Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2012-03-16, n. 201201488
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Testo completo
N. 01488/2012REG.PROV.COLL.
N. 05605/2009 REG.RIC.
N. 07154/2011 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sui seguenti ricorsi in appello:
1) nr. 5605 del 2009, proposto dalla ASSOCIAZIONE COMUNITÀ ISLAMICA DEL TRENTINO ALTO ADIGE, in persona del legale rappresentante
pro tempore,
rappresentata e difesa dagli avv.ti P S R e A L, con domicilio eletto presso il primo in Roma, viale G. Mazzini, 11,
contro
HOTEL CAPITOL del geom. BORT G S.a.s., in persona del legale rappresentante
pro tempore,
rappresentata e difesa dagli avv.ti Arturo Giuliano e Luigi Manzi, con domicilio eletto presso quest’ultimo in Roma, via F. Confalonieri, 5,
nei confronti di
- COMUNE DI TRENTO, in persona del Sindaco
pro tempore,
rappresentato e difeso dall’avv. P S R, con domicilio eletto presso lo stesso in Roma, viale G. Mazzini, 11;
- MUSIC CENTER S.p.a., in persona del legale rappresentante
pro tempore,
non costituita;
2) nr. 7154 del 2011, proposto dalla ASSOCIAZIONE COMUNITÀ ISLAMICA DEL TRENTINO ALTO ADIGE, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti P S R, A L e Marco Dalla Fior, con domicilio eletto presso il primo in Roma, viale G. Mazzini, 11,
contro
- i signori Pierluigi VARESCO, Alberta SCHMIDT e Afrim CERRIKU, rappresentati e difesi dall’avv. Francesco Paolantonio, con domicilio eletto presso l’avv. Angelo Clarizia in Roma, via Principessa Clotilde, 2;
- i signori Luigi CAPELLI e, Massimiliano GILLI, non costituiti;
nei confronti di
- COMUNE DI TRENTO, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv.ti P S R ed Elena Stella Richter, con domicilio eletto presso quest’ultima in Roma, viale G. Mazzini, 11;
- MUSIC CENTER S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita;
per la riforma,
previa sospensiva,
quanto al ricorso n. 5605 del 2009:
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale del Trentino Alto Adige nr. 150/2009 pubblicata in data 7 maggio 2009, non notificata, con la quale è stato disposto l’accoglimento del ricorso nr. 218/08 proposto dall’Hotel Capitol del geom. B G S.a.s. per l’annullamento della D.I.A. nr. 31046/2008 di data 13 marzo 2008, nonché del silenzio significativo formatosi su di essa e della nota prot. 123450 di data 3 novembre 2008, con la quale il Comune di Trento ha ribadito il proprio rifiuto ad esercitare poteri repressivi in autotutela ex art. 21 nonies della legge 7 agosto 1990, nr. 241;
quanto al ricorso n. 7154 del 2011:
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale del Trentino Alto Adige nr. 169/2011, pubblicata in data 9 giugno 2011, resa nel ricorso nr. 92/2011, con la quale è stato accolto il ricorso proposto dai signori P V, L C, M G, A S e A C nei confronti del Comune di Trento e della società Music Center S.p.a. per l’annullamento della D.I.A. prot. 2010 0105457 di data 30 agosto 2010, fascicolo nr. 15315/2010, presentata dall’Associazione Islamica appellante, e del relativo silenzio serbato dall’Amministrazione comunale nonché degli atti presupposti, connessi e consequenziali e, in particolare, del provvedimento di sanatoria per opere edilizie di data 9 agosto 2010, nr. 96987.
Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Hotel Capitol del geom. B G S.a.s., del Comune di Trento e degli appellati signori P V, A S e A C;
Visti gli appelli incidentali proposti dal Comune di Trento in entrambi i giudizi, nonché gli appelli incidentali proposti dalla appellata Hotel Capitol S.a.s. (nel giudizio nr. 5605 del 2009) e dagli appellati signori V, S e C (nel giudizio nr. 7154 del 2011);
Viste le memorie prodotte dalla appellante (in data 24 gennaio 2012 nel giudizio nr. 5605 del 2009 e in data 12 gennaio 2012 nel giudizio nr. 7154 del 2011), dal Comune di Trento (in date 4 e 24 gennaio 2012 nel giudizio nr. 7154 del 2011), dalla Hotel Capitol S.a.s. (in date 26 settembre 2009 e 13 gennaio 2012 nel giudizio nr. 5605 del 2009) e dai signori V, S e C (in date 28 ottobre 2011, 13 e 24 gennaio 2012 nel giudizio nr. 7154 del 2011) a sostegno delle rispettive difese;
Viste le ordinanze di questa Sezione nr. 4764 del 29 settembre 2009, con la quale è stata respinta la domanda incidentale di sospensione dell’esecuzione della prima sentenza, e nr. 4854 del 4 novembre 2011, con la quale è stata invece accolta l’istanza di sospensiva della seconda sentenza;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore, all’udienza pubblica del giorno 14 febbraio 2012, il Consigliere Raffaele Greco;
Uditi l’avv. P S R per la appellante, l’avv. Manzi per Hotel Capitol S.a.s. e l’avv. Paolantonio per i signori V, S e C;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
I – L’Associazione Comunità Islamica del Trentino Alto Adige ha impugnato, chiedendone la riforma previa sospensiva, la sentenza con la quale il T.R.G.A. di Trento, accogliendo il ricorso proposto dalla società Hotel Capitol del geom. B G S.a.s., ha dichiarato l’illegittimità di una D.I.A. presentata al Comune di Trento dalla società Music Center S.p.a. per la ristrutturazione di un immobile (poi acquistato dall’associazione istante) con cambio di destinazione d’uso da deposito a centro culturale religioso.
L’appello è stato affidato ai seguenti motivi:
1) violazione e in ogni caso erronea applicazione degli artt. 3, 4 e 21 della legge 6 dicembre 1971, nr. 1034 (in relazione alla inammissibilità dell’impugnativa di una D.I.A., trattandosi di atto privato e non di provvedimento);
2) violazione ed erronea applicazione degli artt. 66 e 69 delle N.T.A. del P.R.G. di Trento (in relazione all’avviso espresso dal T.R.G.A. secondo cui l’edificio realizzato configurerebbe una struttura religiosa, come tale incompatibile con la destinazione di zona);
3) violazione e in ogni caso erronea applicazione degli artt. 90 e 106 della legge provinciale 5 settembre 1991, nr. 22 (in relazione alla ritenuta insufficienza delle opere di urbanizzazione).
Si è costituita l’appellata Hotel Capitol S.a.s. la quale, oltre a replicare alle doglianze di parte appellante principale, assumendone l’infondatezza e chiedendone la reiezione, ha proposto appello incidentale riproponendo come segue le censure rimaste assorbite in primo grado:
i) violazione dell’art. 73 della l.p. nr. 22 del 1991;falsa applicazione dell’art. 24 delle N.T.A., difetto dei presupposti e d’istruttoria, erronea rappresentazione dei fatti, travisamento dei fatti (in relazione all’insufficienza dei parcheggi esistenti);
ii) violazione dell’art. 35 della legge provinciale 4 marzo 2008, nr. 1;eccesso di potere per difetto di istruttoria, manifesta contraddittorietà e illogicità, omessa motivazione (in relazione all’insufficienza della strada di accesso all’immobile);
iii) inosservanza dell’art. 91 bis della l.p. nr. 22 del 1991 e dell’art. 106 della l.p. nr. 1 del 2008;difetto dei presupposti (in relazione all’illegittimità dell’atto di voltura della D.I.A.);
iv) inosservanza dell’art. 91 bis della l.p. nr. 22 del 1991 e dell’art. 106 della l.p. nr. 1 del 2008 in relazione agli artt. 88 e 101 della stessa l.p. nr. 1 del 2008;difetto dei presupposti e d’istruttoria, travisamento dei fatti (in relazione alla carenza del certificato di prevenzione incendi);
v) inosservanza dell’art. 91 bis della l.p. nr. 22 del 1991 e dell’art. 106 della l.p. nr. 1 del 2008;difetto dei presupposti (in relazione al mancato rispetto dei termini di legge in materia di D.I.A.);
vi) violazione e omessa applicazione dell’art. 21 nonies della legge 7 agosto 1990, nr. 241, in relazione all’art. 19 della stessa legge;eccesso di potere per omessa istruttoria, travisamento dei fatti, manifesta illogicità, irragionevolezza, carenza di motivazione (in relazione all’illegittimità del rifiuto del Comune di intervenire in autotutela sulla D.I.A. presentata dall’Associazione Comunità Islamica).
La medesima sentenza del T.R.G.A. trentino è stata poi impugnata anche dal Comune di Trento, nelle forme dell’appello incidentale, sulla scorta di un unico motivo incentrato sull’erronea applicazione della normativa vigente in materia di mutamenti di destinazione d’uso senza opere (come quello per cui è causa).
Alla camera di consiglio del 29 settembre 2009, questa Sezione ha respinto la domanda incidentale di sospensione dell’esecuzione della sentenza appellata.
Le parti hanno affidato a memorie l’ulteriore svolgimento delle rispettive tesi e, in particolare, la Hotel Capitol S.a.s. ha eccepito l’improcedibilità dell’appello principale per sopravvenuta carenza di interesse (con riferimento all’ulteriore condotta tenuta dalla Associazione appellante di cui a diverso giudizio).
II – La medesima Associazione Comunità Islamica del Trentino Alto Adige ha successivamente impugnando, chiedendone anche in questo caso la riforma previa sospensiva, un’altra sentenza del T.R.G.A. di Trento, con la quale è stato accolto il ricorso proposto da alcuni residenti in frazione Gardolo del Comune di Trento (signori P V e altri) avverso gli atti successivi al precedente giudizio che aveva visto coinvolta la suddetta Associazione, e cioè il provvedimento comunale di parziale sanatoria delle opere edilizie già realizzate e la nuova D.I.A. presentata in relazione all’immobile de quo.
A sostegno dell’appello, parte istante ha dedotto violazione, e in ogni caso erronea applicazione, di legge con riferimento agli artt. 36 e 69 delle N.T.A. del P.R.G., variante del 2004 (in relazione alla ritenuta incompatibilità urbanistica anche del nuovo progetto assentito dal Comune).
Anche il Comune di Trento ha impugnato la predetta sentenza nelle forme dell’appello incidentale, deducendo:
1) violazione dell’art. 6 del d.l. 13 agosto 2011, nr. 138, convertito in legge 14 settembre 2011, nr. 148 (trattandosi di norma di interpretazione autentica, in quanto tale retroattiva, che comporta l’inammissibilità dell’impugnazione di primo grado);
2) violazione, e in ogni caso erronea applicazione, di legge con riferimento agli artt. 36 e 69 delle N.T.A. del P.R.G., variante del 2004;erroneità, contraddittorietà e illogicità della motivazione (censura sostanzialmente sovrapponibile a quella articolata con l’appello principale).
Si sono costituiti, per resistere all’appello, i ricorrenti in primo grado signori P V, A S e Afrim C i quali, oltre ad argomentare a sostegno dell’infondatezza delle altre impugnazioni, hanno riproposto come segue i motivi rimasti assorbiti nella sentenza gravata:
i) violazione di legge per inosservanza dell’art. 73 della l.p. nr. 22 del 1991;violazione e falsa applicazione dell’art. 24 delle N.T.A. del P.R.G., variante del 2004;eccesso di potere per difetto dei presupposti e di istruttoria, per erronea rappresentazione della realtà, per travisamento dei fatti e per manifesta illogicità e irragionevolezza;omessa motivazione (in relazione all’insufficienza dei parcheggi);
ii) violazione di legge per inosservanza dell’art. 38, comma 2 bis, delle N.T.A. del P.R.G.;eccesso di potere per manifesta contraddittorietà e illogicità;omessa motivazione (in relazione all’insufficienza della viabilità di accesso all’immobile);
iii) violazione di legge per inosservanza dell’art. 91 bis della l.p. nr. 22 del 1991 e dell’art. 106 della l.p. nr. 1 del 2008;eccesso di potere per difetto dei presupposti e di istruttoria;omessa motivazione (in relazione alla carenza di legittimazione alla D.I.A. in capo alla Associazione odierna appellante).
Inoltre, gli appellati hanno a loro volta impugnato in via incidentale la sentenza del T.R.G.A. di Trento, con riferimento alle censure di primo grado in essa disattese, relative alla pretesa legittimità del provvedimento di sanatoria di parte delle opere edili realizzate in esecuzione della prima D.I.A. (poi annullata dalla precedente sentenza del T.R.G.A.);con lo stesso atto, sono stati reiterati “ per tuziorismo defensionale ” gli ulteriori motivi di primo grado non esaminati:
iv) violazione di legge per inosservanza degli artt. 90 e 106 della l.p. nr. 22 del 1991;eccesso di potere per difetto dei presupposti e di istruttoria, per manifesta illogicità e contraddizione, per travisamento dei fatti, omessa motivazione (in relazione all’insufficienza delle opere di urbanizzazione esistenti in loco );
v) violazione di legge per inosservanza degli artt. 111 della l.p. nr. 22 del 1991 e 117 della l.p. nr. 1 del 2008 e dell’art. 69 delle N.T.A. al P.R.G.;eccesso di potere per difetto dei presupposti e di istruttoria, per travisamento dei fatti e per manifesta illogicità e ingiustizia;omessa ed erronea motivazione (in relazione alla necessità di concessione edilizia, non bastando la D.I.A. per gli interventi richiesti);
vi) violazione di legge per inosservanza dell’art. 73 della l.p. nr. 22 del 1991;violazione e falsa applicazione dell’art. 24 delle N.T.A. del P.R.G., variante del 2004;eccesso di potere per difetto dei presupposti e di istruttoria, per erronea rappresentazione della realtà, per travisamento dei fatti e per manifesta illogicità e irragionevolezza;omessa motivazione (ancora in relazione all’insufficienza dei parcheggi);
vii) violazione di legge per inosservanza dell’art. 38, comma 2 bis, delle N.T.A. del P.R.G.;eccesso di potere per manifesta contraddittorietà e illogicità;omessa motivazione (ancora in relazione all’insufficienza della viabilità);
viii) violazione di legge per inosservanza dell’art. 91 bis della l.p. nr. 22 del 1991 e dell’art. 106 della l.p. nr. 1 del 2008;eccesso di potere per difetto dei presupposti e di istruttoria;omessa motivazione (ancora in relazione alla carenza di titolo alla D.I.A. in capo alla Associazione istante).
Alla camera di consiglio del 4 novembre 2011, questa Sezione ha accolto la domanda di sospensione dell’esecuzione della sentenza impugnata e ha contestualmente fissato l’udienza di trattazione del merito.
III – All’udienza del 14 febbraio 2012, entrambe le cause sono state trattenute in decisione.
DIRITTO
1. In via del tutto preliminare, va disposta la riunione degli appelli ai sensi dell’art. 98 cod. proc. amm., trattandosi di impugnazioni le quali, ancorché formalmente aventi a oggetto due sentenze diverse, concernono un’unica vicenda amministrativa e sono quindi palesemente connesse.
2. L’odierna appellante, Associazione Comunità Islamica del Trentino Alto Adige, ha per statuto quale propria finalità quella di operare per l’integrazione culturale e sociale degli immigrati di fede musulmana nel tessuto locale, costituendo pertanto punto di riferimento di una comunità islamica fra le più popolose sul territorio nazionale.
A causa dello svilupparsi e del diffondersi della sua attività, essa ha ritenuto necessario dotarsi di una sede più ampia di quella preesistente, e per questo ha stipulato un contratto preliminare di acquisto di un immobile sito in località Gardolo del Comune di Trento, adibito a deposito e appartenente alla società Music Center S.p.a.;quest’ultima ha nel frattempo presentato al Comune una D.I.A. (poi volturata a favore della Associazione istante a seguito del perfezionarsi della cessione) per mutamento di destinazione d’uso comportante la trasformazione del deposito in “ centro culturale e religioso ”.
Avverso l’attività edificatoria così avviata è insorta la società Hotel Capitol del geom. B G S.a.s., proprietaria di immobile limitrofo, con un ricorso che il T.R.G.A. di Trento ha accolto con la prima delle due sentenze qui appellate.
In estrema sintesi, il primo giudice ha ritenuto che le opere realizzate comportassero in realtà la trasformazione dell’edificio in luogo di culto, come evincibile dalla previsione in progetto di un’ampia sala (circa mq 220) nella quale era presente una nicchia ( mihrab ) orientata verso la Mecca, di modo che quella che formalmente era definita come “ sala riunioni dedicata ai fedeli ” era in realtà una Moschea;ciò che comportava l’assoggettamento dell’intervento all’art. 69 del vigente P.R.G., che ammette la realizzazione degli edifici di culto in zone a destinazione AR (“ attrezzature religiose esclusi i conventi ”), laddove l’area interessata dalla D.I.A. era normata ad “ uso prevalentemente residenziale ”.
Pur avendo proposto avverso la predetta sentenza l’appello oggi all’esame della Sezione, nel periodo successivo, dopo la reiezione dell’istanza cautelare contestualmente formulata, l’Associazione istante ha ritenuto di adeguare il progetto e le opere realizzate alle statuizioni del T.R.G.A.: pertanto, ha parzialmente demolito le opere ritenute incompatibili con la destinazione urbanistica dell’area mentre per la parte residua di quanto già realizzato ha chiesto e ottenuto dal Comune un’apposita sanatoria, procedendo poi a presentare una nuova D.I.A. con progetto opportunamente modificato (in particolare, la grande sala è stata eliminata, venendo frazionata in una pluralità di sale, così come è stato eliminato il mihrab ).
Tuttavia anche questi nuovi atti sono stati oggetto di impugnazione, stavolta da parte di un gruppo di residenti, ed anche tale secondo ricorso è stato accolto: in questo caso il T.R.G.A., pur confermando il venir meno della natura di luogo di culto di quanto progettato e realizzato, ha però ritenuto che in ogni caso l’intervento ricadesse nella previsione dell’art. 69 delle N.T.A., che prescrive una specifica destinazione G (“ servizi di quartiere ”) per la realizzazione di “ centri civici, culturali e ricreativi ”, nei quali ricadrebbe l’immobile realizzato;di conseguenza neanche in questo caso si potrebbe fare riferimento ai “ servizi alla residenza ” ammessi dal precedente art. 36 nelle aree a destinazione residenziale.
Anche tale ulteriore sentenza è stata impugnata dalla Associazione istante, col secondo dei due appelli qui riuniti.
3. Tutto ciò premesso, va preliminarmente esaminata l’eccezione di improcedibilità del primo appello, per sopravvenuta carenza di interesse, sollevata dall’appellata Hotel Capitol S.a.s. con la propria memoria conclusionale;si assume, in sostanza, che la condotta della Associazione Comunità Islamica, la quale si è adeguata al decisum del primo giudice modificando il progetto dell’intervento e attivando una nuova sequenza procedimentale presso l’Amministrazione comunale, integrerebbe acquiescenza alla decisione di annullamento della prima D.I.A.
L’eccezione è infondata.
Al riguardo, è sufficiente richiamare la pacifica giurisprudenza per cui la spontanea esecuzione della pronuncia di primo grado di accoglimento di un petitum di annullamento, immediatamente esecutiva, non determina acquiescenza e non si configura come comportamento idoneo ad escludere la persistenza dell’interesse dell’appellante soccombente in primo grado alla reviviscenza degli atti stessi, che potranno dirsi definitivamente superati dai nuovi atti adottati dall’Amministrazione solo allorché le statuizioni della sentenza di primo grado siano a tal punto condivise e fatte proprie dall’Amministrazione stessa da configurare la conseguente attività da essa posta in essere non come mera esecuzione della sentenza medesima, ma come autonoma manifestazione del potere di autotutela all’Amministrazione pur sempre spettante in ordine ai suoi precedenti atti (cfr. ex plurimis Cons. Stato, sez. III, 25 novembre 2011, nr. 6259;Cons. Stato, sez. VI, 8 luglio 2011, nr. 4100;Cons. Stato, sez. IV, 22 marzo 2011, nr. 1757).
Nel caso di specie, non può affermarsi che l’Associazione appellante abbia implicitamente rinunciato al proprio appello per il solo fatto di non essersi limitata ad attendere l’esito dell’impugnazione proposta avverso la prima sentenza di annullamento, attivandosi invece medio tempore per rendere comunque utile e legittima l’attività edificatoria già intrapresa;tanto più che, dopo la reiezione dell’istanza di sospensione dell’esecuzione della sentenza sfavorevole, una eventuale inerzia totale avrebbe comportato il rischio di una demolizione integrale di quanto già realizzato.
4. Passando all’esame del merito, in ordine logico vanno prioritariamente esaminati i motivi, presenti in entrambi gli appelli qui riuniti, con i quali si reitera l’originaria eccezione di inammissibilità delle impugnative proposte avverso le due dichiarazioni di inizio attività presentate dalla Associazione odierna appellante, evocando la vexata quaestio – di recente affrontata dall’Adunanza Plenaria di questo Consiglio di Stato con la sentenza nr. 15 del 29 luglio 2011 – della natura giuridica della D.I.A. e dei rimedi a disposizione del terzo che se ne assuma leso.
Nel primo appello, per vero, viene parzialmente modificata la stessa prospettazione di primo grado, laddove l’Associazione si era limitata a eccepire la tardività dell’impugnazione della D.I.A., mentre oggi se ne sostiene sic et simpliciter la non impugnabilità in quanto atto privato (ciò che indurrebbe a dubitare della stessa ammissibilità del motivo, giusta il divieto di jus novorum di cui all’art. 104 cod. proc. amm.);nel secondo appello, la questione è sollevata nell’appello incidentale del Comune, laddove è invocata la norma sopravvenuta di cui all’art. 19, comma 6 ter, della legge 7 agosto 1990, nr. 241, come modificato dal d.l. 13 agosto 2011, nr. 138, convertito in legge 14 settembre 2011, nr. 148, che come noto contiene un’espressa affermazione circa il carattere non provvedimentale della D.I.A (oggi S.C.I.A.).
4.1. Principiando da quest’ultima questione, la Sezione osserva che esula totalmente dal presente giudizio il tema dell’impatto della nuova normativa da ultimo richiamata sui principi enunciati nella ricordata sentenza nr. 15 del 2011 dell’Adunanza Plenaria, essendo la novella del 2011 ratione temporis non applicabile alla vicenda per cui è causa.
In particolare, non può in alcun modo convenirsi con l’avviso dell’Amministrazione comunale, secondo cui la predetta novella integrerebbe un’ipotesi di interpretazione autentica, come tale destinata ad applicarsi anche retroattivamente.
Al riguardo, va richiamato il costante insegnamento della Corte costituzionale, secondo cui perché una norma possa dirsi di interpretazione autentica non è sufficiente che si sia in presenza di incertezze sull’applicazione di una disposizione o di contrasti giurisprudenziali e che la scelta imposta dalla legge rientri tra le possibili varianti di senso del testo originario, con ciò vincolando un significato ascrivibile alla norma anteriore (cfr. sentt. 11 giugno 2010, nr. 209, e 22 novembre 2000, nr. 525;in senso conforme, ex plurimis, sentt. 23 luglio 2002, nr. 374, e 4 febbraio 2003, nr. 26), ma occorre anche che siano rispettati una serie di limiti generali all’efficacia retroattiva delle leggi, che attengono alla salvaguardia, oltre che dei principi costituzionali, di altri fondamentali valori di civiltà giuridica posti a tutela dei destinatari della norma e dello stesso ordinamento, tra i quali vanno ricompresi il rispetto del principio generale di ragionevolezza che ridonda nel divieto di introdurre ingiustificate disparità di trattamento, la tutela dell’affidamento legittimamente sorto nei soggetti quale principio connaturato allo Stato di diritto, la coerenza e la certezza dell’ordinamento giuridico, il rispetto delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario (cfr. sent. 23 novembre 1994, nr. 397).
Nel caso che qui occupa, in disparte ogni approfondimento della portata della modifica introdotta nel 2011, è evidente che essa è suscettibile di essere intesa come opzione limitatrice degli strumenti di tutela, anche giurisdizionale, messi a disposizione del cittadino che si assuma leso dall’altrui attività edificatoria: di modo che non può assolutamente concludersi, in assenza di specifica indicazione sul punto, nel senso di una sua efficacia retroattiva.
4.2. Per quanto concerne invece la questione di tardività dell’originaria impugnazione della D.I.A. (ovvero della non impugnabilità in assoluto di essa), l’infondatezza della censura emerge dalla piana applicazione dei principi enunciati dall’Adunanza Plenaria nella più volte citata sentenza nr. 15 del 2011, alla stregua della quale il particolare meccanismo della D.I.A. comporta che ad essere impugnato da parte del terzo è il provvedimento tacito che si perfeziona con il mancato esercizio del potere di controllo e inibitorio attribuito all’Amministrazione alla scadenza del termine di legge (nella specie, 30 giorni a norma dell’art. 84 della legge provinciale 5 settembre 1991, nr. 22).
Ne discende che anche in questo caso trovano applicazione i comuni principi in tema di impugnazione del titolo ad aedificandum da parte del terzo, e quindi il consolidato indirizzo secondo cui la lesività di tale titolo può essere apprezzata dal vicino che se ne dolga esclusivamente alla data di ultimazione dei lavori, se solo in tale momento è consentito avere piena cognizione della esistenza e della entità delle violazioni edilizie, per cui a tale fine è insufficiente fare riferimento all’atto abilitativo o soltanto all’inizio dei lavori, incombendo, tra l’altro, la prova della eventuale tardività alla parte che la eccepisce (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 28 gennaio 2011, nr. 678;in termini, Cons. Stato, sez. IV, 27 maggio 2010, nr. 3378;id., 29 maggio 2009, nr. 3358;id., 31 luglio 2008, nr. 3849;id., 8 luglio 2002, n. 3805).
5. Superate le questioni preliminari, e concentrando l’attenzione sul merito dei due appelli principali, al Collegio pare opportuno premettere – prima ancora di esaminare le singole doglianze articolate dalle parti – che il presente contenzioso va inteso come strettamente inerente a problemi di compatibilità urbanistica degli interventi proposti dalla Associazione odierna appellante principale, senza alcun coinvolgimento della libertà di culto costituzionalmente garantita.
D’altra parte, le stesse parti ricorrenti in primo grado hanno sempre proclamato di non volere in alcun modo conseguire obiettivi limitativi di diritti fondamentali, di modo che è corretto ricondurre la presente controversia al noto indirizzo giurisprudenziale secondo cui anche gli edifici che si ipotizzi adibiti a luogo di culto (e di qualsiasi culto) devono rispettare la disciplina urbanistica stabilita dai Comuni nell’esercizio della propria potestà di conformazione del territorio (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 27 novembre 2010, nr. 8298;id., 27 luglio 2010, nr. 4915).
6. Principiando dal primo dei due appelli in epigrafe, e specificamente dal secondo e dal terzo motivo (il primo essendo stato già esaminato sub 4.2), lo stesso si appalesa infondato e va conseguentemente respinto.
Al riguardo, la situazione di fatto esaminata è del tutto analoga a quella su cui la Sezione è intervenuta in una precedente occasione, nella quale si è ritenuto che, malgrado la formale qualificazione dell’immobile assentito come sede di un’associazione religiosa, la destinazione di una superficie pari a circa la metà di quella complessiva a vasta sala multifunzionale con la presenza del mihrab orientato verso la Mecca disvelasse la reale destinazione dell’edificio a luogo di culto (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 28 gennaio 2011, nr. 683).
In quella circostanza, con affermazione che merita di essere qui testualmente riportata, si è rilevato che la peculiare suddivisione degli ambienti interni, con la presenza della predetta vasta sala e di altri ambienti molto più piccoli, “ rende palese, in termini quantitativi, la reale funzione svolta da quell’edificio, per cui non è sostenibile che la destinazione ad esercizio del culto rivesta un ruolo meramente secondario e non incida sulla principale destinazione dell’immobile ”.
In altri termini, agli effetti della corretta qualificazione dell’edificio ciò che rileva è la concreta destinazione che lo stesso è destinato ad avere sulla base di un esame degli elaborati progettuali nella loro completezza, e non già l’astratta configurabilità o meno dell’immobile come “Moschea” nel senso esatto del termine, ossia come edificio “santificato”, considerato la casa di Allah sulla terra e di solito decoroso anche da un punto di vista estetico;laddove nella pratica del culto islamico, come la stessa appellante sottolinea, esistono anche luoghi di preghiera “non santificati”, presenti all’interno di numerosi edifici pubblici, ove i membri della comunità musulmana si riuniscono per eseguire le loro preghiere congregazionali.
Va anche precisato, alla stregua della pregressa giurisprudenza della Sezione, che l’inserimento di un’area in zona per la quale lo strumento urbanistico prevede la destinazione a “ residenza ”, “ attività terziarie e ricettive ” ed altre consimili, ma non anche ad attrezzature “ pubbliche ” o “ collettive ”, non consente che nella zona possa essere realizzato un edificio di culto, in quanto esso rientra tra le attrezzature “ pubbliche ” o “ collettive ”, per la cui realizzazione devono essere riservate adeguate aree, individuate in sede di formazione degli strumenti urbanistici generali (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 14 dicembre 2004, nr. 8026).
Ne discende, con riguardo al caso che qui occupa, che del tutto corretta risulta l’impostazione del primo giudice, il quale ha ricondotto l’intervento, per ciò che esso costituiva nella sostanza, alla previsione dell’art. 69 delle N.T.A. anziché a quella dell’art. 36, relativa ai “ servizi alla residenza ” (ossia a quelle attività associative, sindacali, politiche, religiose etc. destinate a integrarsi con il contesto residenziale).
7. Sempre con riguardo al primo dei giudizi qui riuniti, è infondato anche l’appello del Comune di Trento nella parte in cui si assume che l’intervento di cui alla D.I.A. originaria non integrava un mutamento di destinazione d’uso giuridicamente rilevante in base alla vigente normativa nazionale e locale.
Ed invero, è evidente che la trasformazione di un magazzino in locale da adibire a sede di un’associazione religiosa (lasciando in disparte, in questa sede, l’ulteriore trasformazione de facto in luogo di culto) comporta un mutamento tra categorie urbanistiche non omogenee, ossia da uso industriale-commerciale ad attrezzature o servizi, e quindi a una modifica essenziale secondo i comuni principi.
Ciò è evidente alla stregua dell’art. 19 della già citata legge provinciale nr. 22 del 1991, con il quale il legislatore provinciale, nel disciplinare i contenuti del P.R.G. esercitando la propria potestà normativa in materia, ha espressamente e specificamente dedicato distinte previsioni alle aree a destinazione industriale o commerciale (comma 2, lettera d ) ed a quelle destinate ad “ attrezzature religiose ” (comma 2, lettera m ).
8. L’accertata infondatezza, per le ragioni sin qui evidenziate, degli appelli dell’Associazione e del Comune comporta come conseguenza l’improcedibilità, per difetto di interesse, dell’appello incidentale con il quale l’originaria ricorrente ha riproposto le doglianze non esaminate dal giudice di prime cure.
9. Passando ora all’esame del secondo appello, questo è invece fondato e pertanto meritevole di accoglimento.
10. Anche in questo caso, prima di approfondire i singoli profili di doglianza, s’impone una considerazione di ordine generale.
Infatti, dalla lettura della sentenza oggetto della seconda impugnazione emerge che il T.R.G.A., esaminando la nuova D.I.A. presentata dall’Associazione Comunità Islamica e il progetto ad essa allegato, ha condiviso l’impostazione di parte intimata secondo cui in tale seconda fase doveva escludersi che l’immobile a realizzarsi integrasse in realtà un edificio di culto, essendo stati eliminati sia la grande sala che il mihrab (cfr. le pagg. 6 e 8 della sentenza appellata);discendendo dunque chiaramente da ragioni diverse l’accoglimento del ricorso proposto dai signori V e altri avverso i nuovi atti.
Orbene, nel “ controricorso ” con cui si sono costituiti in appello gli originari ricorrenti argomentano diffusamente a sostegno della perdurante natura di luogo di culto dell’immobile anche sulla base del progetto modificato (pagg. 11 e segg.), senza però che la questione, come esaminata dal primo giudice, formi oggetto di specifici motivi nell’appello incidentale che gli appellati pure hanno proposto.
Ne consegue che sul punto relativo alle caratteristiche dell’immobile quali evincibili dal progetto allegato alla seconda D.I.A. non è più possibile ulteriore discussione, essendosi formato il giudicato su quanto ritenuto dal primo giudice nel senso sopra precisato (tutt’altra questione essendo – è banale precisarlo – quella di eventuali difformità dal progetto in sede esecutiva, in ipotesi tali da far riemergere le caratteristiche che avevano in un primo momento indotto a qualificare l’immobile come luogo di culto, e che però andranno fatte constare in diversa sede).
11. Ciò premesso, così come anticipato in fase cautelare, vanno condivise e accolte le censure articolate sia dalla parte appellante privata che dall’Amministrazione comunale in ordine all’assunto del primo giudice secondo cui l’intervento per cui è causa, anche dopo le sostanziali modifiche progettuali di cui si è detto (delle quali lo stesso T.R.G.A. ha preso atto al punto da condividere l’opinione per cui esse ne hanno fatto venir meno la natura di luogo di culto), sarebbe pur sempre riconducibile alla previsione di cui all’art. 69 delle N.T.A., e quindi non eseguibile in area a destinazione residenziale.
In questo caso, tale opinione si fonda sulla riconducibilità dell’immobile come progettato alla nozione di “ centro culturale ”, in quanto tale rientrante, per espressa previsione delle N.T.A., fra i “ servizi di quartiere ” e non fra i “ servizi alla residenza ”.
La Sezione reputa che tale conclusione si fondi su una forzatura interpretativa, e cioè sulla sovrapposizione della nozione di “ centro culturale ” al caso di un immobile che contenga semplicemente la sede di una associazione culturale (o, che è lo stesso, religiosa).
Ed invero, la nozione di “ centro culturale ” dal punto di vista urbanistico configura un’opera di interesse collettivo, ossia una categoria logico-giuridica certamente distinta rispetto a quella delle opere pubbliche in senso stretto, ma che tuttavia comprende quegli impianti ed attrezzature che, sebbene non destinati a scopi di stretta cura della p.a., siano idonei a soddisfare bisogni della collettività, ancorché vengano realizzati e gestiti da soggetti privati (p.es. un centro polifunzionale fruibile dalla generalità dei consociati come il Centre Pompidou di Parigi).
Per converso, nella fattispecie trattasi molto più semplicemente di un immobile destinato a ospitare i locali di un’associazione religiosa, in stretta connessione con lo svolgimento delle attività in cui si manifestano gli scopi istituzionali di essa, in tal modo soddisfacendo bisogni specifici e non esigenze primarie della generalità dei consociati;a nulla rilevando che, nella specie, gli uffici possano essere frequentati non dai soli associati, ma anche da qualsiasi altro interessato (ciò che si verifica, ad esempio, anche nella sede di un partito o di un’associazione sindacale, senza che perciò solo questa possa essere assimilata a un servizio di interesse generale).
Alla luce di tali piane considerazioni, appare corretta l’impostazione del Comune, che ha fin dapprincipio ricondotto l’intervento de quo all’art. 36 delle N.T.A., e segnatamente alla categoria dei “ servizi alla residenza ” (consentiti dalla destinazione urbanistica dell’area interessata).
La riprova della non condivisibilità dell’approccio del primo giudice, peraltro, si ricava dall’ulteriore forzatura argomentativa con la quale, al fine di confortare l’assunto della insufficienza delle opere di urbanizzazione esistenti a sostenere il carico urbanistico riveniente dall’intervento assentito dal Comune, in sentenza si presume apoditticamente un afflusso quotidiano in loco di circa 10.000 persone: cifra che in realtà corrisponde alla totalità della popolazione di fede islamica della Provincia di Trento ma che, in considerazione di quanto si è precisato in ordine alla natura dell’immobile a realizzarsi, non può in alcun modo ritenersi corrispondere a quella che sarà l’effettiva presenza giornaliera nei locali dell’Associazione.
Analoghi rilievi possono farsi per le ulteriori urbanizzazioni e per i parcheggi, laddove le censure di parte ricorrente in primo grado erano calibrate sul presupposto che l’edificio assentito fosse destinato a scopi di culto collettivo, mentre nella prospettiva del T.R.G.A. si prospettava la realizzazione di un “ centro culturale ” (nel senso sopra chiarito): con cifre che, una volta chiarita l’esatta natura e funzione dell’immobile per cui è causa, non possono più ritenersi coerenti con la realtà del carico urbanistico effettivamente prevedibile.
12. L’acclarata fondatezza degli appelli principali comporta la necessità di esaminare le censure rimaste assorbite in primo grado, che gli originari ricorrenti hanno riproposto (in modo, per vero, un po’ ripetitivo) sia nella propria memoria di costituzione che nell’appello incidentale.
Dette censure sono tutte meritevoli di reiezione.
12.1. Innanzi tutto, può sgombrarsi il campo dalle doglianze con cui si torna a insistere sull’inadeguatezza delle urbanizzazione e dei parcheggi esistenti in zona (pagg. 21-22 del “ controricorso ” e pagg. 11-18 dell’appello incidentale), dovendo ribadirsi che la ricostruzione e i calcoli su cui si basano le censure de quibus sono totalmente inaffidabili in quanto basate sull’erroneo presupposto che il progetto per cui è causa prefiguri la realizzazione di un edificio di culto (ovvero di un centro culturale).
Altrettanto è a dirsi per l’ulteriore doglianza con la quale si assume, in modo per vero scarsamente convincente in considerazione della riconducibilità dell’intervento de quo a mera ristrutturazione con mutamento di destinazione d’uso, che per esso sarebbe stato necessario il permesso di costruire, anziché una semplice D.I.A.
12.2. Quanto alla censura con cui si lamenta la violazione dell’art. 38, comma 2 bis, delle N.T.A. in relazione all’asserita insufficienza delle dimensioni della strada di accesso all’immobile (pagg. 22-24 del “ controricorso ” e pagg. 18-20 dell’appello incidentale), va condiviso quanto al riguardo rilevato in primo grado dall’Amministrazione comunale, e cioè che nella specie è stata fatta corretta applicazione del comma 2 quinquies della stessa norma, il quale esclude dall’obbligo di adeguamento della viabilità gli interventi su edifici esistenti, facendo eccezione a tale esclusione solo per gli interventi “pesanti” come quelli di demolizione con successiva ricostruzione di detti edifici.
Pertanto, trattandosi nella specie di mero mutamento di destinazione d’uso di immobile già esistente, si ricadeva manifestamente nella previsione di esclusione testé richiamata.
12.3. Infine, prive di pregio sono anche le censure con le quali si assume la carenza di legittimazione alla D.I.A. in capo all’Associazione istante, all’epoca solo promissaria acquirente del magazzino, e l’illegittimità della successiva voltura della D.I.A. medesima (pagg. 24-25 del “ controricorso ” e pagg. 20-21 dell’appello incidentale).
Ciò in quanto è jus receptum che il titolo abilitativo, potendo essere rilasciato “ al proprietario dell’immobile o a chi abbia titolo per richiederlo ” (così l’art. 11, comma 1, d.P.R. 6 giugno 2001, nr. 380), possa essere chiesto anche dal promissario acquirente dell’immobile, purché abbia a ciò consentito il proprietario (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 18 gennaio 2010, nr. 144;Cons. Stato, sez. VI, 3 dicembre 2004, nr. 7847;Cons. Stato, sez. V, 18 giugno 1996, nr. 718).
13. Resta di esaminare il primo motivo dell’appello incidentale degli originari ricorrenti, con il quale si contesta la reiezione da parte del T.R.G.A. delle doglianze articolate avverso il provvedimento con cui, dopo che l’Associazione Comunità Islamica aveva proceduto spontaneamente a demolizione parziale di quanto edificato sulla base della D.I.A. annullata, il Comune ha rilasciato sanatoria per la parte residua di dette opere.
Anche tale censura è infondata.
Ed invero, non può essere condivisa l’opinione di parte appellante incidentale secondo cui il Comune non avrebbe potuto “tollerare” una demolizione solo parziale delle opere divenute abusive per effetto dell’annullamento giurisdizionale della prima D.I.A., dovendo anzi in ogni caso ordinarne la demolizione totale, senza che una sanatoria potesse fungere da passaggio intermedio per una successiva D.I.A. con modifiche progettuali, come in fatto avvenuto.
Tale prospettazione si fonda sull’erroneo presupposto che l’annullamento dell’originaria D.I.A. dovesse necessariamente comportare una sorta di “regressione” dell’immobile alla propria destinazione originaria di magazzino, e che a tanto il Comune dovesse dunque provvedere;ma, al contrario, è evidente che gli effetti conformativi della prima sentenza del T.R.G.A. (non sospesa da questa Sezione) si risolvevano semplicemente nel precludere un mutamento di destinazione d’uso con le caratteristiche e modalità nella specie ritenute in contrasto con il P.R.G., senza impedire affatto a chi ne avesse titolo di intraprendere una nuova attività edificatoria, stavolta intesa a realizzare finalità compatibili con la disciplina urbanistica dell’area.
È quanto l’Associazione odierna appellante principale ha ritenuto di fare attraverso i due passaggi costituiti dapprima dalla rimozione di quella parte di opere chiaramente e ineluttabilmente incompatibili con il rispetto del dictum giudiziale, e quindi dalla richiesta di sanatoria, previo pagamento della sanzione dovuta, per le opere che invece si prestavano ad essere “convertite” per una destinazione non confliggente col dictum medesimo.
A fronte di ciò, poiché gli effetti conformativi sopra individuati operavano sia nei confronti del privato che dell’Amministrazione, è evidente come, in presenza di una spontanea esecuzione da parte del primo, correttamente il Comune ha preso atto della possibile reductio ad legitimitatem della parte residua di edificato, con le modalità precisate.
14. In conclusione, alla luce dei rilievi fin qui svolti s’impone una decisione di reiezione degli appelli principali rubricati sub nr. 5605 del 2009, con la conseguente improcedibilità del relativo appello incidentale, e di accoglimento degli appelli principali e reiezione dell’appello incidentale rubricati sub nr. 7154 del 2011, con ogni conseguenza di legge.
15. In considerazione della parziale soccombenza reciproca, sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese di entrambi i gradi del giudizio.