Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2020-05-12, n. 202002980
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Testo completo
Pubblicato il 12/05/2020
N. 02980/2020REG.PROV.COLL.
N. 03249/2016 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3249 del 2016, proposto da
A A, M C R L, rappresentati e difesi dagli avvocati L R, S R, domiciliato presso la Segreteria Sezionale Cds in Roma, piazza Capo di Ferro, 13;
contro
Comune di Somma Vesuviana non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania (Sezione III) n. 01453/2015, resa tra le parti, concernente sospensione lavori edili realizzati in difformità alla d.i.a. – demolizione;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 7 maggio 2020 il Cons. Davide Ponte e uditi per le parti gli avvocati L’udienza si svolge ai sensi dell’art. 84 comma 5 del Dl. n. 18 del 17 marzo 2020, attraverso videoconferenza con l’utilizzo di piattaforma “Microsoft Teams” come previsto della circolare n. 6305 del 13 marzo 2020 del Segretario Generale della Giustizia Amministrativa.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con l’appello in esame l’odierna parte appellante impugnava la sentenza n. 1453 del 2015 con cui il Tar Campania aveva respinto l’originario gravame;quest’ultimo era stato proposto dalla medesima parte istante al fine di ottenere l’annullamento dell’ordinanza n. 22 del 13 marzo 2007 di sospensione dei lavori edili e demolizione, relativi all’esecuzione di lavori edili in difformità alla d.i.a. prot. 6385 del 14 maggio 2006 inerente la realizzazione di un solo locale interrato da adibire a deposito con annessa autorimessa;in particolare veniva ingiunta la demolizione delle in parte difformi dalla stessa denuncia, in parte da essa non contemplate e consistenti sia in talune difformità dell’assentito predetto locale interrato che nella costruzione ex novo di un piano terraneo non previsto della superficie di circa 165 mq. e dell’altezza di mt. 3, il tutto in cemento armato, con posa di impianto elettrico ed idraulico ed intonaci interni ed esterni.
Nel ricostruire in fatto e nei documenti la vicenda, parte appellante formulava, avverso la sentenza di rigetto, i seguenti motivi di appello:
- error in iudicando in ordine alle censure dedotto in termini di violazione del testo unico dell’edilizia e delle norme regionali, nonché diversi profili di eccesso di potere e difetto di motivazione in relazione all’entità dell’abuso, alla sanabilità delle opere, all’effettiva compromissione degli interessi urbanistici ed alla possibilità di applicare la sanzione pecuniaria;
- analoghi vizi in relazione mancata indicazione della compromissione ai vincoli di zona che deriverebbero dalle opere:
- analoghi vizi in relazione alla presentazione dell’istanza di sanatoria, successivamente all’ordine sanzionatorio, stante la sussistenza dei presupposti della doppia conformità;
- analoghi vizi in relazione alla mancata valutazione del pregiudizio, derivante dalla demolizione, per la restante parte eseguita in conformità;
- analoghi vizi per mancata attivazione delle necessarie garanzie di partecipazione, tramite la comunicazione di avvio del procedimento.
La parte appellata non si costituiva in giudizio.
Con ordinanza n. 6506 del 2017, reputata l’assenza dei presupposti per procedere ex art. 71 bis cod proc amm, veniva fissata udienza di discussione del merito.
All’udienza del 7 maggio 2020 la causa passava in decisione.
DIRITTO
1. In linea di fatto, appare pacifica sia la consistenza delle opere in contestazione, sia la circostanza dell’avvenuta presentazione, in epoca successiva all’ordine impugnato, dell’istanza di sanatoria in merito alle medesime opere, rimasta priva di formale risposta.
1.1 Sul primo versante, dall’analisi della documentazione in atti emerge trattarsi di fabbricato con annesso appezzamento di terreno (pari a mq. 2104), sito alla Via Pendino del Comune di Somma Vesuviana, ricadente in zona “E” agricola del vigente Piano Regolatore, con un indice territoriale di fabbricabilità pari a 0,10 mc/mq per deposito agricolo. L’area risulta soggetta a vincoli paesaggistici ed a rischio vulcanico.
In data 29 marzo 2006 (prot. n° 6358) gli odierni appellanti presentavano al Comune una denuncia di inizio attività, avente ad oggetto la “costruzione di un locale interrato destinato a deposito delle attrezzature agricole utilizzate per la conduzione del fondo e ad autorimessa a servizio dell’unità abitativa sita al primo piano del fabbricato per civili abitazioni nel quale risiede il proprietario con il proprio nucleo familiare che attualmente non ha adeguata disponibilità di parcheggi per le loro esigenze. L’intervento comporterà la realizzazione di una rampa di accesso con relativi muri di contenimento in c.a.”.
In sede di esecuzione veniva realizzato, in parziale difformità alla rispetto alla predetta d.i.a., un piano terra con annesso patio per una larghezza di mt. 15,00 x mt.11,00 e mt. 3,00 di altezza, una superficie di circa 165 mq, completo di impianti elettrici ed idraulici.
In data 14 novembre 2006, gli organi accertatori del Comune, all’esito di sopralluogo presso l’immobile rilevava tale difformità;di conseguenza, con l’ordinanza impugnata in prime cure (n. 22 del 13 marzo 2007), il Comune ingiungeva la sospensione dei lavori e la demolizione del piano terraneo.
1.2 Sul secondo versante, in data 24 aprile 2007, gli appellanti presentavano un’istanza di accertamento di conformità ex art. 36 del d.P.R. relativa alle medesime opere difformi. L’istanza rimaneva priva di formale risposta.
2. L’appello è infondato alla luce degli orientamenti già espressi dalla sezione ed applicabili alla fattispecie come sopra riassunta.
2.1 In primo luogo, costituisce ormai ius receptum (cfr. ad es. Consiglio di Stato ad. plen., 17 ottobre 2017, n.9 e sez. VI , 30 luglio 2019, n. 5388) il principio a mente del quale i provvedimenti repressivi degli abusi edilizi sono vincolati nel contenuto, pertanto non è richiesta alcuna motivazione sulle ragioni di pubblico interesse che impongono di sanzionare quello specifico abuso.
La funzione dell'ingiunzione di demolizione è quella di provocare il tempestivo abbattimento del manufatto abusivo ad opera del responsabile, rendendogli noto che il mancato adeguamento spontaneo determina sanzioni più onerose della semplice demolizione. A tale scopo è quindi sufficiente che l'atto indichi il tipo di sanzioni che la legge collega all'abuso, senza puntualizzare le aree eventualmente destinate a passare nel patrimonio comunale. L'interessato, infatti, può così compiere le proprie valutazioni, le quali non possono essere influenzate dalla semplice non conoscenza delle aree di cui il comune disporrà concretamente l'acquisizione. Requisiti dell'ingiunzione di demolizione sono perciò l'esistenza della condizione che la rende vincolata, cioè l'accertata esecuzione di opere abusive, e il conseguente ordine di demolizione e non anche la specificazione puntuale della portata delle sanzioni, richiamate nell'atto quanto alla tipologia preordinata dalla legge, ma recate con successivo, eventuale provvedimento (cfr. ad es. Consiglio di Stato sez. VI, 05/01/2015, n.13).
2.2 Nella medesima ottica si pone, in secondo luogo, l’orientamento a mente del quale (cfr. ad es. Consiglio di Stato, sez. VI, 12 dicembre 2019, n. 8458) la possibilità di sostituire la sanzione demolitoria con quella pecuniaria deve essere valutata dall'amministrazione competente nella fase esecutiva del procedimento, successiva ed autonoma rispetto all'ordine di demolizione. In quella sede, le parti ben potranno dedurre in ordine alla situazione di pericolo di stabilità del fabbricato asseritamente derivante dall'esecuzione della demolizione del muro di contenimento del terrapieno su cui poggia la relativa fabbrica
L’invocato art. 34 tu edilizia prevede che, in presenza di interventi ed opere realizzati in parziale difformità dal permesso di costruire, qualora la demolizione non possa avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità, il dirigente o il responsabile dell'ufficio applica una sanzione pari al doppio del costo di produzione della parte dell'opera realizzata in difformità dal permesso di costruire.
Questa Sezione ha già avuto modo di affermare, con orientamento che si condivide, che "la possibilità di sostituire la sanzione demolitoria con quella pecuniaria, disciplinata dalla disposizione appena citata, deve essere valutata dall'amministrazione competente nella fase esecutiva del procedimento, successiva ed autonoma rispetto all'ordine di demolizione". In quella sede, "le parti ben potranno dedurre in ordine alla situazione di pericolo di stabilità del fabbricato asseritamente derivante dall'esecuzione della demolizione del muro di contenimento del terrapieno su cui poggia la relativa fabbrica" (Cons.Stato sez. VI, 9 luglio 2018, n. 4169).
In definitiva, la questione posta con il relativo motivo non può venire in rilievo per accertare la validità dell'ordine di demolizione, dovendo reputarsi rimessa alla fase esecutiva.
2.3 In terzo luogo, va ribadito il principio a mente del quale il silenzio serbato dal Comune sull’istanza di accertamento di conformità urbanistica non ha valore di silenzio-inadempimento, ma di silenzio-rigetto, con la conseguenza che, una volta decorso il relativo termine, non sussiste un obbligo di provvedere, dovendosi ritenere già perfezionato il provvedimento negativo da impugnare nel termine ordinario di decadenza (cfr. ad es. Consiglio di Stato, sez. VI, 11 giugno 2018, n. 3556).
Ulteriori corollari di tali risultanze sono: per un verso, che l'intervenuta presentazione della domanda di accertamento di conformità non paralizza i poteri sanzionatori comunali, non determina alcuna inefficacia sopravvenuta o invalidità di sorta dell'ingiunzione di demolizione, per cui in pendenza del termine di decisione della domanda di sanatoria, l'esecuzione della sanzione è solo temporaneamente sospesa, sicché, in mancanza di tempestiva impugnazione del diniego taciuto maturato per decorso del termine di 60 giorni dalla presentazione dell'istanza, l'ingiunzione di demolizione è eseguibile e non occorre l'emanazione di ulteriori atti sanzionatori (cfr. ad es. Consiglio di Stato, sez. VI , 6 giugno 2018, n. 3417);per un altro verso che, una volta conclusosi negativamente l’iter avviato con l’istanza di sanatoria ordinaria, sussistono i presupposti per l’adozione dei provvedimenti repressivi degli abusi.
Nel caso di specie, applicando tali coordinate alla scansione sopra riassunta, risulta che al momento dell’adozione dell’ordine sanzionatorio l’istanza di sanatoria era già stata risolta negativamente dal Comune, ai sensi e per gli effetti della norma invocata così come intesa dalla prevalente opinione giurisprudenziale sopra richiamata.
2.4 Infine, parimenti consolidato è l’orientamento consolidato a mente del quale ai fini dell’adozione di provvedimenti sanzionatori di abusi edilizi, stante la natura vincolata degli stessi, non è necessaria la preventiva comunicazione dell'avvio del procedimento (cfr. ad es. Consiglio di Stato, sez. VI, 11 marzo 2019, n. 1621
3. Alla luce delle considerazioni che precedono l’appello va respinto in quanto infondato.
Nulla va disposto per le spese di lite, a fronte della mancata costituzione di parte appellata.