Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2020-08-24, n. 202005175
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Pubblicato il 24/08/2020
N. 05175/2020REG.PROV.COLL.
N. 02820/2020 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2820 del 2020, proposto da
C F, A M, S S, S S, C M, A M, P L N, P N, P P, G P, D P, L P, F S, F G, M G, F D, Vera D'Aiuto, D C, G B, A L, A P, S A, A Q e C A M, rappresentati e difesi dall'avvocato M D, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Ministero dell'Istruzione dell’Università e della Ricerca, in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria
ex lege
in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per l’annullamento e/o la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza Bis) n. 11774/2019, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Istruzione dell’Università e della Ricerca;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore il Cons. Francesco De Luca nell'udienza pubblica del giorno 9 luglio 2020 svoltasi ai sensi dell’art. 84 comma 5, del D.L. 17 marzo 2020, n. 18, conv. dalla L. 24 aprile 2020, n. 27, attraverso l’utilizzo di piattaforma “Microsoft Teams”;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Ricorrendo in giudizio dinnanzi a questo Consiglio gli appellanti deducono:
- di avere chiesto al giudice di prime cure l’annullamento a) dell’avviso n. 5636 del 2 aprile 2019 e dei decreti comunicati individualmente a ciascun ricorrente, con cui il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca ha rigettato le istanze degli odierni appellanti, finalizzate al riconoscimento dell’abilitazione conseguita in Romania;nonché b) dei decreti di depennamento e di avvio del procedimento di esclusione dei ricorrenti dalle procedure concorsuali riservate di cui al DDG n. 58/2018, disposti dagli Uffici Scolastici Regionali sulla base dell’avviso n. 5636/2009 cit.;
- di avere, in particolare, censurato la decisione dell’Amministrazione di ritenere i titoli Nivel I e Nivel II , conseguiti dai cittadini italiani in Romania, inidonei a soddisfare i requisiti giuridici per il riconoscimento della qualifica professionale di docente ai sensi della Direttiva 2005/36/CE, con conseguente rigetto delle istanze presentate sulla base dei medesimi titoli;
- di avere chiesto al primo giudice, altresì, l’accertamento del diritto al riconoscimento in Italia all’abilitazione all’ insegnamento, sulla base delle certificazioni ( c.d. adeverinta ) rilasciate dal Ministero della Educazione Nazionale Romeno, in ottemperanza all'art.13 co.1 lett.b) della Direttiva n.36/2005 e dagli art.16-22 del titolo III “libertà di stabilimento” del D.Lgs.n.206/2007 attuativo della direttiva comunitaria n. 36/2005 e n.55/2013, per le classi di concorso corrispondenti indicate per ciascun ricorrente in atti;2) del diritto all’ammissione alle procedure del concorso riservato per docenti di cui al D.D.G n.85/2018, nonché al percorso c.d. FIT di cui all'art. 17, co. 2, d.lgs. n. 59/2017;3) in via subordinata, del diritto alla valutazione del percorso professionale conseguito in Romania finalizzato all'insegnamento sul sostegno, anche prevedendo misure compensative in ottemperanza all'art.22 del D.lgs. n.206/2007, con condanna dell’Amministrazione intimata all'adozione dei relativi provvedimenti in relazione alle istanze dei ricorrenti finalizzate al riconoscimento della professione docente in Italia ai sensi degli art.16 e ss. del D.lgs. n.206/2007;
- di essere risultati soccombenti all’esito del giudizio di prime cure, definito con sentenza in forma semplificata ai sensi dell’art. 60 c.p.a.
2. Alla stregua di quanto emergente dalla pronuncia di prime cure, in particolare, il T ha rigettato il ricorso, richiamando la propria giurisprudenza formatasi in materia, in forza della quale, sebbene il confronto tra i titoli, o meglio i programmi e i corsi di formazione, conseguiti in altro paese e quelli richiesti dallo Stato ospitante, debba essere svolto dallo Stato nel quale viene richiesto il riconoscimento del titolo, deve ritenersi che tale confronto richieda il conferimento di un titolo e di un livello di qualifica, ai sensi dell’art. 11 della direttiva, e operi per gli insegnamenti per i quali l’interessato sia legalmente abilitato nel Paese che ha rilasciato il titolo;circostanza nella specie non realizzata, in quanto espressamente negata dall’amministrazione rumena, ragion per cui l’amministrazione interna non poteva che essere vincolata all’accertamento compiuto dall’amministrazione di provenienza del titolo.
Difatti, il Ministero rumeno aveva precisato che l’attestato di conformità alla direttiva europea, al fine della valutazione del percorso seguito in Romania in altri Stati UE, veniva rilasciato solo a coloro che avessero compiuto in Romania sia studi di scuola superiore o post istruzione secondaria, sia studi universitari;pertanto, per espressa indicazione dell’autorità rumena, il programma in oggetto non consentiva l’attribuzione di un livello di qualifica rilevante per la direttiva in questione, con la conseguenza che il provvedimento dell’amministrazione appariva privo di vizi sul punto.
L’accertata inidoneità del programma di insegnamento rumeno, di carattere uniforme, consentiva, dunque, di ritenere che l’accertamento svolto dall’amministrazione resistente non fosse carente, avendo la stessa valutato, in via generale, l’inidoneità del programma svolto ai fini del riconoscimento e, alla luce delle conclusioni cui era pervenuto il Ministero, l’impossibilità di attribuire allo stesso carattere abilitante.
3. Gli odierni appellanti hanno censurato la sentenza del T, chiedendone la riforma, previa concessione di misure cautelari.
4. In vista della camera di consiglio fissata per la discussione dell’istanza cautelare gli appellanti hanno depositato, in data 18 aprile 2020, apposita memoria difensiva, insistendo per la sospensione della sentenza di primo grado n°11774/2019 e comunque ritenendo sussistenti “ tutti i presupposti per la definizione del giudizio ai sensi dell’art.60 del c.p.a. richiamato espressamente dall’art.84 co.5 del d.l.n°18/2020, attesa la completezza dell’istruttoria e del contraddittorio , sulla base degli atti già depositati dalla difesa ” (pag. 2 memoria).
5. Con ordinanza n. 2258 del 24 aprile 2020 la Sezione ha accolto l’istanza cautelare ai soli fini della sollecita definizione del giudizio nel merito, fissando, per l’effetto, la pubblica udienza del 9 luglio 2020.
6. Con note di udienza depositate in data 6 luglio 2020 gli appellanti hanno insistito nelle proprie argomentazioni e conclusioni.
7. L’Amministrazione statale intimata si è costituita in giudizio, al fine di resistere al ricorso.
8. La causa è stata trattenuta in decisione all’udienza del 9 luglio 2020.
DIRITTO
1. Con il primo motivo di appello la sentenza di prime cure è censurata per violazione dell’art. 60 c.p.a., avendo il T definito il giudizio con sentenza in forma semplificata, nonostante difettassero i relativi presupposti.
In particolare, secondo la prospettazione dedotta in appello, ancorché i ricorrenti avessero chiesto, in via istruttoria, di ordinare al Ministero l’esibizione di tutti gli atti dell’Ufficio VIII relativi ai decreti di riconoscimento nn. 499 del 2015, 1341 del 2015, 69 del 2016, 1360 del 2017, degli eventuali ulteriori decreti emessi in favore di altri cittadini italiani abilitati in Romania, nonché degli atti e delle relative traduzioni disposte in riferimento all’interlocuzione intercorsa con il Ministero dell’Educazione Nazionale Rumeno, il T avrebbe erroneamente ritenuto completa l’istruttoria, definendo il giudizio all’esito dell’udienza cautelare.
Il motivo di appello è infondato, tenuto conto che:
- l'esigenza e l'opportunità della sollecita decisione nel merito di una causa, peraltro funzionale all’attuazione del principio costituzionale della ragionevole durata del giudizio, è demandata al prudente apprezzamento del giudice, mentre alle parti in causa è riconosciuto il diritto di essere avvertite dell'intenzione del giudice, al fine precipuo di sviluppare compiutamente le loro difese nel merito della controversia (Consiglio di Stato, sez. V, 23 ottobre 2014, n. 5248);
- non emerge dagli atti di causa che la parte ricorrente in prime cure, ricevuto il rituale avviso circa la possibilità di adottare una sentenza in forma semplificata ex art. 60 c.p.a., si sia opposta alla definizione della controversia all’esito della camera di consiglio del 16 luglio 2019, peraltro derivante da un rinvio della precedente camera di consiglio del 2 luglio 2019 concesso dal primo giudice in accoglimento di apposita istanza della stessa parte ricorrente;
- di conseguenza, deve escludersi che la decisione della controversia in primo grado sia stata emessa in violazione dell’art. 60 c.p.a., non avendo determinato alcuna violazione del diritto di difesa della parte ricorrente censurabile in sede di gravame;
- le censure svolte in appello, difatti, si traducono nella denuncia di un’erronea valutazione del materiale probatorio acquisito al giudizio dinnanzi al T, per omesso accoglimento delle istanze istruttorie articolate dalla parte ricorrente;non potendo, dunque, essere dedotte quale autonomo motivo incentrato sulla violazione dell’art. 60 c.p.a, investendo la decisione sulle questioni di merito componenti il thema decidendum dell’odierno giudizio, alla stregua della documentazione acquisita in atti;
- la decisione del T di ritenere completa l’istruttoria è comunque corretta, essendo stati acquisiti in giudizio i documenti rilevanti ai fini della decisione;il che, peraltro, risulta desumibile dalle stesse difese svolte dalla parte appellante, che nel presente grado di giudizio, in vista della camera di consiglio fissata per la decisione dell’istanza cautelare articolata nell’atto di appello, ha ritenuto sussistenti “ tutti i presupposti per la definizione del giudizio ai sensi dell’art.60 del c.p.a ”.
Ferma rimanendo la necessità di verificare, alla luce degli ulteriori motivi di appello, la corretta valutazione del materiale probatorio in atti ai fini della soluzione della controversia, la sentenza appellata non risulta, dunque, censurabile per violazione dell’art. 60 c.p.a., essendo stata emessa nel rispetto dei presupposti delineati dal codice di rito a tutela del diritto di difesa delle parti processuali.
2.Con i successivi sette motivi di impugnazione le parti appellanti hanno censurato:
- l’omesso esame della documentazione prodotta in primo grado dai ricorrenti, da cui emergerebbe che “ il Ministero dell’Educazione Nazionale Romeno, affermi il contrario di quanto continua a ribadire il MIUR e cioè che “ gli abilitati in Romania godono del diritto ad insegnare atteso che la loro certificazione è conforme alla Direttiva Europea n.36/2005 ” (pag. 7 appello);
- la disparità di trattamento degli appellanti rispetto ai cittadini italiani, laureati in Italia, che hanno ottenuto il riconoscimento del titolo acquisito in Romania ai fini dell’abilitazione all’insegnamento in Italia, per effetto di decisioni amministrative prodotte in prime cure;
- l’erronea interpretazione della nota del Ministero romeno n. 40527 del 18.11.2018, riguardante i soli cittadini in possesso di diploma di laurea conseguito in Romania, mentre nella specie si fa questione di cittadini italiani titolari di diploma di laurea italiano, riconosciuto in Romania ai fini dell’ammissione al relativo corso abilitante, in relazione ai quali le autorità rumene non avrebbero mai chiesto il possesso congiunto di titoli (laurea e certificazione in ordine al percorso abilitante) da conseguire in Romania;nel caso in esame, pertanto, si farebbe questione di un percorso di abilitazione differente da quello rilevante per i titolari di laurea rumena, tenuto conto che gli odierni appellanti avrebbero conseguito la laurea in Italia e successivamente, previo certificato di equipollenza dello stesso titolo di studio da parte dell’autorità rumena, hanno conseguito il percorso abilitante ( c.d. Nivel I e II ) all’insegnamento in Romania;
- l’idoneità del titolo posseduto a permettere lo svolgimento dell’attività di docenza in Romania e a partecipare ai concorsi con la qualifica professionale docente in Romania, come comprovato dalle note n. 91073/18, 29743, 30912, 30910, 80529 e 10020/19 rilasciate dalla stessa autorità rumena;nonché la disparità di trattamento derivante dai decreti di riconoscimento del titolo estero emessi dal Ministero appellato in favore di altri soggetti che si trovavano nelle medesime condizione degli odierni appellanti (cittadini italiani con diploma di laurea italiano e di certificato rumeno attestante lo svolgimento in Romania del medesimo percorso formativo concluso dai ricorrenti)
- la violazione del principio del riconoscimento automatico dell’abilitazione all’insegnamento, atteso che l’Italia non potrebbe che essere vincolata al riconoscimento del titolo conseguito in Romania non disponendo dunque di alcuna discrezionalità in materia;
- l’omessa pronuncia sui motivi articolati ai punti 11, 12, 13 e 14 del ricorso in primo grado in materia di accesso parziale (con riproposizione delle sole rubriche dei motivi di ricorso);
- la violazione del “principio comunitario della salvezza” dei titoli professionali conseguiti in ambito europeo.
2.1 I motivi di appello, esaminabili congiuntamente in quanto tra loro connessi – concernendo la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento in Italia dei titoli conseguiti dagli odierni appellanti in Romania –sono fondati, alla stregua dell’indirizzo giurisprudenziale recentemente accolto dalla Sezione, cui il Collegio intende dare continuità nella definizione del presente giudizio.
In particolare, questo Consiglio ha precisato quanto segue: “3.1 In linea di fatto non appare contestato che l’odierno appellante sia in possesso, per un verso, del titolo di studio della laurea conseguito in Italia e, per un altro verso, dell’abilitazione all’insegnamento conseguita in Romania.
Il richiesto riconoscimento dell’operatività di quest’ultimo in Italia viene negato dal Ministero odierno appellato sulla scorta della valutazione delle autorità rumene, le quali escludono il riconoscimento delle qualifiche professionali per coloro che non hanno conseguito il titolo di studio in Romania.
3.2 Invero, l’argomento posto a base del contestato diniego si pone in contrasto con i principi e le norme di origine sovranazionale, i quali impongono di riconoscere in modo automatico i titoli di formazione rilasciati in un altro Stato membro al termine di formazioni in parte concomitanti, a condizione che "la durata complessiva, il livello e la qualità delle formazioni a tempo parziale non siano inferiori a quelli delle formazioni continue a tempo pieno" (cfr. ad es. Cge n. 675 del 2018).
Una volta acquisita la documentazione che attesta il possesso del certificato conseguito in Romania, non può negarsi il riconoscimento dell’operatività in Italia, altro paese Ue, per il mancato riconoscimento del titolo di studio – laurea – conseguito in Italia.
L’eventuale errore delle autorità rumene sul punto non può costituire ragione e vincolo per la decisione amministrativa italiana;ciò, in particolare, nel caso di specie, laddove il titolo di studio reputato insufficiente dalle Autorità di altro Stato membro è la laurea conseguita presso una università italiana.
3.3 Piuttosto, le Autorità nazionali sono chiamate a valutare la congruità delle formazioni conseguite all’estero, nei termini chiariti dalla giurisprudenza europea e sopra richiamati.
A fronte della chiarezza dei principi e delle norme europee rilevanti in materia, non occorre sottoporre la questione alla Corte di giustizia in termini di rinvio pregiudiziale.
3.4 In proposito, va ricordato il principio a mente del quale l’articolo 45 TFUE dev’essere interpretato nel senso che esso osta a che la p.a. , quando esamina una domanda di partecipazione proposta da un cittadino di tale Stato membro, subordini tale partecipazione al possesso dei diplomi richiesti dalla normativa di detto Stato membro o al riconoscimento dell'equipollenza accademica di un diploma di master rilasciato dall'università di un altro Stato membro, senza prendere in considerazione l'insieme dei diplomi, certificati e altri titoli nonché l'esperienza professionale pertinente dell'interessato, effettuando un confronto tra le qualifiche professionali attestate da questi ultimi e quelle richieste da detta normativa (cfr. ad es. Corte giustizia UE sez. II, 06/10/2015, n.298).
In tale ottica, le norme della direttiva 2005/36/CE , relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali, devono essere interpretate nel senso che impongono ad uno Stato membro di riconoscere in modo automatico i titoli di formazione previsti da tale direttiva e rilasciati in un altro Stato membro al termine di formazioni in parte concomitanti, a condizione che "la durata complessiva, il livello e la qualità delle formazioni a tempo parziale non siano inferiori a quelli delle formazioni continue a tempo pieno” (cfr. più di recente Corte giustizia UE , sez. III , 06/12/2018 , n. 675).
In dettaglio, per ciò che rileva nel caso di specie, va altresì richiamato l’art. 13 della direttiva 2013/55/Ue, che ha modificato la predetta direttiva 2005/36, rubricato condizioni di riconoscimento: “1. Se, in uno Stato membro ospitante, l’accesso a una professione regolamentata o il suo esercizio sono subordinati al possesso di determinate qualifiche professionali, l’autorità competente di tale Stato membro permette l’accesso alla professione e ne consente l’esercizio, alle stesse condizioni previste per i suoi cittadini, ai richiedenti in possesso dell’attestato di competenza o del titolo di formazione di cui all’articolo 11, prescritto da un altro Stato membro per accedere alla stessa professione ed esercitarla sul suo territorio. Gli attestati di competenza o i titoli di formazione sono rilasciati da un’autorità competente di uno Stato membro, designata nel rispetto delle disposizioni legislative, regolamentari o amministrative di detto Stato membro”. A propria volta il successivo comma 3 statuisce: “3. Lo Stato membro ospitante accetta il livello attestato ai sensi dell’articolo 11 dallo Stato membro di origine nonché il certificato mediante il quale lo Stato membro di origine attesta che la formazione e l’istruzione regolamentata o la formazione professionale con una struttura particolare di cui all’articolo 11, lettera c), punto ii), è di livello equivalente a quello previsto all’articolo 11, lettera c), punto i).”
3.5 Pertanto, a fronte della sussistenza in capo all’odierno appellante sia del titolo di studio richiesto, la laurea conseguita in Italia (ex sé rilevante, senza necessità di mutuo riconoscimento reciproco), sia della qualificazione abilitante all’insegnamento, conseguita presso un paese europeo, non sussistono i presupposti per il contestato diniego.
A quest’ultimo proposito, lungi dal poter valorizzare l’erronea interpretazione delle autorità rumene, la p.a. odierna appellata è chiamata unicamente alla valutazione indicata dalla giurisprudenza appena richiamata, cioè alla verifica che, per il rilascio del titolo di formazione ottenuto in un altro Stato membro al termine di formazioni in parte concomitanti, la durata complessiva, il livello e la qualità delle formazioni a tempo parziale non siano inferiori a quelli delle formazioni continue a tempo pieno ” (Consiglio di Stato, sez. VI, 17 febbraio 2020, n. 1198;cfr. anche sez. VI, 2 marzo 2020, n. 1521;20 aprile 2020, n. 2495;8 luglio 2020, n. 4380).
2.2. Alla stregua delle considerazioni svolte dalla Sezione - ferma rimanendo l’impossibilità di pronunciare su motivi di ricorso, asseritamente non esaminati in prime cure, non specificatamente riproposti in sede impugnatoria ex art. 101, comma 2, c.p.a. - l’appello merita accoglimento.
La motivazione sottesa al provvedimento di diniego impugnato in prime cure, da un lato, confligge con le emergenze istruttorie acquisite al giudizio, dall’altro, si pone in contrasto con la giurisprudenza sovranazionale formatasi in materia.
In particolare, a fondamento del diniego opposto agli odierni appellanti il Ministero intimato, premessa l’inapplicabilità in materia del regime del riconoscimento automatico, operando il “sistema generale”, ha rilevato che, sulla base di quanto emergente da interlocuzioni intercorse con le autorità rumene e di apposito parere reso dal CIMEA, il diritto di insegnare nell’istruzione pre-universitaria in Romania sarebbe condizionato dal conseguimento del percorso di formazione psicopedagogica nella specializzazione ottenuta attraverso il diploma di studio, ragion per cui il possesso dell’attestato/certificato di conseguimento della formazione psicopedagogica costituirebbe condizione necessaria al fine di ottenere la qualifica di insegnante, ma non altresì sufficiente, essendo la condizione principale aver conseguito gli studi post liceali o universitari in Romania;sicché l’attestato di conformità degli studi con le disposizioni della Direttiva 2005/36/CE sul riconoscimento delle qualifiche professionali per i cittadini che hanno studiato in Romania, al fine di svolgere attività didattiche all’estero, potrebbe essere rilasciato solo qualora il richiedente abbia conseguito in Romania sia studi di istruzione superiore/post secondaria sia studi universitari.
Sulla base di tali rilievi il Miur ha ritenuto che la formazione svolta dai cittadini italiani non fosse riconosciuta dalla competente autorità rumena e che, pertanto, la stessa non potesse essere riconosciuta neanche dall’autorità italiana, non risultando integrati i requisiti giuridici per il riconoscimento della qualifica professionale di docente ai sensi della Direttiva 2005/36/CE, con conseguente rigetto delle istanze di riconoscimento presentate sulla base dei predetti titoli esteri ( Porogramului de studi psichopedagogice Nivel I e Nivel II ).
2.3 In primo luogo, si osserva che il Ministero intimato argomenta la propria decisione sul presupposto che gli attestati/certificati di conseguimento della formazione psicopedagogica in possesso degli odierni appellanti non sia sufficiente per esercitare la professione di insegnante e comunque che la formazione svolta dai cittadini italiani non sia riconosciuta dalle competenti autorità rumene.
Trattasi di presupposto contrastante con la documentazione in atti.
In particolare, secondo quanto emergente dai certificati acquisiti al giudizio, rilasciati dalla competente autorità rumena e riferiti alla posizione di ciascun ricorrente, il conseguimento di un minimo di 60 crediti trasferibili del corso di studi psicopedagogici, ottenuto tramite il diploma di laurea posseduto da ciascun appellante, riconosciuto dal Centro Nazionale di Riconoscimento ed Equiparazione degli Studi, attribuisce il diritto di insegnare a livello di istruzione preuniversitaria in Romania.
Pertanto, come fondatamente censurato nell’atto di appello, l’atto di diniego opposto dal Ministero risulta inficiato da un difetto di istruttoria, idoneo a determinarne l’annullamento.
Il Ministero, in particolare, ha negato in capo agli odierni appellanti i requisiti di legittimazione al riconoscimento dei titoli per l’esercizio della professione di docente, ai sensi della Direttiva 2013/55/UE, basandosi su un presupposto – disconoscimento ai fini dell’insegnamento, nell’ambito dell’ordinamento rumeno, della formazione svolta da cittadini in possesso di diploma di laurea conseguito in Italia – che non soltanto non risulta positivamente dimostrato dalla documentazione acquisita al giudizio, ma si manifesta anche confliggente con quanto attestato dalle stesse autorità rumene, secondo cui deve riconoscersi il diritto di insegnare in Romania a livello di istruzione preuniversitaria in capo a coloro che, come i ricorrenti, titolari di diploma di laurea/master conseguito all’estero e riconosciuto in Romania, abbiano frequentato e superato appositi corsi di formazione psicopedagogica, complementari al diploma, in settori e specializzazioni conformi al curriculum dell’istruzione preuniversitaria.
Ne deriva che l’istruttoria svolta dall’Amministrazione statale non risulta adeguata, non essendo stata approfonditamente esaminata, alla stregua delle previsioni di cui alla Direttiva n. 55 del 2003, la particolare posizione delle parti appellanti, cui è stato attribuito – in ragione del percorso formativo estero– il diritto di insegnare in Romania nell’istruzione preuniversitaria;elemento non vagliato in sede provvedimentale.
2.4 In ogni caso, la decisione amministrativa per cui è controversia risulta illegittima, anche perché non reca alcuna valutazione del titolo estero conseguito da ciascun appellante, ai fini di un suo possibile riconoscimento in Italia quale abilitazione all’insegnamento.
Difatti, a prescindere dalla ritenuta inapplicabilità della Direttiva n. 55 del 2013 cit. (valutazione assunta all’esito di una decisione, come osservato, comunque illegittima, per difetto di istruttoria), alla stregua di quanto prescritto dal diritto primario unionale – in specie, gli artt. 45 e 49 Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea, in tema di libera circolazione dei lavoratori e di libertà di stabilimento - “ le autorità di uno Stato membro, quando esaminano la domanda di un cittadino di un altro Stato membro diretta a ottenere l'autorizzazione all'esercizio di una professione regolamentata, debbono prendere in considerazione la qualificazione professionale dell'interessato procedendo ad un raffronto tra, da un lato, la qualificazione attestata dai suoi diplomi, certificati e altri titoli nonché dalla sua esperienza professionale nel settore e, dall'altro, la qualificazione professionale richiesta dalla normativa nazionale per l’esercizio della professione corrispondente (v., da ultimo, sentenza 16 maggio 2002, causa C-232/99, Commissione/Spagna,Racc. pag. I-4235, punto 21). 58 Tale obbligo si estende a tutti i diplomi, certificati ed altri titoli, nonché all'esperienza acquisita dall'interessato nel settore, indipendentemente dal fatto che siano stati conseguiti in uno Stato membro o in un paese terzo, e non cessa di esistere in conseguenza dell'adozione di direttive relative al reciproco riconoscimento dei diplomi (v. sentenze 14 settembre 2000,causa C-238/98, Hocsman, Racc. pag. I-6623, punti 23 e 31, e Commissione/Spagna, cit., punto 22) ” (Corte di Giustizia U.E., 13 novembre 2003, in causa C- 313/01, Morgenbesser , punti 57-58)
Trattasi di procedura di valutazione comparativa necessaria per “ consentire alle autorità dello Stato membro ospitante di assicurarsi obiettivamente che il diploma straniero attesti da parte del suo titolare il possesso di conoscenze e di qualifiche, se non identiche, quantomeno equipollenti a quelle attestate dal diploma nazionale ” (Corte di Giustizia U.E., 6 ottobre 2015, in causa C- 298/14, Brouillard , punto 55).
In particolare, le autorità nazionali sono tenute a valutare il diploma prodotto dalla parte istante, onde verificare “ se, e in quale misura, si debba ritenere che le conoscenze attestate dal diploma rilasciato in un altro Stato membro e le qualifiche o l'esperienza professionale ottenute in quest'ultimo, nonché l'esperienza ottenuta nello Stato membro in cui il candidato chiede di essere iscritto, soddisfino, anche parzialmente, le condizioni richieste per accedere all'attività di cui trattasi. 68 […] Tale valutazione dell'equivalenza del diploma straniero deve effettuarsi esclusivamente in considerazione del livello delle conoscenze e delle qualifiche che questo diploma, tenuto conto della natura e della durata degli studi e della formazione pratica di cui attesta il compimento, consente di presumere in possesso del titolare (v. sentenze 15 ottobre 1987, causa 222/86, Heylens e a., Racc. pag. 4097, punto 13, e V, cit., punto17) ” (Corte di Giustizia U.E., 13 novembre 2003, in causa C- 313/01, Morgenbesser , punti 67-68).
L’applicazione di tali coordinate ermeneutiche al caso di specie evidenzia un ulteriore profilo di illegittimità del diniego opposto dal Ministero intimato, il quale, anziché ritenere inammissibile l’istanza per difetto di legittimazione attiva, avrebbe dovuto esaminare la documentazione specificatamente riferita alla posizione degli odierni appellanti, raffrontando, alla stregua delle indicazioni fornite dalla giurisprudenza europea sopra richiamata, da un lato, la qualificazione attestata dai diplomi, certificati e altri titoli nonché dall’esperienza professionale maturata da ciascun ricorrente nel settore e, dall'altro, la qualificazione professionale richiesta dalla normativa nazionale per l’esercizio della professione corrispondente.
All’esito di tale procedura di valutazione comparativa, il Ministero, valutato il percorso formativo seguito da ciascun appellante, come attestato dal titolo estero in proprio possesso, avrebbe dovuto verificare se sussistessero le condizioni per accogliere l’istanza di riconoscimento all’uopo presentata in sede procedimentale.
2.5 Alla stregua delle considerazioni svolte, l’appello deve essere accolto e, per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, deve essere accolto il ricorso in prime cure, salvi gli ulteriori provvedimenti da assumere nella fase di riedizione del potere.
3. Per effetto dell’accoglimento dei superiori motivi di appello, il Collegio è tenuto a provvedere ad una nuova regolazione delle spese processuali del doppio grado di giudizio, il che comporta l’assorbimento dell’ultimo motivo di appello, con cui è stata censurata l’erroneità del capo di sentenza riferito alla condanna dei ricorrenti alle spese processuali.
In applicazione del criterio della soccombenza, le spese processuali del doppio grado di giudizio sono poste a carico del Ministero intimato e sono liquidate nella misura indicata in dispositivo.