Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2014-04-22, n. 201402027

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2014-04-22, n. 201402027
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201402027
Data del deposito : 22 aprile 2014
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 05396/2013 REG.RIC.

N. 02027/2014REG.PROV.COLL.

N. 05396/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5396 del 2013, proposto dalla società Cooperativa La Colonna, rappresentata e difesa dall'avv. L M, con domicilio eletto l’avv. presso Gian M Grez in Roma, corso Vittorio Emanuele II, 18;

contro

Comune di Gavorrano, Responsabile del Settore Politiche ed Economia del Territorio del Comune di Gavorrano, rappresentati e difesi dall'avv. R F, con domicilio eletto presso l’avv. Gian M Grez in Roma, corso Vittorio Emanuele II, 18;

per la riforma della sentenza del T.A.R. TOSCANA – FIRENZE, SEZIONE III, n. 00801/2013, resa tra le parti, concernente ordine di ripristino dello stato dei luoghi per opere edilizie realizzate in assenza di titolo abitativo;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Gavorrano e del Responsabile del Settore Politiche ed Economia del Territorio del medesimo Comune;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 11 marzo 2014 il Cons. Gabriella De M e uditi per le parti gli avvocati Maccari e Fazzi;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:


FATTO e DIRITTO

Con sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana, sez. III, n. 801/13 del 15.5.2013, notificata il 4.6.2013, è stato respinto il ricorso proposto dalla società cooperativa La Colonna avverso l’ingiunzione di ripristino dello stato dei luoghi n. 25/2012, riferita ad una struttura metallica fissa, posta al servizio dell’attività di ristorazione svolta dalla citata società, con realizzazione di uno spazio chiuso di 80 mq., non assimilabile alla temporanea installazione di una tettoia, come già illustrato dall’Amministrazione nella fase istruttoria del provvedimento repressivo, aperto ad una fase partecipativa dei soggetti interessati. Le opere in questione, pertanto, non avrebbero potuto ritenersi assentite, né risulterebbero espressione di attività edilizia libera, essendo stato realizzato un vero e proprio vano chiuso e non un mero pergolato.

Avverso la predetta sentenza è stato proposto l’atto di appello in esame (n. 5396/13, notificato il 6.7.2013), sulla base dei seguenti motivi di gravame:

1) erronea valutazione delle ragioni di fatto e di diritto, sottostanti al rigetto della censura di violazione dell’art. 29 del d.P.R. n. 380/2001, nonché degli articoli 129 e 132 della legge regionale n. 1/2005, dell’art. 1 della legge n. 241/1990 e della legge n. 689/1981, potendo essere ritenuti responsabili delle violazioni in materia edilizia solo il titolare del permesso di costruire, il committente, il costruttore ed il direttore dei lavori, non anche chi, come la società cooperativa La Colonna, sia mera affittuaria dei locali, non assoggettabile a sanzione amministrativa in quanto non esecutrice delle opere;

2) eccesso di potere per carenza di istruttoria, travisamento dei fatti, difetto di motivazione, perplessità, essendo la struttura contestata coincidente con altra, a suo tempo oggetto di autorizzazione temporanea, di modo che le opere edilizie sanzionate sarebbero state erroneamente qualificate nella sentenza appellata, per quanto riguarda l’epoca della relativa realizzazione, il soggetto responsabile ed il proprietario del suolo;

3) violazione degli articoli 7 e 10 della legge n. 241/1990, poichè la rilevata, omessa rimozione delle strutture temporanee avrebbe potuto essere oggetto di contestazione nei confronti dell’autore dell’abuso e non anche di un soggetto estraneo;

4) violazione degli articoli 31 del d.P.R. n. 380/2001 e 132 della legge regionale n. 1/2005, con riferimento all’art. 80 della medesima legge, per erronea valutazione delle caratteristiche delle opere e del tempo della relativa realizzazione, essendo le stesse coincidenti con quelle assentite nel 2000 e nel 2001, ritenute stabili solo perché non rimosse;

5) erronea determinazione delle spese di lite, in quanto il criterio della soccombenza avrebbe imposto l’individuazione dell’Amministrazione evocata in giudizio come soggetto obbligato alla refusione delle spese, non risultando peraltro la ricorrente “iscrivibile in nessuna delle qualificazioni giuridiche indicate negli articoli 29 del d.P.R. n. 380/2001, 29 e 132 della L.R.T. n. 1/2005”.

Il Comune di Gavorrano, costituitosi in giudizio, prospettava articolate controdeduzioni alle singole prospettazioni difensive dell’appellante, chiedendo il rigetto dell’impugnativa.

Premesso quanto sopra, il Collegio ritiene che l’appello non possa trovare accoglimento.

Non appare infatti condivisibile, in primo luogo, la prospettata coincidenza delle opere contestate con un preesistente pergolato (definito “struttura leggera” e “a carattere precario”), per la cui installazione erano state rilasciate, nel 2000 e nel 2001, autorizzazioni provvisorie a carattere stagionale, comunque scadute e non rinnovate, con constatato ripristino dello stato dei luoghi il 21.10.2010 (al termine di una prima vicenda sanzionatoria, avviata nei confronti del proprietario dell’immobile, signor M Ruggero e proseguita su indicazione dello stesso nei confronti dell’attuale appellante, cessionaria del ramo di azienda di bar-ristorante dal 31.12.2007). La struttura, resa oggetto del provvedimento ora in esame, risulta quindi rilevata per la prima volta in un verbale dei vigili del fuoco in data 22.8.2011, nonché in un successivo verbale di sopralluogo del responsabile comunale del settore Politiche ed Economia del Territorio in data 25.11.2011. Le caratteristiche del manufatto – puntualmente descritte nei verbali sopra citati e comprovate anche con documentazione fotografica – mostrano un locale interamente chiuso e recintato, idoneo ad un utilizzo continuativo, benchè realizzato con materiali di per sé smontabili e precari (scatolari in ferro, teli impermeabili, delimitazione esterna in canniccio), chiaramente identificabile, in base agli arredi, come sala interna di un ristorante, poiché coperta e interamente chiusa ai lati.

Detto locale – ove anche per lo stesso si fossero, in tutto o in parte, utilizzati gli stessi materiali del preesistente pergolato (circostanza, peraltro, negata dall’Amministrazione e sfornita di qualsiasi principio di prova) – non potrebbe comunque trarre titolo da autorizzazioni scadute quasi un decennio prima, con sicuramente intervenuto smontaggio e nuova realizzazione di un manufatto, che non appare strutturato per uso stagionale, con conseguente totale infondatezza – seguendo un ordine di priorità logica – del secondo ordine di censure, in cui si tenta di accreditare la coincidenza del manufatto sanzionato con quello in precedenza oggetto di autorizzazione, realizzato dal proprietario dell’immobile e poi asseritamente non smontato (circostanza, quest’ultima, smentita in fatto dal ricordato verbale del 21.10.2010). La normativa vigente in materia urbanistica d’altra parte, a conferma di un indirizzo giurisprudenziale già in precedenza consolidato, qualifica i lavori edilizi in funzione non della qualità dei materiali e della smontabilità dei manufatti, ma della destinazione degli stessi al soddisfacimento di esigenze durevoli, tali da implicare una reale trasformazione del territorio: è considerata “nuova costruzione”, in tale ottica, la “installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati e di strutture di qualsiasi genere, quali roulottes, campers, case mobili, imbarcazioni, che siano utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili e che non siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee” (art. 3, comma 1, lettera e), punto 5 del d.P.R. 6.6.2001, n. 380: Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia ). Nel caso di specie, la stabile destinazione del locale ristorante di cui trattasi è confermata da un nuovo atto di cessione dell’azienda, intervenuto in data 30.10.2012, in quanto la società cedente – già raggiunta dal provvedimento sanzionatorio impugnato – rendeva edotta la cessionaria di tale circostanza, nonché della correlativa possibilità che, in caso di denegato annullamento dell’atto in sede giurisdizionale, venisse ridotta “la capacità recettiva del ramo di azienda”, con corrispondente, già pattuito abbattimento della rata mensile. Tanto basta, con ogni evidenza, per escludere i profili di eccesso di potere per carenza di istruttoria, travisamento dei fatti, difetto di motivazione e perplessità, riferiti a presunta non assoggettabilità della cooperativa La Colonna a sanzione per abuso edilizio, con riferimento ad un’opera che la stessa definisce a carattere precario ed eseguita da altri, mentre tali circostanze risultano puntualmente smentite sul piano fattuale.

Tenuto conto di quanto già rappresentato, appare evidentemente infondata anche la prima censura, in cui la società appellante contesta la propria legittimazione passiva in ordine alla misura repressiva impugnata, emessa dall’Amministrazione comunale il 14.3.2012 e notificata il 16.3.2012. Posto, infatti, che i presupposti di legittimità dei provvedimenti amministrativi debbono essere verificati in base alla situazione di fatto e di diritto, sussistente alla data della relativa emanazione, nessun dubbio appare prospettabile su detta legittimazione passiva, risultando la società cooperativa La Colonna titolare della detenzione qualificata del bene alla data di emanazione dell’atto impugnato (in quanto cessionaria dal 2007 del ramo di azienda, inerente all’attività di ristorazione svolta nei locali di cui trattasi), con presumibile effettuazione dei lavori abusivi – in base ai ricordati verbali di sopralluogo successivi al 2010 – a cura della stessa (non essendo ragionevolmente individuabili alternative, una volta esclusa l’identificabilità del nuovo manufatto con il pergolato, oggetto di autorizzazione stagionale nel 2000 e nel 2001). Le norme sanzionatorie si riferiscono, d’altra parte, non all’”autore”, ma al “responsabile” dell’abuso, tale dovendo intendersi non solo l’esecutore materiale, ma anche il proprietario o chi – avendo la disponibilità del bene, al momento dell’emissione della misura repressiva – possa consentire, o meno, la permanenza sul territorio di opere senza titolo, che hanno carattere di illecito permanente, a cui sul piano urbanistico-edilizio (non anche su quello della responsabilità penale) corrisponde un’esigenza di rimessa in pristino, che l’Amministrazione è tenuta a far valere nei confronti dei soggetti in grado di operare in tal senso, fatte salve le eventuali azioni di rivalsa di questi ultimi, ove estranei all’abuso, nei confronti degli esecutori materiali, sulla base dei rapporti interni intercorsi (cfr. anche, per il principio, Cons. St., sez. V, 8.6.1994, n. 614 e Consiglio Giust. Amm. Sic. 29.7.1992, n. 229). Nella situazione in esame, per quanto già in precedenza illustrato, il provvedimento risulta emesso, in data 14.3.2012, nei confronti del responsabile dell’abuso (oltre che unico ipotizzabile esecutore materiale dei lavori) e deve quindi ritenersi legittimamente adottato, anche se il successivo subentro nella detenzione del bene, in data 30.10.2012, di altro soggetto cessionario del ramo di azienda rende necessario estendere a quest’ultimo (P.E.M. di Colonnesi Paola &
C. s.n.c.) la notifica della misura repressiva.

Sembra quasi inutile sottolineare, in rapporto a quanto rappresentato, l’infondatezza delle prospettate censure di violazione di legge, risultando inconferente il richiamo all’art. 29 del d.P.R. n. 380/2001 (responsabilità del titolare del permesso di costruire, del committente, del costruttore e del direttore dei lavori, nonché anche del progettista per le opere subordinate a denuncia di inizio attività ), trattandosi nella fattispecie di opere eseguite senza titolo ed essendo a tali opere applicabile l’art. 31 del medesimo d.P.R., al cui contenuto corrisponde puntualmente l’art. 132 della legge regionale n. 1/2005 ( Norme per il governo del territorio della Regione Toscana ), con conseguenze sanzionatorie poste appunto a carico del “responsabile dell’abuso” (con possibile esonero da responsabilità, come chiarito dalla giurisprudenza, solo in rapporto all’acquisizione gratuita dell’area di sedime, per il proprietario estraneo all’abuso e privo della disponibilità del bene per ottemperare all’ordine di demolizione).

Le argomentazioni svolte consentono di rilevare l’infondatezza di ogni ulteriore censura prospettata: la terza, in quanto riferita ancora al presunto difetto di legittimazione passiva della società appellante, asseritamente estranea all’abuso (in contrasto con la ricostruzione dei fatti in precedenza riportata);
la quarta, poiché ancorata alla presunta coincidenza delle opere contestate con quelle autorizzate nel 2000 e nel 2001 (mentre è già stato illustrato come costituisse insuperabile differenza, anche al di là di innegabili differenze oggettive, la destinazione stabile e non più stagionale del manufatto);
la quinta perchè riferita ad erronea determinazione delle spese di lite, sempre sul presupposto (già ritenuto erroneo) secondo cui l’appellante non avrebbe potuto essere destinataria della misura sanzionatoria e non potesse, quindi, considerarsi parte soccombente in giudizio.

Conclusivamente, l’appello non può pertanto che essere respinto;
le spese giudiziali, a carico della citata società cooperativa La Colonna, vengono liquidate nella misura di €. 3.000,00 (euro tremila) per il presente grado di giudizio.

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