Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2020-06-24, n. 202004052
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Pubblicato il 24/06/2020
N. 04052/2020REG.PROV.COLL.
N. 04005/2011 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4005 del 2011, proposto dal signor
F P, rappresentato e difeso dall'avvocato M C, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, viale Bruno Buozzi n.53;
contro
Comune di Latina, in persona del Sindaco
pro tempore
, rappresentato e difeso dall’avvocato F D L, con domicilio eletto presso l’avv. Paolo Pontecorvi in Roma, piazza dell'Orologio n. 7;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio sezione staccata di Latina (Sezione Prima) n. 1981/2010, resa tra le parti, concernente l’impugnativa del provvedimento del 12 gennaio 2001 di diniego del condono edilizio
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Latina;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza telematica del giorno 16 giugno 2020, tenuta ai sensi dell’art. 84 commi 5 e 6 del d.l. 17 marzo 2020 n. 18, conv. dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, il Cons. C A;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Con il presente atto di appello è stata impugnata la sentenza del Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sezione di Latina, n. 1981 del 2010, che ha respinto il ricorso proposto dal signor F P avverso il provvedimento del Comune di Latina del 12 gennaio 2001 con cui sono state respinte le domande di condono presentate, ai sensi della legge 28 febbraio 1985, n. 47 e 23 dicembre 1994, n. 724, per gli ampliamenti realizzati tra il 1975 e il 1983 su un manufatto preesistente costruito in forza di concessioni edilizie del concessioni edilizie del 16 dicembre 1959 e del 7 dicembre 1963, in via della Striscia 19 .
Il diniego, preceduto dal parere negativo della Commissione edilizia del 27 aprile 1999 e del dirigente del settore Urbanistica del 16 giugno 1999, è basato sui vincoli di inedificabilità assoluta esistenti sull’area ovvero la fascia di rispetto dei corsi d’acqua, essendo le opere abusive poste a ridosso dell’argine del fiume Sisto, e la fascia di rispetto stradale di cui al D.M. 1 aprile 1968 n. 1444, di venti metri trattandosi di strada comunale di tipo D, nonché in zona rurale H sottoposta a vincolo paesaggistico, ai sensi della legge 8 agosto 1985 n. 431 art. 1 lettera c) per la vicinanza al corso d’acqua.
Con il ricorso di primo grado erano stati proposte varie censure di violazione dell’articolo 32 della legge 47 del 1985 e di difetto di istruttoria e di motivazione non essendovi alcuna specifica motivazione nel provvedimento impugnato e nel richiamato parere del Dirigente del settore urbanistica né alcuna istruttoria relativa al momento di realizzazione dell’edificio rispetto alla imposizione del vincolo stradale nonché sulla compatibilità dell’opera rispetto alle esigenze di sicurezza stradale;di violazione dell’art. 35 della legge 47 del 1985, essendosi formato il silenzio assenso sulla istanza di condono;di difetto di motivazione in ragione del tempo trascorso dalla realizzazione dell’opera.
Il giudice di primo grado ha respinto il ricorso ritenendo sussistenti i vincoli di inedificabilità assoluta posti prima della realizzazione del manufatto, senza esaminare le ulteriori censure.
Con i motivi di appello si è sostenuta la erroneità della sentenza di primo grado, in quanto il vincolo relativo ai corsi d’acqua non impedirebbe completamente l’edificabilità e comunque il manufatto sarebbe stato realizzato in aderenza ad altro preesistente, oggetto di concessioni edilizie del 16 dicembre 1959 e del 7 dicembre 1963, già posto ad uguale distanza dal fiume, e inoltre sarebbe stata assentita per silenzio la DIA del 27 aprile 2006 per la manutenzione straordinaria dell’immobile oggetto delle concessioni edilizie;quanto alla fascia di rispetto stradale l’immobile sarebbe stato realizzato in parte già nel 1966, il vincolo sarebbe quindi relativo e avrebbe dovuto comportare una specifica valutazione di compatibilità del manufatto assente nel caso di specie.
Il Comune si è costituito in giudizio riproponendo l’eccezione già proposta in primo grado relativa alla inammissibilità del ricorso per la mancata impugnazione del parere negativo espresso dal dirigente comunale, ai sensi dell’art. 32 della legge n. 47 del 28 febbraio 1985, e ha contestato la fondatezza dell’appello.
La parte appellante nella memoria per l’udienza pubblica ha dedotto che la eccezione di inammissibilità, non esaminata dal giudice di primo grado, è stata riproposta dalla difesa comunale oltre il termine di cui all’art. 101 c.p.c., nel merito ha insistito nelle argomentazioni dell’atto di appello.
All’udienza telematica del giorno 16 giugno 2020, tenuta ai sensi dell’art. 84 commi 5 e 6 del d.l. 17 marzo 2020 n. 18, conv. dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, il giudizio è stato trattenuto in decisione.
Si può prescindere dall’esame della eccezione relativa alla inammissibilità del ricorso di primo grado e della sua tardività, in relazione alla evidente infondatezza dell’appello e del ricorso di primo grado.
L’art. 32 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, applicabile anche alle domande di condono presentate ai sensi della legge n. 724 del 1994, in forza del richiamo operato dall’art. 39 di detta legge, subordina il rilascio del titolo abilitativo edilizio in sanatoria per opere eseguite su immobili sottoposti a vincolo al parere favorevole delle amministrazioni preposte alla tutela del vincolo stesso, “ salve le fattispecie previste dall’articolo 33 ”.
Ai sensi dell’art. 33 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, non sono suscettibili di sanatoria le opere in contrasto con i seguenti vincoli “ qualora questi comportino inedificabilità e siano stati imposti prima della esecuzione delle opere stesse:
a) vincoli imposti da leggi statali e regionali nonché dagli strumenti urbanistici a tutela di interessi storici, artistici, architettonici, archeologici, paesistici, ambientali, idrogeologici;
b) vincoli imposti da norme statali e regionali a difesa delle coste marine, lacuali e fluviali;
c) vincoli imposti a tutela di interessi della difesa militare e della sicurezza interna;
d) ogni altro vincolo che comporti la inedificabilità delle aree ”.
Nel caso di specie, l’area in cui sono poste le opere è soggetta a vincolo di inedificabilità per la fascia di rispetto del corso d’acqua ai sensi dell’art. 96 comma 1 lettera f) del R.D. 25 luglio 1904, n. 523, che prevede il divieto di “ fabbriche e scavi ” in una fascia di dieci metri dalle acque pubbliche.
L’art. 96 comma 1 lettera f) R.D. n. 523 del 1904, include sotto la dizione onnicomprensiva " fabbriche " gli interventi edilizi che comportino alterazioni o modificazioni dello stato dei luoghi della fascia di rispetto (Cons. Stato Sez. VI, 29 novembre 2019, n. 8184).
Per costante giurisprudenza, il divieto di costruzione ad una certa distanza dagli argini dei corsi d'acqua demaniali ha carattere assoluto ed inderogabile e risponde ad interessi pubblici di rango primario quali la tutela delle acque e la sicurezza dei luoghi;pertanto, nell'ipotesi di costruzione abusiva realizzata in contrasto con tale divieto trova applicazione l'art. 33 della legge n. 47 del 1985 il quale contempla i vincoli di inedificabilità assoluta includendo in tale ambito i casi in cui le norme vietino in modo assoluto di edificare in determinate aree in funzione della tutela di interessi generali, con la conseguenza della insanabilità dell’opera (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 22 giugno 2011 n. 3781;Sez. V, 26 marzo 2009 n. 1814;Sez. VI, 29 novembre 2019, n. 8184;id, 10 gennaio 2018, n. 102; Sez. IV, 28 marzo 2019, n. 2053).
Nel caso di specie, la difesa appellante non contesta la circostanza di fatto della distanza dal corso d’acqua ma sostiene - peraltro nel solo atto di appello ma non nel ricorso di primo grado- che la esclusione dalla fascia di inedificabilità sarebbe dimostrata dalla stessa collocazione del fabbricato preesistente legittimamente realizzato, che sarebbe posto parallelamente al corso del fiume alla medesima distanza dallo stesso nonché dall’assenso alla DIA del 27 aprile 2006 per la manutenzione straordinaria del medesimo immobile regolarmente assentito dalle concessioni edilizie.
Tali argomentazioni non possono essere condivise.
La circostanza che una concessione sia stata precedentemente rilasciata (e conseguentemente anche assentita la DIA per la manutenzione straordinaria dell’edificio ormai legittimamente edificato) di per se’ non comporta alcun affidamento del privato sulla successiva sanatoria nelle medesime condizioni di fatto, potendo se mai tale affidamento essere valutato ai fini dell’esercizio dell’autotutela su concessioni eventualmente illegittimamente rilasciate in passato.
Inoltre, nel caso di specie, il rilascio della precedente concessione poteva dipendere da una diversa collocazione dell’edificio rispetto all’argine del fiume (non perfettamente parallelo alla linea dell’argine) o anche dalle eventuali modifiche di quest’ultimo nel corso del tempo.
Peraltro, il diniego è stato basato anche sulla sussistenza del vincolo della fascia di rispetto stradale ai sensi del D.M. 1 aprile 1968, n. 1404.
L’art. 4 di tale decreto ministeriale indica le distanze da osservarsi nella edificazione a partire dal ciglio della strada e da misurarsi in proiezione orizzontale, tra cui per la strade di tipo D, provinciali e comunali di interesse locale, la distanza di metri 20,00 dal ciglio della strada.
Il vincolo della fascia di rispetto stradale è stato posto dal decreto ministeriale prima della costruzione delle opere di ampliamento, che in base a quanto dichiarato nella relazione tecnica del 29 novembre 1997, allegata alla richiesta di parere ai sensi dell’art. 32 della legge n. 47 del 1985, nella dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà resa dal signor P il 7 agosto 1997, nonché dalle risultanze dalla relazione istruttoria del tecnico comunale del 24 marzo 1999, sono state realizzate tra il 1975 e il 1983.
L’anno 1966 indicato nell’atto di appello e nel ricorso di primo grado, ai fini di inferirne la preesistenza delle opere al vincolo di rispetto stradale, infatti, in base alla documentazione sopra citata, riguarda il mutamento di destinazione d’uso da abitazione a negozio di una parte dell’edificio, già oggetto delle concessioni edilizie del 1959 e 1963, e per cui è stata rilasciata la sanatoria.
Ne deriva che, in ogni caso, anche sotto tale profilo, la domanda non poteva essere accolta.
I vincoli stradali, posti prima della realizzazione delle opere, sono, infatti, vincoli di inedificabilità assoluta, disciplinati dall’art. 33 della legge n. 47 del 1985, che impediscono, quindi, il rilascio del condono, indipendentemente dalla richiesta di parere all’autorità preposta alla tutela del vincolo.
Per la consolidata giurisprudenza il vincolo imposto sulle aree site nella fascia di rispetto stradale è di inedificabilità assoluta traducendosi in un divieto assoluto di costruire che rende inedificabili le aree site nella fascia di rispetto, indipendentemente dalle caratteristiche dell’opera realizzata e dalla necessità di accertamento in concreto dei connessi rischi per la circolazione stradale (Cons. Stato, Sez. IV, 13 giugno 2017, n. 2878;id, 14 aprile 2010, n. 2076;id., 27 gennaio 2015, n. 347). Pertanto, in caso di opera realizzata dopo l’imposizione del vincolo di assoluta inedificabilità previsto dal D.M. n. 1404 del 1968 si ricade nell’ipotesi di cui all’art. 33, comma 1, della L. n. 47 del 1985, con la conseguenza della non sanabilità dell’opera abusiva, trattandosi di vincolo per sua natura incompatibile con ogni manufatto. Solo, infatti, per le opere abusive realizzate prima dell’imposizione del vincolo, si può applicare l’ipotesi dell’art. 32, dovendosi ammettere solo in tal caso la possibilità di sanatoria, previa acquisizione del parere previsto dall’art. 32, comma 4, lettera c), con riferimento alla sicurezza del traffico (Cons. Stato, Sez. VI, 2 settembre 2019, n. 6035).
L’appello è, dunque, infondato e deve essere respinto.
Le spese, liquidate in euro 3000,00 oltre accessori di legge seguono la soccombenza e devono essere poste a carico della parte appellante.