenza impugnata e il risarcimento dei danni subiti dopo la sentenza stessa. Queste voci di danno possono essere richieste per la prima volta in appello.

Tale norma è tratta dal processo civile (art. 345, co. 1, c.p.c.), e la sezione non ravvisa ragioni per decampare dall’interpretazione consolidata che di quest’ultima disposizione è stata data dalla giurisprudenza (cfr. Cons. St., sez. IV, 4 febbraio 2008, n. 306;
Cass., sez. III, 3 ottobre 2005, n. 19299;
sez. III, 19 luglio 2005, n. 15213;
sez. trib., 2 luglio 2004, n. 12147;
sez. III, 10 novembre 2003, n. 16819;
sez. un., 11 marzo 1996, n. 1955).

Posto che l’oggetto del giudizio è potenzialmente - ossia in quanto tutte le domande e le eccezioni (e quindi le relative questioni) siano riproposte ed in quanto siano indicate le ragioni per le quali si censura la relativa decisione - tutto quello del giudizio di primo grado, il principio del doppio grado di giurisdizione esige che tale oggetto sia esclusivamente quello del giudizio di primo grado.

Non sono pertanto ammesse nuove domande in appello ad eccezione di quelle che costituiscono svolgimento logico o cronologico di domande già proposte: interessi, frutti, altri accessori e danni maturati (ovvero sofferti o conosciuti) dopo la deliberazione della sentenza impugnata.

Deve trattarsi di accessori e danni maturati dopo la deliberazione, ma solo in quanto derivino da cause preesistenti all’inizio della lite e non da fatti successivi, ed esclusi quelli che potevano essere chiesti in primo grado: la domanda di accessori e danni sofferti dopo la deliberazione della sentenza di primo grado presuppone, pertanto, una domanda proposta in primo grado per tali poste.

La rilevabilità d’ufficio dell’inammissibilità delle domande nuove esclude, infine, che tale inammissibilità possa essere superata dalla c.d. accettazione del contraddittorio nel caso in cui l’altra parte non abbia sollevato l’eccezione e si sia difesa nel merito della domanda nuova.

7.2.2.1. Nella vicenda in trattazione non ricorre alcuna delle illustrate ipotesi, sicché il richiamo all’art. 104, co.1, c.p.a., da parte della difesa appellante, appare ancora una volta inappropriato.

7.2.3. La terza eccezione, infine, ha ad oggetto l’ammissione, entro ristretti limiti, di motivi aggiunti.

Si tratta di una previsione specifica per l’appello amministrativo.

Il c.p.a. affronta in parte qua il dibattuto tema dell’ammissibilità dei motivi aggiunti in appello, e lo risolve nel senso che i motivi aggiunti sono consentiti solo per dedurre ulteriori censure in relazione ad atti e provvedimenti già impugnati con il ricorso di primo grado (o con rituale atto di motivi aggiunti proposto in prime cure), allorché i vizi ulteriori emergano da documenti non prodotti dalle altre parti nel giudizio di primo grado (art. 104, co. 3);
la previsione dei motivi aggiunti, inoltre, essendo comunque espressa in termini di facoltà, non preclude la possibilità che la parte interessata instauri un nuovo e autonomo ricorso in primo grado.

Deve pertanto escludersi la possibilità di motivi aggiunti in appello avverso atti diversi da quelli impugnati con il ricorso di primo grado, ancorché connessi ovvero impugnati in via meramente derivata;
in tal senso depone anche la relazione illustrativa del c.p.a., in cui si afferma che i motivi aggiunti in appello si rivolgono contro atti già impugnati in primo grado e che resta <<… fermo il principio per cui nei confronti degli ulteriori provvedimenti amministrativi emessi o conosciuti nelle more del giudizio di appello va proposto un separato ricorso di primo grado>> (pag. 46).

A tale conclusione si perviene:

a) in base al tenore letterale della norma sancita dall’art. 104, co. 3, cit. che si riferisce a provvedimenti già impugnati in primo grado e a documenti preesistenti ma non prodotti nel giudizio davanti al T.a.r.;

b) sul piano logico e sistematico, in considerazione della portata generale del principio del doppio grado di giudizio che non consente ampliamenti del thema decidendum nel passaggio fra il primo ed il secondo grado di giudizio, non può incontrare deroghe implicite, è posto nell’interesse di tutte le parti in causa, è inderogabile dalle stesse costituendo espressione di ordine pubblico processuale (cfr. da ultimo, sul valore del principio alla luce del nuovo c.p.a., Cons. St., III, 5 maggio 2011, n. 2693;
sez. V, 1 aprile 2011, n. 2031).

7.2.3.1. E’ escluso che nel caso di specie ricorrano le condizioni per l’applicazione della illustrata norma eccezionale, nella parte in cui ammette la proposizione di censure nuove in appello, perché:

a) il P.a.e. – individuato dall’appellante come il provvedimento che ha espresso la volontà politico amministrativa di non realizzare ulteriori centrali termoelettriche di media potenza nei territori di riferimento - è stato emanato e pubblicato in data antecedente alla notificazione del ricorso di primo grado (avvenuta il 15 novembre 2007), sicché la società Union avrebbe avuto l’onere di impugnarlo;

b) in ogni caso, una volta depositata nella segreteria del T.a.r. la documentazione specifica da cui si evinceva l’emanazione del P.a.e., era onere della società Union articolare motivi aggiunti avverso quest’ultimo ovvero nei confronti del P.e.r.

8. Sulla scorta delle rassegnate conclusioni è giocoforza dichiarare irricevibile l’appello ed inammissibile la domanda autonoma di risarcimento del danno proposta direttamente davanti al Consiglio di Stato.

9. Le spese del presente grado di giudizio, regolamentate secondo l’ordinario criterio della soccombenza, sono liquidate in dispositivo.

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