Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2024-04-29, n. 202403884

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2024-04-29, n. 202403884
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202403884
Data del deposito : 29 aprile 2024
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 29/04/2024

N. 03884/2024REG.PROV.COLL.

N. 04847/2018 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4847 del 2018, proposto dalla Società Cava Fusi S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli avvocati G C, E R e P F, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma, via Cicerone, n.44,

contro

- la Regione Lombardia, in persona del Presidente pro tempore , rappresentata e difesa dagli avvocati M C e P P, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato C B in Roma, viale delle Milizie, n.34;
- la Provincia di Varese, in persona del Presidente pro tempore , rappresentata e difesa dall’avvocato Daniele Albertini, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia;
- il Comune di Uboldo, il Comune di Cerro Maggiore e l’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente della Lombardia, non costituiti in giudizio;

nei confronti

del Comune di Gerenzano, in persona del Sindaco pro tempore , non costituito in giudizio,

per la riforma

della sentenza del T.a.r. per la Lombardia, Sezione Quarta, n. 2307 del 1° dicembre 2017, resa tra le parti, concernente il decreto di compatibilità ambientale per il progetto di gestione dell’ambito di recupero ATEg3 del vigente Piano Cave laddove contempla prescrizioni e misure mitigative.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della Regione Lombardia e della Provincia di Varese;

Visti tutti gli atti della causa;

Visto l’art. 87, comma 4- bis , c.p.a.;

Relatore all’udienza straordinaria di smaltimento dell’arretrato del giorno 7 febbraio 2024 il consigliere Giovanni Sabbato e uditi per le parti gli avvocati P F, C B, in sostituzione per delega dell’avvocato P P, e Daniele Albertini;

Viste le conclusioni delle parti come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Con ricorso numero di registro generale 3498 del 2011, integrato da motivi aggiunti, proposto innanzi al T.a.r. Lombardia, la Società Cava Fusi S.r.l. (di seguito anche la Società) aveva chiesto l’annullamento:

a ) del decreto della Direzione Generale Ambiente, Energia e Reti della Regione, di pronuncia di compatibilità ambientale, del progetto di gestione produttiva dell'A.T.E. g3 del vigente piano cave della Provincia di Varese sito nel Comune di Uboldo;

b ) del parere della Provincia di Varese del 3 maggio 2011, prot. 161;

c ) dell’autorizzazione all’escavazione della provincia di Varese 23 marzo 2012, n. 1170 prot. 26801/9.5/9 (atto impugnato, come quello a seguire, coi motivi aggiunti);

d ) dell’atto ex art. 11 1.r. 14/1998 della Provincia di Varese del 19 settembre 2011 prot. 82737.

2. A sostegno del ricorso la Società aveva dedotto, tra l’altro, che la manutenzione delle strade provinciali non poteva non competere all’ente proprietario non costituendo un onere imputabile ad un soggetto privato. Con il gravame integrativo la Società, pur evidenziato “ il carattere di presupposizione necessaria ” rispetto al previo Decreto di Compatibilità Ambientale, con conseguente automatico suo travolgimento in caso di annullamento di quest’ultimo, ha riproposto le censure già precedentemente articolate ed ha ulteriormente dedotto, in via subordinata, la illegittimità per vizi propri dell’Autorizzazione Escavatoria “ in relazione all’intento di addossare alla ricorrente la manutenzione con ciclicità triennale di un tratto di strada provinciale ” (cfr. pagina 23 del ricorso per motivi aggiunti)

3. Nella resistenza dell’Amministrazione, il Tribunale adìto (Sezione IV) ha così deciso il gravame al suo esame:

- ha respinto il ricorso ed i motivi aggiunti;

- ha condannato parte ricorrente alle spese di lite (€ 3.500,00 in favore di ciascuna delle parti resistenti).

4. In particolare, il Tribunale ha ritenuto che:

- “ la prestazione di facere imposta dalla Provincia trae diretta origine (e ragionevole motivazione) dal progetto presentato dall’operatore economico interessato e non mero pretesto in esso, al fine

di traslare su un soggetto privato (come tale non tenuto) oneri di natura esclusivamente pubblica, senza una precisa disposizione di legge che ciò consenta

- “ le prescrizioni contestate dalla ricorrente sono state legittimamente inserite, in quanto non emesse in contrasto con alcuna diretta disposizione normativa (sia essa primaria o secondaria), proporzionate al tipo di attività svolgere (e alle conseguenze di impatto ambientale prevedibili) oltre che emesse ad esito di contraddittorio effettivo con il privato interessato ”;

- non vi sarebbe contrasto con la sentenza del medesimo T.a.r. n. 5016/2009.

5. Avverso tale pronuncia la Società ha interposto l’appello in trattazione, notificato il 1° giugno 2018 e depositato il 14 giugno 2018, lamentando, attraverso sette motivi di gravame (pagine 11-23), quanto di seguito sintetizzato:

I) Sull’inammissibilità dei motivi aggiunti ;

II) Sulla corretta ricostruzione dei fatti: erronea valutazione e interpretazione di atti e documenti di causa ;

Nel merito . Sulle censure afferenti la prescrizione avente ad oggetto interventi di realizzazione e di manutenzione del manto stradale della s.p. 527:

III) Errata valutazione in diritto. Nullità delle prescrizioni ;

IV) Sul quarto motivo di ricorso. Errata valutazione in diritto. Illegittimità delle prescrizioni. Carenza di motivazione e di istruttoria. Travisamento ;

V) Sulla sesta censura. Errata valutazione in diritto. Illegittimità delle prescrizioni. Carenza di motivazione e di istruttoria. Travisamento ;

VI) Sulle ultime quattro censure. Errata valutazione in diritto. Illegittimità delle prescrizioni. Carenza di motivazione e di istruttoria. Travisamento ;

Quanto alla prescrizione afferente il ritombamento dell’area di cava come discarica:

VII) Carenza di istruttoria e di motivazione .

5.1. Con il primo motivo, l’appellante contesta l’erroneità della sentenza di primo grado laddove dichiara inammissibile “ per carenza di interesse ” il “ ricorso per motivi aggiunti, nella parte in cui viene contestata l’autorizzazione all’escavazione per vizi propri, trattandosi di censure proposte a mero titolo cautelativo, come dalla stessa ricorrente ammesso nei suoi scritti difensivi ”. Secondo l’appellante la motivazione sarebbe erronea, in quanto la prescrizione afferente agli interventi manutentivi, redatta pure nell’autorizzazione escavatoria, è efficace e immediatamente lesiva. Il fatto che, nel ricorso principale, la Cava Fusi abbia auspicato che nel dialogo procedimentale la Provincia rinunciasse a detta (illegittima) richiesta, non ne fa ex se cadere l’effettività e la lesività. Del resto, la formula utilizzata nell’autorizzazione escavatoria per dettare la prescrizione non lascia dubbi in merito alla sua perentorietà e obbligatorietà. Vi si legge, infatti, che “ le operazioni di fresatura e stesura del tappeto di usura hanno una ciclicità triennale e quindi, la società dovrà impegnarsi a sostenere le spese di rifacimento del manto stradale anche prima della scadenza del decennio ”. Pertanto, la prestazione addossata alla società non è lasciata a ipotetica valutazione futura, ma è considerata dalla Provincia dovuta ex se .

5.2. Con il secondo motivo, l’appellante deduce l’erroneità della sentenza gravata nella parte in cui “ Sempre preliminarmente ” ricostruisce i fatti negligendo un elemento rilevante al quale viene attribuito un significato improprio.

A tal proposito la società deduce che, in seno al procedimento di approvazione del progetto ex art. 11 L.R. 14/1998, la stessa fu costretta a presentare un’integrazione progettuale ventilante disponibilità a “ contribuire al rifacimento del manto d’usura dopo dieci anni dal decorrere dell’autorizzazione all’escavazione ”. Si tratta appunto di imposizione provinciale quale condizione dell’assenso al rilascio dell’autorizzazione escavatoria. Nell’identico contesto la società subito dichiarò “ in merito alla prescrizione riguardante il rifacimento del manto stradale della s.p. 527 che pur accettando quanto prescritto al fine dell’ottenimento dell’approvazione del P.G.P. ATEg3” essa “ritiene la stessa illegittima ”. Questa formale contestazione dell’illegittimità della prestazione impostale valse proprio ad evitare l’acquiescenza che il T.a.r. ritiene invece essersi consolidata. La quale è oltre tutto esclusa dal fatto che il decreto v.i.a. e gli atti presupposti e conseguenti (inclusa l’autorizzazione escavatoria) sono stati tutti tempestivamente impugnati.

5.3. Con il terzo motivo, l’appellante contesta la decisione del T.a.r. nella parte in cui assume che sulla prescrizione afferente agli interventi di realizzazione e manutenzione del manto stradale della s.p. 527 “ il nodo giuridico principale da risolvere (declinato dalla ricorrente come fonte di nullità o comunque di illegittimità degli atti impugnati) consiste nell’individuazione dell’ampiezza degli obblighi giuridici che possono essere imposti al privato nell’iter occorrente all’autorizzazione all’escavazione, anche in relazione a quanto disposto in materia dall’art. 15, co. 1 lett. a) della Lr n. 14/1988 ”, conseguentemente disattendendo i primi tre motivi di ricorso. Secondo l’appellante, i canoni di legalità ex artt. 23 e 97 Cost. condizionano la legittimità di un’imposizione patrimoniale all’esistenza di una legge che la fondi. Pertanto, il tema non è quello – invece erroneamente fatto valere dalla sentenza – dell’assenza dall’ordinamento di norme che impediscano l’imposizione oltre i limiti di legge quanto il fatto che l’imposizione è legittima nei soli limiti di legge. E dunque non è l’assenza nella legge di divieti di dette imposizioni a legittimarle, ma esse sono illegittime poiché mancano leggi che le prevedano e permettano alla p.a. di imporle al privato. Inoltre, la sentenza gravata avrebbe mancato di considerare che le norme, sia nazionali sia europee, in materia ambientale discorrono di criteri e modalità di limitazione degli impatti negativi dei progetti e non di obblighi di facere , se non nel senso di intervenire sulle modalità di realizzazione del progetto ovvero di esercizio dell’attività. Ma anche a voler sostenere che dette norme impongano anche obbligazioni di facere , esse comunque non possono porsi in contrasto coi principi di proporzionalità e sostenibilità economica che costituiscono i principi alla base della normativa comunitaria (dir. 1985/337/Cee, 1997/11/Ce, 2003/35/Ce) e nazionale (d.lgs. 152/2006 e L.R. 5/2010), in forza dei quali non possono essere imposti ai privati oneri che, se in apparenza fondano sul principio comunitario di prevenzione e cautela, sono in concreto illogici e sproporzionati non essendo in realtà correlabili specificamente al progetto assoggettato a v.i.a.

5.4. Con il quarto motivo, l’appellante contesta la sentenza gravata nella parte in cui assume che “ le prescrizioni contestate dalla ricorrente sono state legittimamente inserite, in quanto non emesse in contrasto con alcuna diretta disposizione normativa (sia essa primaria o secondaria), proporzionate al tipo di attività da svolgere (e alle conseguenze di impatto ambientale prevedibili) oltre che emesse ad esito di contraddittorio effettivo con il privato interessato”. Secondo l’appellante, invece, la prescrizione imposta non ha conforto né nella normativa comunitaria, né nazionale in materia ambientale, le quali discorrono di criteri e modalità di contenimento degli impatti e non di obbligazioni di facere o dare;
ma neanche nella normativa afferente al settore cave. Più in particolare, con tale motivo la società si lamenta del fatto che la sentenza si limiti a sostenere che l’art. 15 L.R. 14/1998 vada interpretato alla luce dell’art. 26 d.lgs. 152/2006 senza tuttavia spiegarne le ragioni, così viziando la sentenza che risulta priva di motivazione e/o comunque viziata da motivazione apodittica e perplessa. In ogni caso, l’art. 26 testé menzionato discorre della individuazione di “ misure [….] per evitare, prevenire o ridurre e se possibile compensare gli impatti ambientali negativi e significativi ”, non di obblighi di fare, come viceversa impone la prescrizione contestata, sostitutive di attività istituzionali ordinarie della p.a. e non riferite ad hoc al progetto sottoposto a v.i.a. Questa non mira a, né permette di, imporre al privato oneri ulteriori rispetto a quelli prescritti dalla legge. Infine, l’appellante ribadisce che l’art. 15 L.R. 14/1998 non costituisce affatto l’impegno minimo cui deve essere subordinato il rilascio dell’autorizzazione escavatoria. Ove così fosse, la L.R. 14/1998 (e nello specifico l’art. 13) avrebbe indicato espressamente le ulteriori prescrizioni cui deve attenersi il cavatore. Invece, l’art. 13 co. 1 lett. f), L.R. 14/1998, nell’indicare i contenuti dell’autorizzazione escavatoria, legittima la sola imposizione degli “ obblighi assunti dal titolare dell’autorizzazione con riferimento alla convenzione di cui all’art. 15 ” (lett. c) e dei “ criteri per la mitigazione dell’impatto connesso all’attività estrattiva ” (lett. f) e non di obblighi di facere . La manutenzione delle strade provinciali sarebbe in ogni caso dovere istituzionale della Provincia, come se il progetto stesso o la cava FUSI non esistessero.

5.5. Con il quinto motivo, l’appellante lamenta l’erroneità della statuizione di rigetto della sesta censura, ritenendo che – diversamente da quanto dedotto dal T.a.r. – non rilevi che la Provincia, a fronte dell’imposizione addossata a FUSI, abbia o meno rinunciato ai propri poteri-doveri di cura delle sue strade, secondo le proprie competenze istituzionali. Sotto diverso profilo, si assume invece che, trattandosi appunto di imposizione sostitutiva della ordinaria attività istituzionale viabilistica provinciale, la Provincia non poteva tout court imporla a FUSI. In proposito l’appellante rileva che la prescrizione non è affatto legittima e proporzionata, tenuto conto del fatto che l’impatto sull’infrastruttura non dipenda affatto dal progetto di gestione produttiva dell’appellante, bensì dall’utilizzo dell’infrastruttura da parte delle realtà residenziali, produttive e commerciali preesistenti la cava e che hanno sempre utilizzato la s.p. 527.

5.6. Con il sesto motivo, l’appellante contesta l’erroneità in cui sarebbe incorso il T.a.r. nel rigettare i motivi di ricorso da sette a dieci ritenendo che “ la Provincia resistente abbia semplicemente declinato le modalità di assolvimento di tale impegno, correlandolo alla possibilità di dovere operare il suddetto intervento anche prima del decennio”. La società, di contro, sostiene che l’autorizzazione escavatoria rilasciata dalla Provincia aggravi l’imposizione portata dal decreto v.i.a., esigendo l’intervento entro i dieci anni dalla emissione dell’autorizzazione medesima e che le opere di rifacimento abbiano una cadenza triennale.

In proposito, la stessa deduce che:

- il decreto v.i.a. lasciava alla Provincia di “ valutare […] la possibilità di prevedere la realizzazione di una pavimentazione di tipo fonoassorbente e la relativa manutenzione per il tragitto compreso tra l’A.T.E.g3 e l’A.T.E.g4, che sosterrà interamente il traffico in uscita del materiale estratto e buona parte del traffico in entrata ”. L’intervento avrebbe dovuto essere realizzato decorsi dieci anni dalla emissione dell’autorizzazione escavatoria;

- tuttavia, in sede di approvazione del progetto ex art. 11 L.R. 14/1998, la Provincia non ha solo valutato l’opportunità di dare esecuzione a detta (comunque) illegittima prescrizione decorsi dieci anni dall’emissione dell’autorizzazione, bensì ha deciso di imporre altresì che “ le operazioni di fresatura e stesura del tappeto di usura hanno una ciclicità triennale e quindi, la società dovrà impegnarsi a sostenere le spese di rifacimento del manto stradale anche prima della scadenza del decennio, fermo restando che tale intervento ha comunque una validità decennale a partire dalla data di rilascio dell’autorizzazione ”;

- inoltre, la società non proponeva affatto di accollarsi il rifacimento dell’intero tratto viario (di costo insostenibile avendo la lunghezza di ben 900 mt), bensì di contribuire parzialmente allo stesso, e comunque, una volta decorsi dieci anni di validità dell’Autorizzazione all’Escavazione.

5.7. Con il settimo motivo, l’appellante contesta la sentenza di primo grado nella parte in cui assume che la censura riferita al ritombamento dell’area di cava come discarica sia generica, senza analizzare quanto dallo stesso dedotto e ribadito nei relativi scritti e comunque senza tener conto che le limitazioni prescritte nel decreto v.i.a., in ordine alla provenienza e alla tipologia di materiale impiegabile, non lasciano dubbi in merito alla oggettiva impossibilità di un ritombamento dell’area di cava quale discarica.

6. L’appellante ha concluso chiedendo, in riforma dell’impugnata sentenza, l’accoglimento del ricorso di primo grado e quindi l’annullamento degli atti con lo stesso impugnati.

7. In data 3 aprile 2019 la Regione Lombardia si è costituita in giudizio al fine di chiedere il rigetto dell’avverso gravame.

8. In data 24 dicembre 2020 si è costituita in giudizio la Provincia di Varese con memoria di controdeduzioni concludendo per il rigetto dell’avverso gravame. In particolare ha evidenziato che la prescrizione impugnata è espressione del potere della Regione di esprimersi sulla compatibilità ambientale del progetto, potere che consente di imporre, ove occorra, specifici comportamenti al soggetto attuatore.

9. In data 22 dicembre 2023 la Regione appellata ha depositato a sua volta memoria insistendo per il rigetto dell’avverso gravame evidenziando che è propria la VIA la sede per individuare interventi compensativi che debba attuare chi, con l’esercizio della propria attività, produca un’alterazione ambientale e che il contributo richiesto ex art. 15, comma 1, L.R.14/98, ha natura solidaristica.

10. In prosieguo di giudizio tutte le parti hanno depositato rispettive memorie, anche in replica, per ulteriormente suffragare le proprie conclusioni.

11. La causa, chiamata per la discussione all’udienza straordinaria del 7 febbraio 2024, è stata trattenuta in decisione.

12. L’appello, per le ragioni di cui infra , è fondato.

13. La vicenda di causa, per la sua complessità, impone di ripercorrere brevemente i passaggi salienti che la connotano dovendosi precisare che essa è innescata dalla presentazione, in data 20 luglio 2010 da parte di Cava Fusi S.p.a. alla Regione Lombardia, di istanza di compatibilità ambientale (VIA) per l’approvazione del progetto di gestione dell’ambito di recupero ATEg3, nel Comune di Uboldo. Tale progetto prevede un’attività di escavazione di materiale inerte con la conseguente necessità del suo trasporto mediante automezzi che percorrono il tratto della Strada Provinciale n. 527, che ricollega detto compendio estrattivo alla cava di Cascina Malpaga (ATEg4) in quanto dotata degli impianti di lavorazione. E’ proprio in considerazione dell’aumento di traffico lungo detta arteria stradale che la Regione Lombardia, nel decretare la compatibilità ambientale (decreto di VIA) del progetto, presentato dall’appellante, di gestione produttiva dell’ATEg3 (Cascina Ragusella) del vigente Piano Cave della Provincia di Varese, imponeva alla società la “realizzazione di una pavimentazione fonoassorbente e la relativa manutenzione per il tragitto ricompreso tra l’ATEg3 e l’ATEg4” . Tale atto veniva impugnato con il ricorso introduttivo della lite mentre con i successivi motivi aggiunti era impugnata l’autorizzazione provinciale n. 1170 del 23 marzo 2012, rilasciata dalla Provincia di Varese ai sensi dell’articolo 12 della LR 14/98, nella parte in cui prevede la manutenzione del tratto di SP 527 tra l’ATEg3 e l’ATEg4, disponendo che le operazioni di fresatura e del tappeto di usura abbiano una ciclicità triennale.

14. Venendo alla disamina delle censure sollevate da parte appellante, occorre in primo luogo rilevare, per quanto riguarda i primi due motivi, coi quali si adduce la persistenza dell’interesse sotteso ai motivi aggiunti, che la sentenza impugnata, pur presentando un passaggio semantico col quale le relative deduzioni si dichiarano improcedibili siccome non più suffragate dal necessario profilo di interesse, sono state de facto esaminate nel merito tant’è che il dispositivo della sentenza è di “rigetto” sia per il ricorso che, appunto, per i motivi aggiunti. Ne consegue che è dato senz’altro reputare assorbite le anzidette deduzioni a fronte della questione centrale sollevata con i motivi sub 3-5, circa la effettiva sussistenza del potere dell’Amministrazione di imporre dette prestazioni manutentive dell’asse stradale sia alla luce della normativa nazionale, ivi compresa quella costituzionale, che di quella eurounitaria.

14.1. La disamina di tali motivi di appello, così come articolati, consente di reputare assorbito anche quanto ulteriormente dedotto da parte appellante secondo cui non sarebbe vero che l’attuazione del progetto escavatorio sia in grado di accrescere in maniera significativa l’andamento del traffico sull’arteria stradale, dovendosi rispondere in via preliminare al quesito posto dalla parte circa la effettiva o meno sussistenza del potere di porre a carico di un soggetto privato il descritto onere manutentivo.

14.2. Il problema da affrontare è in definitiva quello di stabilire, con potenziale ricaduta assorbente su ogni altra deduzione riferita a tale atto, se l’Amministrazione possa imporre l’espletamento di operazioni di manutenzione stradale che dovrebbero competere ad essa medesima invece che all’operatore privato. La disamina della censura non può prescindere dalla necessità di verificare se la richiamata disciplina, per vero di ampio tenore, giustifichi l’adozione delle misure ripristinatorie quali quelle imposte dall’Amministrazione regionale.

15. Ai fini della disamina dei rilievi di parte appellante, esattamente articolati coi motivi sub 3-6 suscettibili per il loro tenore di trattazione congiunta, occorre quindi prendere le mosse dal tenore della normativa di riferimento.

15.1. In particolare l’art. 26 del d.lgs. 152/06 (nella versione vigente all’epoca dei fatti essendo poi stato sostituito dall’art. 15 del d.lgs. n. 104 del 2017) prevede che il provvedimento di VIA contenga “ le condizioni per la realizzazione, esercizio e dismissione dei progetti ” mentre l’art. 15 della Legge regionale lombarda n. 14/98 ( Nuove norme per la disciplina della coltivazione di sostanze minerali di cava ) statuisce che “ Il rilascio della autorizzazione è subordinato alla presentazione di convenzione stipulata, sulla base di uno schema tipo predisposto dalla Giunta regionale, tra il richiedente ed il Comune o i Comuni interessati, con la quale il richiedente si impegna: ... ad eseguire a proprie spese, entro il termine dell'attività estrattiva, e secondo le modalità concordate con il comune, le opere di riassetto ambientale necessarie a realizzare la destinazione finale prevista dal piano, secondo analitiche previsioni che devono essere contenute nella convenzione medesima ;”.

15.2. Ribadito che la questione in rito sollevata con il primo motivo, relativa all’ammissibilità dei motivi aggiunti, può dirsi priva di rilievo in quanto con tale gravame integrativo la parte aveva sostanzialmente reiterato i motivi di prime cure ipotizzando soltanto in calce allo stesso una ricaduta patologica sull’atto impugnato in via indiretta, gli ulteriori motivi sollevati sono suscettibili di essere esaminati congiuntamente laddove si argomenta nel senso che sarebbe insussistente il potere dell’Amministrazione di imporre le misure suddescritte.

15.3. Parte appellata deduce al riguardo che ciò che rileva nel caso di specie e che non solo l’Amministrazione ha il potere di temperare conseguenze negative in termini di impatto ambientale derivanti dall’esecuzione di un progetto, ma anche che le stesse sono chiaramente desumibili dalla documentazione versata nel giudizio di prime cure a cura di parte ricorrente.

Invero da quest’ultima (in specie, documento n. 9) si evincerebbe che, all’esito dell’intervento, si produrrà un notevole incremento veicolare e l’Amministrazione sarebbe quindi legittimata ad imporre oneri anche significativi al fine di temperare le conseguenze negative derivanti dalla realizzazione del progetto, che comporterà un notevole traffico di mezzi pesanti lungo peraltro un segmento della strada statale di 900 metri lineari.

15.4. Ordunque la disamina degli atti di causa non consente di aderire alle prospettazioni dell’Amministrazione appellata dovendosi rilevare che la vicenda non è riconducibile al paradigma del cd. riassetto ambientale palesandosi, più propriamente, quale mera manutenzione stradale. Non viene infatti in considerazione la necessità di salvaguardare un ambiente naturale quanto piuttosto una infrastruttura viaria come tale frutto dell’intervento umano.

Le caratteristiche della vicenda, connotata dal fatto che si tratta di traffico con mezzi pesanti che è destinato ad incidere sull’assetto dell’asse stradale, non integrano la piattaforma applicativa della fattispecie configurata dall’Amministrazione a sostegno della determinazione assunta, in quanto trattasi di prospettata maggiore incidenza del traffico veicolare, che peraltro nemmeno traspare con particolare nitidezza dagli atti di causa alla luce delle contestazioni di parte appellata.

La norma surrichiamata discorre infatti di “opere di riassetto ambientale” e che pertanto contrastano con l’esigenza, avvertita dall’Amministrazione, di salvaguardare la praticabilità e la sicurezza dell’assetto viario, esigenze senz’altro rilevanti e significative ma che non possono essere imposte all’appellante sulla base della disciplina medesima. Nemmeno la formula dell’art. 26, d.lgs. 152/2006, induce a diverse conclusioni, in quanto, come valorizzato da parte appellante, discorre di “ misure [….] per evitare, prevenire o ridurre e se possibile compensare gli impatti ambientali negativi e significativi ”, norma che anch’essa allude alle conseguenze sull’ambiente naturale al quale senz’altro non appartiene un’asse viario.

Per vero la traiettoria argomentativa che connota l’appello in esame trascorre anche per la disciplina eurounitaria, ma è lo stesso tenore della disciplina nazionale che induce ad un apprezzamento favorevole alle deduzioni di parte appellante senza che si ponga la necessità di una lettura correttiva alla luce dei valori sovranazionali. Non può del resto utilmente evocarsi, come fa la Provincia appellata, il noto principio comunitario “ chi inquina paga ” ( ex art. 191, comma 2, TFUE) non avendo l’Amministrazione rilevato un problema di inquinamento quanto piuttosto di usura del manto stradale.

La stessa normativa regionale, come dedotto, discorre di “ criteri per la mitigazione dell’impatto connesso all’attività estrattiva ” (cfr. art. 13, comma 1, lett. f, l.r. 14/1998), formula che, per quanto generica, non può ricomprendere anche obbligazioni di facere quali quelle imposte alla società.

Le peculiarità della fattispecie consente così di escludere ab imis la riconducibilità della stessa nell’alveo delle norme suddescritte con conseguente fondatezza dei motivi d’appello in esame, assorbita ogni altra censura relativa al descritto onere manutentivo dell’asse stradale.

16. Ciò vale anche per il sesto motivo ( sub B-3, pagina 20 dell’appello) in quanto, come evidenziato in seno al ricorso per motivi aggiunti di primo grado, non persiste l’interesse alla contestazione delle statuizioni recate dall’accordo intercorso tra le parti odierne laddove prevede l’onere manutentivo stradale a carico della Società.

E’ pur vero che sul punto il T.a.r., ridimensionando la portata effettuale di tale previsione negoziale, ha rilevato che “ è stato nella sostanza rispettato l’accordo stabilito tra le parti in sede di istruttoria secondo cui il privato avrebbe contribuito al rifacimento del manto stradale una sola volta nell’arco del decennio ”. Tuttavia l’onere imposto al privato è ineluttabilmente minato da quanto rilevato circa l’insussistenza in radice della potestà dell’Amministrazione di imporre una siffatta prestazione sebbene nel contesto, questa volta, di un accordo invece che in via unilaterale.

Invero la Società ha evidenziato che, nell’esprimere il proprio consenso, ha formulato espressa riserva di contestazione in sede giudiziale, tanto da tempestivamente depositare gravame integrativo di primo grado. La questione, pure prospettata dalla parte, circa l’illegittimità di una interpretazione del quadro negoziale nel senso di imporre non una ma plurime operazioni di rifacimento del manto stradale e comunque prima della scadenza del decennio, deve conclusivamente reputarsi assorbita una volta esclusa la sussistenza di ogni possibile incombenza di tale natura in capo alla Società odierna appellante.

Lo stesso dicasi per quanto attiene a quanto precisato in appello (motivo sub B-4, pag. 21) circa il ridotto perimetro della disponibilità manifestata, siccome limitata alla sola contribuzione ai relativi costi e non al loro integrale sostenimento, dovendosi reputare ogni previsione contrattuale al riguardo definitivamente travolta dalla rilevata illegittimità del presupposto decreto di compatibilità ambientale.

17. Si impone invece la disamina del settimo motivo di gravame ( sub C, pagine 22 e ss. dell’atto di appello), col quale si ripropone il motivo n. 5 del ricorso di prime cure (pagina 23), relativo alla lamentata impossibilità di provvedere al ritombamento dell’area di cava come discarica, motivo imperniato sulla pretesa violazione del dictum di cui alla sentenza del T.a.r. Lombardia n. 5016/2009 e respinto dal giudice di primo grado “ in quanto non risulta che le nuove prescrizioni (peraltro contestate soltanto genericamente) si traducano in un divieto assoluto di recupero della cava mediante realizzazione di discarica ”.

Quanto dedotto sul punto da parte appellante, secondo cui il decreto v.i.a., di cui non si specificano i relativi passaggi, sarebbe tale da indurre a conclusioni di segno contrario, risulta inammissibile per genericità. Non solo infatti non si specifica quale incidenza abbia il decreto anzidetto sulla questione agitata, ma soprattutto ci si limita ad affermare genericamente che sarebbe preclusa la possibilità di un ritombamento dell’area di cava quale discarica senza fornire alcuna specificazione al riguardo. Trattasi quindi di una mera valutazione prospettica non idonea a suffragare il profilo di interesse.

18. Tanto premesso, l’appello deve essere complessivamente accolto e pertanto, in riforma dell’impugnata sentenza, nei limiti del rilevato interesse di parte, i ricorsi di primo grado vanno accolti e gli atti ivi impugnati annullati.

19. Sussistono nondimeno giusti motivi, in considerazione dell’assoluta particolarità della vicenda, per disporre la compensazione delle spese del doppio grado di giudizio.

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