Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2013-07-12, n. 201303749
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N. 03749/2013REG.PROV.COLL.
N. 05972/2005 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5972 del 2005, proposto da:
Immobiliare San Rocco 2 S.r.l., rappresentata e difesa dagli avv. R P, L P, con domicilio eletto presso Lucio Ghia in Roma, via delle Quattro Fontane, 10;
contro
Comune di Pordenone, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv. M S, P V, con domicilio eletto presso il secondo, in Roma, via Fontanella Borghese, 72;
nei confronti di
Regione Friuli-Venezia Giulia;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. FRIULI-VENEZIA-GIULIA - TRIESTE n. 00163/2005, resa tra le parti, concernente concessione edilizia per costruzione edificio a destinazione residenziale-direzionale.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 19 marzo 2013 il Cons. Andrea Migliozzi e uditi per le parti gli avvocati Gianni Zgagliardich (su delega di R P ) e Antonio Voltaggio (su delega di P V);
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
In data 10 agosto 2000 veniva presentata dai coniugi Marini al Comune di Pordenone istanza di concessione edilizia per la realizzazione di un fabbricato, quale intervento costruttivo-ricostruttivo di nell’ambito del Piano di Recupero n. 31 (Area Largo San Giovanni ), precisamente dell’unità minima d’intervento n. 5, che prevedeva la sostituzione dell’esistente e successiva ricostruzione di un nuovo edificio di quattro piani oltre il piano terra e la realizazione di una scala di sicurezza.
In relazione a tale progetto veniva rilasciata la concessione edilizia n. 40145 del 4/6/2001, successivamente volturata, in data 20/8/2001, alla Immobiliare San Rocco 2, che, con nota del 6 settembre 2001, comunicava l’inizio dei lavori. La società presentava, il 14/4/2002, richiesta di variante alla concessione n. 40145/2001, avente ad oggetto l’abbassamento dei solai dei singoli piani e la realizzazione di un ulteriore livello di edificio (in pratica un piano in più rispetto agli originari previsti quattro piani oltre il piano terra).
La Società avviava le opere oggetto di variante e, in relazione a tale attività, veniva adottata inizialmente l’ordinanza di sospensione dei lavori del 23 maggio 2002, quindi l’ordinanza di demolizione del 24 luglio 2002 per le opere eseguite in parziale difformità dalla originaria concessione. A tanto faceva, altresì, seguito, da parte del Direttore dei lavori, in data 4 giugno 2002, richiesta di ritiro della predetta variante e ripresentazione ad opera dell’Immobiliare San Rocco2, di un nuovo progetto di variante.
Intanto, a seguito di esposto fatto pervenire dalla proprietaria di un limitrofo immobile, che denunciava l’illegittimo assentimento di una cubatura eccedente quella consentita dal piano di recupero, in virtù dell’operato scorporo dalla volumetria totale del volume della c.d. scala di sicurezza, il Comune di Pordenone, con nota del 24/7/2002, disponeva l’avvio di un procedimento per l’eventuale parziale annullamento in autotutela della concessione edilizia n. 40145/2001 e, conseguentemente ai relativi accertamenti, con ordinanza del 5/8/2002, ordinava la demolizione di quanto realizzato in difformità di detta concessione.
Successivamente, l’attuale appellante produceva, in data 10/11/2002, una nuova domanda di variante, questa volta in sanatoria, e il Dirigente del settimo settore del Comune, con provvedimento prot. n. 56117 del 12/122/2002, disponeva, a conclusione dell’avviato procedimento, l’annullamento parziale della concessione n. 40145, specificatamente, nella parte in cui tale autorizzazione aveva consentito la realizzazione al piano quinto (compreso il piano terra) di una ulteriore volumetria di costruzione in eccedenza al volume massimo previsto dall’UMI n. 5 del Piano di Recupero.
Quindi, in relazione alla rilevata impossibilità di demolire la porzione di costruzione oggetto di annullamento dell’originario titolo edilizio, il Comune procedeva a richiedere la determinazione del valore venale della parte di fabbricato in questione alla Direzione Provinciale dei Servizi Tecnici della Regione FriuliVenezia Giulia, che provvedeva a tanto con atto del 16/12/2002;a ciò faceva seguito il provvedimento del dirigente del Comune del 16/12/2002, che, attesa la impossibilità della demolizione, applicava la sanzione sostitutiva pecuniaria di cui alla legge regionale n. 52/91.
L’Amministrazione comunale, infine, con ordinanza del Direttore del settimo Settore del 19/12/2002 n.21, rigettava la domanda di variante in sanatoria presentata dalla Società appellante e sanzionava altresì nella misura minima pecuniaria le difformità non valutabili in termini volumetrici.
L’Immobiliare San Rocco 2 impugnava innanzi al TAR per il Friuli-Venezia Giulia l’ordinanza comunale n.19/2002, di annullamento parziale della concessione edilizia n.40145/2001, l’atto della Direzione provinciale dei Servizi Tecnici del 16 dicembre 2992 di determinazione del valore venale delle opere edilizie in contestazione (unitamente alla pregressa nota comunale di richiesta di tale determinazione) e l’ordinanza dirigenziale n.20 del 16 dicembre 2002 di irrogazione della sanzione pecuniaria a seguito dell’annullamento parziale della anzidetta concessione edilizia, denunciandone la illegittimità sotto vari profili, con richiesta di restituzione delle somme pagate a titolo di sanzione pecuniaria.
L’adito Tar, con sentenza 163/2005, in parte rigettava il ricorso, in altra parte lo dichiarava inammissibile e in altra parte ancora lo accoglieva, relativamente all’ordinanza dirigenziale di irrogazione della sanzione pecuniaria nella misura determinata dalla Direzione Provinciale dei Servizi Tecnici (92.766 euro), limitatamente al vizio di difetto motivazionale riscontrato a carico di tale provvedimento.
Avverso tale decisum, ritenuto errato ed ingiusto, è insorta la Società Immobiliare San Rocco 2, al fine di ottenerne la riforma in parte qua, con conseguente accoglimento delle domande di annullamento e risarcitorie formulate in prime cure.
In particolare, in relazione all’ordinanza n.19 del 12 dicembre 2002 vengono dedotte la censure di violazione di legge (art. 26 comma 1 legge TAR) - erronea declaratoria di infondatezza del ricorso di primo grado - errore di fatto e di diritto - motivazione contraddittoria ed insufficiente della sentenza impugnata.
Parte appellante poi riproduce i motivi d’impugnazione già formulati in primo grado, così rubricati:
sub 1) - Violazione di legge ( art.82 e 106 della legge regionale 19 novembre 1991 n. 52 - art.41 Regolamento Edilizio del Comune di Pordenone ) - Violazione del principio del contrarius actus - Omissione di fase necessaria del procedimento - Violazione di legge e/o nullità per difetto di requisito di forma - Istruttoria carente ed insufficiente;
sub 2) Violazione di legge ( art.82 l.r. n. 52/91 - art.41 Regolamento edilizio del Comune di Pordenone) - Incompetenza;
sub 3 ) Violazione di legge (art.106 l.r. n. 52/91) - Violazione del principio di buona fede nel rapporto tra amministrazione ed amministrati - Violazione del principio dell’affidamento - Violazione di legge 8 art.3 legge n .241/90) - Difetto di motivazione - Travisamento );
sub 4 ) Violazione di legge (art.3 legge n. 241/90) - Difetto di motivazione - Travisamento - Istruttoria carente ed insufficiente;
sub 5) Violazione di legge (art.3 legge n.241/90) - Difetto di motivazione - Travisamento, perplessità, illogicità e/o arbitrarietà;
sub 6) già quindicesimo motivo: Difetto di legittimazione passiva - Violazione di legge (artt.100 e 106 della legge regionale n. 52/91 - Difetto di istruttoria - Violazione di legge (art.3 legge n.241/90) - Carenza di motivazione;
sub 7) già diciottesimo motivo: Violazione di legge (art. 106 l.r. n. 52/91) - Violazione di legge (art.97 Cost. - art. 3 legge n. 241/90) - eccesso di potere per sviamento dalla causa tipica;
sub 8) già sesto motivo: Violazione di legge (art. 22 regolamento edilizio del Comune di Pordenone). - Travisamento dei fatti - Violazione di legge (art. D.M.10 marzo 1998;D.M. 30 novembre 1983;D.M.16 febbraio 1982 e norme tecniche correlate);
sub 9) già settimo motivo: Violazione di legge (art. 22 regolamento edilizio del Comune di Pordenone) - Travisamento dei fatti - Violazione di legge (art. 3l egge n. 241/90) - motivazione perplessa, carente ed insufficiente.
Con riferimento inoltre all’ordinanza dirigenziale n.20 del 16/12/2002, questi sono i motivi d’impugnazione:
1) Violazione di legge (art.26 c.1 legge TAR ) - Erronea declaratoria di inammissibilità in parte qua del ricorso di primo grado- Errore di fatto e di diritto - Motivazione contraddittoria ed insufficiente della sentenza impugnata;
2) già decimo e sedicesimo motivo: Violazione di legge (art. 3 legge n. 241/90 - art.106 della legge regionale n.52/91) – Illogicità – Arbitrarietà – Contraddittorietà - Violazione del principio di proporzionalità - Travisamento e difetto di istruttoria.
Il Comune di Pordenone, costituitosi in giudizio, ha prodotto memoria difensiva volta a far dichiarare la inammissibilità e comunque la infondatezza del proposto gravame, cui parte appellante ha replicato con apposita memoria.
All’ udienza pubblica del 19 marzo 2013 la causa è stata introitata per essere decisa.
DIRITTO
L’appello si rivela infondato, meritando l’impugnata sentenza integrale conferma.
La controversia riguarda la costruzione di un edificio in attuazione di un piano di recupero, in relazione alla quale il Comune di Pordenone ha rilevato e contestato all’appellante delle difformità rispetto a quanto avrebbe potuto e dovuto essere autorizzato, sì da indurre conclusivamente la stessa Amministrazione ad assumere in sede di autotutela un provvedimento di annullamento parziale dell’originario titolo ad aedificandum.
Ciò preliminarmente precisato, corrette appaiono le osservazioni e prese conclusioni del TAR, con specifico riferimento alla dichiarata inammissibilità dell’impugnativa proposta in primo grado avverso la nota comunale del 12/12/2002, di richiesta di determinazione del valore venale del bene ai fini della irroganda sanzione pecuniaria e la nota di riscontro della Direzione Provinciale Servizi Tecnici di riscontro di siffatta istanza.
Invero, quanto alla suindicata richiesta del Comune, è di lapalissiana evidenza come la nota in questione, avuto riguardo alla natura e funzione della stessa, non può considerasi un atto a contenuto provvedimentale, qualificandosi piuttosto come mero atto endoprocedimentale, come tale, del tutto insuscettibile di produrre concreti effetti lesivi, senza che possa essere oggetto di relativa impugnativa.
Uguale inammissibilità deve rilevarsi nei confronti della nota della Direzione dei Servizi Tecnici del 16/12/2002: il contenuto di tale atto è stato integralmente trasfuso nell’ordinanza dirigenziale con cui il Comune ha irrogato la sanzione pecuniaria e ha fatto propria la determinazione operata dall’Ufficio tecnico regionale. Se così è, l’avvenuta contestazione giudiziale del provvedimento comunale che ha adottato la sanzione nella misura determinata dal predetto Ufficio tecnico regionale assorbe integralmente l’impugnazione del pregresso atto. Tant’è che parte interessata ha ben potuto censurare, oltre che l’an della misura sanzionatoria adottata, anche il quantum della determinazione da essa recata, tanto da veder accolto il dedotto vizio di difetto di motivazione rilevato proprio in relazione all’assenza dei criteri per la quantificazione della somma richiesta a titolo di sanzione.
Di qui l’esattezza della dichiarazione di inammissibilità in parte qua del ricorso di prime cure.
Passando poi, per ragioni di organica trattazione, al provvedimento sanzionatorio di cui all’ordinanza comunale n. 20/2002, l’appellante Società impugna, con i motivi di cui ai punti 1) e 2) del “fatto” la decisione del Tar nella parte in cui, pur rilevando il vizio di difetto di motivazione, non accoglie la pur avanzata richiesta di restituzione della somma versata a titolo di sanzione pecuniaria.
I dedotti mezzi di gravame sono privi di fondamento.
Le ragioni di accoglimento del ricorso e del disposto annullamento riguardano unicamente l’aspetto motivazionale del provvedimento impugnato, che è stato giudicato privo di una sufficiente, idonea motivazione;e il vizio ritenuto fondato dal primo giudice ha effetti solo cassatori, con l’implicito ordine all’Amministrazione di procedere a riformulare la sanzione, emendando il nuovo provvedimento del rilevato vizio di legittimità: questo e solo questo, in ragione della natura oppositiva degli interessi in rilievo, è la portata del decisum, senza che la statuizione giurisdizionale in questione possa risultare manchevole in ordine al preteso riconoscimento di un interesse pretensivo non tutelabile che è posto al di fuori del perimetro della statuizione di accoglimento del gravame.
D’altra parte, non appare trascurabile far rilevare in proposito che, come si evince dalla documentazione di causa, a seguito della sentenza qui gravata, l’Amministrazione comunale ha proceduto ad emanare un nuovo provvedimento sanzionatorio, a sua volta fatto oggetto di impugnativa, pendente, allo stato, innanzi al TAR friulano.
E veniamo al nucleo fondante della vicenda contenziosa, rappresentato dalla determinazione contenuta nella ordinanza n.19 prot. n. 56117 del 12/12/2002, con cui il Comune di Pordenone ha disposto l’annullamento parziale della concessore edilizia n. 40145/2001, originariamente rilasciata, in ispecie nella parte in cui questa assentiva la realizzazione al piano quinto del progettato edificio, della volumetria di mc 245,06 in eccedenza rispetto al volume massimo previsto per l’UMI n.5 del Piano di Recupero n.31.
Avverso il predetto atto di autotutela, parte appellante deduce, riproducendo i numerosi mezzi di gravame già proposti in prime cure, svariati profili di doglianza, in sostanza, così articolati:
a) il provvedimento di autotutela è stato adottato in violazione del principio del contrarius actus per non essere stati sentiti i soggetti coinvolti nel rilascio del titolo e, in particolare, l’Ufficio tecnico;
b) l’ordinanza di annullamento parziale risulta assunta da organo incompetente, il dirigente comunale, mentre avrebbe dovuto essere emanata dal Sindaco;
c) inadeguatezza ed incongruenza della motivazione recata dal provvedimento di autotutela, che non dà contezza degli interessi coinvolti (senza una comparazione tra gli stessi),né dell’interesse pubblico concreto e diretto all’eliminazione dell’atto e neppure dell’affidamento venutosi a creare in capo all’appellante;
d) estraneità dell’appellante all’abuso contestato, con conseguente insussistenza della legittimazione passiva in ordine alla sanzione irrogata;
e) errata interpretazione dell’art. 22 del regolamento edilizio, posto che la volumetria della scala antincendio va defalcata dalla cubatura del fabbricato, con la residua possibilità di realizzare un quinto piano oltre il livello terra.
Tutti gli anzidetti profili di illegittimità sono privi di fondamento.
Relativamente alla questione di cui al punto a), è ius receptum che, nell’esercizio del potere di autotutela, il provvedimento dell’amministrazione volto a rimuovere un precedente suo atto deve essere adottato con le stesse modalità procedimentali seguite per l’adozione dell’atto che si va a rimuovere (ex multis, Cons. Stato Sez. V 20 febbraio 2006 n. 701).
Tale regola, però, non risulta nella specie violata, ove si consideri la natura e la portata della vicenda qui in rilievo, in cui l’Amministrazione procede sostanzialmente e formalmente unicamente ad emendare l’atto originariamente rilasciato di una sua parte ritenuta illegittima, lasciando inalterato l’assetto dell’autorizzazione rilasciata in precedenza.
Non si tratta, dunque, di un atto di ritiro tout court, ma piuttosto di un intervento di tipo correttivo, posto in essere proprio allo scopo di salvaguardare l’impostazione del progettato intervento e del provvedimento che ne ha assentito la realizzazione;e tanto allo scopo di salvaguardare, in ossequio al principio di conservazione degli atti (Cons. Stato Sez. VI 11 maggio 2011 n.2795;idem 19 giugno 2009 n.4031), l’efficacia della concessione edilizia in origine rilasciata, per la gran parte del suo contenuto.
Al di là di tale assorbente rilievo e a parte l’estraneità dei vari soggetti al procedimento di formazione del provvedimento positivo, costituiti dall’Ufficio Acquedotto, dall’Ufficio stradale, dall’AMIU, il provvedimento che annulla in parte qua la concessione originaria va ad eliminare proprio quegli aspetti (scomputo della scala ) sui quali l’Ufficio Tecnico aveva a suo tempo espresso qualche perplessità, sicché non v’era motivo (se non per produrre un inopportuno appesantimento del procedimento) di acquisire, sul punto, un divisamento dell’Ufficio già espresso.
Del tutto insussistente, poi, si rivela la censura di incompetenza di cui al punto b): la gravata ordinanza n.19/2012 costituisce atto di gestione, la cui adozione spetta ai dirigenti, secondo il chiaro disposto legislativo di cui all’art.107 commi 3 e 6 del dlgs n.267/2000 (Testo Unico degli enti locali), dirigenti sui quali incombe la responsabilità dell’amministrazione attiva (Cons. Stato Sez. V 14 maggio 2013 n. 3024;idem 7 aprile 2011 n. 2154). A ciò si deve aggiungere che lo Statuto del Comune di Pordenone, all’art. 61 lettera g), prevede espressamente che sono attribuiti ai dirigenti “i provvedimenti di autorizzazione, concessione ed analoghi ivi comprese le autorizzazioni e le concessione edilizie” e quindi anche i correlativi atti di contenuto negativo.
Quanto alle doglianze dedotte sub lettera c), che investono la motivazione del provvedimento oggetto di gravame, le stesse non recano elementi di convincimento tali da inficiare la determinazione di annullamento (parziale) operata dall’Amministrazione.
Nella specie, l’interesse pubblico tutelato, coincidente con l’esigenza di rimuovere l’illegittima parte dell’atto che autorizza la relativa edificazione (in ragione della rilevata difformità dai parametri urbanistico-edilizi vigenti) è da ritenersi in re ipsa;e sotto tale aspetto il provvedimento di autotutela non presenta margini di discrezionalità, per cui l’Amministrazione non poteva non procedere in tali sensi (Cons. Stato Sez. VI 14 luglio 2011 n.4284;idem 24 novembre 2010 n. 8215;Cons. Stato Sez. V 22 marzo 2010 n. 1672;idem 31 dicembre 2008 n. 6735).
Né può essere invocata dall’appellante una sorte di affidamento a mantenere “lo status quo ante”, sia perché, in tali casi, la posizione del privato è sicuramente recessiva rispetto al superiore interesse pubblico sotteso all’esercizio del potere di autotutela, sia perché, a ben vedere, il provvedimento di annullamento d’ufficio interviene ad una non considerevole distanza dalla data di adozione dell’atto oggetto di annullamento in parte qua (un anno e mezzo).
Va pure disatteso il profilo di illegittimità di cui al punto d).
Il rapporto giuridico edilizio su cui va ad incidere il provvedimento di autotutela parziale non può non essere quello recato dal titolo ad aedificandum al momento in cui l’Amministrazione si determina all’annullamento, autorizzazione insistente in capo alla Società appellante, subentrata nella situazione di fatto e di diritto nel rapporto in questione in virtù dell’avvenuta volturazione dell’atto autorizzativo.
La Società Immobiliare San Rocco 2 è quindi il soggetto naturalmente destinatario della misura in autotutela assunta dall’Amministrazione, fatta salva, ovviamente, l’eventuale interesse del soggetto interessato ad attivare ogni azione volta a rivalersi nei confronti del suo dante causa.
Viene ora in rilievo quella che rappresenta la questione pregnante della controversia (punto e), cioè la possibilità o meno di giovarsi di un “sovrappiù” di volumetria in ragione della non computabilità, o se si vuole della computabilità del volume relativo alla c.d scala di sicurezza prevista dal progettato intervento, ai sensi dell’art. 22 terzo comma del Regolamento Edilizio.
La norma regolamentare suindicata prevede l’esclusone dal calcolo della cubatura urbanistica di scale di sicurezza imposte dalle norme di sicurezza o di prevenzione incendi: parte appellante ritiene, quindi, che il volume corrispondente a detta scala possa essere utilizzato in una sorta di compensazione per raggiungere il volume massimo ammissibile, ma così non è.
Invero, premesso che la realizzazione di scale di sicurezza antincendio è imposta dalle varie normative di settore (sicurezza dei posti di lavoro, prevenzione incendi), nella specie l’attività svolta in sede di istruttoria della pratica, come dà correttamente atto il primo giudice, ha in sostanza e in definitiva escluso la necessità, per l’immobile oggetto di piano di recupero, di dotarsi di un siffatto impianto-scala, per cui non è possibile la trasposizione del maggior volume che la scala occuperebbe in favore della costruzione di un quinto piano oltre i quattro piani e il piano terra previsti dall’unità minima d’intervento n. 5.
Non potendosi giovare della norma di favore sopra illustrata, il progettato intervento, come autorizzato, finirebbe con l’’usufruire di una volumetria eccedente quella massima prevista dal Piano di recupero ( 4645,95 mc) nella misura di 245,06 mc, per altro non consentita.
Di qui l’intervento tutorio a ripristino della situazione di fatto e di diritto contemplata dalla disciplina recata dal Piano di Recupero.
Altre critiche qua e là pure formulate con il gravame all’esame vengono considerate assorbite perché o logicamente riconducibili alle categorie di censure passate in rassegna oppure genericamente dedotte e in ogni caso non rilevanti ai fini della denunciata invalidità degli atti impugnati.
Per quanto sopra esposto, l’appello, in ragione della sua non fondatezza , va respinto.
Le spese e competenze del presente grado del giudizio seguono la regola della soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.