Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2018-07-26, n. 201804591

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2018-07-26, n. 201804591
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201804591
Data del deposito : 26 luglio 2018
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 26/07/2018

N. 04591/2018REG.PROV.COLL.

N. 00017/2017 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 17 del 2017, proposto dal Sig. M F, in proprio e quale legale rappresentante della impresa agricola individuale M F, rappresentato e difeso dagli Avvocati S L, A P e L P, con domicilio eletto presso lo studio dell’Avvocato S L in Roma, via Tortona, n. 4;

contro

Comune di Pontechianale, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dagli Avvocati P S e C P, con domicilio eletto presso lo studio dell’Avvocato L D R in Roma, via della Consulta, n. 50;

nei confronti

D M, P E B, Gmpiero Boudin, Margherita Ruffino, Ditta Eredi di Allocco Giuseppe Emilio, non costituiti in giudizio;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. PIEMONTE – TORINO, SEZIONE II, n. 610 del 6 maggio 2016.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Pontechianale;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 14 giugno 2018 il Consigliere Paola Alba Aurora Puliatti e uditi per le parti gli Avvocati S L e L D R su delega di P S;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1.- Con ricorso al TAR Piemonte, il Sig. M F (unitamente ad altri ricorrenti), residente nel Comune di Pontechianale, imprenditore dedito all’allevamento di bestiame in regime di margaria (ossia l’allevamento del bestiame nelle malghe di alta montagna nella stagione estiva ed autunnale, con successivo trasferimento in pianura per la stagione invernale), impugnava la DCC n. 10 del 2015, con la quale è stato modificato il Regolamento comunale per l’esercizio dell’uso civico di pascolo, nonché numerosi atti presupposti e conseguenti.

L’appellante, sin dal 2014, era assegnatario di lotti di alta montagna in uso civico per l’allevamento del bestiame su istanza presentata all’Amministrazione, così come previsto dal precedente Regolamento, approvato con DCC 18 del 2008.

Secondo le modifiche di cui alla impugnata DCC n. 10 del 2015 (art. 19), il Comune ha introdotto l’assegnazione di lotti pascolativi mediante l’asta pubblica per tutti i soggetti richiedenti sia residenti che non, salvo che per “i residenti con bestiame stabulante tutto l’anno in loco” ai quali è garantita per un numero limitato di lotti l’assegnazione su istanza.

Per i residenti, come il ricorrente che praticano la margaria, il Comune ha invece previsto l’assegnazione in concorrenza con imprenditori non residenti.

Il ricorrente ha dedotto la violazione e/o falsa applicazione di legge con riferimento alla L.r. 2 dicembre 2009, n. 29, in particolare, con riferimento all’art. 9 rubricato “regolamenti locali”, e l’eccesso di potere sotto il profilo del difetto e/o incompletezza d’istruttoria, l’eccesso di potere sotto il profilo dello sviamento di potere, il travisamento dei fatti ed erronea valutazione dei presupposti, illogicità ed incongruenza manifesta, contraddittorietà intrinseca, contraddittorietà estrinseca e/o tra atti, arbitrarietà, perplessità dell’azione amministrativa.

2. - La sentenza in epigrafe ha respinto il ricorso, compensando tra le parti le spese di giudizio.

3. - Con l’appello in esame, l’interessato lamenta l’erroneità e ingiustizia della sentenza per la travisata ed errata interpretazione ed applicazione della L.r. n. 29 del 2009 e della L. n. 1766 del 1927, sull’ordinamento degli usi civici;
nonché per la ingiusta discriminazione che viene perpetrata in merito alla qualificazione e suddivisione in categorie differenti dei residenti, a seconda che abbiano bestiame stabulante tutto l’anno o meno nel territorio di Pontechianale.

4. - Resiste in giudizio il Comune intimato, chiedendo il rigetto dell’appello.

5. - All’udienza pubblica del 14 giugno 2018, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1.- L’appello è fondato.

2.- Fondato è il secondo motivo di appello con cui si censura la decisione per aver ritenuto legittimamente esercitato il potere regolamentare previsto dalla legge regionale (art. 9 della L.r. n. 29 del 2009) discriminando nelle modalità di assegnazione dei lotti in uso civico gli allevatori residenti, ma con bestiame non stabulante tutto l’anno nel territorio comunale, rispetto ai residenti che invece praticano l’allevamento con stabulazione tutto l’anno nel territorio di Pontechianale, e rigettando la tesi del ricorrente per la quale i ‘cittadini’ (di cui all’art. 26 della L. n.1766 del 1927) titolati all’esercizio dell’uso civico coinciderebbero con i soli residenti anagrafici del Comune.

2.1.- Il primo Giudice ha ritenuto che i soggetti titolati al godimento di uso civico debbano essere intesi “come l’insieme di coloro che compongono una comunità legata ad un certo ambito territoriale” e non individuati sulla base della categoria “più limitata e formalistica di ‘residenza’ collegata alla mera iscrizione nelle liste anagrafiche di un Comune”, argomentando ex art. 26 della legge n. 1776 del 1927 (sul riordinamento degli usi civici), il quale stabilisce che i terreni di uso civico dei Comuni devono essere "aperti agli usi di tutti i cittadini del Comune e della frazione".

Si afferma in sentenza che “l a collettività locale, della quale il Comune è ente esponenziale, normalmente coincide con l'insieme degli abitanti che formalmente possono essere identificati con i "residenti", ma ciò non esclude la rilevanza delle più ampie formazioni sociali che, come nella specie, possono trovare la loro identificazione nel fatto di possedere immobili (beni civici) e di godere di diritti (usi civici) acquistati ab origine…. Pertanto, la nozione di "cittadini" nella legge sugli usi civici può essere intesa in un senso comprensivo anche delle collettività esorbitanti rispetto alla popolazione anagrafica, che trovano la propria identità giuridica proprio nel possesso dei beni e nella titolarità di diritti di uso civico”.

2.2. - Il ricorrente invoca, invece, a favore della propria tesi, lo stesso precedente del TAR Piemonte, sez. II, n. 4239 del 10.11.2010, citato dal primo giudice, e altra pronuncia del TAR Trento n. 78 del 2014, secondo la cui corretta interpretazione l’alternativa tra concessione in seguito ad istanza e concessione in seguito a gara ad evidenza pubblica dovrebbe dipendere dal fatto che l’utilità tipica del regime di uso civico, per sua natura rivolta unicamente agli appartenenti ad una determinata collettività locale, legittima un’assegnazione diretta, mentre soltanto allorché quello stesso bene sia sottoposto al diverso regime della concessione onerosa (seppure in modo temporaneo) l’individuazione del concessionario non può soggiacere a limitazioni territoriali, per i principi comunitari di libera circolazione e concorrenza, e in tal caso, deve procedersi mediante gara pubblica, prevalendo le ragioni dello sfruttamento economico del bene.

2.3. - Il Collegio condivide in parte le argomentazioni dell’appellante.

Occorre prendere le mosse dalla nozione di uso civico.

Come ricorda lo stesso TAR, si tratta di diritto reale che conferisce il potere di godimento su beni comuni ai membri di una determinata collettività, “normalmente” coincidente con la popolazione di un Comune.

Il TAR non esclude che la collettività locale possa ricomprendere anche soggetti non residenti;
ciò che rileverebbe per la titolarità del diritto è non la mera residenza anagrafica nel comune, ma “il collegamento tra la comunità di soggetti ed il territorio del Comune, rispetto all'esercizio dell'attività di pascolo”;
per cui il riconoscimento dello status di legittimi titolari dell'uso civico di pascolo è giustificato “dall'appartenenza alla collettività comunale che da tempo immemorabile ne fruisce”.

E a tal fine, ritiene ragionevole la disposizione regolamentare che ammette (in seconda battuta) una volta assegnati i 5 lotti riservati a coloro che risiedono col bestiame tutto l’anno in territorio comunale, l’assegnazione di un maggior numero di lotti (27),con procedura selettiva, in concorrenza tra loro, ai residenti che stabulano solo parte dell’anno e ai non residenti che pascolino sul territorio comunale da almeno sette anni e a quelli che fruiscano dei pascoli comunali da almeno cinque anni.

2.4. - Il Collegio concorda nel ritenere che, per un verso, il concetto di “cittadinanza” comunale, nella materia degli usi civici, possa essere esteso fino a ricomprendere anche coloro che versano in un significativo rapporto con la comunità ed il suo territorio (in virtù, ad es. del godimento a vario titolo di terreni ad uso pascolo continuativamente da un certo periodo di tempo), i quali finiscono per costituire la “comunità locale”, condividendone gli interessi, pur non essendo residenti.

Tuttavia, il Collegio ritiene anche che l’estensione ai “non residenti” della possibilità di accedere ad usi civici alla stessa stregua di chi è residente non risponda alla lettera e alle finalità delle norme statali e regionali regolatrici della materia.

L'art. 26 della legge n. 1776 del 1927 (sul riordinamento degli usi civici) stabilisce che i terreni di uso civico dei Comuni e delle frazioni e quelli delle associazioni, sia che passino ai Comuni od alle frazioni, sia che restino alle associazioni stesse, devono essere "aperti agli usi di tutti i cittadini del Comune e della frazione", senza ulteriori distinzioni all’interno della categoria dei “residenti”.

Le definizioni di cui all’art. 2 della legge regionale piemontese (lett. c, “beni di proprietà collettiva”: terre appartenenti all’originario demanio collettivo…nonché ad una determinata comunità anche privata, destinate a godimento da parte dei residenti con vincolo di incolato - e lett. f, “incolato”: “obbligo di residenza” per aver diritto alla divisione periodica dei terreni per il pascolamento del bestiame ), nonché la disciplina dettata dagli artt. 6 e 7 della stessa legge regionale, in particolare le disposizioni che prevedono una gestione separata dei beni di uso civico frazionale ASBUC frazionali, riguardanti i terreni di originario demanio collettivo o appartenenti a frazioni o comuni censuari, destinati al godimento da parte dei residenti con vincolo di incolato, lasciano intendere che il legislatore abbia voluto riservare ai “residenti” un atteggiamento di favore nella fruizione dei beni civici, senza discriminazione alcuna tra gli stessi dipendente dalle modalità di esercizio del diritto.

All’Amministrazione comunale compete di regolare l’esercizio dei diritti di uso civico da parte della comunità locale, determinando il contenuto, i limiti e l’eventuale corrispettivo a carico degli utenti, nonché le modalità di riscossione dei canoni (art. 9), tenendo conto adeguatamente delle finalità della legge e delle definizioni contenute nella stessa.

L’Ente comunale, dunque, stante il tenore delle norme regionali, ha il potere di regolamentare l’utilizzo e la distribuzione del diritto, ma non quello di diversificare discrezionalmente il trattamento riservato ai residenti.

Tale interpretazione appare coerente anche con l’interpretazione logica e teleologica delle norme: risulterebbe oltremodo irragionevole e illogicamente discriminatorio, ai fini dell’assegnazione delle terre in uso civico, operare distinzioni tra i cittadini ‘residenti’ a seconda del modo di svolgimento dell’attività di sfruttamento del lotto e di conduzione del pascolo, tanto più che è notorio come la pratica dell’allevamento in malga nei soli mesi estivi, con alternanza in pianura nei mesi invernali, corrisponda anche ad una condizione di maggior benessere per gli animali.

Sicché, imporre la procedura di gara per l’assegnazione dei lotti solo a coloro, tra i residenti, che praticano la margaria, in concorso con i non residenti (che pure fanno parte della “comunità locale” in senso lato) sarebbe ingiustamente penalizzante nei loro confronti, quantunque il Comune argomenti il trattamento di favore riservato a coloro che stabilmente pascolano in montagna tutto l’anno con la finalità di favorire lo sviluppo e l’ampliamento di aziende locali.

Difatti, così facendo, non solo l’interesse privato risulterebbe oggetto di ingiusta discriminazione, ma lo stesso interesse pubblico al migliore svolgimento delle attività produttive, secondo le regole tecniche e le consuetudini proprie della singola attività, considerato che la pratica della “transumanza” è una delle più tradizionali e fruttuose in allevamento, tanto da essere stata proposta dall’Italia quale patrimonio culturale immateriale dell’Umanità UNESCO proprio nel marzo 2018, e come tale non dovrebbe essere penalizzata.

3.- In conclusione, l’appello va accolto con la dichiarazione di illegittimità delle disposizioni regolamentari nella parte in cui prevedono che i residenti nel Comune di Pontechianale, che allevano bestiame stabulante nel territorio comunale solo per una parte dell’anno, debbano concorrere all’assegnazione dei lotti con i soggetti non residenti.

4.- Non può trovare accoglimento, invece, la domanda risarcitoria per difetto dei presupposti e per genericità della stessa.

La dichiarazione di illegittimità dell’atto amministrativo non è sufficiente a fondare il diritto al risarcimento, dovendosi ricercare anche il nesso causale tra l’atto e il danno ingiusto e l’esistenza dell’elemento soggettivo della colpa o del dolo in capo all’Amministrazione (giurisprudenza consolidata, cfr. C.d.S. sez. III, 08/05/2018, n. 2724;
sez. V, 06/09/2017, n. 4226).

Nel caso in esame, la difficoltà interpretativa delle norme non consente di ritenere che sussistano gli estremi del comportamento colpevole.

Ai sensi degli articoli 30 e 40 del c.p.a., la parte deve anche dimostrare l'an e il quantum del danno che assume di aver sofferto (cfr. Cons. St., A.P., 12.5.2017, n. 2).

Nel caso di specie, il danno è solo genericamente lamentato dall’appellante ed è privo di adeguati elementi probatori.

Non può valere in tal senso la documentazione da ultimo prodotta in giudizio, con particolare riferimento alle domande del signor M volte ad ottenere i finanziamenti europei – PAC – per gli anni dal 2012 al 2017 ed i pertinenti fascicoli aziendali, con l’elencazione dei fondi condotti.

Tali documenti a dimostrazione del pregiudizio subìto dall’appellante sono documenti “nuovi”, inammissibili in appello.

5.- Le spese di entrambi i gradi di giudizio possono compensarsi tra le parti in considerazione della peculiarità della vicenda.

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