Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2021-03-22, n. 202102428

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2021-03-22, n. 202102428
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202102428
Data del deposito : 22 marzo 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 22/03/2021

N. 02428/2021REG.PROV.COLL.

N. 00857/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 857 del 2019, proposto dal signor -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’avv. L P, e elettivamente domiciliato presso il suo studio in Roma, al corso Vittorio Emanuele II, n. 154, per mandato in calce all’appello, con indicazione di domicilio digitale pugliese.leonardo@oravta.legalmail.it e numero di telefax 0998216684;

contro

Ministero della difesa, in persona del Ministro in carica, Comando generale dell’Arma dei carabinieri, in persona del Comandante generale pro-tempore, rappresentati e difesi ex lege dall’Avvocatura generale dello Stato, e presso gli uffici della medesima domiciliati in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12;

per la riforma

della sentenza in forma semplificata del T.A.R. per la Puglia, Sezione 1^, n.-OMISSIS-, resa tra le parti, con cui è stato rigettato il ricorso in primo grado n.r. 630/2018, proposto per l’annullamento della determinazione del Direttore generale per il personale militare del Ministero della Difesa del 9 marzo 2018 con cui, all’esito del procedimento disciplinare, è stata irrogata la sanzione militare di stato della perdita del grado per rimozione con decorrenza dal 5 ottobre 2017, con contestuale cessazione dal servizio permanente.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero della difesa;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore il Cons. Leonardo Spagnoletti nell'udienza pubblica del giorno 26 novembre 2020, celebrata nei modi e nelle forme di cui all’art. 25 del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, nessuno presente per le parti;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1.) -OMISSIS-, appuntato scelto dell’Arma dei Carabinieri, già in servizio da ultimo presso la Stazione del Carabinieri di Volturara Appula, è stato destinatario di ordinanza del G.I.P. presso il Tribunale di Foggia del 4 ottobre 2017 di applicazione della misura cautelare degli arresti domiciliari in relazione al delitto previsto e punito dall’art. 3 n. 8 della legge 20 febbraio 1958 n. 75 (“ È punito con la reclusione da due a sei anni e con la multa da lire 500.000 a lire 20.000.000 (1), salvo in ogni caso l'applicazione dell'art. 240 del Codice penale: 8) chiunque in qualsiasi modo favorisca o sfrutti la prostituzione altrui ”).

1.1) In seguito la misura custodiale è stata sostituita -a detta dell’interessato- con la misura alternativa dell’obbligo di dimora.

1.2) A seguito di inchiesta formale, e su conforme deliberazione della commissione di disciplina in data 11 dicembre 2017, con determinazione del Direttore generale per il personale militare del Ministero della difesa del 9 marzo 2018 è stata irrogata la sanzione disciplinare di stato della perdita del grado con rimozione, con decorrenza dal 5 ottobre 2017, con contestuale cessazione dal servizio permanente e iscrizione d’ufficio nel ruolo dei militari di truppa senza grado.

1.3) La determinazione è così motivata in modo testuale:

Appuntato Scelto, all’epoca dei fatti in servizio presso la Stazione dei Carabinieri di Volturino, in più occasioni, mediante la pubblicazione di annunci fotografici in siti "internet" con indicazione dei relativi contatti telefonici, favoriva l’attività di prostituzione della propria convivente, inducendo la medesima ad avere rapporti sessuali con terzi, in cambio di denaro.

Tali condotte, accertate in sede istruttoria, sono da ritenersi biasimevoli sotto l’aspetto disciplinare in quanto contrarie ai principi di moralità e di rettitudine che devono improntare l’agire di un militare, ai doveri attinenti al giuramento prestato e a quelli di correttezza cd esemplarità propri dello status di militare e di appartenente all’Arma dei Carabinieri ”.

1.4) Con ricorso in primo grado n.r. 630/2018 l’interessato ha impugnato il provvedimento e gli atti presupposti del procedimento disciplinare, deducendo, in sintesi, con unico motivo articolato, le seguenti censure:

Violazione dell’art 1393 del d.lgs. n 66/2010 - Eccesso di potere per errore nei presupposti e travisamento dei fatti - Difetto di istruttoria - Violazione dell’art. 3 della legge n. 241/1990 - Violazione dell’art. 1355 del d.lgs. n. 66/2010 - Violazione del principio di proporzionalità nell’irrogazione di sanzione disciplinare - Violazione dell’art. 1389 del d.lgs. n. 66/2010 - Violazione dell’art. 97 Cost. - Arbitrarietà, contraddittorietà e illogicità dell’azione amministrativa - Violazione dei principi di buina fede, correttezza, trasparenza e buona amministrazione - Violazione del legittimo affidamento - Ingiustizia manifesta

Premesso il pregresso servizio trentennale senza mende alle dipendenze dell’Arma, si deduce che l’interessato, all’epoca dei fatti, versava in precarie condizioni economiche, determinato sia dal versamento di quale assegno di mantenimento della ex coniuge medesima e dei figli nati in costanza di matrimonio, sia del mutuo immobiliare a suo tempo acceso per l’acquisto della abitazione familiare, sia dalla perdita del lavoro della convivente, con cui ha generato ulteriore figlio.

In tale situazione, egli si sarebbe limitato a consentire l’attività di prostituzione cui la convivente ha acceduto in piena autonomia, senza agevolarla in alcun modo, e senza che sia stata contestata l’induzione alla prostituzione, secondo quanto peraltro riscontrabile dalle dichiarazioni rese dalla donna versate agli atti del procedimento disciplinare.

Peraltro la motivazione del provvedimento fa riferimento al favoreggiamento della prostituzione senza che sia ancora intervenuto alcun accertamento in sede processuale penale.

In ogni caso non è stato considerato il pregresso stato di servizio privo di mende e l’addotta situazione di grave difficoltà economica, desumendo da un episodio isolato una valutazione di gravità che confligge con i canoni di ragionevolezza e proporzionalità.

1.5) Nel giudizio si è costituita l’Autorità statale intimata che ha dedotto, a sua volta, l’infondatezza del ricorso.

2.) Con sentenza in forma semplificata n.-OMISSIS-, emanata all’esito della camera di consiglio fissata per l’esame dell’istanza cautelare, il T.A.R. per la Puglia, Sezione 1^, ha rigettato il ricorso, con compensazione delle spese del grado di giudizio, con la seguente, testuale, motivazione:

Non sussiste il vizio di eccesso di potere per travisamento dei fatti atteso che il ricorrente, diversamente da quanto sostenuto, non solo conosceva, ma ha anche agevolato e favorito l'attività di prostituzione della propria convivente.

Tanto emerge dall'iter istruttorio ed, in particolare, dal contenuto delle fonti di prova raccolte nel processo penale, puntualmente indicate sia negli atti istruttori disciplinari sia nella relazione depositata nel presente giudizio ed in alcun modo smentito o contestato, se non attraverso l'allegazione, rimasta priva di alcun riscontro probatorio, dell'assenza di qualsivoglia attività di favoreggiamento.

In particolare dal contenuto delle intercettazioni telefoniche è emerso:

a) che lo stesso pubblicava annunci sui siti internet corredati da fotografie con intensa attività di adescamento di potenziali utilizzatori di prestazioni sessuali a pagamento (in merito la giurisprudenza di legittimità ha evidenziato che "integra il reato di favoreggiamento della prostituzione la condotta del marito che pubblicizzi con annunci tale tipo di attività facilitandone così lo svolgimento", in tal senso Cass. Pen. n. 39461/2017);

b) il prodigarsi del militare nel reperire locali ed appartamenti per l'accoglienza dei clienti;

c) che il militare più volte accompagnava la convivente con la propria autovettura nei luoghi convenuti per l'attività di prostituzione, come accertato attraverso l'attività di pedinamento e controllo attuata dalla polizia giudiziaria, anche con videoriprese (in merito il Giudice di legittimità ha statuito che "in tema di reati contro la moralità pubblica ed il buon costume, integra il reato di favoreggiamento ed è indizio di sfruttamento della prostituzione l'accompagnamento abituale con la propria autovettura di una donna nel luogo in cui la stessa si prostituisce", tra le ante, Cass. Pen. n. 16689 /2017);

d) l'attività di incasso e ripartizione dei profitti del meretricio, come accertato attraverso le intercettazioni sull'autovettura in uso al militare (in tal senso Cass. Pen. n. 28042/2016 secondo cui "Configura il delitto di sfruttamento della prostituzione la condotta del coniuge o convivente di una prostituta che, avendo la piena consapevolezza dell'attività sessuale a pagamento della donna, tragga i mezzi di sussistenza, in tutto o in parte, dai guadagni della prostituta, anche nel caso in cui tali proventi vengano ceduti spontaneamente per contribuire alla vita familiare").

Dai risultati delle indagini penali (in alcun modo smentite dal ricorrente), da cui l'Amministrazione certamente. può attingere per l'accertamento dei fatti, la loro qualificazione giuridica e l'attribuibilità al soggetto incolpato, è emerso che il militare non si è limitato ad un mero atteggiamento passivo della scelta della di lui convivente di prostituirsi, (comportamento già di per sé non indifferente sotto il profilo della moralità e rettitudine che devono improntare l'agire del militare), ma ha assunto, cosa ancor più grave, un ruolo attivo, volto ad agevolare e favorire l'attività di prostituzione della donna.

Non è, altresì, fondata la censura di violazione del principio di proporzionalità in quanto gli elementi addotti (carattere isolato della vicenda, i precedenti di servizio ineccepibili, l'anzianità, l'attaccamento all'arma, la difficoltà economica del nucleo familiare), in un giudizio di bilanciamento, non sono idonei a ridimensionare le conseguenze della gravità della condotta, atteso che quella accertata, connotandosi per il carattere particolarmente biasimevole in considerazione, da un lato, della rilevanza penale (e non semplicemente amministrativa) dell'illecito e, dall'altro, della sua gravità in considerazione della natura delittuosa e non contravvenzionale del reato e della pena edittale comminabile, si pone in aperto contrasto con il ruolo ricoperto ed il dovere di repressione dei reati.

Analoga sorte merita la doglianza nella parte in cui reclama che l'accertamento penale acquisti carattere definitivo prima dell'irrogazione della sanzione disciplinare.

La disposizione di cui all'art.1393 cit., per quanto di interesse, prevede, infatti, peri le sanzioni disciplinari di stato di cui all'art. 1357 cit., la promozione del procedimento disciplinare al termine di quello penale, solo nei casi di particolare complessità dell'accertamento del fatto addebitato al militare ovvero qualora, all'esito degli accertamenti preliminari, l'Amministrazione non disponga di elementi conoscitivi sufficienti ai fini della valutazione disciplinare, situazione non riscontrabile nel caso di specie atteso che, all'esito delle indagini penali, è emerso un quadro fattuale oltremodo completo, come dimostra la circostanza che il ricorrente non abbia saputo indicare ulteriori indagini disciplinari necessarie ”.

3.) Con appello notificato a mezzo del servizio postale raccomandato il 4 gennaio 2019, e depositato il 31 gennaio 2019, l’interessato ha impugnato la sentenza, deducendo, in sintesi, con unico motivo complesso:

Erroneità della sentenza per violazione dell’art 1393 del d.lgs. n 66/2010 - Eccesso di potere per errore nei presupposti e travisamento dei fatti - Difetto di istruttoria - Violazione dell’art. 3 della legge n. 241/1990 - Violazione dell’art. 1355 del d.lgs. n. 66/2010 - Violazione del principio di proporzionalità nell’irrogazione di sanzione disciplinare - Violazione dell’art. 1389 del d.lgs. n. 66/2010 - Violazione dell’art. 97 Cost. - Arbitrarietà, contraddittorietà e illogicità dell’azione amministrativa - Violazione dei principi di buona fede, correttezza, trasparenza e buona amministrazione - Violazione del legittimo affidamento - Ingiustizia manifesta

La sentenza è erronea poiché il T.A.R. non ha considerato la dichiarazione resa dalla convivente nel corso del giudizio disciplinare e l’assenza di imputazioni riferibili all’induzione, né il denunciato vizio di carenza di proporzionalità, correlato allo stato di servizio precedente ultratrentennale privo di mende di sorta alla prostituzione.

Si ribadiscono le censure dedotte in primo grado, anche in relazione all’omessa considerazione delle peculiari condizioni economiche di disagio e all’assenza di accertamento penale definitivo.

3.1) Nel giudizio si sono costituiti, con atto di stile depositato il 21 febbraio 2019, il Ministero della difesa e il Comando generale dell'Arma dei carabinieri che hanno dedotto l’infondatezza dell’appello.

3.2) Con ordinanza n. -OMISSIS- del 1° marzo 2019 è stata respinta l’istanza incidentale di sospensione dell’efficacia esecutiva della sentenza, e del sotteso provvedimento disciplinare espulsivo di stato -con condanna alle spese della fase cautelare, liquidate in complessivi € 1.500,00 - con la seguente motivazione:

Considerato che l’appello non appare assistito da qualificato fumus boni juris in relazione:

a) alla sostanziale linearità e chiarezza dei fatti contestati, e quindi all’assenza di elementi atti a supportare l’invocata pregiudizialità della definizione del procedimento penale;

b) all’incontestabile gravità degli addebiti disciplinari, nel loro nucleo fattuale essenziale denotanti condotte particolarmente riprovevoli e violative di elementari doveri incombenti ad un militare dell’Arma, tali da giustificare la sanzione espulsiva emanata ”.

3.3) All’udienza pubblica del 26 novembre 2020, celebrata nei modi e nelle forme di cui all’art. 25 del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, l’appello è stato riservato per la decisione.

4.) L’appello in epigrafe, secondo quanto già ritenuto in sede cautelare, risulta infondato e deve essere rigettato, con la conferma della sentenza gravata.

4.1) Giova premettere che il nucleo essenziale del fatto addebitato è sostanzialmente incontestato, quale che sia la specifica qualificazione giuridica penale, se di induzione o di favoreggiamento e sfruttamento (rispettivamente art.3 n. 6 e n. 8 della legge 20 febbraio 1958, n. 75 (recante “ Abolizione della regolamentazione della prostituzione e lotta contro lo sfruttamento della prostituzione altrui ”), peraltro assoggettate alla stessa pena congiunta detentiva e pecuniaria.

4.2) Come risulta dagli atti del giudizio, e come riconosciuto dallo stesso interessato nelle deduzioni e nella memoria depositata nel procedimento disciplinare, nonché dalla dichiarazione della convivente ivi allegata, è indubbio che egli fosse consapevole, e consenziente, dell’attività prostituiva svolta dalla convivente e l’abbia quantomeno agevolata -accompagnandola sui luoghi degli incontri sessuali con i diversi “ clienti ”;
né può assumere rilevanza, quando anche veritiera, la circostanza che la donna utilizzasse in proprio i proventi dell’attività, ritraendone comunque l’interessato utilità ai fini del sostentamento delle spese del ménage familiare;
parimenti irrilevante è la dichiarata genesi occasionale dell’attività mercenaria, correlata a precedenti incontri per “ scambi di coppia ”, gestiti attraverso il social media “ whatsapp ”.

4.3) Nessun rilievo può poi annettersi alla mera pendenza del procedimento penale, e all’assenza di accertamento giudiziale dei fatti, posto che, come è noto, l’art. 1393 del d.lgs. 15 marzo 2010, n. 66 (recante “ Codice dell’ordinamento militare ”), come sostituito dall’art. 4, comma 1, lettera t), del d.lgs. 26 aprile 2016, e applicabile ratione temporis (i fatti risalgono al 2017) dispone che:

Il procedimento disciplinare, che abbia ad oggetto, in tutto o in parte, fatti in relazione ai quali procede l’autorità giudiziaria, è avviato, proseguito e concluso anche in pendenza del procedimento penale. Per le infrazioni disciplinari di maggiore gravità, punibili con la consegna di rigore di cui all'articolo 1362 o con le sanzioni disciplinari di stato di cui all'articolo 1357, l’autorità competente, solo nei casi di particolare complessità dell'accertamento del fatto addebitato al militare ovvero qualora, all'esito di accertamenti preliminari, non disponga di elementi conoscitivi sufficienti ai fini della valutazione disciplinare, promuove il procedimento disciplinare al termine di quello penale. Il procedimento disciplinare non è comunque promosso e se già iniziato è sospeso fino alla data in cui l'Amministrazione ha avuto conoscenza integrale della sentenza o del decreto penale irrevocabili, che concludono il procedimento penale, ovvero del provvedimento di archiviazione, nel caso in cui riguardi atti e comportamenti del militare nello svolgimento delle proprie funzioni, in adempimento di obblighi e doveri di servizio. Rimane salva la possibilità di adottare la sospensione precauzionale dall'impiego di cui all'articolo 916, in caso di sospensione o mancato avvio del procedimento disciplinare ”.

4.3.1) E’ stata, quindi, superata la precedente regola della pregiudizialità dell’accertamento giudiziario penale, come recata dal testo originario, secondo cui:

Se per il fatto addebitato al militare è stata esercitata azione penale, ovvero è stata disposta dall'autorità giudiziaria una delle misure previste dall'articolo 915, comma 1, il procedimento disciplinare non può essere promosso fino al termine di quello penale o di prevenzione e, se già iniziato, deve essere sospeso ”.

4.3.2) In realtà, già l’art. 15 comma 1 della legge 7 agosto 2015, n. 124 aveva stabilito che:

“In caso di procedimento disciplinare che abbia ad oggetto, in tutto o in parte, fatti in relazione ai quali procede l’autorità giudiziaria, si applica la disciplina in materia di rapporti fra procedimento disciplinare e procedimento penale di cui all’articolo 55-ter del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165» .

4.3.3) Quest’ultima disposizione, a sua volta, introdotta dall’art. 69, comma 1, del d.lgs. 27 ottobre 2009, n. 150, e riferita alla generalità dei procedimenti disciplinari nell’impiego pubblico, prevede che:

Il procedimento disciplinare, che abbia ad oggetto, in tutto o in parte, fatti in relazione ai quali procede l’autorità giudiziaria, è proseguito e concluso anche in pendenza del procedimento penale. Per le infrazioni per le quali è applicabile una sanzione superiore alla sospensione dal servizio con privazione della retribuzione fino a dieci giorni, l'ufficio competente per i procedimenti disciplinari, nei casi di particolare complessità dell'accertamento del fatto addebitato al dipendente e quando all'esito dell'istruttoria non dispone di elementi sufficienti a motivare l'irrogazione della sanzione, può sospendere il procedimento disciplinare fino al termine di quello penale. Fatto salvo quanto previsto al comma 3, il procedimento disciplinare sospeso può essere riattivato qualora l'amministrazione giunga in possesso di elementi nuovi, sufficienti per concludere il procedimento, ivi incluso un provvedimento giurisdizionale non definitivo. Resta in ogni caso salva la possibilità di adottare la sospensione o altri provvedimenti cautelari nei confronti del dipendente ”.

4.3.4) Il principio di autonomia del procedimento disciplinare rispetto al procedimento penale sconta, a mente del tenore testuale dell’art. 1393 cit. due uniche eccezioni - che impongono la sospensione sino all’esito del giudizio penale - (cfr. tra le tante Cons Stato, Sez. IV, 26 marzo 2020, n. 2107 e 18 settembre 2018, n. 5451):

- quando il fatto sia grave (cioè passibile di consegna di rigore o di sanzione di stato) e il suo accertamento rivesta particolare complessità al punto che gli strumenti propri della inchiesta disciplinare non siano sufficienti;
evenienza che non ricorre nel caso di specie, nel quale, secondo quanto osservato sub 4.2) il fatto, nella sua materialità, è incontestato, essendo del tutto irrilevante (anche peraltro quod poenam ) se si tratti di induzione, sfruttamento o agevolazione (nel senso che appunto soltanto nel caso di accertamenti di particolare complessità sia doverosa la sospensione del procedimento disciplinare;

- se il fatto addebitato, indipendentemente dalla sua gravità, sia commesso nell’esercizio delle funzioni ovvero in adempimento di obblighi e doveri di servizio;
anche tale causa di sospensione, all’evidenza, non è invocabile nel caso di specie

4.4) Non colgono nel segno nemmeno le censure rivolte a contestare la violazione dell’art. 1355 cod. ord. mil. sub specie di violazione del principio di proporzionalità e di carente motivazione dell’adozione della sanzione disciplinare espulsiva.

4.4.1) L’art. 1355 dispone infatti, per quanto qui rileva, che:

Le sanzioni disciplinari sono commisurate al tipo di mancanza commessa e alla gravità della stessa . (comma 1).

Nel determinare la specie ed eventualmente la durata della sanzione sono inoltre considerati i precedenti di servizio disciplinari, il grado, l'età, e l'anzianità di servizio del militare che ha mancato (comma 2).

Vanno punite con maggior rigore le infrazioni:

a) intenzionali;

b) commesse in presenza di altri militari;

c) commesse in concorso con altri militari;

d) ricorrenti con carattere di recidività” (comma 3).

4.4.2) Orbene, deve rammentarsi che:

- la valutazione della gravità del fatto, ai fini della commisurazione della sanzione, costituisce espressione di ampia discrezionalità amministrativa, insindacabile salvo che per evidenti profili di manifesto travisamento o manifesta illogicità e irragionevolezza, che palesino con immediatezza una chiara carenza di proporzionalità tra l'infrazione e il fatto (cfr. in tal senso tra le tante Cons. Stato, Sez. IV, 24 marzo 2020, n. 2053;
Sez. II, 20 febbraio 2020, n. 1296;
Sez. VI, 20 aprile 2017, n. 1858 e Sez. III, 5 giugno 2015, n. 2791);

- l’obbligo motivazionale è attenuato, e assolto attraverso il puntuale riferimento al fatto addebitato, in relazione a condotte di particolare gravità che rendono insuscettibile di ridimensionamento la sanzione irrogata, in specie a fronte di comportamenti palesemente contrari ai principi di moralità e di rettitudine che devono improntare l’agire di un militare, ai doveri attinenti al giuramento prestato, a quelli di correttezza ed esemplarità propri dello status di militare e di appartenente all’Arma dei carabinieri (Cons. Stato, Sez. IV, Sez. IV, 26 marzo 2020, n. 2107, in fattispecie relativa detenzione senza titolo di documentazione inerente l’ufficio);

- la sanzione espulsiva è costantemente ritenuta legittima al cospetto di condotte che denotano la violazione dei doveri inerenti allo status di militare, specie se investito di funzioni di polizia: cfr. Cons. Stato, Sez. II, 15 maggio 2020, n. 3112 e Sez. IV, 3 ottobre 2018, n.5684 e 8 marzo 2017, n.1086 in fattispecie relative alla detenzione per uso personale e consumo di sostanze stupefacenti;
Sez. IV, 22 ottobre 2019, n. 7185, nel caso di furto di oggetto pur di minimo valore economico commesso da militare appartenente alla Guardia di finanza).

4.5) Nel caso di specie la sanzione espulsiva è affatto proporzionata in quanto correlata a fatto di obiettiva gravità denotante la violazione degli elementari doveri di un militare appartenente a forza armata investita di compiti di polizia e all’innegabile valenza negativa della condotta addebitata, che si pone in radicale contrasto con i doveri incombenti su un militare, arreca insuperabile vulnus al rapporto fiduciario che costituisce il sostrato ineliminabile del rapporto di servizio, e reca grave pregiudizio all’immagine e al prestigio dell’Arma dei carabinieri.

5.) In conclusione l’appello in epigrafe deve essere rigettato, con la conferma della sentenza gravata.

6.) Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo tenuto conto dei parametri stabiliti dal regolamento 10 marzo 2014, n. 55 e dall’art. 26, co. 1, c.p.a.

6.1) Al riguardo, il Collegio rileva che l’accertamento di infondatezza del gravame si basa, come dianzi illustrato, su ragioni manifeste, in modo da integrare i presupposti applicativi dell’art. 26, co. 1 e 2, c.p.a. secondo l’interpretazione che ne è stata data dalla giurisprudenza di questo Consiglio (cfr. da ultimo sez. IV, n. 2205 del 2018;
n. 2116 del 2018, cui si rinvia ai sensi degli artt. 74 e 88, comma 2, lett. d), c.p.a. anche in ordine alle modalità applicative e alla determinazione della sanzione).

6.2) La condanna dell’originario ricorrente ai sensi dell’art. 26 c.p.a. rileva, infine, anche agli effetti di cui all’art. 2, comma 2 quinquies, lett. a) e d), della legge 24 marzo 2001, n. 89, come da ultimo modificato dalla legge 28 dicembre 2015, n. 208.

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