Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2016-10-26, n. 201604471

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2016-10-26, n. 201604471
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201604471
Data del deposito : 26 ottobre 2016
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 26/10/2016

N. 04471/2016REG.PROV.COLL.

N. 01548/2016 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1548 del 2016, proposto da:
Ministero della Giustizia, Consiglio Superiore della Magistratura, Consiglio giudiziario presso la Corte d’appello di Bologna, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore , rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

contro

P L, rappresentato e difeso dagli avvocati A P e E G, con domicilio eletto presso il primo, in Roma, via di Villa Sacchetti, 11;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. EMILIA-ROMAGNA – BOLOGNA, SEZIONE I, n. 853/2015, resa tra le parti, concernente un parere negativo in merito alla IV valutazione di professionalità ai sensi dell’ordinamento giudiziario


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del dott. Luciano P;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 20 ottobre 2016 il consigliere F F e uditi per le parti gli avvocati Stigliano Messuti, per l’Avvocatura generale dello Stato, e Degni, per delega di Police;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Il dott. Luciano P, magistrato ordinario con funzioni di sostituto procuratore della Repubblica (all’epoca dei fatti) presso il Tribunale di Reggio Emilia impugnava davanti al Tribunale amministrativo regionale dell’Emilia-Romagna – sede di Bologna il parere negativo sulla quarta valutazione di professionalità ex art. 11 d.lgs. 5 aprile 2006, n. 160 ( Nuova disciplina dell'accesso in magistratura, nonché in materia di progressione economica e di funzioni dei magistrati, a norma dell’articolo 1, comma 1, lettera a), della legge 25 luglio 2005, n. 150 ) espresso nei suoi confronti dal Consiglio giudiziario presso la Corte d’appello di Bologna nella seduta del 20 maggio 2013, in relazione al quadriennio dall’8 luglio 2006 all’8 luglio 2010.

Il giudizio negativo conseguiva all’insufficiente valutazione dei profili dell’equilibrio, capacità e impegno, rispettivamente: negativo il primo e carenti gli altri due.

2. A sua volta, il giudizio negativo sulle doti di equilibrio era motivato con riferimento a un episodio che, a quanto risultava dagli atti, aveva i caratteri di un’aggressione sia verbale che fisica commesso dal dott. P ai danni degli agenti di polizia municipale che lo avevano fermato alla guida della sua autovettura e colto in stato di ebbrezza, nella notte del 19 febbraio 2010, in Carpi.

Le carenze che avevano dato invece luogo alle valutazioni insufficienti negli altri parametri erano invece motivate, nel caso della capacità, da una tecnica redazionale ed espositiva dei provvedimenti ritenuta non adeguata e dalla mancata partecipazione a corsi o iniziative di aggiornamento professionale con riguardo all’impegno.

3. Con la sentenza in epigrafe il Tribunale amministrativo adito accoglieva il ricorso del magistrato e annullava conseguentemente il parere negativo, giudicando fondate le censure riguardanti il parametro dell’equilibrio.

Secondo la sentenza il giudizio sul profilo in questione non avrebbe potuto prescindere dall’apporto conoscitivo del capo della Procura « in carica nel periodo da valutare », mentre nel caso di specie il Consiglio giudiziario si era limitato ad esaminare il rapporto informativo del titolare dell’ufficio ad esso subentrato ed in carica a tale momento.

Inoltre, la motivazione sul parametro dell’equilibrio non poteva fondarsi in via esclusiva sull’episodio in questione, per quanto grave, ma era necessario un apprezzamento complessivo del « restante comportamento del valutando », da esprimere attraverso « una motivazione specifica che sia ulteriore rispetto alla gravità dell’episodio sintomatico ».

4. Per la riforma di questa sentenza hanno proposto appello il Consiglio superiore della magistratura, il Ministero della giustizia e il Consiglio giudiziario autore del parere impugnato.

5. Si è costituito in resistenza il dott. P, con memoria contenente la riproposizione ex art. 101, comma 2, Cod. proc. amm. dei motivi di ricorso non esaminati dal Tribunale amministrativo. Il magistrato ha anche eccepito che ai sensi del comma 1 i motivi d’appello sarebbero formulati in modo generico.

DIRITTO

1. Deve essere esaminata con priorità l’eccezione di inammissibilità dell’appello per carenza di censure specifiche ex art. 101, comma 1, Cod. proc. amm. alla pronuncia di primo grado, sollevata dal dott. P (nella memoria per la camera di consiglio fissata sull’istanza cautelare delle amministrazioni appellante).

2. L’eccezione non può essere accolta.

A prescindere dal fatto che la censura stessa è caratterizzata dal vizio da cui invece egli assume essere affetto l’appello, ossia da una formulazione generica, deve in contrario evidenziarsi che il Ministero e gli organi del sistema dell’autogoverno appellanti hanno svolto critiche puntuali ai due assunti su cui si fonda la decisione di primo grado, così da devolvere in modo rituale a questo giudice d’appello i punti controversi.

3. In particolare, il Tribunale amministrativo ha ritenuto che il giudizio del Consiglio giudiziario sull’imparzialità, indipendenza ed equilibrio del magistrato avrebbe dovuto fondarsi sulla « conoscenza personale del valutando », attraverso l’assunzione di informazioni dal Procuratore capo in carica nel quadriennio in valutazione.

L’appello deduce in contrario a questa ratio decidendi che sul profilo in questione il Consiglio giudiziario si è attenuto all’art. 11 d.lgs. n. 160 del 2006, dando atto in motivazione del parere che il rapporto trasmesso dal(l’attuale) capo dell’ufficio non conteneva elementi conoscitivi sui fatti per i quali l’odierno appellato è stato sottoposto a procedimento penale, e che ha poi avuto un peso decisivo sul giudizio negativo. Pertanto l’organo preposto ha debitamente proceduto ad un’autonoma valutazione del parametro in base ad altre risultanze, presenti agli atti del procedimento.

In questo passaggio la censura si pone in contrapposizione logico-giuridica rispetto al ragionamento che ha condotto il Tribunale amministrativo ad accogliere il ricorso. Viene infatti confutato l’assunto secondo cui gli apporti istruttori esaminati dal Consiglio giudiziario erano insufficienti ed avrebbero dovuto essere integrati con quelli forniti dalla persona del dirigente che poteva vantare una diretta conoscenza del magistrato.

4. Simili considerazioni vanno svolte riguardo al giudizio di carente motivazione del parere di professionalità, che la sentenza ha incentrato sull’assenza di una specifica valutazione in ordine rilievo dell’episodio rispetto all’intero periodo in valutazione.

Sul punto l’appello rileva in senso contrario l’analitica motivazione del giudizio del Consiglio giudiziario, che pone in risalto la gravità dei fatti commessi dal magistrato, fatti che avevano superato il vaglio dell’udienza preliminare penale dando luogo al rinvio a giudizio dello stesso davanti al competente Tribunale di Ancona, e il loro carattere sintomatico di una « palese e gravissima carenza di equilibrio ».

Anche in questo caso appare evidente che le censure formulate nell’appello colgono errori di diritto nella decisione, attraverso la deduzione di elementi in grado di infirmare il ragionamento logico-giuridico della sentenza.

5. Può dunque passarsi ad esaminare i motivi d’appello nel merito.

6. Con un primo ordine di censure il Ministro della giustizia e gli organi di autogoverno appellanti chiedono che la sentenza sia annullata per violazione dell’art. 112 Cod. proc. civ., per omessa pronuncia sul difetto di legittimazione passiva del Consiglio superiore della magistratura rispetto al ricorso del dott. P.

7. Il motivo è fondato, sebbene il suo accoglimento non possa condurre alle conseguenze ipotizzate nell’appello.

Infatti, secondo la pacifica giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, l’infrapetizione e la conseguente violazione della norma processuale rientrano nel novero degli errori di diritto attribuiti alla cognizione del giudice dell’appello nell’ambito di un giudizio che è devolutivo, limitatamente ai capi e ai punti della sentenza di primo grado impugnata, e non cassatorio ( ex multis : Cons. Stato, IV, 27 gennaio 2015, n. 376;
V, 27 gennaio 2016, n. 279;
VI, 15 maggio 2015, n. 2479, 22 settembre 2014, n. 4783, 7 giugno 2011, n. 3429).

Pertanto, l’accoglimento di tale censura dà luogo a una riforma della sentenza di primo grado, non di annullamento della stessa, invece prevista nei soli casi tassativi dell’art. 105, comma 1, del Codice del processo amministrativo, tra i quali non rientra il difetto di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato.

8. A quanto ora rilevato va soggiunto che, come controdedotto dal dott. P, il Consiglio superiore della magistratura non si era nemmeno costituito nel giudizio di primo grado, cosicché l’eccezione formulata dal Consiglio giudiziario, sebbene non esaminata dal Tribunale amministrativo, sarebbe stata comunque inammissibile per diretto di interesse (eccezione de tertiis ).

9. Tutto ciò precisato, come sopra accennato l’eccezione è nondimeno fondata nel merito ed in suo accoglimento deve essere dichiarato il difetto di legittimazione passiva del Consiglio superiore della magistratura, perché rispetto all’impugnazione proposta dal dott. P l’organo legittimato dal lato passivo ai sensi dell’art. 41, comma 2, cod. proc. amm. è il Consiglio giudiziario presso la Corte d’appello di Bologna, esclusivo autore del parere negativo di professionalità impugnato (che ha natura provvedimentale: cfr. Cons. Stato, IV, 28 settembre 2009, n. 5836).

10. Per le stesse ragioni deve va dichiarato il difetto di legittimazione passiva del Ministero della giustizia, appellante unitamente al C.S.M. e al Consiglio giudiziario che ha emesso il parere. Al riguardo deve precisarsi, in linea con la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato ( ex multis : IV, 28 settembre 2016, n. 4024, 8 settembre 2015, n. 4157, 5 marzo 2015, n. 1116;
VI, 21 luglio 2016, n. 3303) che il rilievo del difetto di legittimazione, quale condizione dell’azione, è ufficioso e prescinde dall’eccezione di parte, ed è attribuito anche al giudice d’appello con il solo limite del giudicato interno sulla questione.

11. Passando alle censure di merito contenute nel presente appello, è fondata innanzitutto quella in cui si contesta che il parere di professionalità avrebbe dovuto essere reso sulla base di elementi informativi sulle doti di equilibrio, indipendenza e imparzialità forniti dalla persona del dirigente dell’ufficio di Procura in carica nel quadriennio in valutazione e pertanto a diretta conoscenza del magistrato.

12. Si deve premettere che il più volte citato art. 11, d.lgs. 5 aprile 2006, n. 160 si limita a richiedere che nelle valutazioni periodiche di professionalità siano acquisiti « il rapporto e le segnalazioni provenienti dai capi degli uffici, i quali devono tenere conto delle situazioni specifiche rappresentate da terzi, nonché le segnalazioni pervenute dal consiglio dell’ordine degli avvocati, sempre che si riferiscano a fatti specifici incidenti sulla professionalità, con particolare riguardo alle situazioni eventuali concrete e oggettive di esercizio non indipendente della funzione e ai comportamenti che denotino evidente mancanza di equilibrio o di preparazione giuridica » (comma 4, lett. f). Il comma 5 prevede che il Consiglio giudiziario « può assumere informazioni su fatti specifici segnalati da suoi componenti o dai dirigenti degli uffici o dai consigli dell'ordine degli avvocati », in questo caso dovendo garantire il contraddittorio al magistrato interessato.

13. Da questa previsione si ricava che l’organo preposto alla valutazione è tenuto ad esaminare ed eventualmente acquisire ogni elemento istruttorio che possa avere rilievo ai fini del giudizio. Ma ciò è quanto ha fatto il Consiglio giudiziario presso la Corte d’appello di Bologna, dopo avere preso atto che la relazione inviatagli dal capo dell’ufficio « non contiene rilievi di sorta », ed in particolare elementi che potessero essere utilizzati ai fini del giudizio sul parametro dell’equilibrio. Su questa base, la valutazione è stata espressa sulla base dell’ulteriore « documentazione acquisita in sede istruttoria », relativa ai fatti oggetto di procedimento penale a carico dell’odierno appellato.

14. La descritta critica dunque è stata infondatamente rivolta un simile operato, che è pienamente conforme al precetto normativo primario regolante le valutazioni di professionalità dei magistrati: è evidente che a fronte dell’assenza di elementi ritraibili dal rapporto informativo del dirigente sul profilo in questione il Consiglio giudiziario ha utilizzato gli altri elementi conoscitivi a sua disposizione.

Quanto all’esigenza di acquisire ulteriori informazioni dalla persona del Procuratore capo in carica nel quadriennio – elemento ritenuto decisivo dal Tribunale amministrativo – è sufficiente evidenziare che ai sensi del citato comma 5 dell’art. 11 d.lgs. n. 160 del 2006, essa costituisce una mera facoltà ulteriore di cui il Consiglio giudiziario può discrezionalmente decidere di avvalersi e, soprattutto, che nell’esercizio della stessa facoltà è stata acquisita la documentazione relativa alle vicissitudini di natura penale che hanno visto coinvolto il magistrato in valutazione. Quindi, una volta acquisiti questi elementi conoscitivi non è dato cogliere l’esigenza di ulteriori apporti istruttori, ed in particolare dal precedente capo dell’ufficio, posto che verosimilmente nulla avrebbe egli rispetto a vicende avvenute al di fuori dell’esercizio delle funzioni giurisdizionali e dunque dell’attività d’ufficio del magistrato.

15. Venendo quindi alle censure dell’appello relative al vizio difetto di motivazione del parere ritenuto dalla sentenza, anch’esse sono fondate perché, lungi dall’essere insufficiente, la motivazione del giudizio negativo dell’equilibrio del magistrato odierno appellato è chiara, puntuale e approfondita in ordine al punto decisivo circa la specifica rilevanza dell’episodio rispetto al parametro in valutazione.

16. Al riguardo, il Consiglio giudiziario riferisce innanzitutto che per la rilevata aggressione nei confronti degli agenti di polizia municipale che lo avevano colto in stato di ebbrezza alla guida della sua autovettura nella notte del 19 febbraio 2010, l’odierno appellato è stato rinviato a giudizio davanti al Tribunale di Ancona per i reati di cui agli artt. 186, comma 1, lett. c) , del codice della strada (guida in stato di ebbrezza), 337, 582, 585, 576, in relazione all’art. 61, n. 2), del Codice penale (resistenza a pubblico ufficiale e lesioni lievi aggravate), e che (all’epoca del parere) il dibattimento era tuttora pendente.

L’organo passa quindi ad esaminare il merito delle imputazioni, rilevando che il magistrato sorpreso nottetempo alla guida di una vettura in stato di ebbrezza « avrebbe reagito con violenza e minaccia, accompagnate, peraltro, da una impropria rivendicazione dell’autorevolezza derivante dal proprio ruolo di magistrato (…) procurando, altresì, ad uno degli operanti (che, secondo quanto contestato, sarebbe stato afferrato per il collo e strattonato) lesioni lievi ». Nel prosieguo il Consiglio giudiziario riferisce: di una “controdenuncia” del dott. P nei confronti degli agenti municipali di Carpi per reati di falso in atto pubblico, calunnia, abuso d’ufficio, arresto illegale e lesioni personali, tuttavia archiviata dal competente G.I.P. presso il Tribunale di Ancona;
e di un ulteriore procedimento con il magistrato nella veste di indagato, per i reati di ingiuria aggravata continuata ai danni dei medesimi agenti di polizia per i fatti commessi la stessa notte, scaturito da una successiva querela sporta da questi ultimi, e definito con sentenza di non doversi procedere per remissione di querela dal Giudice di pace di Ancona.

17. Sulla base di questi elementi, il Consiglio giudiziario ritiene innanzitutto che entrambe le notizie di reato a carico del dott. P siano « quanto meno non manifestamente infondate », in seguito al superamento del vaglio dell’udienza preliminare e l’approdo alla successiva fase dibattimentale, anche per quanto riguarda la seconda, definita non già con un « proscioglimento nel merito », ma di improcedibilità. In secondo luogo, secondo il Consiglio giudiziario i fatti oggetto di tali notizie di reato sono « sintomatiche, ove dimostrate, di una palese e gravissima carenza di equilibrio (trattandosi di comportamenti che, sebbene posti al di fuori dell’esercizio delle funzioni giurisdizionali, denoterebbero una arrogante percezione della propria funzione ed una totale assenza di rispetto verso l’operato delle forze dell’ordine, per giunta da parte di un magistrato del pubblico ministero, che con le stessa interagisce quotidianamente) ».

18. A conclusione di questa disamina, nella parte finale del parere l’organo preposto alla valutazione si esprime in questi termini: « la gravità dei fatti per i quali pende procedimento penale (…) non consente, allo stato, di formulare un parere positivo in ordine al parametro dell’equilibrio ». Infine, stante la carenza nei parametri della capacità e impegno, il giudizio globale sulla professionalità del magistrato è negativo.

19. Così ricostruito in sintesi il giudizio del Consiglio giudiziario appellante, deve escludersi che in esso difetti una compiuta ed esauriente esposizione delle ragioni a sostegno del giudizio sfavorevole e di una valutazione specifica della rilevanza del grave episodio che ha visto coinvolto il magistrato sull’apprezzamento delle doti di equilibrio indispensabili per l’esercizio della funzione.

Non è qui il caso di richiamare la giurisprudenza consolidata di questo Consiglio di Stato secondo cui l’obbligo di motivazione dei provvedimenti amministrativi va valutato in coerenza con la sua funzione tipica, come esternazione del percorso logico-giuridico seguito dall’amministrazione nell’emanazione dell’atto finale, secondo una concezione di tipo funzionale, imperniata sull’esigenza di assicurare al cittadino il diritto di difesa in giudizio (in conformità agli artt. 24 e 113 della Costituzione) e sulla possibilità di contestare efficacemente le contrarie determinazioni dei pubblici poteri (cfr. da ultimo: Cons. Stato, III, 23 novembre 2015, nn. 5311 e 5312;
IV, 21 aprile 2015, n. 2011;
V, 23 settembre 2015, n. 4443, 28 luglio 2015, n. 3702, 14 aprile 2015, n. 1875, 24 marzo 2014).

In effetti, qui il Consiglio giudiziario ha anzitutto adempiuto a questo obbligo minimo e lo ha fatto con una analitica ricostruzione dei fatti ed una altrettanto articolata esposizione – che non appare né irragionevole né incongrua - delle ragioni per cui gli elementi istruttori esaminati erano utilizzabili, nei termini che vi rilevavano ai fini del giudizio sulla professionalità del magistrato, sebbene ancora non oggetto di una pronuncia definitiva del giudice penale: e che risultavano di una gravità tale delineare un profilo del magistrato in valutazione incompatibile con le doti di equilibrio richiesti al decoro e all’importanza della relativa, particolare pubblica funzione.

Non è del pari in discussione in questo giudizio la condivisibilità di questo giudizio – che peraltro non spetta a questo giudice normalmente sindacare (cfr. Cass., SS.UU., 5 ottobre 2015, n. 19787).

Ciò che va chiarito e che è decisivo ai fini della presente controversia è invece che il Consiglio giudiziario ha fornito una motivazione puntuale sulla rilevanza del grave episodio sopra descritto sul ricordato parametro professionale oggetto di valutazione, che le censure articolate nel presente giudizio dal magistrato interessato non scalfiscono.

20. Da ultimo, va dato atto che nel costituirsi in resistenza a questo mezzo il dott. P ha dichiarato di riproporre ai sensi dell’art. 101, comma 2, Cod. proc. amm. « tutte le domande e le eccezioni, in rito ed in merito, sollevate nel giudizio di primo grado » (così nella memoria costitutiva depositata l’11 aprile 2016;
analogo richiamo è contenuto nella memoria del medesimo appellato per la camera di consiglio del 9 giugno 2016).

Sennonché, come ripetutamente affermato da questo Consiglio di Stato, una simile modalità di riproposizione dei motivi di ricorso assorbiti o non esaminati dal Tribunale amministrativo non è idoneo a devolvere la cognizione sugli stessi al giudice d’appello ( ex multis : Cons. Stato, III, 6 giugno 2011, n. 3371;
IV, 31 agosto 2016, n. 3735;
V, 27 luglio 2016, n. 3397, 27 ottobre 2014, n. 5282, 2 ottobre 2014, nn. 4897 e 4915). Questa giurisprudenza afferma che l’onere di riproposizione sancito dalla citata disposizione va assolto mediante richiamo specifico dei motivi già articolati con il ricorso di primo grado, così da consentire alle controparti di esercitare con pienezza il proprio diritto di difesa e al giudice dell’appello di avere il quadro chiaro del thema decidendum devoluto nel giudizio di secondo grado, sul quale egli è tenuto a pronunciarsi. Di conseguenza un rinvio indeterminato alle censure assorbite ed agli atti di primo grado che le contenevano, privo della precisazione del loro contenuto – come nel caso di specie - è inidoneo ad introdurre nel giudizio d’appello i motivi in tal modo (solo genericamente) richiamati.

21. In ragione di tutto quanto sopra l’appello deve essere accolto e, in riforma della sentenza di primo grado, deve essere respinto il ricorso del dott. P.

Le spese del doppio grado di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi