Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2015-03-04, n. 201501084
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N. 01084/2015REG.PROV.COLL.
N. 05645/2012 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5645 del 2012, proposto da:
H B, rappresentato e difeso dall'avv. F P L, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. R A in Roma, Via Tiburtina, n. 548 Int.8;
contro
Ministero dell'Interno, in persona del Ministro pro-tempore, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi, n. 12;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. LAZIO – ROMA, SEZIONE II QUATER, n. 772/2012, resa tra le parti, concernente diniego concessione della cittadinanza italiana.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 17 dicembre 2014 il Cons. P A A P e uditi per le parti l’avvocato Poggi Longostrevi e l’avvocato dello Stato Varrone;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. - Con ricorso al TAR Lazio, il Sig. Baraoumi Hedi, cittadino tunisino, premesso di aver chiesto la concessione della cittadinanza italiana ai sensi dell’art. 9 comma 1 lett. f) della L. 91/92 in quanto presente dal 1989 in Italia, ove svolge regolare attività lavorativa ed ha stabilito il proprio nucleo familiare, chiedeva l'annullamento dell’atto di diniego oppostogli, motivato con riferimento a ragioni di sicurezza.
Il ricorso era affidato ai seguenti motivi:
1) Violazione di legge per difetto di motivazione;
2) Eccesso di potere per insufficiente ed inadeguata motivazione, contraddittorietà con il dispositivo, violazione dell’art. 10 bis della legge n. 241/90.
Con Ordinanza Presidenziale Istruttoria n. 39 del 2010, veniva richiesto all’Amministrazione di produrre in giudizio i documenti, le relazioni o, comunque, gli atti contenenti l’esito dell’attività informativa svolta sulla persona del ricorrente;documenti di cui la resistente amministrazione aveva negato l’accesso al ricorrente ai sensi dell’art. 2 co. 1 lett d) e 3 lett. G) del DM n. 415 del 1994.
A seguito dell’adempimento istruttorio, il ricorrente proponeva motivi aggiunti, lamentando che la giustificazione fornita dall'amministrazione è tardiva e infondata.
2. - Con la sentenza in epigrafe il ricorso veniva rigettato.
La sentenza ha affermato che “l'art. 6 della legge n. 91 del 1992, recante "Nuove norme sulla cittadinanza" ha previsto alla lettera c) del comma 1, che l'acquisto della cittadinanza è precluso quando emerge "la sussistenza, nel caso specifico, di comprovati motivi inerenti alla sicurezza della Repubblica".
Nella fattispecie, la PA ha indicato una specifica cellula terroristica, operante nel territorio di residenza del ricorrente, alla quale l’interessato è sospettato appartenere. L’onere di motivazione prescritto dall’art. 3 della legge n. 241/90 è stato, pertanto, rispettato mediante l’esposizione delle “ragioni giuridiche” del diniego, effettuata mediante il richiamo all’art. 6 della legge n. 91/92 e l’indicazione dei “presupposti di fatto”.
Pretendere dalla PA un’ulteriore e specifica “motivazione” della circostanza di fatto sopra affermata, e cioè esporre tutto l’insieme delle circostanze da cui ha desunto l’appartenenza a tale gruppo significherebbe costringerla a rivelare nomi di persone, luoghi, e fatti che potrebbero compromettere le indagini in corso, oltre che mettere a rischio l’incolumità delle fonti.
La sentenza ha anche affermato che la discrezionalità di cui gode l'amministrazione in sede di naturalizzazione ha un carattere particolarmente lato, molto più accentuato rispetto agli altri provvedimenti concessori.
3. - Con l’appello in esame, vengono dedotti i seguenti motivi:
I) illegittimità della sentenza impugnata per violazione di legge, violazione e/o falsa applicazione dell’art. 3 della l. 241/1990 e dell’art. 6, I comma, lett. c) della l. n. 91/1992;difetto di istruttoria.
II) Illegittimità della sentenza impugnata:eccesso di potere per insufficienza e inadeguata motivazione irragionevole interpretazione del disposto di cui al’art. 9, I comma, lettera f) della legge n. 1/1992;difetto di istruttoria.
4. - Resiste in giudizio l’Amministrazione intimata.
5. - All’udienza del 17 dicembre 2014, la causa è stata trattenuta per la decisione.
DIRITTO
1.- L’appello è infondato.
2.- Col primo motivo, il ricorrente lamenta il difetto di motivazione sia dell’atto impugnato che della sentenza: le ragioni di sicurezza addotte dall’amministrazione, quale la tardiva indicazione di un generico sospetto di appartenenza ad una determinata organizzazione, riportato in un documento di circa un anno successivo al provvedimento impugnato, senza indicazione di dettagli concreti e di accertamenti compiuti, non possono ritenersi legittimo motivo di diniego, ai sensi dell’art.6 della l. 91del 1992.
La presunta appartenenza a quella determinata organizzazione avrebbe dovuto essere indicata necessariamente nel provvedimento.
2.1. - Il primo giudice, richiamata la giurisprudenza in materia di concessione della cittadinanza, ha ritenuto sufficientemente motivato il provvedimento impugnato.
Invero, il diniego si fonda sull’informativa esperita da cui “sono emersi elementi di pericolo per la sicurezza della Repubblica”;le circostanze specifiche di fatto sono state poi chiarite, nei limiti consentiti dalla riservatezza delle fonti di indagine, con il deposito in giudizio, a seguito di ordinanza istruttoria presidenziale n. 39/2010 del 12.4.2010, di un unico documento del 19.7.2010, in “busta riservata”, dal quale emerge l’informazione, proveniente da ambiti fiduciari, dell’adesione dello straniero ad una determinata organizzazione, meglio individuata nel documento ed ivi qualificata come “terroristica”;e del connesso proselitismo.
Il Collegio rammenta, conformemente alla giurisprudenza di questa Sezione, da cui non ha motivo di discostarsi, che le determinazioni dell'Amministrazione relative a domande di concessione della cittadinanza italiana allo straniero che risiede in Italia da oltre dieci anni, e si trova nella condizione di cui all'art. 9, primo comma, lett. f), della legge 5 febbraio 1992, n. 91, non sono vincolate e che l'Amministrazione dispone di una ampia sfera di discrezionalità relativa all'esame dei relativi presupposti indicati dall'art. 6 della stessa legge n. 91, ed in particolare dalla lettera c) in ordine a requisiti necessari ed a cause ostative.
Si può aggiungere che la discrezionalità inerente alla concessione della cittadinanza tanto più dev’essere esercitata con la massima cautela, in quanto comunemente si ritiene che il relativo provvedimento, una volta emesso, non sia suscettibile di revoca per effetto di una rinnovata valutazione discrezionale (cfr. anche l’art. 22 della Costituzione, per il quale nessuno può essere privato, per motivi politici, della cittadinanza);a maggior ragione chi ha lo status di cittadino non può essere espulso, ancorché possieda, in ipotesi, una seconda cittadinanza. In questa luce si può sostenere che per giustificare il diniego (quanto meno con la clausola “allo stato”) sia sufficiente una situazione di dubbio.
Quanto al sindacato giurisdizionale, esso, pur limitato ai profili estrinseci ( il parametro sindacatorio è invero quello della abnormità/irragionevolezza) si estende, ovviamente all'elemento "sfavorevole" al richiedente valorizzato dall'Amministrazione e sotteso al diniego (Consiglio Stato, sez. VI, 26 luglio 2010, n. 4862 ).
L’obbligo di motivazione assolve, dunque, alla funzione di rendere controllabile l’iter logico-giuridico compiuto nell’esercizio della discrezionalità di un provvedimento altamente discrezionale. Tuttavia, è stato condivisibilmente affermato che il detto obbligo si conforma alla natura del provvedimento e non si può configurare nella materia de qua nei termini di cui all'art. 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241, non essendo sempre possibile rendere note, per ragioni di riservatezza e sicurezza, le risultanze dell'istruttoria;per cui può ritenersi assolto se contenga, come minimo, la chiara indicazione, pur in termini ridotti all'essenziale, della ragione ostativa all'accoglimento della domanda, ossia dei fatti o sospetti determinanti il diniego, in modo da consentire all'interessato la loro confutazione, nel pieno esercizio dei diritti assicuratigli dagli artt. 24 e 113 Cost. ( III Sezione, n.6161 del 17.12.2014).
Come di consueto, e ancor di più ove ricorrano le dette ragioni di tutela della sicurezza pubblica, la motivazione può essere legittimamente espressa anche “per relationem”, con riferimento agli atti di indagine e istruttoria compiuti, con il solo limite che vi sia coerenza logica tra la ragione ostativa addotta nel provvedimento e i fatti risultanti dagli atti richiamati per relationem, entro tale circoscritto ambito svolgendosi il sindacato di legittimità (Cons. Stato, Sez. VI, 9/6/06, n. 3456 e 9 novembre 2011, n. 5913;Sez. III, 12 settembre 2013, n. 4528).
2.3. - Nella fattispecie, gli atti riservati richiamati nel provvedimento, anche se non oggetto di ostensione, a seguito dell’attività istruttoria del TAR, sono stati riassunti sufficientemente nella depositata relazione postuma, cosicché le circostanze su cui si è fondata la valutazione negativa dell’Amministrazione ( la sospetta aderenza a posizioni fondamentaliste e come tali presumibilmente estremiste) sono state rese note e il ricorrente ha ampiamente controdetto, esercitando i diritti assicuratigli dagli artt. 24 e 113 Cost..
In definitiva, ritiene il Collegio che il preminente interesse alla sicurezza nazionale giustifica una motivazione sintetica del provvedimento, anche “per relationem” , e senza riferimenti espliciti agli atti istruttori specifici elle persone da cui sono state attinte le notizie riservate, purché, come è avvenuto nella specie, nel corso del giudizio l'Amministrazione evidenzi gli elementi, fatti o sospetti, dai quali risulti il motivo per cui ha valutato non “opportuna” la concessione della cittadinanza, rendendo possibile all’interessato contraddire ed esercitare il proprio diritto di difesa.
3. - Col secondo motivo di appello viene, in sostanza, criticata la valutazione compiuta dall’Amministrazione in ordine al possibile nocumento che potrebbe derivare alla sicurezza dello Stato dalla concessione della richiesta cittadinanza.
L’appellante ritiene eccessivo il riferimento dell’Amministrazione al presunto legame con un’organizzazione classificata come terroristica, che invece a sua detta sarebbe un semplice “partito politico che nel 2011 ha vinto le elezioni per l’assemblea costituente in Tunisia” .
L’appellante considera, inoltre, incomprensibile che il TAR abbia potuto ritenere prevalenti tali erronee ed eccessive allusioni rispetto ai numerosi elementi positivi documentati in suo favore, che attestano una personalità caratterizzata da spiccato senso di responsabilità, che non pone dubbi sulla sua affidabilità democratica.
3.1. - A tal proposito, il Collegio rileva i limiti del sindacato giurisdizionale di legittimità in siffatta materia, che come ricordato al punto 2.2., è un sindacato estrinseco, che può estendersi solo a verificare la ricorrenza di un idoneo e sufficiente supporto motivazionale e istruttorio, con riguardo solo alla ragionevolezza della valutazione compiuta ed alla veridicità dei fatti posti a fondamento della scelta dell’Amministrazione.
Ora, dalle stesse affermazioni del ricorrente e dal documento da lui prodotto (estratto da una fonte informativa e divulgativa di amplissima diffusione, ma priva del carattere dell’ufficialità) risulta che l’organizzazione cui aderisce l’nteressato è definita un “movimento partitico d’opposizione tunisino d’impronta fondamentalista”, dai trascorsi non democratici.
Ritiene il Collegio che l’attuale momento storico di allarmante recrudescenza di fenomeni terroristici ed estremisti d’ispirazione sedicente nazionalista e/o religiosa rende ancor più comprensibile la particolare prudenza e cautela che ispira l’azione amministrativa nel settore dei provvedimenti che attengono anche indirettamente alla sicurezza pubblica, rendendo legittimamente sensibile ad ogni pur minimo elemento di sospetto le valutazioni di opportunità che il Ministero è tenuto ad adottare in sede di riconoscimento della cittadinanza italiana, che darebbe, ad es., titolo allo straniero naturalizzato di circolare liberamente nei paesi dell’Unione Europea, e tenuto conto, per converso, nell’interesse dello straniero, che il diniego ha efficacia limitata nel tempo, ben potendo essere ripresentata la stessa istanza, ai sensi dell’art. 8, comma 1, della l. n. 92/1991, decorsi cinque anni dalla emanazione del provvedimento di diniego.
Pertanto, la valutazione e ponderazione compiuta dall’amministrazione è immune da vizi di eccesso di potere e illogicità, considerato, non da ultimo, che la discrezionalità in ordine alla opportunità di conferire lo “status civitatis” viene esercitata sia con riguardo ai presupposti oggettivi (presenza regolare sul territorio, redditi tali da garantire l’autonomo sostentamento) ed anche in relazione all’elemento soggettivo della reale intenzione dello straniero di integrarsi nel tessuto civile e sociale italiano, condividendo i principi fondanti del nostro ordinamento, pur senza rinunciare ai legami culturali col paese di origine.
Sul punto, pertanto, è ragionevole ritenere che l’aspirazione del richiedente potrebbe trovare nel tempo un diverso apprezzamento, ove effettivamente risultassero eccessive le legittime cautele oggi adottate.
4. - In conclusione, l’appello va rigettato.
5. - Le spese di giudizio si compensano tra le parti, attese le peculiarità della vicenda.